Interruzione del trattamento/sindrome d'astinenza: la sospensione del trattamento con venlafaxina deve essere graduale per ridurre il rischio di sintomi da astinenza (soprattutto gastrointestinali, neurologici e psichiatrici). Sono stati osservati: agitazione, anoressia, ansia, confusione, alterazione della coordinazione, diarrea, vertigini, secchezza delle fauci, umore disforico, fascicolazione, fatica, cefalea, ipomania, insonnia, nausea, nervosismo, incubi, disturbi del sensorio (incluse sensazioni simili all'elettroshock), sonnolenza, sudorazione, tremore e vomito. Nella maggior parte dei pazienti i sintomi di astinenza si risolvono in 2 settimane, ma in alcuni casi si sono protratti per un periodo maggiore. In uno studio che ha preso in considerazione l'incidenza di eventi avversi dalla immissione in commercio degli SSRI e della venlafaxina fino al 2000, in Francia, i farmaci più segnalati per sindrome d'astinenza sono stati paroxetina (primo posto) e venlafaxina (secondo posto) (SSRI, OR: 5,05 95% CI 3,81-6,68; paroxetina OR: 8,47 95% CI 5,63-12,645; venlafaxina, OR: 12,16 95% CI 6,17-23,35) (Trenque et al., 2002). La breve emivita della venlafaxina (e anche della paroxetina) sembra essere un fattore predisponente lo scatenamento dei sintomi d'astinenza. Tali sintomi si possono verificare al termine della terapia, alla variazione del dosaggio, al passaggio da un antidepressivo ad un altro oppure quando la dose non viene assunta. Se durante il periodo di sospensione graduale del farmaco compaiono sintomi difficilmente tollerati dal paziente, aumentare nuovamente la dose, stabilizzare il paziente, quindi diminuire la dose con decrementi inferiori ai precedenti.
Suicidio/ideazione di suicidio in pazienti pediatrici: la venlafaxina non è registrata per il trattamento della depressione nei pazienti pediatrici. La depressione è una patologia rara nel bambino (prevalenza 0,5%), aumenta nell'adolescenza (prevalenza 3%) ed è associata ad un rischio suicidario importante (Expertise Collective Inserm, 2003). Sulla base dell'analisi di 11 studi clinici in pazienti pediatrici trattati con farmaci che inibiscono la ricaptazione della serotonina per il disturbo depressivo maggiore (MDD), le agenzie regolatorie inglese CSM (Commitee on Safety of Medicines) e americana FDA hanno verificato che ci sono dati clinici di efficacia per fluoxetina e probabilmente per citalopram, ma non per paroxetina, sertralina e venlafaxina. Inoltre l'uso degli inibitori del reuptake della serotonina, in questa classe di pazienti, è stata associata ad un aumento di comportamento suicida (ideazione di suicidio, tentativo di suicidio, autolesionismo) rispetto al placebo (in particolare per paroxetina e venlafaxina, ma sono implicati anche citalopram, sertralina e fluoxetina; per la fluvoxamina i dati di letteratura sono scarsi).
Suicidio/ideazione di suicidio in pazienti adulti: poiché l'ideazione di suicidio è una componente insita nel disturbo depressivo maggiore e in altre forme patologiche di disturbi del comportamento, il rischio di suicidio rimane alto fino a quando non sono evidenti segni di miglioramento connessi con la terapia farmacologica. E' importante quindi monitorare segni e sintomi riconducibili all'ideazione di suicidio, in particolare nelle prime settimane di terapia, quando ancora non è stato raggiunto un controllo ottimale della patologia, e ogni qualvolta viene modificato il dosaggio del farmaco. Da una metanalisi condotta in pazienti adulti l'incidenza di comportamenti suicidatari sembrerebbe più frequente, rispetto a placebo, nell'intervallo di età compreso fra 18 e 30 anni. Nessuna differenza è stata riscontrata quando il confronto è stato fatto fra inibitori del reuptake della serotonina e antidepressivi triciclici.
Sindrome serotoninergica: tutti i farmaci che inibiscono la ricaptazione della serotonina o la sua degradazione a livello recettoriale possono causare sindrome serotoninergica, evento avverso raro ma potenzialmente pericoloso per la vita. L'associazione con farmaci ad attività serotoninergica aumenta il rischio di manifestare questa sindrome i cui sintomi possono comprendere: alterato stato mentale, febbre, agitazione, tremori, mioclono, iperreflessia, atassia, incordinazione, diaforesi, brividi e sintomi gastrointestinali. Raramente sono stati anche osservati aumento del conteggio dei globuli bianchi, della creatinfosfochinasi, delle transaminasi epatiche o diminuzione del bicarbonato sierico, coagulazione intravascolare disseminata, mioglobinemia e insufficienza renale. Le manifestazioni cliniche non correlano con la concentrazione ematica di serotonina perché quello che conta è la sua concentrazione a livello della terminazione nervosa. Il trattamento della sindrome serotoninergica prevede sedazione, raffreddamento esterno, somministrazione di farmaci antiepilettici e antipertensivi.
Monitoraggio cardiovascolare: durante la terapia monitorare periodicamente la pressione sanguigna. La venlafaxina infatti per gli effetti sul sistema noradrenergico può indurre aumento dei valori pressori soprattutto a dosi superiori a 200 mg/die (incremento medio della pressione distolica pari a 7-10 mmHg). Il trattamento con venlafaxina è stato associato anche ad aumento della frequenza dei battiti cardiaci (circa +4 battiti al minuti); rientra nei farmaci che potenzialmente possono indurre prolungamento dell’intervallo QTc. Il farmaco richiede cautela nei pazienti con ipertensione non controllata o con patologie che presentano un rischio elevato di aritmia cardiaca. L’uso del farmaco richiede cautela anche in presenza di patologie stenosanti dell’apparato genitourinario (es. ipertrofia prostatica) e gastroenterico.
Rischio emorragico: gli antidepressivi che inibiscono la ricaptazione della serotonina sono associati ad un aumento del rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore, uterino e associato ad intervento chirurgico ortopedico. Il rischio è tanto maggiore quanto più elevata è la capacità di inibizione del farmaco sul reuptake della serotonina: per i farmaci ad elevata capacità di inibizione, tale rischio aumenta di circa 3 volte. La venlafaxina possiede una potenza di inibizione intermedia. Per quanto riguarda il rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale, il rischio assoluto di ricovero ospedaliero è risultato pari a 1 per 127 pazienti/anno di trattamento per i farmaci con elevata capacità di inibizione della ricaptazione della serotonina; pari a 1 per 135 pazienti/anno di trattamento per i farmaci con capacità di inibizione intermedia, fra cui la venlafaxina; pari a 1 per 152 pazienti/anno di trattamento per i farmaci con capacità di inibizione debole. Rappresentano fattori di rischio aggiuntivi un'età > 80 anni (rischio assoluto pari a 1 per 68 pazienti/anno di terapia per i farmaci con capacità di inibizione elevata; pari a 1 per 94 pazienti/anno di terapia per i farmaci con capacità debole) e una pregressa emorragia gastrointestinale (rischio assoluto: 1 per 24 pazienti/anno di terapia per i farmaci con capacià di inibizione elevata; 1 per 35 pazienti/anno di terapia per i farmaci con capacità di inibizione debole) (Meijer et al, 2004; de Abajo et al., 1999). Il pericolo di incorrere in un episodio emorragico nei pazienti in terapia con antidepressivi attivi sul sistema serotoninergico è favorito dalla co-somministrazione con farmaci già di per sé gastrolesivi quali i FANS e l'acido acetilsalicilico (asa). Il rischio assoluto di ricovero ospedaliero per emorragia gastrointestinale superiore per pazienti per anno di trattamento è stato stimato pari a 1 per 300/anno per gli SSRI inclusa venlafaxina, pari a 1 per 200/anno per SSRi più asa; pari a 1 per 80/anno per SSRI più FANS; pari a 1 per 200/anno per FANS (Patron, Ferrier, 2005).
Tossicità epatica: la venlafaxina è stata associata, raramente, a tossicià epatica. Monitorare segni e sintomi di disfunzione epatica quali urine scure, ittero, perdita di appetito e alterazione del colore delle feci.
Somministrazione a stomaco pieno: la somministrazione di venlafaxina dopo i pasti riduce l'incidenza di nausea e vomito.
Nefropatici: diminuire la dose del 25-50% in caso di pazienti con ridotta funzionalità renale (velocità di filtrazione glomerulare compresa fra 10-70 ml/min). In caso di dialisi somministrare il farmaco dopo la seduta dialitica. Nei pazienti con grave insufficienza renale l'uso del farmaco richiede estrema cautela.
Epatopatici: diminuire la dose del 50% in caso di insufficienza epatica moderata. In caso di insufficienza epatica grave la venlafaxina non è raccomandata.
Mania/ipomania: somministrare con cautela venlafaxina in pazienti con anamnesi di mania, perché il farmaco potrebbe favorirne la recidiva. Negli studi clinici in cui la venlafaxina è stata somministrata per il trattamento del disturbo depressivo maggiore, viraggi di mania/ipomania si sono verificati nello 0,3% dei pazienti.
Epilessia/convulsioni: la venlafaxina non è raccomandata in caso di epilessia non controllata. Nei pazienti con patologia epilettica sotto controllo farmacologico, il farmaco deve essere somministrato con cautela: sospenderlo se compaiono convulsioni. Nei trial clinici l'incidenza di convulsioni nei pazieni in terapia con venlafaxina è stata dello 0,26%.
Terapia elettroconvulsivante: sono disponibili dati di letteratura limitati relativi alla somministrazione di venlafaxina in associazione alla terapia elettroconvulsivante.
Glaucoma ad angolo chiuso: poiché la venlafaxina può indurre midriasi, il suo impiego in pazienti con glaucoma ad angolo chiuso richiede cautela.
Blefarospasmo tardivo: monitorare movimenti cronici e involontari delle palpebre e dei muscoli orbicolari. La venlafaxina infatti è stata associata a comparsa di blefarospasmo tardivo (Lee et al., 2007).
Sindrome da inappropriata secrezione di ADH: i farmaci antidepressivi attivi sul sistema serotoninergico sono stati associati a sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico. Con venlafaxina questo evento si è manifestato soprattutto in pazienti anziani. Fattori di rischio ulteriore sono rappresentati da trattamento antidiuretico e disidratazione. Monitorare natremia ed uremia al basale e dopo 2 settimane dall'inizio del trattamento con venlafaxina ed eseguire ulteriori controlli qualora i pazienti manifestino sintomi come debolezza, letargia, cefalea, anoressia, confusione, stipsi ed aumento di peso.
Diaforesi: la diaforesi o eccessiva sudorazione è un evento avverso comune con i farmaci antidepressivi. La terapia consiste nel ridurre il dosaggio dell'antidepressivo o nell'interrompere la terapia. Nel caso questo non sia possibile, la somministrazione di uno dei seguenti farmaci è stata associata a beneficio clinico: benztropina (anticolinergico), ciproeptadina (antagonista di acetilcolina, serotonina istamina), labetalolo (beta agonista) oppure clonidina (diaforesi di origine ipotalamica).
Rash cutaneo: negli studi clinici l'incidenza di rash cutaneo ha interessato fino al 3% dei pazienti in terapia con venlafaxina.
Sedazione: cautela in caso di attività che richiedono attenzione costante perché la venlafaxina può indurre sonnolenza.
Variazioni ponderali: negli studi clinici sono state osservate riduzioni di peso corporeo (< 1 kg) nei primi 5 mesi di terapia, seguiti da aumenti ponderali nel periodo seguente (8°-26° mese di trattamento) fino a 2,5 kg. L'incremento medio del peso corporeo osservato a fine trattamento è stato di 0,3 kg (lieve variazione ponderale). Negli studi clinici i pazienti che hanno sperimentato variazioni di peso farmaco-indotte sono stati </= 7%. Perdita di peso è stata osservata anche in pazienti pediatrici (6-17 anni) trattati con venlafaxina a rilascio prolungato per disturbo depressivo maggiore (DMM), andia generalizzata (GAD) e ansia sociale. Negli studi clinici, perdite di peso di circa il 3,5% sono state riscontrate fino al 18% vs 3,5% rispettivamente nei pazienti trattati con il farmaco o il placebo in caso di DMM e GAD e fino al 47% vs 14% dei pazienti trattati con il farmaco o il placebo in caso ansia sociale. Nei bambini di età inferiore ai 12 anni la differenza fra peso stimato e peso effettivo è risultata più pronunciata rispetto a quella riscontrata nei pazienti pediatrici di età maggiore.
Farmaci che riducono il peso corporeo (es. fentermina): non sono state studiate efficacia e sicurezza della venlafaxina somministrata in associazione a farmaci che determinato perdita di peso corporeo. L'associazione non è raccomandata.
Farmacodipendenza e abuso: la venlafaxina non possiede affinità per i recettori degli oppiacei, delle benzodiazepine, della fenciclidina o dell'acido N-metil-D-aspartico (NMDA). Gli studi clinici non hanno messo in evidenza comportamenti di farmacodipendenza, sviluppo di tolleranza o aumenti di dosaggio nel tempo.
Farmaci con attività serotoninergica (oppioidi derivati della fenilpiperidina – petidina, tramadolo, metadone, fentanil – destrometorfano, propossifene, buspirone, triptani, clorfenamina, iperico, blu di metilene): in associazione a venlafaxina potrebbe aumentare il rischio di tossicità serotoninica. Monitorare segni e sintomi di tossicità soprattutto nel periodo iniziale dell'eventuale associazione terapeutiche e ogni qualvolta è necessario modificare il dosaggio dei farmaci.
MAO-inibitori: lasciar intercorrere almeno 14 giorni fra la fine del trattamento con MAO-inibitori e l'inizio di quello con venlafaxina e almeno una settimana fra la fine del trattamento con venlafaxina e l'inizio di quello con MAO-inibitori. Il rischio di sindrome serotoninergica è più elevato in caso di MAO-inibitori non selettivi o selettivi per la forma A dell'enzima monoaminossidasi (moclobemide).
FANS: poiché sia gli SSRI sia i FANS, incluso acido acetilsalicilico, sono associati ad un aumento del rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore, l'eventuale associazione farmacologica richiede cautela. Nel caso non fosse possibile evitare l'associazione farmacologica preferire un antidepressivo a bassa inibizione del reuptake della serotonina, soprattutto nei soggetti a maggior rischio. In questi pazienti (età > 65 anni, anamnesi positiva per ulcera peptica o per sanguinamento gastrointestinale, pazienti defedati, pazienti in terapia con anticoagulanti o corticosteroidi) valutare la possibilità di ricorrere ad un trattamento gastroprotettivo.
Warfarin: monitorare l'indice INR perché l'associazione warfarin-venlafaxina è stata associata ad aumento degli effetti anticoagulanti.
Popolazione pediatrica: la venlafaxina non deve essere somministrata a pazienti con meno di 18 anni (aumento dell’incidenza di comportamenti correlati al suicidio e di comportamenti aggressivi). I dati clinici sull’impiego della venlafaxina in età pediatrica sono limitati e pertanto non sufficienti per una valutazione della sicurezza del farmaco a lungo termine (impatto sullo sviluppo cognitivo e comportamentale, sulla crescita e maturazione di bambini e adolescenti).
Gravidanza: valutare attentamente il rapporto rischio/beneficio prima di somministrare venlafaxina in donne in gravidanza. La depressione può arrivare a colpire fino al 20% delle donne in stato di gravidanza ed è stata associata a ritardo di crescita uterina e a basso peso alla nascita. La depressione materna non trattata può inoltre alterare il rapporto madre-neonato (scarsa capacità genitoriale). L'esposizione a venlafaxina durante la gravidanza non ha determinato un aumento del rischio di malformazioni maggiori rispetto al rischio stimato per la popolazione generale (1-3%) (Einarson et al., 2001). L'esposizione agli SSRI e SNRI durante il terzo trimestre di gravidanza può provocare nel neonato la comparsa della sindrome da astinenza. I sintomi più frequenti relativi alla sindrome da astinenza includono: agitazione, irritabilità, ipo/ipertonia, iperriflessia, sonnolenza, problemi nella suzione, pianto persistente. Più raramente si sono manifestati ipoglicemia, difficoltà respiratoria, anomalie della termoregolazione, convulsioni.
Lattosio: la presenza di lattosio fra gli eccipienti delle forme farmaceutiche contenenti venlafaxina non rappresenta una controindicazione per i pazienti con intolleranza su base ereditaria al galattosio, con deficit della Lapp lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio. Perché infatti il lattosio possa indurre i sintomi da intolleranza (principalmente diarrea) deve raggiungere quantità dell'ordine di 12-18 grammi, equivalenti a 250-350 ml di latte. Particolare attenzione deve essere posta nel caso in cui il paziente rientri nella categoria dei “superallergici” e il lattosio contenuto come eccipiente non sia di origine sintetica ma estratto dal latte. In questo caso infatti il lattosio potrebbe avere piccolissime tracce di proteine del latte potenzialmente riconoscibili dai soggetti “superallergici” e scatenare una reazione da ipersensibilità (le proteine del latte danno allergia, reazione immunomediata; gli zuccheri del latte danno intolleranza, reazione non immunomediata).
Nota:
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