Si definisce ipertensione arteriosa un aumento dei valori della pressione arteriosa, al di sopra dei limiti massimi fissati, che si mantiene nel tempo. (leggi)
L’ipertensione arteriosa nella maggior parte dei pazienti adulti è di origine primaria (ipertensione essenziale) le cui cause non sono facilmente identificabili. (leggi)
L’ipertensione si manifesta nella maggior parte dei pazienti senza sintomi evidenti anche quando i valori di pressione sono elevati. In alcuni casi può comparire mal di testa intenso, capogiri o perdita di sangue dal naso o ronzio nelle orecchie (acufene). (leggi)
L’esame principale per la diagnosi di ipertensione arteriosa è rappresentato dalla misurazione dei valori di pressione. (leggi)
Il trattamento dell’ipertensione si articola su due direttive distinte, cambiamento dello stile di vita e terapia farmacologica, il cui obiettivo è quello di abbassare i valori della pressione arteriosa ad un valore target, definito per il singolo paziente sulla base del suo profilo di rischio cardiovascolare. (leggi)
La prevenzione dell’ipertensione arteriosa riguarda sostanzialmente l’ipertensione primitiva o essenziale, che non riconosce una causa scatenante, ma fattori genetici e ambientali che possono favorire il suo sviluppo. (leggi)
Se ritieni di avere i sintomi dell’ipertensione, o se a qualcuno dei tuoi familiari è stata diagnosticata l’ipertensione, parlane con il tuo medico di fiducia. (leggi)
Le medicine non convenzionali tendono ad avere un approccio olistico nei confronti della malattia, tendono cioè a considerare “il malato“ nella sua complessità di individuo, al di là del singolo organo malato. (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata all’ipertensione sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Che cos'รจ l'Ipertensione?
L’ipertensione arteriosa costituisce il fattore di rischio più importante per le malattie cardiovascolari che a loro volta rappresentano la causa principale di morbilità e mortalità nel paziente adulto.
L’ipertensione non deve mai essere sottovalutata.
A livello mondiale circa 1 miliardo di persone soffre di ipertensione arteriosa e si stima che l’aumento della pressione sanguigna abbia causato 10 milioni di morti nel 2015, 4,9 milioni per cardiopatia ischemica e 3,5 milioni per ictus. L’ipertensione arteriosa è inoltre uno dei principali fattori di rischio per insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale, malattia renale cronica, arteriopatia periferica e declino cognitivo (William et al., 2018).
L’ipertensione arteriosa è definita da un aumento stabile dei valori della pressione arteriosa, al di sopra dei limiti considerati normali.
Secondo le linee guida della European Society of Hypertension (ESH) e della European Society of Cardiology (ESC) si definisce (William et al., 2018; Mancia et al., 2013):
pressione ottimale la pressione con i valori:
pressione normale la pressione compresa fra i valori:
pressione normale-alta la pressione compresa fra i valori:
ipertensione di grado 1 la pressione compresa fra i valori:
ipertensione di grado 2 la pressione compresa fra i valori:
ipertensione di grado 3 la pressione uguale o superiore ai valori:
ipertensione sistolica isolata la pressione con i valori:
La pressione arteriosa è la pressione che esercita il sangue sulle pareti delle arterie più grandi e che permette al sangue di circolare all’interno del sistema di vasi, grandi e piccoli, che formano il sistema circolatorio. La pressione arteriosa è misurata in millimetri di mercurio (mmHg).
La pressione arteriosa è distinta in pressione sistolica e pressione diastolica: la prima, indicata anche come pressione “massima“, è la pressione registrata quando il cuore si contrae (sistole) (massima forza di spinta del sangue nel sistema circolatorio); la seconda, chiamata anche pressione “minima“ è la pressione registrata quando il cuore si rilascia (diastole) per riempirsi di sangue. Il valore della pressione arteriosa dipende dalla gittata cardiaca (quantità di sangue espulsa da ogni ventricolo nell’intervallo di tempo di 1 minuto) e dalle resistenze vascolari, cioè le resistenze che si oppongono al flusso del sangue nei vasi, soprattutto nei vasi di calibro ridotto (arteriole). Le pareti delle arteriole presentano uno strato di tessuto muscolare che si contrae e si rilascia sotto l’influenza di stimoli fisici e chimici. Quando la muscolatura vasale si contrae, la resistenza al flusso del sangue aumenta (ci vuole più forza, cioè più pressione, perché il sangue possa scorrere nei vasi) e la pressione tende ad aumentare.
La pressione arteriosa varia nell’arco delle 24 ore, in risposta a stimoli fisici, psicologici, chimici e ambientali. Un esempio di come la pressione arteriosa possa variare, anche rapidamente, è dato dalla differenza fra i valori di pressione arteriosa misurati in posizione supina (sdraiata) oppure in posizione eretta (in piedi). Nei pazienti con ipertensione arteriosa, i valori pressori sono costantemente superiori ai valori considerati normali.
La prevalenza dell’ipertensione arteriosa nella popolazione generale adulta si attesta attorno al 30-45%. La prevalenza aumenta con l’età e dipende dall’etnia di appartenenza: le popolazioni di pelle nera presentano valori di pressione alta con una frequenza circa doppia rispetto alle popolazione bianca (caucasica) e asiatica. In età pediatrica, l’ipertensione arteriosa ha una prevalenza del 3-4% e in età neonatale dello 0,2-3%.
In condizioni ottimali, nell’adulto, la pressione arteriosa sistolica (o massima) è inferiore a 120 mmHg e la pressione arteriosa diastolica (o minima) è inferiore a 80 mmHg (linee guida internazionali ESH/ESC, linee guida CHEP - Canadian Hypertension Education Program, linee guida JNC VIII - Eighth Report of the Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure, linee guida NICE - National Institute for Health and Clinical Excellence, linee guida VA/DoD - Department of Veterans Administration/Department of Defense) (William et al., 2018; Nerenberg et al., 2018; James et al., 2014; NICE, 2016; VA/DoD, 2016).
Si parla di ipertensione quando la pressione sistolica è uguale o superiore a 140 mmHg e/o la pressione diastolica è uguale o superiore a 90 mmHg (linee guida internazionali: ESH/ESC 2018, CHEP 2018, JNC VIII 2014, NICE 2016, VA/DoD 2014).
A seconda delle linee guida, l’intervallo di valori di pressione arteriosa compresa fra 120 e 140 mmHg, per la sistolica, e fra 80 e 90 mmHg per la diastolica, viene definito come ancora normale (linee guida NICE 2016) oppure come “pre-ipertensione“ o “pressione normale-elevata“ (linee guida JNC VIII 2014 e VA/DoD 2014). Le linee guida europee (ESH/ESC 2018) e le linee guida canadesi (CHEP 2018) considerano normali i valori di pressione sistolica pari a 120-129 mmHg e diastolica pari a 80-84 mmHg, mentre definiscono pressione arteriosa “normale-elevata“ i valori di sistolica pari a 130-139 mmHg e diastolica pari a 85-89 mmHg (William et al., 2018; Nerenberg et al., 2018). Le discordanze nella definizione di pressione normale o alta (ipertensione) mostrate dalle differenti linee guida internazionali indicano come sia difficile definire un valore soglia univoco oltre il quale parlare di ipertensione arteriosa e conseguentemente intervenire sia preventivamente sia terapeuticamente.
Nel neonato la pressione arteriosa è pari a 70/40 mmHg. Con la crescita del bambino i valori della pressione aumentano fisiologicamente per raggiungere 120/80 mmHg attorno al 18esimo anno di età. L’aumento dei valori di pressione non è costante nei primi 18 anni di vita. La pressione aumenta infatti rapidamente nelle prime due settimane di vita per poi rimanere sostanzialmente costante fino ai 6 anni di età, quindi aumentare ancora correlandosi per età e altezza. Sulla base di fattori genetici e ambientali, i bambini tendono a presentare un profilo della pressione arteriosa simile a quello dei propri genitori. Circa la metà dei bambini preadolescenti con ipertensione presenta familiarità per questa patologia; la percentuale sale a più dell’80% negli adolescenti (Jung, Ingelfinger, 1993; Robinson et al., 2005; Flynn, Alderman, 2005). Nei bambini in sovrappeso, i valori di pressione arteriosa risultano più alti: questi bambini presentano un rischio maggiore di diventare adulti ipertesi e obesi. I bambini con elevati valori di pressione presentano un rischio maggiore di sviluppare ipertensione in età adulta (Chen, Wang, 2008).
Nella fascia di età compresa fra 1 e 17 anni (pazienti pediatrici), i valori di pressione vengono definiti normali o anomali utilizzando delle carte di riferimento dei percentili pressori definite in base a età, sesso, peso e altezza. La pressione arteriosa viene definita normale se i valori sistolici e/o diastolici sono inferiori al 90° percentile per l’età, mentre si pone diagnosi di ipertensione se i valori sistolici e/o diastolici sono superiori al 95° percentile sempre in base all’età (Lurbe et al., 2009). Nel neonato la diagnosi di ipertensione si pone per valori di pressione sistolica costantemente superiori a 90 mmHg (Flynn, 2000).
Fra pressione arteriosa e morbilità e mortalità cardiovascolare esiste una correlazione lineare evidenziata da numerosi studi clinici, condotti in pazienti adulti, già a partire da valori pressori di 115-110/75-70 mmHg il che rende arbitraria la definizione di un valore soglia oltre il quale definire l’ipertensione (MacMhaon et al., 1990; JAMA, 1977; Arch. Intern. Med., 1980; Collins et al., 1990; Lancet 2002). In particolare è stato osservato come la pressione sistolica correli maggiormente con il rischio di eventi cerebrovascolari, mentre la pressione diastolica con il rischio di eventi coronarici (la riduzione di 10 mmHg della pressione sistolica e di 5-6 mmHg della pressione diastolica determina una riduzione del rischio di ictus del 30-40% e del rischio di infarto miocardico del 15-20%); entrambe, pressione sistolica e diastolica, inoltre costituiscono un fattore di rischio per scompenso cardiaco, vasculopatia periferica e insufficienza renale.
Di fatto l’ipertensione arteriosa rappresenta il fattore di rischio principale per le malattie cardiovascolari (Eur. Heart J., 2007).
Riportare i valori di pressione alta all’interno dell’intervallo di normalità è importante per ridurre il rischio di danni diretti (insufficienza cardiaca congestizia, insufficienza renale, aneurisma e dissezione dell’aorta) e indiretti (infarto cardiaco, ictus) legati all’ipertensione. Anche in età pediatrica, valori elevati di pressione arteriosa possono provocare delle alterazioni nella struttura e nel funzionamento di alcuni organi.
Ipertensione e target pressorio
Le ultime linee guida (2018) sul trattamento dell’ipertensione arteriosa condivise dalla Società Europea di Ipertensione (ESH) e dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) hanno riconfermato come target pressorio valori inferiori a 140/90 mmHg per tutti i pazienti ipertesi indipendentemente dal rischio cardiovascolare, ma hanno aggiunto, rispetto alle linee guida precedenti del 2013, la raccomandazione di abbassare ulteriormente la pressione al valore target di 130/80 mmHg nei pazienti che tollerano la terapia e, in quelli con meno di 65 anni, a valori target di pressione sistolica compresi tra 120-129 mmHg. Ne consegue pertanto che anche nei pazienti molto anziani (età > 80 anni) il target pressorio suggerito dalle nuove linee guida, per la sistolica, è compreso tra 130 e 139 mmHg se la terapia è tollerata (William et al., 2018; Mancia et al., 2013). Le linee guida ESH/ESC del 2007 individuavano due diversi target pressori a seconda del rischio cardiovascolare, raccomandando valori di pressione < 140/90 mmHg per pazienti a basso rischio e valori di pressione < 130/80 mmHg per pazienti ad alto rischio (pazienti diabetici oppure con insufficienza renale oppure con ictus pregresso oppure con ipercolesterolemia) (Eur. Heart J., 2007). Riduzioni della pressione inferiori a 120/70 mmHg non sono raccomandati perché è stato visto che determinavano un aumento di incidenza di eventi coronarici invece che una diminuzione (fenomeno definito “curva J”).
Quando iniziare la terapia antipertensiva?
Il grado di rischio cardiovascolare di ciascun paziente determina l’inizio della terapia antipertensiva e i farmaci da utilizzare. Le linee guida ESH/ESC 2018 raccomandano l’inizio della terapia antipertensiva quando il paziente presenta ipertensione di grado 1 e rischio cardiovascolare alto, o ipertensione 2 e 3 indipendentemente dal rischio cardiovascolare (contemporaneamente ai cambiamenti di stile di vita) e quando il paziente presenta ipertensione di grado 1 (valori di pressione arteriosa: 140-159/90-99 mmHg) e rischio cardiovascolare basso-moderato, anche in assenza di danno d’organo, quando cambiamenti nello stile di vita non sono risultati efficaci sui valori pressori. Nei pazienti con più di 65 anni (ma meno di 80 anni) e ipertensione di grado 1 il trattamento farmacologico deve iniziare contemporaneamente al cambiamento dello stile di vita quando la pressione sistolica è pari a 140-159 mmHg; nei pazienti molto anziani (età > 80 anni) quando la sistolica =/> 160 mmHg (William et al., 2018). Nei pazienti con pressione arteriosa normale-alta (130-139/85-89 mmHg), la terapia farmacologica dovrebbe essere presa in considerazione quando il rischio cadiovascolare è molto alto, soprattutto se dipendente da cardiopatia ischemica. Le linee guida 2018, in sintesi, risultano più conservative rispetto alle precedenti del 2013 perché hanno inglobato nel trattamento farmacologico categorie di pazienti precedentemente escluse (pazienti con ipertensione di grado 1 a basso rischio cardiovascolare, inclusi i pazienti anziani con 65-80 anni, e i pazienti con pressione arteriosa normale alta).
I fattori che influenzano il rischio cardiovascolare globale nell’adulto con ipertensione comprendono (William et al., 2018):
Per individuare il rischio cardiovascolare globale di ciascun paziente maggiore importanza ha assunto la valutazione del danno d’organo perché, anche se subclinico, costituisce un fattore di rischio indipendente per la prognosi cardiovascolare. Il danno d’organo deve essere valutato nei diversi distretti (cuore, rene, vasi, occhio, cervello) perché più alterazioni hanno un peso maggiore (prognosi peggiore) rispetto ad una singola alterazione. Il danno d’organo inoltre deve essere valutato sia in caso di nuova diagnosi per identificare la terapia ottimale, sia nei pazienti ipertesi già in trattamento terapeutico in quanto la regressione di alcuni parametri (proteinuria, ipertrofia cardiaca) sono indicativi dell’efficacia del controllo pressorio ottenuta con la terapia farmacologica impostata (Eur. Heart J., 2007).
Farmaci per l’ipertensione
I farmaci che possono essere utilizzati nel trattamento della pressione alta appartengono a 5 classi terapeutiche: ACE-inibitori, ARB (antagonisti del recettore dell’angiotensina II o sartani), calcio-antagonisti, diuretici, beta-bloccanti.
Gli ACE-inibitori (es. captopril, enalapril, lisinopril, ramipril) impediscono la conversione dell’angiotensina I in angiotensina II, potente vasocostrittore che agisce soprattutto sui vasi arteriosi aumentando la resistenza vascolare (effetto ipertensivo).
I sartani o antagonisti del recettore dell’angiotensina II (candesartan, irbesartan, losartan, valsartan) impediscono l’azione dell’angiotensina II bloccando il legame fra questa e il suo recettore.
I calcio-antagonisti (es. amlodipina, felodipina, lercanidipina, nifedipina) agiscono sul meccanismo di contrazione della muscolatura del cuore e dei vasi: riducono la forza di contrazione del cuore e provocano vasodilatazione dei vasi sanguigni con conseguente riduzione della pressione arteriosa.
I diuretici (es. idroclorotiazide, clortalidone, furosemide, indapamide, spironolattone) favoriscono la perdita di acqua e sodio attraverso i reni permettendo di ridurre il volume di liquido circolante nel sistema cardiovascolare e abbassare i valori di pressione arteriosa.
I beta-bloccanti (es. atenololo, bisoprololo, carvedilolo, nebivololo) agiscono sul cuore, riducendone frequenza e forza di contrazione (riducono il lavoro del cuore), e sulle arteriole che irrorano il cuore migliorandone l’ossigenazione. I beta-bloccanti possono avere un’azione più o meno selettiva sul cuore.
Complicanze dell’ipertensione
Le conseguenze sul lungo periodo (complicanze) dell’ipertensione arteriosa interessano di diversi organi quali vasi arteriosi, cuore, occhi, cervello, reni.
Elevati valori di pressione arteriosa comportano l’ispessimento e la perdita di elasticità dei vasi e favoriscono i processi biochimici e strutturali che portano all’aterosclerosi e alla trombosi. Negli ipertesi il cuore lavora di più perché maggiore è la forza con cui deve pompare il sangue in circolo, anche per la perdita di elasticità dei vasi. Questo comporta un ingrossamento del muscolo cardiaco, soprattutto del ventricolo sinistro (ipertrofia ventricolare sinistra), e una difficoltà da parte delle arterie che riforniscono di sangue il cuore di ossigenare in moto ottimale il tessuto muscolare. Le conseguenze comprendono affaticabilità del cuore sotto sforzo, aumento della frequenza cardiaca fino a insufficienza cardiaca congestizia o scompenso cardiaco e cardiopatia coronarica (angina, infarto).
L’ipertrofia ventricolare sinistra è il danno d’organo più frequente nei bambini e negli adolescenti con ipertensione. Anche nei bambini, così come negli adulti, il volume del cuore tende ad aumentare già negli stadi precoci di ipertensione (Kavey et al., 2007). Nei bambini la velocità con cui si manifesta ipertrofia ventricolare sinistra e con cui regredisce è inversamente correlata all’età (Joyce et al., 2004). Il rischio cardiovascolare comunque rimane più alto negli ipertesi con normalizzazione dei valori pressori e normalizzazione della massa e del funzionamento del ventricolo sinistro rispetto ai soggetti che non hanno mai sviluppato ipertensione (Koren et al., 2002).
A livello cerebrale, l’ipertensione arteriosa nell’adulto rappresenta la causa principale di eventi quali la rottura (ictus emorragico) o la chiusura (ictus ischemico) di un vaso che possono provocare danni transitori (es. perdita temporanea della parola) o permanenti (paralisi). L’ipertensione sembra inoltre indurre delle modificazioni strutturali nel cervello che sul lungo periodo possono comportare una perdita della capacità di autoregolazione del flusso sanguigno. Tale perdita comporterebbe minor protezione, per i tessuti cerebrali, in caso di ipoperfusione e bassi valori pressori con conseguenti deficit cognitivi in età avanzata (Muller et al., 2012). A differenza di quanto osservato negli adulti, nei bambini e negli adolescenti eventi cerebrovascolari costituiscono una complicanza molto rara, associata a ipertensione maligna oppure a gravi forme di ipertensione.
La pressione alta influenza anche il funzionamento del rene, organo deputato a mantenere costante il volume di sangue. Quando il volume di sangue diminuisce, il rene riduce la sua attività di “filtro“ (riduzione della filtrazione glomerulare). Questo comporta la stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone con conseguente ritenzione di sodio e acqua e aumento del volume di liquidi circolanti. Quando sussiste invece un sovraccarico di liquidi, il rene favorisce l’escrezione di sodio e acqua. L’ipertensione arteriosa progressivamente provoca, nell’adulto, insufficienza renale che con il tempo arriva alla incapacità da parte del rene di assolvere alla sua funzione di filtro (malattia renale terminale, dialisi). Nel bambino e nell’adolescente in genere una riduzione del filtrato glomerulare oppure la presenza di proteine nelle urine (proteinuria) associata a ipertensione è indicativa di una forma secondaria di ipertensione. Nei bambini o ragazzi con ipertensione lieve-moderata non si evidenziano in genere anomalie renali clinicamente significative. Nei ragazzi invece con insufficienza renale cronica, l’ipertensione e la proteinuria rappresentano i due marker più importanti di progressione dell’insufficienza renale (Wingen et al., 1997).
L’ipertensione arteriosa può essere distinta in ipertensione essenziale o primitiva (causa non nota) e ipertensione secondaria (conseguente ad una patologia conosciuta). La maggior parte dei casi di ipertensione arteriosa nella popolazione adulta è di tipo essenziale o primitivo (95% dei casi di ipertensione). Nella popolazione pediatrica invece, la quasi totalità dei casi di ipertensione arteriosa evidenziata prima dell’adolescenza è conseguenza di altre malattie (ormonali, renali, cardiovascolari) (ipertensione primitiva: 15-30%; ipertensione secondaria: 70-85%), dopo l’adolescenza prevale invece la forma primitiva (ipertensione primitiva: 85-95%; ipertensione secondaria: 5-15%). Nella preadolescenza, la causa principale d’ipertensione è rappresentata dalle malattie del parenchima renale (60-70%), quindi, in ordine decrescente, da coartazione dell’aorta (10-20%), malattie vascolari del rene (nefrovasculopatia) (5-10%), malattie endocrine (3-5%) e tumori (1-5%) (Flynn et al., 2001).
Forme particolari di ipertensione
Forme particolari di ipertensione comprendono l’ipertensione labile (pressione normale con rialzi improvvisi), l’ipertensione sistolica pura (pressione sistolica alta e diastolica normale), l’ipertensione diastolica pura (pressione sistolica normale e pressione diastolica alta), l’ipertensione da “camice bianco“, l’ipertensione ambulatoriale isolata, l’ipertensione in gravidanza.
L’ipertensione da “camice bianco” non deve essere confusa con l’effetto da “camice bianco” per cui la pressione misurata dal medico può essere lievemente più alta rispetto alla pressione misurata fuori dallo studio medico per l’effetto “d’ansietà” che la figura del medico può indurre.
L’ipertensione da “camice bianco“ o ipertensione clinica isolata (pressione arteriosa =/> 140/90 mmHg rilevata in almeno 3 visite in pazienti adulti con pressione nelle 24 ore entro i limiti di normalità) interessa circa il 13% (9-16%) della popolazione generale adulta ed è più facilmente riscontrabile in donne con ipertensione moderata, indipendentemente dall’età, nei non fumatori, e nei pazienti con recente diagnosi di ipertensione. Il rischio di eventi cardiovascolari nei soggetti con ipertensione clinica isolata è risultato intermedio fra quello dei pazienti normotesi e quello degli ipertesi in alcuni studi (Pickering et al., 1988; Mancia et al., 2006); in altri, il rischio, aggiustato per età, sesso e altre covarianti, non è risultato statisticamente differente rispetto ai normotesi (Fagard, Cornelissen, 2007; Pierdomenico, Cuccurullo, 2011; Franklin et al., 2012).
Condizione opposta all’ipertensione da “camice bianco“ è l’ipertensione ambulatoriale isolata o ipertensione “mascherata“. In questo caso a fronte di valori normali quando la pressione è misurata da un medico o da un infermiere, i valori della pressione misurata con strumenti automatici (es. monitoraggio ambulatorio nelle 24 ore) o a casa risultano elevati. L’ipertensione ambulatoriale isolata interessa una quota di pazienti analoga a quella con ipertensione da “camice bianco“: la prevalenza si attesta sul 13% (10-17%). Diversi fattori possono aumentare la pressione arteriosa misurata fuori dallo studio medico, con una prevalenza nei soggetti con pressione arteriosa normale-alta: giovane età, sesso maschile, fumo, alcol, attività fisica, ipertensione da esercizio fisico, ansietà, stressa da lavoro, obesità, diabete, malattia coronarica, familiarità per ipertensione. Alcuni studi hanno evidenziato nei pazienti con ipertensione ambulatoriale isolata una prevalenza maggiore di alterazioni metaboliche e danno d’organo rispetto alla popolazione con pressione arteriosa nella norma (Mancia et al., 2006). Diverse meta-analisi relative a studi prospettici hanno evidenziato un’incidenza di eventi cardiovascolari nei soggetti con ipertensione “mascherata” pari a due volte quella osservata nei soggetti normotesi e sovrapponibile a quella osservata nei pazienti con ipertensione (Fagard, Cornelissen, 2007; Pierdomenico, Cuccurullo, 2011; Bobrie et al., 2008).
L’ipertensione da “camice bianco“ e l’ipertensione “mascherata“ sono state osservate anche nella popolazione pediatrica. In questo caso le linee guida raccomandano l’utilizzo della misurazione dinamica della pressione arteriosa attraverso il monitoraggio delle 24 ore. A differenza della popolazione adulta, per la quale i dati di letteratura sono estremamente abbondanti e articolati, i valori di riferimento per il monitoraggio della pressione arteriosa nelle 24 ore nel bambino sono scarsi in quanto ottenuti da trial di piccole dimensioni (Wuhl et al., 2002).
Ipertensione e gravidanza
In gravidanza, circa il 6-8% delle gestanti manifesta ipertensione gestazionale, che spesso si associa a proteinuria (pre-eclampsia). La pre-eclampsia e l’eclampsia (presenza di convulsioni) rappresentano due condizioni pericolose sia per la vita della donna che del feto. Nelle donne in gravidanza con valori di pressione compresi nell’intervallo 140-149/90-99 mmHg alla valutazione effettuata in clinica, le linee guida raccomandano un intervento di tipo non farmacologico (restrizione delle attività quotidiane e monitoraggio stretto), mentre in caso di valori pressori più alti =/>150/95 mmHg è auspicabile iniziare un trattamento di tipo farmacologico. Tale trattamento può essere iniziato anche a valori di 140/90 mmHg in caso di ipertensione gravidica (con o senza proteinuria), di ipertensione preesistente associata a ipertensione gravidica, di ipertensione con danno d’organo subclinico o manifestatosi (sintomatico) in gravidanza (linee guida europee 2018). La rilevazione di valori di pressione =/> 170/110 mmHg in gravidanza rappresenta un’emergenza ipertensiva e richiede l’immediato ricovero (William et al., 2018; Eur. Heart J., 2007).
L’ipertensione può avere un decorso benigno o maligno. L’ipertensione benigna, che rappresenta la maggior parte dei casi, è caratterizzata da rialzi contenuti dei valori pressori, stabili sul lungo periodo, con sopravvivenza elevata ma aumento del rischio cardiovascolare (insufficienza cardiaca, infarto miocardico, ictus). L’ipertensione maligna (5% dei casi) è caratterizzata da un rialzo molto elevato dei valori pressori (nell’adulto pressione diastolica > 120 mmHg), associato a insufficienza renale, retinopatia, encefalopatia ipertensiva. Se non trattata, l’ipertensione maligna causa complicanze gravi e/o morte il paziente in 1-2 anni.
Ipertensione e popolazione italiana
In Italia, un quadro della distribuzione dei valori di pressione arteriosa in base a sesso ed età nella popolazione adulta, è stato definito in modo piuttosto dettagliato, utilizzando dati raccolti fra il 1998 e il 2002. Da questa analisi è risultato un valore medio della pressione arteriosa sistolica e diastolica nella popolazione maschile (18-64 anni) rispettivamente di 135 mmHg e 86 mmHg, nelle popolazione femminile (18-64) rispettivamente di 130 mmHg e 82 mmHg. Nelle donne in menopausa (età media 62 anni) la pressione arteriosa media risultava pari a 140/84 mmHg; poco meno della metà delle donne in menopausa presentava valori di pressione =/>160/95 mmHg (45%) e il 18% valori compresi fra 140-159/90-94 mmHg. I valori di pressione arteriosa aumentano con l’aumentare dell’età: nei pazienti anziani (età: 65-74 anni) la pressione arteriosa media è risultata, sempre per il periodo 1998-2002, pari a 147/85 mmHg per gli uomini e pari a 148/84 mmHg nelle donne. Circa il 33% degli uomini e il 31% delle donne nella fascia di età compresa fra 18 e 64 anni ha presentato valori di pressione uguali o superiori a 160/95 mmHg; circa il 19% degli uomini e il 14% delle donne nella stessa fascia di età presentava valori di pressione arteriosa compresi fra 140-159/90-94 mmHg. Nella popolazione anziana (65-74 anni), circa il 52% degli uomini e il 57% delle donne ha presentato valori di pressione arteriosa =/> 160/95 mmHg e circa il 23% degli uomini e il 20% delle donne valori di pressione arteriosa compresa fra 140-159/90-94 mmHg (Istituto Superiore di Sanità, 2009).
In sintesi negli adulti, fino ai 45-50 anni di età, l’ipertensione risulta più frequente nella popolazione maschile rispetto a quella femminile. Con la menopausa il rapporto si inverte (maggiore prevalenza di ipertensione arteriosa nelle donne), perché cessa la protezione “cardiovascolare“ offerta dagli estrogeni alla popolazione femminile in età fertile (Lawes et al., 2006; Franklin et al., 1997). Inoltre mentre nella popolazione anziana, la pressione alta interessa soprattutto i valori di pressione sistolica, nei giovani adulti (età < 55 anni), l’ipertensione interessa entrambi i valori di pressione, sistolica e diastolica.