Il tacrolimus è un farmaco immunosoppressore, appartenente alla classe degli inibitori della calcineurina con attività analoga a quella della ciclosporina. E’ un macrolide, ottenuto dal brodo di fermentazione dello Streptomices tsukubaensis e individuato per la prima volta nel 1984.
L’azione farmacologica del tacrolimus è diretta sia verso cellule di tipo linfoide, linfociti T e B, sia non linfoide.
Cellule linfoidi: cellule T
Il tacrolimus inibisce la differenziazione timocitica; altera le cellule epiteliali timiche e ne modifica l’espressione del complesso di istocompatibilità; impedisce l’apoptosi di cloni cellulari altrimenti da eliminare. Non sembra avere efficacia sulla migrazione dei timociti.
Il tacrolimus inibisce la proliferazione dei linfociti T (in vitro è più potente della ciclosporina di circa 100 volte), ma non se questa viene indotta dall’IL-2 e 4 (proliferazione secondaria); blocca l’attivazione calcio-dipendente delle cellule T; la divisione cellulare calcio-dipendente in fase G0 (fase di riposo) e in fase G1 (fase attiva) del ciclo cellulare dei linfociti T (l’effetto antiproliferativo del farmaco quindi si evidenzia nel periodo iniziale della stimolazione delle cellule T) ( Drugs, 1993).
Il tacrolimus (CI50: 0,1 nmoli/L) risulta efficace anche sulle citochine prodotte dalle cellule T attivate da antigeni o mitogeni e che caratterizzano la fase iniziale dell’attivazione delle cellule T stesse: inibisce il rilascio di IL-2, IL-3, IL-4, IL-5, interferone-gamma, TNF-a (Tumor necrosis factor-a), GM-CSF (Granulocytemacrophage colony-stimulating factor); l’espressione del recettore per la transferrina e per IL-2 sulla superficie cellulare dei linfociti T. Non interferisce invece con la produzione di IL-6 e IL-10.
Il tacrolimus sopprime l’azione immunitaria cellulare, mediata dai linfociti T, in risposta a target allogenici: in vivo, risulta più efficace della ciclosporina (circa 10 volte) nel sopprimere la reazione ‘trapianto verso organo’.
Cellule linfoidi: cellule B
Il tacrolimus inibisce la risposta proliferativa dei linfociti B e la trascrizione genica del fattore TNFa indotta da anticorpi anti Ig; la produzione in vitro di IgM e IgG da parte di cellule B attivate; l’attivazione cellulare calcio-dipendente; la proliferazione cellulare provocata da stimoli non calcio-dipendenti quali IL-2.
Non mostra possedere effetti invece sul rilascio da parte delle cellule B di IL-6 o sul rilascio di IgM e IgG indotto da IL-6.
L’effetto antiproliferativo del tacrolimus sulle cellule B si manifesta in fase G1 (fase attiva) del ciclo cellulare, quindi nel periodo tardivo della stimolazione linfocitica.
Cellule non linfoidi
Il tacrolimus interferisce con monociti e macrofagi attivati: ne inibisce il rilascio di IL-1 alfa e la produzione di TNF (a concentrazioni di circa 10-100 volte più elevate di quelle necessarie per inibire la proliferazione delle cellule T); ma non sembra modificare l’attività fagocitaria di cellule mononucleari.
A livello di mastociti, cellule basofile e neutrofile, interviene nel rilascio IgE-mediato di serotonina e istamina e nella degranulazione calcio-mediata; blocca la sintesi di prostaglandina D2 e di leucotriene C4 (attività antiinfiammatoria).
Il tacrolimus non interferisce con l’aggregazione e l’attivazione calcio-dipendente delle piastrine.
Meccanismo d’azione
Il tacrolimus agisce sulla trascrizione genica di alcune citochine necessarie per l’attivazione e la proliferazione dei linfociti T, responsabili della risposta immunitaria di tipo cellulare. Sottoforma di complesso con una proteina specifica (FKBP12, FK binding protein 12), il tacrolimus inibisce l’attività fosfatasica della calcineurina (fosfatasi Ca- e calmodulina-dipendente) necessaria per il passaggio nel nucleo cellulare delle subunità citoplasmatiche dei fattori di trascrizione nucleare richiesti per l’espressione genica delle citochine. La calcineurina rappresenta quindi la molecola target coinvolta nel processo immunosoppressivo del tacrolimus.
Attività immunosoppressiva
A livello fisiologico, l’azione del tacrolimus si manifesta soprattutto a livello epatico e renale. In vivo, infatti, il tacrolimus mostra un effetto protettivo in caso di danno epatico indotto da ischemia e successiva riperfusione; favorisce la rigenerazione cellulare in caso di epatectomia o di danno indotto da agenti chimici. Sia l’azione epatoprotettrice che epatotrofica sembrano riconducibili all’attività immunomodulante del tacrolimus: la prima infatti sarebbe favorita dall’inibizione della produzione di TNF e di IL-6; la seconda dall’inibizione della produzione di IL-1 alfa e di IL-2 (Drugs, 1993).
A livello renale, sebbene il trattamento con tacrolimus riduca il rilascio di TNF e limiti il danno renale in caso di ischemia/riperfusione (in modo analogo a quanto si verifica a livello epatico), la somministrazione subacuta su animali di laboratorio provoca lesioni vascolari e necrosi arteriolare, vasculiti, infiammazione interstiziale e danno all’epitelio del tubulo prossimale. La nefrotossicità associata all’impiego del tacrolimus è probabilmente dovuta in parte ad alterato metabolismo prostaglandinico, a perossidazione lipidica e ad un’aumentata secrezione di endoteline (Drugs, 1993). Anche la vasocostrizione generalizzata causata dal tacrolimus e dalla ciclosporina (effetto di classe degli inibitori della calcineurina) favorisce la comparsa di tossicità renale: la vasocostrizione dell’arteriola afferente al rene (arteriola di “entrata“) è stata dimostrata sia nel paziente aduto sia nel bambino in terapia con ciclosporina (Perico et al., 1992; Dello Strologo et al., 1996). A differenza di quanto osservato con ciclosporina, però, con la quale si ha una caduta pressoria a livello dell’arteriola afferente renale costante, dopo ogni somministrazione, e di entità ragguardevole, con tacrolimus l’effetto è incostante e di entità inferiore sia nel paziente adulto sia pediatrico (Nankivell et al., 2004; Dello Strologo et al., 2001).
Il tacrolimus è risultato efficace nel trattamento della immunosoppressione primaria (follow up di 6-18 mesi: sopravvivenza del paziente dell’84%; dell’organo dell’80%).
Rispetto a ciclosporina, il tacrolimus determina una minore incidenza di rigetti acuti (41 vs 50%) e refrattari (1-2 vs 5%); riduce il consumo di corticosteroidi; riduce l’incidenza di infezioni opportunistiche, incluso quella da citomegalovirus; è gravato da una maggiore neurotossicità (tremori, convulsioni, allucinazioni, psicosi e coma).
I corticosteroidi costituiscono una delle classi di farmaci di riferimento per le terapie immunosoppressive: la probabilità di rigetto dell’organo decresce con l’aumentare del loro dosaggio (Med. Letter., 1994). Nei pazienti trapiantati che assumono tacrolimus, la sospensione del trattamento con corticosteroidi è possibile in poco meno della metà dei pazienti (circa 45%); in ambito pediatrico, circa il 17% e meno del 10% dei pazienti interrompono la somministrazione di steroidi, rispettivamente dopo 3 e 9 mesi dall’inizio della terapia con tacrolimus (con ciclosporina queste percentuali sono inferiori) (Todo et al., 1991).
Trapianto di rene
In caso di immunosoppressione primaria nel trapianto di rene, il tacrolimus, in trattamento singolo, ha mostrato efficacia terapeutica analoga a tacrolimus più azatioprina e a ciclosporina (follow-up di 27 mesi: sopravvivenza del paziente del 90% e dell’organo del 70%). La richiesta di corticosteroidi in associazione al tacrolimus, nel trattamento dell’immunosoppressione primaria del trapianto di rene, viene sospesa nel 23-60% dei pazienti.
Il tacrolimus risulta efficace anche in caso di rigetto di rene trapiantato (70% dei pazienti).
L’analisi di più di 4000 pazienti sottoposti a trapianto di rene e trattati con tacrolimus o ciclosporina ha evidenziato come il tacrolimus sia associato ad una perdita dell’organo trapiantato, a 6 mesi, inferiore a ciclosporina (rischio relativo: 0,56, CI 95% 0,36-0,86) e come questa differenza tenda a persistere fino a 3 anni dal trapianto. Inoltre, mentre con ciclosporina, un cambiamento della formulazione o della concentrazione plasmatica non risulta influenzare il rischio di rigetto, con tacrolimus il rischio tende a diminuire aumentando la dose dell’immunosopressore. Ad un anno dal trapianto, nei pazienti trattati con tacrolimus, sono risultati minori il rischio di rigetto acuto (rischio relativo:0,69, CI95% 00,60-0,79) e di rigetto per resistenza alla terapia steroidea (rischio relativo 0,49, CI95% 0,37-0,64), maggiore il rischio di diabete da trattare con insulina (rischio relativo 1,86, CI95% 1,11-3,09) e più elevata l’incidenza di tremore, cefalea, diarrea, dispepsia e vomito rispetto alla terapia con ciclosporina. Nei pazienti in terapia con ciclosporina è risultata più elevata l’incidenza di costipazione e di effetti avversi a carico della cute. Non sono state osservate differenze per rischio di infezioni opportunistiche e lesioni di natura neoplastica (Webster et al., 2005).
Il tacrolimus, in associazione con corticosteroidi, ha indotto nefrotossicità con un’incidenza simile a ciclosporina associata a corticosteroidi ed azatioprina (50% vs 53% dei pazienti nel primo anno successivo al trapianto): l’ipercreatininemia è risultata confrontabile, mentre la velocità di filtrazione glomerulare è risultata minore con tacrolimus rispetto a ciclosporina (42 vs 64 ml/min/1,73 m2).
Il tacrolimus, rispetto a ciclosporina, è associato ad una frequenza minore di infezioni batteriche, virali, micotiche (30% vs 40% dei pazienti); di sepsi in pazienti in età pediatrica (17% vs 35%) (Drugs, 1993); di irsutismo e iperplasia gengivale. Il tacrolimus inoltre provoca minori effetti ipertensivi rispetto alla ciclosporina; la percentuale di pazienti che sospendono la terapia antipertensiva risulta maggiore con il primo farmaco rispetto al secondo (43% vs 25%).
Nei pazienti pediatrici sottoposti a trapianto di rene, gli studi clinici che hanno confrontato il tacrolimus con la ciclosporina hanno dato esiti non univoci. In uno studio randomizzato in cui i pazienti pediatrici (età < 18 anni) sono stati trattati con tacrolimus oppure ciclosporina, entrambi i farmaci in associazione a azatioprina e corticosteroidi, l’incidenza di rigetto acuto (esito clinico primario) è risultata significativamente minore con tacrolimus (36,9% vs 59,1%, p=0,003), così come l’incidenza del rigetto per resistenza corticosteroidea (7,8% vs 25,8%, p=0,001) e l’incidenza di rigetto acuto confermato per via istologica (16,5% vs 39,8%, p < 0,001). Dopo 12 mesi la sopravvivenza è risultata sovrapponibile nei due gruppi di trattamento (96,1% vs 96,6%). Con tacrolimus si è avuta una perdita dell’organo trapiantato inferiore rispetto alla ciclosporina, ma la differenza non è riultata statisticamente significativa (10 vs 17 trapianti persi, p=0,06). La funzionalità renale è risultata preservata maggiormente nel gruppo trattato con tacrolimus (p=0,03) (migliore velocità di filtrazione glomerulare dopo 1 e 2 anni) (Filler et al., 2002). Per quanto riguarda la tollerabilità dei due farmaci, con tacrolimus è stata osservata un’incidenza statisticamente più elevata per la diarrea (13,6% vs 3,2%) e minore per ipertricosi (0,0% vs 7,5%), sindrome influenzale (0,0% vs 5,%) e iperplasia gengivale (0,0% vs 5,4), sintomi di fatto non osservati con tacrolimus. Gli effetti collaterali più frequenti, nei primi sei mesi di terapia, sono stati ipertensione (68,9% vs 61,3%), ipomagnesiemia (34,0% vs 12,9%, p=0,001) e infezioni del tratto urinario (29,1% vs 33,3%). Un paziente trattato con tacrolimus (totali: 103) e due trattati con ciclosporina (totali: 93) sono andati incontro a malattie linfoproliferative (Trompeter et al., 2002). Esiti clinici analoghi sono stati osservati in altri due studi clinici (Jurewicz, 2003; Murphy et al., 2003).
L’associazione con mofetil micofenolato, in alternativa ad azatioprina, ha determinato esiti clinici più similari fra tacrolimus e ciclosporina in pazienti pediatrici con trapianto di rene. In uno studio retrospettivo effettuato su una coorte di pazienti di poco inferiore alle mille unità, dopo un trattamento immunosoppressivo di 12 mesi il rischio relativo di rigetto (aRR) risultava pari a 1,01, il rischio relativo di insufficienza d’organo pari a 0,918 e la sopravvivenza dell’organo trapiantato pari al 91,4% vs 97,9% (p=0,607) rispettivamente con tacrolimus e ciclosporina. Dopo 24 mesi non era stata evidenziata nessuna differenza fra i due regimi di trattamento: rischio relativo di rigetto pari a 0,918, rischio relativo di insufficienza d’organo pari a 0,702, sopravvivenza dell’organo trapiantato pari al 91,4% vs 95,1% rispettivamente con ciclosporina e tacrolimus. Nel gruppo trattato con tacrolimus è risultato inferiore il ricorso a farmaci antipertensivi sia dopo un anno (aRR: 0,74) sia dopo 2 anni (aRR: 0,67) e migliore la velocità di filtrazione glomerulare sia dopo 1 anno (GFR, formula di Schwartz: 98,6 vs 78,0 ml/min/1,73 m2) sia dopo 2 anni (GFR, formula di Schwartz: 96,7 vs 73,2 ml/min/1,73 m2) (Neu et al., 2003).
In un altro studio retrospettivo che ha coinvolto più di 7000 pazienti di cui 700 di età inferiore a 20 anni, la sopravvivenza dell’orgno trapiantato dopo 2 anni è risultata più favorevole per la ciclosporina rispetto al tacrolimus (94,3% vs 92,2%, p=0,0006), entrambi i farmaci erano associati a micofenolato mofetil e a steroidi. Il rischio di insufficienza d’organo, per tutte le cause, è risultato più elevato nel gruppo in terapia con tacrolimus (HR: 1,28, p=0,002) (Bunnapradist et al., 2003).
Trapianto di fegato
In caso di rigetto di fegato trapiantato sotto trattamento standard, il tacrolimus può migliorare la sopravvivenza del paziente e dell’organo trapiantato (85 e 70% rispettivamente per paziente e per organo, dopo un follow-up di 2 mesi) (Fung et al., 1991a); risulta efficace sia in caso di rigetto acuto (78% dei pazienti) sia cronico (60% dei pazienti).
Dati clinici indicano che l’impiego del tacrolimus in sostituzione del trattamento standard risulta tanto più efficace quanto più precoce. Il passaggio dalla terapia standard al tacrolimus non risulta efficace nel caso in cui il rigetto cronico mascheri la presenza di epatite cronica attiva.
Trapianto di cuore
Il tacrolimus è ampiamente utilizzato nei pazienti sottoposti a trapianto di cuore per ridurre il rischio di rigetto, in combinazione con mofetil micofenolato e corticosteroidi (questi ultimi per almeno il primo anno post trapianto). Nei pazienti che presentano vasculopatie o neoplasie, il tacrolimus è associato a farmaci inibitori dei segnali di proliferazione e a terapia corticosteroidea. Il tacrolimus non è somministrato in monoterapia anche se alcuni studi relativi alla sicurezza del farmaco hanno dato esiti positivi (Hunt, Haddad, 2008).
Trapianto di polmone
Il tacrolimus è stato impiegato, inizialmente, nel trapianto di polmone come alternativa alla ciclosporina nei pazienti che non rispondevano a quest’ultima. Attualmente trova indicazione nel trattamento del rigetto acuto, sempre in alternativa alla ciclosporina, e in associazione a prednisolone e azatioprina.
Nei pazienti sottoposti a trapianto di polmone, la sopravvivenza ad 1 anno si attesta sul 70%, in caso di donatore vivente, e sul 77% in caso di donatore da cadavere; dopo 5 anni, indipendentemente dal tipo di donatore, la sopravvivenza arriva a poco meno del 50%. Le cause di morte più frequenti comprendono insufficienza dell’organo trapiantato, danno da ischemia e da riperfusione e le infezioni opportunistiche entro il primo mese dal trapianto; le infezioni opportunistiche dal secondo mese fino all’anno; la bronchiolite obliterante, patologia con cui si presenta il rigetto cronico, trascorso il primo anno dal trapianto (circa il 50% dei pazienti con polmone trapiantato manifesta bronchiolite obliterante ad un anno dal trapianto).
Il tacrolimus è stato impiegato nei trial clinici nella profilassi del rigetto acuto nei pazienti con polmone trapiantato. In uno studio in cui il farmaco è stato somministrato inizialmente per infusione endovenosa (0,01-0,03 mg/kg/die) seguita da terapia orale (0,05-0,3 mg/kg/die), dopo un anno dal trapianto, l’incidenza di rigetto acuto è stata pari all’11,5% vs 22,6% con ciclosporina, l’incidenza di rigetto cronico pari al 2,86% vs 8,57 e la sopravvivenza pari all’80,8% vs 83% (Treede et al., 2004).
In un altro studio, la somministrazione di tacrolimus (infusione ev. continua: 0,025 mg/kg/die; terapia orale: 0,15 mg/kg/die; concentrazione plasmatica allo steady state compresa fra 10-20 ng/ml) è stata associata ad una sopravvivevza ad 1 (83% vs 71%) e 2 anni (76% vs 66%) tendenzialmente maggiore rispetto a ciclosporina. Sia il rigetto acuto sia il rigetto cronico (bronchiolite obliterante) sono risultati minori nel gruppo trattato con tacrolimus rispetto a ciclosporina, ma solo per il rigetto cronico la differenza ha raggiunto significatività statistica (rigetto acuto/100 giorni-paziente: 0,85 vs 1,09 p=0,07; bronchiolite obliterante: 21,7% vs 38% p=0,025). Inoltre una percentuale maggiore di pazienti è passata dalla ciclosporina al tacrolimus (13/66) rispetto al percorso inverso (2/67) (P=0,02) (Keenan et al., 1995).
L’impiego di livelli di concentrazione di tacrolimus leggermente inferiori, 12-15 ng/ml anzichè 10-20 ng/ml, è stato associato ad una percentuale di sopravvivenza ad un anno pari a 73,1% vs 79,2% con ciclosporina. La percentuale di pazienti libera da rigetto è stata pari a 57,7% vs 45,8% a 6 mesi, rispettivamente con tacrolimus e ciclosporina, e pari a 50% vs 33,3% a 12 mesi (Treede et al., 2001).
Trapianto di pancreas
In alcuni studi clinici, il tacrolimus è stato impiegato nella profilassi del rigetto acuto in caso di trapianto di pancreas e di rene-pancreas.
In uno studio multicentrico, i pazienti sottoposti a trapianto di rene-pancreas, sono stati randomizzati a ricevere tacrolimus (dose iniziale: 0,2 mg/kg/die) oppure ciclosporina microemulsionata (7 mg/kg/die); tutti i pazienti hanno ricevuto micofenolato mofetil (2-3 g/die) e terapia corticosteroidea. Dopo un anno, l’incidenza di rigetto acuto, verificato istologicamente, di rene o pancreas è stata pari al 27,2% nel gruppo trattato con tacrolimus e pari al 38,2% nel gruppo trattato con coclosporina (p=0,09). La sopravvivenza del pancreas trapiantato è risultata significativamente maggiore con tacrolimus (91,3% vs 74,5% p<0,0005), mentre quella del rene è risultata sovrapponibile nei due gruppi di trattamento. Il numero di pazienti passati all’altro trattamento è risultato maggiore per il gruppo in terapia con ciclosporina (34/102 sono passati da ciclosporina a tacrolimus, mentre 6/103 sono passati da tacrolimus a ciclosporina) (Bechstein et al., 2004).
Trapianto di intestino
L’esperienza clinica del tacrolimus in caso di trapianto di intestino da solo o multiviscerale è limitata. I dati disponibili indicano un tasso di sopravvivenza pari al 75% dopo un anno, al 54% dopo 5 anni e al 42% dopo 10 anni in pazienti sottoposti a trapianto di solo intestino, intestino più fegato e trapianto multiviscerale. I pazienti sottoposti a trapianto di intestino più fegato hanno evidenziato, rispetto al trapianto di solo intestino o al trapianto multiviscerale, una prognosi migliore sul lungo periodo e un rischio di rigetto dell’organo minore (=0,001) (Abu-Elmagd et al., 2001).
Dermatite atopica
Il tacrolimus è risultato efficace nel trattamento topico della dermatite atopica sia in pazienti adulti sia in pazienti pediatrici. La dermatite atopica è una patologia cutanea che coinvolge il sistema immunitario, ma la cui causa non è stata tuttora individuata. La sua prevalenza nella popolazione pediatrica si attesta su circa il 7%. La dermatite atopica può manifestarsi sia nei bambini, anche molto piccoli (lattanti), sia negli adolescenti o negli adulti. Si presenta con la formazione di chiazze di tipo eritematoso, spesso essudanti; è localizzata preferenzialmente a livello delle pieghe di flessione degli arti, ma nelle forme più estese può interssare viso, collo e tronco.
In pazienti pediatrici (età: 2-15 anni) con dermatite atopica di grado moderato-severo, la somministrazione di tacrolimus 0,1% e 0,03%, per 12 settimane, è risultata efficace nel ridurre l’estensione e la gravità delle lesioni in più del 90% dei pazienti. Al basale, il 61,05% dei pazienti presentava dermatite di grado severo, l’83,5% aveva coinvolti viso e/o collo e le lesioni interessavano poco meno del 50% di tutta la superficie cutanea. Nei pazienti trattati con tacrolimus a concentrazione inferiore (0,03%), gli effetti collaterali comparsi con un’incidenza statisticamente superiore al gruppo di confronto (veicolo) sono stati bruciore, prurito, varicella e rash vescicolobolloso. Nei pazienti in terapia con tacrolimus 0,1% l’incidenza degli effetti collaterali è risultata sovrapponibile a quella osservata con il veicolo (Paller et al., 2001).
Analoghi risultati sono stati riportati in un altro studio in cui il tacrolimus 0,03% è stato confrontato con il veicolo in caso di dermatite atopica di grado lieve-moderato. Dopo 6 settimane di terapia, un significativo aumento del punteggio sulla scala di valutazione IGA (Investigators’ Global Atopic Dermatitis Assessment) è stato evidenziato con tacrolimus rispetto al veicolo (50,36% vs 25,8%). Il 54,8% dei pazienti ha visto un miglioramento concreto dell’area eczematosa e del grado di severità con tacrolimus vs il 20,8% con il veicolo. Nei pazienti in terapia con l’immunosoppressore è diminuita sensibilmente l’estensione della cute interessata dalle lesioni e l’intensità del prurito (Schachner et al., 2005).
Nei pazienti adulti con dermatite atopica di grado moderato-severo, la somministrazione di tacrolimus 0,1% 2 volte/die ha determinato un miglioramento marcato o eccelente nel 54% dei pazienti dopo la prima settimana di terapia, nell’81% dei pazienti dopo 6 mesi e nell’86% dopo un anno. Gli eventi avversi più frequenti sono state reazioni locali al sito di applicazione: bruciore (47% dei pazienti), prurito (24% dei pazienti), eritema (12% deipazienti). L’assorbimento sistemico è risultato minimo, inferiore ad 1 ng/ml, nel 76% dei pazienti trattati (Reitamo et al., 2000).
In pazienti adulti (56% con dermatite atopica grave) con lesioni cutanee su circa il 45% della superficie corporea, la somministrazione di tacrolimus 0,03% e 0,1% ha determinato, dopo 12 settimane, un miglioramento uguale o superiore al 90% rispettivamente nel 27,5% e nel 36,8% (vs 6,6% controllo, p<0,001) e un miglioramento uguale o superiore al 50% nel 61,6% e nel 72,7% (vs 19,8% controllo). Nei pazienti trattati con l’immunosoppresore sono migliorati in modo statisticamente significativo i seguenti indici: percentuale di superficie corporea interessata (%BSA, Body Surface Area), punteggio totale e individuale della scala di valutazione dei sintomi della malattia, valutazione del prurito da parte del paziente e punteggio EASI (Eczema Area and Severity Index). Il tacrolimus a concentrazione maggiore, 0,1%, ha mostrato efficacia superiore nei pazienti con lesioni gravi e/o nei pazienti con ampia estensione cutanea delle lesioni (Hanifin et al., 2001).
L’analisi dei dati di safety dello studio precedente ha evidenziato che gli effetti collaterali più frequenti sono stati sensazione di bruciore, prurito, sintomi influenzali, eritema e cefalea; che bruciore, sintomi influenzali e cefalea sono comparsi con incidenza statisticamente superiore nei pazienti trattati con tacrolimus rispetto al veicolo (gruppo di controllo). La percentuale di pazienti che ha abbandonato lo studio a causa di un effetto collaterale è risultata maggiore nel gruppo di controllo rispetto ai due gruppi in terapia attiva. Nell’80% dei pazienti trattati con tacrolimus non è stato possibile rilevare il farmaco a livello ematico (assorbimento sistemico trascurabile) (Soter et al., 2001).
Il tacrolimus è risultato più efficace del trattamento con corticosteroidi in caso di dermatite atopica da moderata a grave in pazienti adulti (Reitamo et al., 2005). Il tacrolimus unguento allo 0,1% è stato confrontato con idrocortisone butirrato 0,1%, applicato su tronco e arti, e con idrocortisone acetato 1%, applicato su viso e collo. Dopo 3 mesi di trattamento, la percentuale di pazienti con un miglioramento del punteggio mEASI superiore al 60% è risultata maggiore con tacrolimus (72,6% vs 52,3%, p <0,001) (esito clinico principale). Nei pazienti con tacrolimus sono comparsi con maggior frequenza bruciore localizzato, infezioni erpetiche (herpes simplex), intolleranza all’alcool, sensazione di formicolio, acne, iperestesie e dermatiti di origine micotica. Il bruciore (52,4% vs 13,8%, p < 0,001) è risultato di grado lieve-moderato nella maggior parte dei pazienti e si è risolto nella prima settimana di terapia.
Dai dati di una metanalisi che ha considerato 25 studi clinici randomizzati in cui i pazienti, circa 4000, sono stati trattati con corticosteroidi, tacrolimus e pimecrolimus, il tacrolimus 0,1% è risultato efficace quanto idrocortisone butirrato 0,1%/idrocortisone acetato 1% dopo 3 settimane di terapia e più efficace e potente dopo 12 settimane di terapia nel migliorare i sintomi della dermatite atopica. A concentrazione inferiore, 0,03%, il tacrolimus è risultato più efficace dell’idrocortisone acetato 1% ma meno efficace dell’idrocortisone butirrato 0,1%. Il tacorlimus 0,1% ha mostrato maggiore potenza rispetto al tacrolimus a concentrazione inferiore, ma la differenza è diventata statisticamente significativa solo dopo le 12 settimane di terapia (Ashcroft et al., 2005).
Nei pazienti pediatrici con dermatite atopica, il tacrolimus 0,03%, applicato una o due volte al giorno è risultato più efficace dell’idrocortisone acetato 1% (riduzione media del punteggio mEASI: 76,7% vs 66,7% vs 47,6% rispettivamente con tacrolimus 2 volte/die, tacrolimus una volta/die e idrocortisone acetato, p <0,001). Il tacrolimus somministrato 2 volte al giorno ha dato risultati clinici migliori rispetto alla monosomministrazione giornaliera (p=0,007) e i pazienti che ne hanno tratto i maggiori benefici sono stati quelli con lesioni cutanee più gravi (p=0,001). Nel gruppo trattato con tacrolimus il bruciore cutaneo è stato riscontrato con maggior frequenza, ma il sintomo tende a scomparire dopo 3-4 giorni (Reitamo et al., 2004).
Sempre in pazienti pediatrici, il tacrolimus è risultato più efficace dell’idrocortisone acetato 1% (p<0,001) nel ridurre il punteggio EASI, valutato come percentuale dell’AUC media al basale, e confrontando le due concentrazioni di tacrolimus, i benefici clinici maggiori sono stati ottenuti con il tacrolimus 0,1% (p=0,006) (mediana di mEASI come percentuale dell’AUC media al basale: 39,8% vs 44,8% vs 64,0% rispettivamente con tacrolimus 0,1% vs tacrolimus 0,03% vs idrocortisone acetato 1%) (Reitamo et al., 2002).
In pazienti con dermatite atopica di grado moderato, il tacrolimus è risultato più efficace del pimecrolimus nel migliorare il punteggio relativo alla scala che misura la gravità dell’eczema (Eczema Area Severity Index) (riduzione: 59% vs 43%, p=0,01). Inoltre una percentuale più elevata di pazienti, nel gruppo tacrolimus, ha migliorato di uno o più gradi il punteggio Investigators’ Global Atopic Dermatitis Assessment (p<0,02). Nessun paziente ha interrotto la terapia con tacrolimus per mancanza di efficacia contro 5 pazienti nel gruppo pimecrolimus (p=0,02) (Abramovits et al., 2008).
Nei pazienti trattati con tacrolimus per via topica sono stati segnalati casi di tumore e linfoma cutaneo. Per tentare una prima valutazione del rischio potenziale di tumore, è stato condotto uno studio osservazionale retrospettivo in cui è emerso un aumento di rischio, per i pazienti esposti a tacrolimus topico rispetto ai non esposti, per il solo linfoma cutaneo a cellule T (HR: 5,04 CI 95% 2,39-10,63, p <0,001), ma non per tutti i tumori (HR 0,93, CI 95% 0,81-1,07, p=0,306) (Hui et al., 2009).
In un altro studio di coorte che ha preso in considerazione pazienti esposti a tacrolimus, pimecrolimus e corticosteroidi, l’aumento del rischio per linfoma, rispetto alla popolazione generale, è stato segnalato per tutti i farmaci considerati ed è risultato di entità sovrapponibile (RR: 2,89 vs 2,82 vs 2,10 rispettivamente per pimecrolimus, tacrolimus e corticosteroidi) (Schneeweiss et al., 2009).
In un terzo studio, che ha analizzato 294 casi di linfoma su quasi 300.000 pazienti, di cui 81 casi in pazienti con meno di 20 anni, l’esposizione agli inibitori della calcineurina non è risultata associata ad un aumento del rischio di linfoma (OR: 2,4 CI 95% 1,5-3,8 per gravità della dematite atopica; OR: 1,5 CI 95% 1,0-2,4 per steroidi orali; OR: 1,2 CI 95% 0,8-1,8 per steroidi topici con “elevata potenza“; OR: 1,1 CI 95% 0,7-1,6 per steroidi topici con “bassa potenza“; OR: 0,8 CI 95% 0,4-1,6 per pimecrolimus; OR: 0,8 CI 95% 0,4-1,7 per tacrolimus; OR: 1 CI 95% 0,3-4,1 per l’associazione steroidi topici più inibitore della calcineurina) (Arellano et al., 2007).
Cheratocongiuntivite primaverile (vernal)
La cheratocongiuntivite primaverile (vernal, VKC) è una malattia infiammatoria cronica che interessa congiuntiva e cornea, gravemente invalidante che, se non trattata, può portare nel tempo a perdita della funzione visiva (cicatrici corneali, assottigliamento della cornea tale da indurre astigmatismo non correggibile con le lenti (cheratocono), astigmatismo, esiti cicatriali da infezioni opportunistiche).
E’ una patologia rara con una prevalenza di 1/100.000 casi (una malattia è definita “rara“ quando copisce meno di 5 persone su 100.000).
La cheratocongiuntivite primaverile insorge verso i 4-5 anni e tende a risolversi spontaneamente verso i 20 anni. Ha andamento stagionale, con fasi di recrudescenza in primavera-estate. Rappresenta circa il 25% delle forme di congiuntivite allergica.
La causa non è nota, ma il coinvolgimento del sistema immunitario è evidente sia attraverso meccanismi cellulomediati sia IgE-mediati. La cheratoconiuntivite primaverile si distingue dalla congiuntivite stagionale, almeno nelle fasi iniziali, perchè la prima si protrae più a lungo, andando ad interessare anche i mesi estivi di luglio-agosto, ogni anno si ripresenta in forma più severa e non risponde alla terapia con antistaminici, FANS e cromoni.
I pazienti più a rischio di sviluppare cheratocongiuntivite primaverile, comprendono pazienti con allergie ambientali (pollini, acari, pelo di animale), pazienti con famigliarità (un genitore a cui nell’infanzia è stato diagnosticato uno o più episodi di cheratocongiuntivite primaverile), pazienti con rinite allergica, dermatite allergica o asma nei primi anni di vita.
La terapia è sintomatica e si basa, per le forme di grado moderato severo, sull’uso oftalmico di ciclosporina (sospensione oleosa allo 0,5-1-2%). Nei pazienti che non rispondono alla ciclosporina, e che costituiscono circa l’8-15%, può essere somministrato il tacrolimus per via topica (concentrazione allo 0,1%).
In uno studio in aperto, pazienti con forme gravi di cheratocongiuntivite primaverile (età: 9,12+/-2,45 anni) sono stati trattati con tacrolimus 0,1%, una o due applicazioni/die per 4 settimane. Dopo la prima settimana, il punteggio medio assegnato ai sintomi era diminuito del 31% (p=0,015) e dopo 4 settimane era pari al 20% del valore basale (Viehyanond et al., 2004).
Colite ulcerativaIn uno studio clinico sono stati confrontati tre gruppi di pazienti, trattati rispettivamente con tacrolimus (dose iniziale di 0,05 mg/kg due volte al giorno per via orale), infliximab (5 mg/kg per endovena alle settimane 0, 2, 6 quindi ogni 8 settimane) e ciclosporina (prima 2 mg/kg per endovena, poi 5 mg/kg/die per via orale. I pazienti (123) presentavano colite ulcerativa refrattaria al trattamento con corticosteroidi. Gli esiti clinici erano rappresentati dal tasso di risposta a breve e medio termine, valutato sulla base dell’indice di Truelove-Witts (MTWSI) che valuta il quadro sintomatologico del paziente (numero di evacuazioni al giorno, febbre, frequenza cardiaca, anemia, indice di infiammazione VES). La risposta clinica era definita come riduzione di almeno 4 punti dell’indice di Truelove-Witts. Dopo 6 settimane i pazienti che avevano risposto al trattamento erano, rispettivamente, pari al 71% (23/32) con tacrolimus, al 79% (50/63) con infliximab (p=0,005) e al 60% (17/28) con ciclosporina. Dopo 26 settimane, le percentuali risultavano così modificate: 56% (18/32) nel gruppo tacrolimus, 71,5% (45/63) nel gruppo infliximab (p=0,037), 35,7% (10/28) nel gruppo ciclosporina (Protic et al., 2013).
L’analisi dei sottogruppi di pazienti ha evidenziato come la risposta più bassa, dopo le 26 settimane di cura, sia stata osservata nei pazienti trattati con ciclosporina con malattia di grado moderata (risposta clinica: 53,7% vs 80% vs 25% rispettivamente con tacrolimus, infliximab e ciclosporina).
Da un punto di vista della tollerabilità, l’incidenza di effetti collaterali è risultata sovrapponibile nei gruppi trattati con tacrolimus e infliximab, più elevata nel gruppo trattato con ciclosporina, con una tendenza ad aumentare progressivamente con il proseguimento della terapia (incidenza effetti collaterali dopo 6 settimane: 9,3% vs 9,5% vs 21,4% rispettivamente con tacrolimus.