Il sofosbuvir è un farmaco ad azione antivirale diretta contro il virus dell’epatite C. In particolare esercita la sua azione contro la polimerasi RNA-dipendente codificata dal gene NS5B, che serve per la replicazione del materiale genetico del virus. L’inibizione del sofosbuvir è diretta contro tutti i genotipi del virus (Keating, 2014).
Il trattamento standard dell’epatite C prevede la somministrazione di interferone alfa e ribavirina. Dal 2011 sono stati resi disponibili i primi antivirali ad azione diretta, che esercitano il loro effetto inibendo proteine specifiche del virus dell’epatite C. Il sofosbuvir è stato il primo tra gli inibitori della polimerasi ad essere approvato, all’inizio del 2014.
Il sofosbuvir è un profarmaco, che in vivo viene convertito in farmaco attivo, l’analogo uridinico trifosfato GS-461203, che viene legato dalla polimerasi e agisce come terminatore di catena quando viene incorporato durante la replicazione del materiale genetico virale.
I test condotti in vitro hanno mostrato che il sofosbuvir è inattivo verso le polimerasi umane ed è attivo verso tutti i genotipi del virus HCV, con valori di EC50 (concentrazione di farmaco necessaria per ottenere il 50% dell’effetto massimo) tra 0,04 e 0,11 uM per i genotipi 1a, 1b, 2a, 3, 4 e tra 0,014 e 0,015 uM per i genotipi 2b, 5 e 6.
Studi condotti su colture cellulari contenenti i repliconi del virus hanno permesso di individuare la sostituzione S282T del gene NS5B come unica mutazione associata alla resistenza al sofosbuvir. I virus con questa variante, tuttavia, mostrano di base una capacità di replicazione minore rispetto ai wild type (virus non mutati). Non esiste resistenza crociata con gli altri antivirali ad azione diretta contro le proteine virali NS5A o NS3/4A (Koff, 2014).
L’efficacia delle terapie con il sofosbuvir nel trattamento delle epatiti C croniche è stata misurata in clinica attraverso la risposta virologica sostenuta (SVR), che corrisponde all’assenza del virus HCV nel sangue del paziente, dopo 12 settimane dalla fine del trattamento (SVR12).
Nello studio NEUTRINO la terapia con sofosbuvir, peginterferone alfa e ribavirina è stata valutata in pazienti con epatite C da HCV di genotipo 1, 4, 5 o 6, mai trattati prima. La SVR12 è stata ottenuta nel 91% dei pazienti, con una percentuale del 9% che è andata incontro a successiva recidiva (Lawitz et al., 2013).
Nello studio FISSION, invece, condotto su pazienti infetti da HCV di genotipo 2 e 3, sono stati confrontati i trattamenti con sofosbuvir più ribavirina per 12 settimane e quello storico con peginterferone alfa più ribavirina per 24 settimane. La SVR12 è stata raggiunta in entrambi i gruppi nel 67% dei casi, pertanto il trattamento con il sofosbuvir ha soddisfatto il criterio di non inferiorità nell’efficacia ed, inoltre, gli effetti avversi registrati sono stati minori rispetto che con il peginterferone (Lawitz et al., 2013).
POSITRON, invece, è uno studio clinico di fase II condotto per valutare il trattamento con sofosbuvir in combinazione con ribavirina nei pazienti infetti da HCV di genotipo 2 o 3 che non possono essere sottoposti a trattamento con peginterferone. L’efficacia, con una SVR12 del 78%, è risultata significativa rispetto al trattamento con placebo ed è stata maggiore tra i pazienti infetti da HCV di genotipo 2 che tra quelli infetti da genotipo 3 (Jacobson et al., 2013).
Con lo studio VALENCE è stato osservato che, mentre per il trattamento dell’infezione da HCV di genotipo 2 è efficace il trattamento con sofosbuvir combinato a ribavirina per 12 settimane, per il genotipo 3 si ottengono risultati migliori somminstrando sofosbuvir e ribavirina per 24 settimane (Zeuzem et al., 2014).
Il trattamento con sofosbuvir combinato a ribavirina è stato valutato in pazienti precedentemente sottoposti a terapia, ma non responsivi o andati incontro a recidiva. In questo studio, denominato FUSION, nel gruppo trattato per 12 settimane la SVR12 è stata raggiunta dal 50% dei pazienti, mentre nel gruppo trattato per 16 settimane dal 71%, mostrando come il sofosbuvir, in seconda linea di trattamento, sia maggiormente efficace se somministrato per un periodo di tempo maggiore di 12 settimane (Jacobson et al., 2013).
L’efficacia della terapia sofosbuvir più ribavirina è stata anche studiata ed è risultata valida per i pazienti co-infetti da HCV di genotipo 1, 2 o 3 e HIV (virus dell’immunodeficienza umana) e nei pazienti in attesa di trapianto di fegato: la somministrazione di sofosbuvir e ribavirina aiuta a impedire l’occorrenza della recidiva in seguito al trapianto (Sulkowski et al., 2014; Curry et al., 2015).
Sofosbuvir più ledipasvir
Negli studi clinici ION-1, ION-2 e ION-3 l’associazione sofosbuvir/ledipasvir, in combinazione o meno a ribavirina, è stata studiata nel trattamento dell’epatite C da HCV di genotipo 1. Tra i pazienti infetti da genotipo 1 mai trattati prima e non cirrotici è stata registrata una SVR12 elevata (94%) trattando con ledipasvir/sofosbuvir per 8 settimane. La stessa efficacia è stata osservata tra i pazienti con cirrosi, trattati però per 12 settimane. In generale l’aggiunta di ribavirina non ha avuto effetti sull’efficacia rispetto alla somministrazione della sola associazione ledipasvir/sofosbuvir (Algahtani et al., 2015).
Per verificare l’impatto della terapia con sofosbuvir/ledipasvir in un contesto di assistenza medica reale, non su pazienti selezionati per trial clinici, è stato condotto uno studio osservazionale, che ha preso in considerazione i dati di oltre 4000 pazienti con epatite C da HCV di genotipo 1 trattati con la terapia di combinazione ledipasvir/sofosbuvir, con o senza ribavirina. I dati sono stati estrapolati dal registro americano per l’epatite C dei veterani (i veterani americani possono contare su un sistema di assistenza sanitaria dedicato sostenuto dal Department of Veterans Affairs o VA). È emerso che la SVR è stata raggiunta in una percentuale di pazienti intorno al 91,3-92% sia tra quelli che avevano ricevuto anche ribavirina che tra coloro che avevano ricevuto solo la combinazione ledipasvir/sofosbuvir. Pertanto anche i dati statistici “reali”, non calcolati nell’ambito di uno studio clinico, sembrano confermare i tassi di risposta virologica sostenuta in seguito al trattamento. È stato, in aggiunta, evidenziato che tra i pazienti senza cirrosi, con RNA basale di HCV minore di 6000000 IU/ml, la SVR è risultata del 93,2% in caso di terapia per 8 settimane e del 96,6% in caso di 12 settimane (Backus et al., 2016).
Anche nello studio ION-4, condotto su pazienti co-infetti da HCV (di genotipo 1) e HIV, l’associazione ha ottenuto una buona efficacia, con il ragiungimento della SVR12 nel 96% dei pazienti (Naggie et al., 2015).
Il trattamento con sofosbuvir/ledipasvir è stato inoltre valutato in combinazione con la ribavirina per il trattamento dei pazienti sottoposti a trapianto di fegato, risultando egualmente efficace se somministrato per 12 o per 24 settimane.
Infine vari trial di fase II sono stati condotti su pazienti infetti da HCV di genotipo 2, 3, 4, 5, 6. L’associazione ledipasvir/sofosbuvir ha ottenuto dei buoni risultati sperimentali; il trattamento del virus HCV di genotipo 3 risulta migliore se si aggiunge la ribavirina.
Sofosbuvir più velpatasvir
L’agenzia americana FDA (Food and Drug Administration) ha approvato a giugno 2016 l’associazione del sofosbuvir con velpatasvir, un inibitore della proteina NS5A. L’associazione ha ricevuto l’approvazione anche dall’Agenzia europea EMA (European Medicines Agency) a luglio 2016. Tale associazione è l’unica efficace contro tutti i genotipi del virus HCV ed è stata valutata attraverso quattro studi clinici.
Gli studi ASTRAL-1, 2 e 3 hanno valutato l’efficacia della terapia con sofosbuvir/veltapasvir, somministrata per 12 settimane, in pazienti con epatite C senza cirrosi o con cirrosi compensata. La SVR-12 è stata raggiunta nel 98% dei casi (Foster et al., 2015; Younossi et al., 2016).
Lo studio ASTRAL-4, invece, è stato condotto su pazienti con cirrosi scompensata e ha valutato l’efficacia dell’associazione sofosbuvir/veltapasvir, con o senza ribavirina. In combinazione con ribavirina la SVR12 è stata raggiunta nel 94% dei pazienti, mentre senza ribavirina la percentuale è risultata intorno all’83% (Curry et al., 2015).
Gli effetti collaterali osservati non sono risultati dissimili da quelli osservati in corso di terapia con altri farmaci in associazione a sofosbuvir.