L’epatite C è un tipo di epatite virale, processo infettivo a carico del fegato. (leggi)
L’epatite C è causata dall’hepatitis C virus (HCV) che è l’unico membro del genere Hepacivirus, della famiglia Flaviviridae. (leggi)
L’epatite C ha un periodo di incubazione variabile, compreso tra 2 settimane e 6 mesi ma in media varia da 6 a 9 settimane. (leggi)
La diagnosi di epatite C si effettua mediante test sierologici o rilevamento del genoma a RNA del virus. (leggi)
L’epatite C non sempre richiede un intervento terapeutico perché il virus è eliminato in alcuni casi dal sistema immunitario dell’ospite e la cronicizzazione della malattia a volte non porta a danno epatico. (leggi)
La presenza di diverse varianti del virus dell’epatite C ha ostacolato lo sviluppo di un vaccino efficace per l’epatite C per la differente risposta dei diversi genotipi. (leggi)
Se ritieni di avere i sintomi dell’epatite C, o se a qualcuno dei tuoi familiari è stata diagnosticata l’epatite C, parlane con il tuo medico di fiducia. (leggi)
Le medicine non convenzionali tendono ad avere un approccio olistico nei confronti della malattia, tendono cioè a considerare “il malato“ nella sua complessità di individuo, al di là del singolo organo malato. (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata all’epatite C sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Che cos'è l'Epatite C?
L’epatite C è un tipo di epatite virale, processo infettivo a carico del fegato. Le epatiti presentano analogie per quanto riguarda l’organo bersaglio, che è il fegato e il quadro clinico di base, ma sono causate da agenti virali che differiscono per struttura, modalità di replicazione, via di trasmissione e sono caratterizzate da un decorso clinico differente e diversa frequenza nel mondo.
I virus dell’epatite sono responsabili del tipico quadro clinico caratterizzato da ittero e aumento degli enzimi epatici, anche se i parametri sierologici si distinguono tra le varie forme (Epicentro, 2015; Murray et al., 2010).
Le epatiti sono facilmente trasmissibili perché il contagio può avvenire prima della comparsa dei sintomi o anche in loro assenza (Murray et al., 2010).
In Italia le epatiti sono comprese tra le malattie di classe II, ovvero ad alta frequenza, quindi rilevanti e passibili di interventi di controllo. Pertanto sono soggette a notifica obbligatoria (Epicentro, 2015).
L’epatite C è causata dall’hepatitis C virus (HCV) che è l’unico membro del genere Hepacivirus, della famiglia Flaviviridae. Il virus dell’epatite C è compreso tra i virus dell’epatite non-A e non-B, insieme ai virus dell’epatite G, E e D (agente delta) ed è la principale causa di infezioni NANBH (Non-A, non-B hepatitis) (Murray et al., 2010). Oltre ad essere il tipo di epatite a gravità maggiore, è anche quella maggiormente diffusa (Adamoli, 2002).
La trasmissione dell’epatite C avviene principalmente per via parenterale, attraverso il sangue infettato ed in misura minore per via sessuale. In rari casi (meno del 5%) l’epatite C si può trasmettere per via verticale (da madre a figlio) (Epicentro, 2015). L’epatite C non è trasmessa tramite contatto fisico (baci, abbracci) o condivisione di cibi e bevande (World Health Organization - WHO, 2015) e raramente può essere trasmessa per condivisione di oggetti di uso quotidiano contaminati con sangue infetto (rasoio, spazzolino da denti) (Center for Disease Control and Prevention - CDC, 2015).
Lo scambio di siringhe e le trasfusioni favoriscono il contagio e alcuni soggetti, quali tossicodipendenti, trasfusi o trapiantati, persone con tatuaggi, emofiliaci, sono maggiormente esposti al rischio di infezione. La condivisione di aghi e siringhe rappresenta il maggiore fattore di rischio per l’infezione dell’epatite C: i tossicodipendenti rappresentano il 50% dei casi infettati e il 90% degli individui tossicodipendenti o ex-tossicodipendenti infetti da HIV sono anche colpiti da epatite C.
Fino agli anni ’90 il maggior numero di casi di epatite C era dovuto a trasfusioni di sangue ed emoderivati, rischio quasi annullato dall’introduzione delle misure di screening di routine praticate in seguito a trasfusioni e donazione di organi (ricerca di anticorpi anti-HCV) (Isselbacher et al., 1995; Ministero della Salute, 2014; Murray et al., 2010).
Negli ambienti sanitari è elevato il rischio di trasmissione dell’epatite C per la probabilità maggiore di riutilizzo o sterilizzazione inadeguata di strumenti medicali. Gli interventi chirurgici e i trattamenti cosmetici costituiscono ulteriori situazioni di potenziale trasmissione (Epicentro, Seieva, 2015).
Anche il virus dell’epatite B si trasmette con modalità simili a quelle dell’epatite C ma presenta un potenziale di trasmissione per via sessuale più elevato e meno rischi di sviluppare un’infezione cronica persistente. L’epatite C, infatti, ha una durata che varia da qualche settimana ad anni ma nella maggior parte dei casi cronicizza (Murray et al., 2010; World Health Organization - WHO, 2015). Il potenziale di trasmissione dell’epatite C per via sessuale aumenta se l’attività sessuale coinvolge più di un partner, perché aumenta la probabilità di sviluppo di malattie veneree che predispongono alla penetrazione del virus (Ministero della Salute, 2014).
Il virus dell’epatite C è diffuso in tutto il mondo (si stimano oltre 170 milioni di portatori e 300-500 mila persone all’anno muoiono per malattie epatiche correlate al virus) e secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le epatiti virali sono uno dei problemi di sanità pubblica più rilevanti a livello mondiale.
L’incidenza dell’epatite C è variabile nelle diverse regioni: le aree più colpite sono Italia meridionale, Europa centrale, Giappone, Spagna, regioni del Medio Oriente; è presente più di una variante genica del virus dell’epatite C e tali forme sono diffuse in modo differente nelle diverse aree geografiche. La diffusione del virus non è influenzata dalle stagioni ed è anche favorita dalla presenza di infezioni croniche asintomatiche nella popolazione (Epicentro, 2015; Murray et al., 2010; World Health Organization - WHO, 2015).
Le persone nate tra il 1945 e il 1965 in USA sono più a rischio di contrarre l’epatite C (rischio cinque volte maggiore). È stimato, infatti, che i soggetti nati in questo periodo temporale costituiscono il 70% dei 3,2 milioni di persone affette da epatite C in USA e il 73% dei casi di morte dovuta ad epatite C. È stato riscontrato un aumento di mortalità dovuta ad epatite C, quantificato come aumento annuale di più del 50% dal 1999 al 2007 (Center for Disease Control and Prevention - CDC, 2015).
L’incidenza di epatite C a livello europeo è monitorata dal reparto di epidemiologia clinica e linee guida, dell’ Istituto superiore di Sanità (Iss) (Cnesps-iss) ed è aggiornata annualmente dall’ECDC (European Center for disease prevention and control) che redige un report. Nel 2011 è stata registrata un’incidenza di epatite C di 7,9 su 100mila abitanti, per un numero compressivo di 30 373 casi. Fra questi sono compresi 440 casi (1,4%) di forma acuta di epatite C, registrati in 11 paesi europei, con un’incidenza di 0,6 casi per 100mila abitanti e 3174 casi di forma cronica (10,5%). L’incidenza di epatite C fra i due sessi è variabile con un rapporto uomo/donna di 1,9:1 ed è prevalente in soggetti di età compresa tra 25 e 34 anni (28,2% dei casi). La modalità di trasmissione prevalente è la parenterale, nel 78% dei casi (noti), soprattutto per quanto riguarda l’infezione cronica. Per quanto riguarda la forma acuta di epatite C sono stati registrati casi di contagio in seguito ad attività sessuali fra omosessuali (24,4%) e in ambiente ospedaliero (16,9%) (European Center for Disease Prevention and Control - ECDC, 2013).
Nell’ultimo decennio l’incidenza dell’epatite in Italia ha subito un calo netto per il potenziamento di misure efficaci di screening dei donatori di sangue e di prevenzione, il miglioramento delle condizioni igieniche ed economiche, la riduzione del nucleo familiare, un’educazione maggiore sulla gravità della patologia e sulle modalità di trasmissione mediante campagne informative. L’evoluzione epidemiologica è stata monitorata dal gruppo di coordinamento Seieva (Sistema epidemiologico integrato dell’epatite virale acuta), a cura dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e del Ministero della Salute. Dai dati ottenuti dal Seieva è stato registrato un quadro epidemiologico (calcolato in base all’incidenza ogni 100mila abitanti) in cui si nota un calo drastico nei primi dieci anni e la stessa tendenza a diminuire negli anni successivi. A partire dal 2009 i valori si sono stabilizzati attorno a 0,2-0,3 per 100mila abitanti. L’andamento di frequenza dell’epatite C cambia a seconda dell’età e del sesso: infatti mentre la tendenza alla diminuzione negli anni ha interessato in prevalenza i soggetti più giovani (di età compresa tra i 15 e i 24 anni), gli ultimi casi hanno coinvolto soggetti più anziani, per cui l’incidenza è massima in soggetti di età compresa tra 35 e 54 anni; inoltre è stata registrata una prevalenza sugli uomini rispetto alle donne, ma negli ultimi anni questa differenza si sta assottigliando. Nel 2014 il numero di soggetti colpiti di sesso maschile era circa il 59% (Seieva, 2014).