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Semaglutide

Ozempic, Rybelsus, Wegovy

Farmacologia - Come agisce Semaglutide?

La semaglutide è un polipeptide di 31 aminoacidi, agonista recettoriale del peptide 1 glucagone−simile, GLP−1 (Glucagon−like peptide 1). Approvata inizialmente per la terapia del diabete di tipo 2 − la prima approvazione per quest´indicazione risale a dicembre 2017 negli USA per la formulazione sottocutanea, seguita nel 2019 dall´approvazione per la formulazione orale − la semaglutide ha ottenuto molta più popolarità come trattamento per l´obesità e il sovrappeso, da quando nel 2021 è stata approvata per quest´indicazione negli USA. Attualmente è in studio la possibilità di un impiego nella steatoepatite non alcolica e nella sindrome di Wolfram, malattia genetica rara caratterizzata da diabete, sordità e retinopatia.

GLP−1
Gli agonisti recettoriali di GLP−1 (GLP−1 RA) mimano gli effetti del ligando naturale. Il GLP−1 è un peptide secreto nell´intestino (cellule L) e nel cervello, coinvolto principalmente nella regolazione della glicemia, la concentrazione del glucosio nel sangue, e dell´appetito. Il GLP−1 inibisce la secrezione di glucagone, ormone che aumenta il livello di glucosio nel sangue; stimola la secrezione di insulina, ormone pancreatico che riduce il livello di glucosio nel sangue; rallenta lo svuotamento gastrico, riducendo in questo modo la velocità con cui il glucosio arriva al sangue in fase post prandiale; diminuisce l´appetito e la sensazione di fame (attivazione diretta dei neuroni che inibiscono l´assunzione di cibo e inibizione indiretta dei neuroni che stimolano l´assunzione di cibo) (Ard et al., 2021; Nauck, Meier, 2018). Il GLP−1 quindi da un lato agisce sull´omeostasi del glucosio modificando la secrezione del glucagone e dell´insulina, dall´altro interviene nel controllo dell´appetito influenzando il senso di sazietà.

Il GLP−1 deriva dal proglucagone, un polipeptide che può essere considerato come un pre−pro−ormone. Infatti, a seconda degli enzimi che lo “tagliano”. dal proglucagone si ottengono oltre al glucagone diverse incretine, molecole prodotte nell´intestino con attività ormonale, quali il GLP−1 stesso, il GLP−2, il GIP (Gastric Inhibitory Peptide o peptide inibitorio gastrico), la glicentina e l´oxintomodulina. Il GLP−1 possiede un´emivita molto breve, un paio di minuti, perché velocemente inattivato dall´enzima dipeptidil peptidasi−4 (DPP−4).

A dispetto del nome, GLP−1 e glucagone agiscono sull´omeostasi del glucosio con effetto opposto − il primo abbassa la glicemia quando è troppo alta, mentre il secondo la aumenta quando è troppo bassa − interagendo con due recettori di membrana differenti. GLP−1 esplica la sua azione per interazione con il recettore GLP1R presente principalmente sulle cellule beta pancreatiche, mentre. il glucagone agisce sul recettore GCGR, presente sulle cellule di fegato, cervello, tessuto adiposo, cuore e rene.

Semaglutide
La semaglutide possiede un´omologia di sequenza con il GLP−1 endogeno del 94%. Le differenze con il peptide naturale sono minime, ma strategiche per prolungare l´emivita del farmaco e interessano le posizioni 8, 26 e 34 della catena polipeptidica. La prima variazione, con sostituzione dell´aminoacido alanina con l´acido 2−aminobutirrico, conferisce resistenza alla degradazione da parte dell´enzima DPP−4, responsabile dell´inattivazione del ligando naturale. La seconda, con l´inserimento di uno spaziatore idrofilico e di un diacido grasso a 18 atomi di carbonio, favorisce il legame con l´albumina plasmatica riducendo l´escrezione renale. La terza, in cui l´aminoacido lisina è sostituito dall´arginina, evita il legame dell´acido grasso ad un sito sbagliato. Negli studi in vitro l´affinità di legame della semaglutide con il recettore di GLP−1 è diverse volte più alta di quella del ligando naturale.

Poiché la semaglutide come polipeptide è sensibile al pH gastrico, la somministrazione sottocutanea è risultata inizialmente più idonea. Inoltre l´elevata affinità di legame e il lento rilascio dal sito di iniezione, favorendo la lunga durata d´azione del farmaco, ha consentito la monosomministrazione settimanale. Sebbene la somministrazione settimanale possa favorire la compliance del paziente rispetto a terapie che devono essere somministrate giornalmente, anche più volte nelle 24 ore, la via di somministrazione sottocutanea può giocare a sfavore nell´accettazione di una parte dei pazienti (Spain et al., 2016). Per intercettare anche i pazienti poco propensi all´uso di farmaci parenterali, i ricercatori hanno reso disponibile una formulazione orale della semaglutide utilizzando il sodio salcaprozato (sodio N−(8−[2−idrossibenzoil]amino) caproato) o SNAC. SNAC forma un legame non covalente, concentrazione−dipendente con semaglutide, riducendo la degradazione dovuta agli enzimi proteolitici e al pH acido dello stomaco e aumentando la lipofilia e l´assorbimento attraverso la mucosa gastrica della semaglutide (Buckley et al., 2018).

Gli effetti della semaglutide sottocutanea e orale sul controllo glicemico e sul peso corporeo possono essere considerati paragonabili: la via di somministrazione del farmaco influenza il suo profilo farmacodinamico. Il driver principale della farmacodinamica della semaglutide sembra essere l´esposizione sistemica al farmaco circolante; le differenze tra gli individui in merito a espressione e sensibilità dei recettori GLP−1 influenzano sostanzialmente l´efficacia terapeutica dell´agonista GLP−1. In modo analogo, neusea e vomito, gli effetti avversi più frequenti associati alla semaglutide, correlano con i livelli plasmatici e la relazione dose−risposta è risultata ad esempio simile nella serie di studi SUSTAIN e PIONEER in cui la semaglutide è stata valutata in pazienti diabetici, somministrata rispettivamente per via sottocutanea e orale (Overgaard et al., 2021).

La semaglutide è un agonista recettoriale del GLP−1 a lunga durata d´azione come liraglutide, exenatide a lento rilascio, dulaglutide e albiglutide (exenatide è stato il primo agnista GLP−1 ad essere stato introdotto sul mercato, nel 2005, negli USA). Alla stessa classe terapeutica appartengono anche lixisenatide, agonista recettoriale GLP−1 a breve durata d´azione, e tirzepatide, agonista recettoriale di GLP−1 e GIP (polipeptide inibitorio gastrico). Gli agonisti a lunga durata d´azione sono caratterizzati da un effetto ipoglicemico maggiore durante la notte e in condizioni di digiuno. Rispetto a liraglutide, exenatide e dulaglutide, semaglutide evidenzia un controllo della glicemia e un effetto di riduzione del peso migliore, sovrapponibile a quello di tirzepatide (Mariam, Niazi, 2024).

Diabete di tipo 2
Il diabete mellito di tipo 2 rappresenta il 90% dei casi di diabete mellito e la sua prevalenza è in aumento a livello mondiale per fattori soprattutto comportamentali e sociali legati all´alimentazione, alla sedentarietà e all´aumento eccessivo del peso. La terapia ha l´obiettivo di mantenere sotto controllo la glicemia e di prevenire le complicanze cardiovascolari e renali, che causano la metà circa di decessi dei pazienti diabetici.

La semaglutide mima gli effetti del GLP−1 sul metabolismo del glucosio: riduce i livelli plasmatici di glucosio a digiuno e postprandiali stimolando nel pancreas il rilascio di insulina e inibendo la secrezione di glucagone con modalità glucosio−dipendente (quando la concentrazione di glucosio nel sangue è bassa la semaglutide influenza la secrezione di glucagone). L´effetto ipoglicemico risente anche dell´azione della semaglutide sullo stomaco, di rallentamento della motilità e conseguente svuotamento in fase postprandiale.

L´efficacia della semaglutide nel trattamento del diabete di tipo 2 è stata valutata in una serie di trial clinici − SUSTAIN 1−10 per la semaglutide sottocutanea e PIONEER 1−10 per la semaglutide orale − in cui l´analogo del GLP−1 è stato confrontato con placebo e altri farmaci antidiabetici.

Studi clinici SUSTAIN
L´efficacia della semaglutide sottocutanea nel trattamento del diabete di tipo 2 è stata valutata negli studi clinici della serie SUSTAIN, in cui l´analogo del GLP−1 è stato confrontato con placebo (SUSTAIN 1, 5, 6, 10), con il DPP−4 inibitore sitagliptin (SUSTAIN 2), con gli analoghi del GLP−1 exenatide a lento rilascio, delaglutide e liraglutide, (SUSTAIN 3, 7 e 10), con insulina glargine (SUSTAIN 4), con insulina spart (SUSTAIN 11) e come terapia aggiuntiva a ad un inibitore del cotrasporatore sodio−glucosio (SGLT2) (SUSTAIN 9). Inoltre, l´aggiunta di semaglutide alla terapia antidiabetica in atto, nei pazienti diabetici con elevato rischio cardiovascolare è stata associata ad una riduzione statisticamente significativa del rischio di morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale e peggioramento della funzionalità renale rispetto al placebo (Marso et al., 2016).

Nello studio SUSTAIN−1 la semaglutide (0,5 mg e 1 mg per via sottocutanea una volta alla settimana) è stata confrontata con placebo in pazienti con diabete di tipo 2 non trattati. Al termine dello studio, della durata di 30 settimane, la riduzione media rispetto al basale dell´emoglobina glicata (HbA1c) è stata pari a 1,45% vs 1,55% vs 0,02% rispettivamente con semaglutide 0,5 mg, semaglutide 1 mg e placebo. La riduzione del peso corporeo (valore basale medio 91−93 kg) è risultata pari a 3,73 kg vs 4,53 kg vs 0,98 kg rispettivamente con semaglutide 0,5 mg e 1 mg, e placebo. Gli eventi avversi più frequenti osservati con semaglutide sono stati nausea (20% vs 24% vs 8% dei pazienti tratti con semaglutide 0,5 mg e 1 mg, e placebo) e diarrea (13% vs 11% vs 2%) (Sorli et al., 2017).

Negli studi SUSTAIN 2, 3, 7, 5 la semaglutide è stata somministrata a pazienti diabetici già in trattamento con metformina più altri ipoglicemizzanti orali e confrontata con sitagliptin (SUSTAIN−2), exenatide a lento rilascio (SUSTAIN−3), dulaglutide (SUSTAIN−7), liraglutide (SUSTAIN 10) e insulina glargine (SUSTAIN−4). Nello studio SUSTAIN 11 i ricercatori hanno confrontato semaglutide e insulina aspart in pazienti trattati con metformina e insulina glargine (U100). In tutti gli studi clinici, la semaglutide ha evidenziato un´efficacia nel ridurre i livelli di emoglobina glicata maggiore dei farmaci competitor. Inoltre i pazienti in terapia con semaglutide (0,5 mg e 1 mg) hanno evidenziato anche una riduzione maggiore del peso corporeo.

Nello studio SUSTAIN 2 i pazienti diabetici erano in terapia con metformina e/o tiazolidinedioni al momento della randomizzazione tra semaglutide sottocutanea (0,5 mg e 1 mg/settimana) e sitagliptin (100 mg/die). Dopo 56 settimane di terapia, l´emoglobina glicata era diminuita dell´1,3% vs 1,6% vs 0,5% rispettivamente con semaglutide 0,5 mg e 1 mg, e sitagliptin (la variazione stimata media per HbA1c tra semaglutide e sitagliptin ha raggiunto la significatività statistica sia per la non−inferiorità che per la superiorità). Semaglutide ha evidenziato inoltre maggiore efficacia nel ridurre il peso corporeo rispetto a sitagliptin per entrambe le dosi testate (riduzione del peso: 4,3 kg vs 6,1 kg vs 1,9 kg rispettivamente con semaglutide 0,5 mg e 1 mg, e sitagliptin). La percentuale di pazienti che ha abbandonato il trial è risultata maggiore con l´agonista del recettore del GLP−1 (8% vs 10% vs 3%). Gli eventi avversi più frequenti associati alla semaglutide sono stati nausea e diarrea (rispettivamente 18% e 13% con entrabe le dosi di farmaco). Ipoglicemia è stata riportata nel 2%, vs <1% vs 1% dei pazienti rispettivamente con semaglutide 0,5 e 1 mg, e sitagliptin. Ci sono stati 6 decessi non attribuiti ai farmaci in studio (Ahrén et al., 2017).

Nello studio SUSTAIN 3 la semaglutide 1 mg è stata confrontata con exenatide ER 2 mg in pazienti diabetici non controllati nonostante la terapia con uno o due farmaci antidiabetici. L´esito clinico principale era la variazione dell´emoglobina glicata alla 56esima settimana. La semaglutide ha evidenziato maggiore efficacia dell´exenatide ER nel controllare la glicemia. La variazione dell´emoglobina glicata (−1,5% vs 0,9% rispettivamente con semaglutide ed exenatide ER) ha raggiunto la significatività statistica sia per la non inferiorità che la superiorità. Inoltre il target di HBA1c <7% è stato raggiunto da una percentuale più alta di pazienti trattati con semaglutide (67% vs 40%). La semaglutide è risultata più efficace anche in termini di riduzione del peso corporeo (−5,6 kg vs −1,9 kg). Dal punto di vista della tollerabilità, i due farmaci hanno evidenziato un profilo sovrapponibile con una maggior incidenza di eventi avversi gastrointestinali per semaglutide (41,8% vs 33,3%) e di reazioni all´iniezione per exenatide (22,0% vs 1,2%) (Ahmann et al., 2018).

Lo studio SUSTAIN 4, di non inferiorità, ha confrontato la semaglutide sottocutanea (0,5 mg e 1 mg) con insulina glargine una volta al giorno (dose titolata a partire da 10 UI/die) in pazienti diabetici non controllati nonostante la terapia con metformina con o senza sulfonilurea. La durata dello studio è stata di 30 settimane. Al termine dello studio la semaglutide è stata associata ad una riduzione media dell´emoglobina glicata (esito clinico principale) e del peso corporeo (esito clinico secondario) maggiore rispetto all´insulina glargine (riduzione HbA1c: −1,21% vs −1,64% vs −0,83% rispettivamente con semaglutide sc 0,5 mg e 1,0 mg, e insulina glargine; perdita di peso: 3,47 kg vs 5,17 kg vs 1,15 kg). Nello studio, i pazienti che hanno riportato ipoglicemia sono stati il 4% , il 6% e l´11% rispettivamente con semaglutide alla dose più bassa e più alta e con insulina glargine; l´ipoglicemia severa è stata riportata, rispettivamente, da <1% vs 1% vs 1% dei pazienti. L´evento avverso più frequente è stata la nausea (21% e 22%) con semaglutide e la nasofaringite (12%) con insulina glargine. La percentuale di pazienti che ha interrotto il trattamento per eventi avversi è stata pari a 14% vs 15% vs 7% con semaglutide 0,5 mg e 1 mg, e insulina glargine. Nello studio ci sono stati 6 decessi: 4 (1%) nel gruppo trattato con semaglutide 0,5 mg (3 morti cardiovascolari e una per carcinoma pancreatico, che potrebbe essere correlato al trattamento) e 2 nel gruppo in terapia con insulina glargine (per eventi cardiovascolari) (Aroda et al., 2017).

Nello studio SUSTAIN 5 la semaglutide sottocutanea è stata confrontata con placebo come terapia aggiuntiva all´insulina basale in pazienti con diabete di tipo 2. Al termine dello studio (30 settimane) la riduzione dell´emoglobina glicata è risultata pari all´1,4% con semaglutide 0,5 mg, pari all´1,8% con semaglutide 1 mg, pari allo 0,1% con placebo. La perdita di peso nei pazienti trattati con semaglutide è stata di 3,7 kg e 6,4 kg, rispettivamente con la dose più bassa e più alta, di 1,4 kg con placebo. La differenza nel numero di eventi di ipoglicemia tra semaglutide e placebo non ha raggiunto la significatività statistica (Rodbard et al., 2018).

Lo studio SUSTAIN 6 ha valutato l´effetto della semaglutide in pazienti con diabete ad elevato rischio cardiovascolare (Marso et al., 2016). L´esito clinico principale dello studio era composito per eventi cardiovascolari maggiori: morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale (evento cardiovascolare maggiore). Lo studio aveva come obiettivo dimostrare la “non inferiorità” della semaglutide verso placebo. I pazienti arruolati avevano per l´83,0% una diagnosi di malattia cardiovascolare e/o malattia renale cronica. L´incidenza di un evento cardiovascolare maggiore è risultata del 6,6% vs 8,9% rispettivamente nel gruppo trattato con l´agonista GLP−1 e placebo (HR 0,74 e p<0,001 per la “non inferiorità”). Nello specifico, l´incidenza di infarto miocardico non fatale è stata pari a 2,9% vs 3,9% rispettivamente con semaglutide e placebo (HR 0,74; p=0,12); l´incidenza di ictus non fatale è stata pari a 1,6% vs 2,7% rispettivamente (HR 0,61; p=0,04); il tasso di mortalità cardiovascolare è risultato sovrapponibile, mentre l´incidenza di retinopatia maggiore con semaglutide (HR 1,76; p=0,02).

Nello studio SUSTAIN 7, la semaglutide sottocutanea (0,5 mg e 1 mg) è stata confrontata con un farmaco dello stesso gruppo terapeutico, la dulaglutide (0,75 mg e 1,5 mg). Entrambi i farmaci sono stati somministrati per via sottocutanea, una volta alla settimana, a pazienti diabetici non controllati in terapia con metformina. Gli esiti clinici dello studio: variazione dell´emoglobina glicata (esito principale) e del peso corporeo (esito secondario) dopo 40 settimane di trattamento. La riduzione media di HbA1c rispetto al basale è stata di 1,5% con semaglutide 0,5 mg vs 1,1% con dulaglutide 0,75 mg (p<0,0001) e di 1,8% con semaglutide 1 mg vs 1,4% con dulaglutide 1,5 mg (p<0,0001). La riduzione ponderale è stata di 4,6 kg vs 2,3 kg tra semaglutide e dulaglutide alle dosi minori (p<0,0001) e di 6,5 kg e 3,0 kg con i due agonisti GLP−1 alle dosi maggiori (p<0,0001). Gli eventi avversi più frequenti sono stati gastrointestinali con entrambi i farmaci con un´incidenza di 43% e 44% con semaglutide 0,5 mg e 1 mg; di 33% e 48% con dulaglutide 0,75 mg e 1,5 mg (Pratley et al., 2018).

Nello studio SUSTAIN 9, la semaglutide (1 mg/settimana per via sottocutanea) è stata confrontata con placebo in pazienti in terapia con SGLT2 inibitore con o senza metformina o sulfanilurea. Lo studio durato 30 settimane, ha evidenziato come la semaglutide sia risultata più efficace del placebo nel raggiungere valori di emoglobina glicata inferiori al 7% (78,7% vs 18,7% dei pazienti) in pazienti con glicemia non controllata (HbA1c al basale compreso tra 7 e 10%). I pazienti in terapia con semaglutide hanno ottenuto variazioni di emoglobina glicata e di peso corporeo maggiori rispetto al placebo (differenza stimata pari a −1,42% per HbA1c e −3,81 kg per il peso corporeo: per entrambi i parametri p<0,0001). L´incidenza di eventi avversi è risultata pari al 69,3% con semaglutide e al 60,3% con placebo e limitatamenti agli eventi avversi gravi, rispettivamente pari a 4,7% e 4,0%; gli eventi avversi gastrointestinali hanno coinvolto il 37,3% dei pazienti trattati con il GLP−1 RA vs il 13,2% dei pazienti del gruppo placebo. Ipoglicemia severa è stata riportata nel 2,7% dei pazienti del gruppo semaglutide (Zinman et al., 2019a).

Nello studio SUSTAIN 10, la semaglutide (1 mg/settimana) è stata confrontata con liraglutide (1,2 mg/die) in pazienti diabetici (HbA1c: 7−11%) interapia con 1−3 farmaci ipoglicemizzanti. Dopo 30 settimane i pazienti che avevano assunto semaglutide hanno visto ridurre di 1,7% il valore di emoglobina glicata, contro l´1% dei pazienti trattati con liraglutide (differenza stimata: −0,69%; p <0,0001). Anche il peso corporeo era diminuito in media di più con semaglutide rispetto a liraglutide (−5,8 kg vs −1,9 kg; differenza stimata −3,83 kg; p<0,0001). L´incidenza di eventi avversi gastrointestinali è risultata pari al 43,9% vs 38,3% rispettivamente con semaglutide e liraglutide e il tasso di interruzione del trattamento per eventi avversi è risultato rispettivamente dell´11,4% vs 6,6%) (Capehorn et al., 2020).

Nello studio SUSTAIN 11, pazienti in terapia con insulina glargine e metformina con diabete non controllato (HbA1c: 7,5−10%) sono stati trattati con semaglutide una volta a settimana oppure con insulina aspart 3 volte al giorno. Dopo 52 settimane la variazione stimata per HbA1c è risultata di −0,29% tra i due gruppi di trattamento (p <0,0001 per la non inferiorità) con una riduzione dell´emoglobina glicata di 1,5% punti per semaglutide e 1,2% punti per insulina aspart. Nei pazienti trattati con semaglutide il calo ponderale è risultato più favorevole (−4,1 kg vs +2,8 kg; differenza stimata −6,99 kg). L´incidenza di ipoglicemia è risultata simile tra i due farmaci cosí come l´incidenza complessiva di eventi avversi, pari a 58,2% vs 52,1% rispettivamente con semaglutide e insulina aspart (Kellerer et al., 2022).

Studi clinici PIONEER
La serie di studi PIONEER (9543 pazienti) ha confrontato la semaglutide orale (3 mg, 7 mg e 14 mg/die) con placebo (PIONEER 1), con placebo aggiunto al trattamento basale con insulina (PIONEER 5), con empagliflozin 25 mg/die (PIONEER 2), liraglutide 0,9 mg o 1,8 mg e placebo (PIONEER 4 e 9), con sitagliptin 100 mg (PIONEER 3 e 7) e con dulaglutide 0,75 mg (PIONEER 10). La durata del trattamento variava da 26 settimane (PIONEER 1 e 5), a 52 settimane (PIONEER 2, 4, 7, 8 e 9), fino a 78 settimane (PIONEER3).

Nello studio PIONEER 1, la semaglutide orale è stata confrontata in monoterapia contro placebo in pazienti con diabete di tipo 2 mai trattati. La semaglutide è stata somministrata in tre diversi dosaggi: 3 mg/die, 7 mg/die e 14 mg/die. I pazienti presentavano al basale valori di glicemia glicata pari all´8,0% e un indice di massa corporea, BMI, di 31,8 kg/m2; tutti i pazienti erano diabetici in media da 3,5 anni. Al termine dello studio la semaglutide è risultata più efficace del placebo nel ridurre la glicemia glicata e il peso corporeo: le riduzioni maggiori sono state osservate con la dose più alta di farmaco (variazioni glicemia glicata vs placebo: −0,6% , −0,9% e −1,1% con semaglutide 3 mg, 7 mg e 14 mg; riduzione del peso vs placebo: −0,1 kg (p=0,87), −0,9 kg (p=0,09) e −2,3 kg (p<0,001) rispettivamente con la dose di 3 mg, 7 mg e 14 mg). L´incidenza di eventi avversi con semaglutide orale è risultata simile a quella già riscontrata con il farmaco in formulazione iniettabile (Aroda et al., 2019).

Nello studio PIONEER 8, i pazienti arruolati erano diabetici in media da 15 anni, in terapia con insulina o metformina. L´aggiunta di semaglutide orale − nei pazienti in terapia con insulina, la dose di insulina è stata inizialmente ridotta e poi successivamente aggiustata − ha determinato un miglioramento statisticamente signficativo del controllo glicemico e della riduzione del peso corporeo. Dopo 52 settimane di trattamento, l´emoglobina glicata è diminuita (ETD, estimate treatment difference) rispetto al placebo dello 0,4%, dello 0,6% e dello 0,9% rispettivamente con semaglutide orale 3 mg, 7 mg e 14 mg. La differenza di peso tra il gruppo placebo e i gruppi trattati con l´agonista GLP−1 è risultata di −0,8 kg, −2,5 kg e −4,3 kg rispettivamente con la dose di 3 mg, 7 mg e 14 mg. Inoltre rispetto al placebo, i pazienti in terapia con semaglutide hanno visto ridurre la dose di insulina necessaria (Zinman et al., 2019).

Nello studio PIONNER 2, la semaglutide orale (14 mg) è stata confrontata con empagliflozin (25 mg), inibitore del co−trasportatore 2 del glucosio (SGLT−2 inibitore), in pazienti diabetici in monoterapia con metformina. Anche in questo contesto la semaglutide è risutata più efficace di empagliflozin nel controllo glicemico (riduzione dell´emoglobina glicata: 1,3% vs 0,9%) e nella gestione del peso. Benchè la differenza di peso non abbia raggiunto la significatività statistica (−3,8 kg vs −3,6 Kg, p=0,6231), l´uso di una specifica analisi statistica chiamata “trial product estimand” ha rilevato una riduzione media del peso di −4,7 kg con semaglutide e di −3,8 kg con empagliflozin statisticamente significativa (p=0,0114). Per quanto riguarda la glicemia, i pazienti in trattamento con semaglutide hanno raggiunto il valore target di emoglobina glicata pari al 7% in proporzione maggiore rispetto a empagliflozin (66,1% vs 43,2%, p<0,0001). La capacità di semaglutide di controlalre la glicemia in maniera più efficace è dovuta soprattutto agli effetti sulla glicemia postprandiale, i valori infatti di glicemia a digiuno sono risultati sovrapponibile nei pazienti trattati con l´agonista del recettore del GLP−1 o con l´inibitore SGLT−2 (Rodbard et al., 2019).

Negli studi PIONEER 3 e 7, la semaglutide orale è stata confrontata con sitagliptin, farmaco ipoglicemizzante della classe degli inibitore della dipeptidil−peptidasi 4 (DPP−4). Nello studio PIONEER 3 semaglutide (3 mg, 7 mg, 14 mg) è stata confrontata con sitagliptin (100 mg), in pazienti con diabete di tipo 2 che assumevano metformina con o senza sulfanilurea. La semaglutide è risultata più efficace di sitagliptin nel ridurre l´emoglobina glicata alla dose di 7 mg e 14 mg, ma non a quella più bassa di 3 mg (alla 26iesima settimana la differenza media di HbAIc risultava −0,8% vs −0,6% vs −1,0% vs −1,3% rispettivamente con sitagliptin, semaglutide 3 mg, 7 mg e 14 mg; riduzione dell´HbA1c alla 78esima settimana rispetto a sitagliptin: 0,0%, 0,1% e 0,4% con semaglutide 3 mg, 7 mg e 14 mg). In merito alla gestione del peso, la semaglutide è stata associata a riduzioni maggiori comprese tra 1,7 e 2,1 kg (p=0,02 per la dose di 3 mg e p<0,001 per le dosi di 7 mg e 14 mg) (Rosenstock et al., 2019).

Nello studio PIONEER 7 la semaglutide orale è stata utilizzata titolando la dose a seconda della risposta terapeutica, con incrementi ogni 8 settimane. I partecipanti allo studio presentavano un controllo della glicemia non ottimale nonostante l´assunzione di uno o due farmaci ipoglicemici orali. Al termine dello studio, della durata di 52 settimane, i pazienti in terapia con semaglutide erano cosí suddivisi: 9% in terapia con 3 mg/die, 30% in terapia con 7 mg/die e 59% in terapia con 14 mg/die. La semaglutide è risultata più efficace di sitagliptin nel ridurre i valori di emoglobina glicata (differenza media di −0,5%, p<0,0001) e di peso corporeo (differenza media di −1,9 kg, p<0,0001). L´incidenza di eventi avvrsi è stata pari al 78% vs 69% rispettivamente con semaglutide e sitagliptin e l´evento avverso segnalato con più frequenza nei pazienti che assumevano l´analogo del GLP−1 è stata la nausea (Pieber et al., 2019).

Gli studi PIONEER 4, 9 e 10 hanno confrontato la semaglutide orale contro farmaci della stessa classe, liraglutide e dulaglutide, somministrati per via sottocutanea. Nei primi due studi la semaglutide è stata confrontata con la liraglutide. In un caso (PIONEER 4) la dose dei due farmaci è stata gradualmente aumentata fino a 14 mg/die per la semaglutide orale e fino a 1,8 mg/die per la liraglutide sottocutanea. Nel secondo caso (PIONEER 9) la semaglutide orale è stata somministrata alla dose di 3 mg, 7 mg e 14 mg/die e la liraglutide alla dose di 0,9 mg/die (il trial è stato condotto in Giappone dove la dose di 0,9 mg/die era la massima consentita).

Nello studio PIONEER 4 la semaglutide orale è risultata non inferiore a liraglutide e superiore al placebo nel controllare la glicemia. La riduzione dell´emoglobina glicata a 26 settimane è risultata di −1,2% vs −1,1% vs −0,2% rispettivamente con semaglutide orale, liraglutide iniettabile e placebo; a 52 settimane la variazione dell´emoglobina glicata è risultata inferiore dello 0,3% con semaglutide rispetto a liraglutide e dell´1,0% rispetto al placebo. Semaglutide è risultata poi superiore al competitor e al placebo nel ridurre il peso corporeo sia a 26 settimane (riduzione media di 1,2 kg rispetto a liraglutide e di 3,8 kg rispetto al placebo) che a 52 settimane (riduzione media di 1,3 kg rispetto a liraglutide e di 3,3 kg rispetto al placebo) (Pratley et al., 2019).

Nello Studio PIONEER 9, dopo 26 settimane tutte le tre dosi di semaglutide orale (3 mg, 7 mg e 14 mg/die) sono risultate superiori al placebo (p<0,0001) e la dose più alta di semaglutide orale superiore alla liraglutide (0,9 mg/die per via sottocutanea) (p=0,0272). Dopo 52 settimane la superiorità della semaglutide sul placebo si è mantenuta, mentre le differenze tra semaglutide e liraglutide non sono risultate significative. In termini di riduzione dell´emoglobina glicata, la dose da 7 mg di semaglutide orale è risultata eqvivalente e la dose di 14 mg/die superiore a liraglutide 0,9 mg/die nel contesto di popolazione arruolata nello studio clinico (Yamada et al., 2020).

Nello studio PIONEER 10 la semaglutide orale 3 mg, 7 mg e 14 mg è stata confrontata con dulaglutide, altro agonista GLP−1 somministrato per via sottocutanea una volta alla settimana. Alla 52esima settimana di trattamento la variazione di emoglobina glicata rispetto al basale è risultata pari a −0,9% vs −1,4% vs −1,7% vs −1,4% rispettivamente con semaglutide orale 3, 7 e 14 mg/die e dulaglutide. Solo la dose più alta di semaglutide orale è risultata superiore alla dulaglutide (p=0,0170). In termini di riduzione ponderale, la semaglutide orale 7 mg e 14 mg è risultata superiore alla dulaglutide (−1,9 kg e −2,4 kg con valori di p<0,0001 per entrambe le dosi di semagluide rispetto al competitor). L´incidenza di eventi avversi è stata simile tra i due farmaci: 77−85% con semaglutide orale vs 82% con dulaglutide (Yabe et al., 2020).

Nello studio PIONEER 5 la semaglutide orale è stata confrontata con placebo in pazienti con diabete di tipo 2 e insufficienza renale. I partecipanti allo studio, in terapia da almeno 3 mesi con metformina e/o sulfanilurea oppure insulina con/senza metformina, sono stati randomizzati a ricevere semaglutide orale (da a 3 mg a 14 mg/die) oppure placebo per 26 settimane. Nel gruppo trattato con semaglutide l´emoglobina glicata è diminuita in media dello 0,8% e il peso corporeo di 2,5 kg (p<0,0001 per entrambi i valori). Inoltre l´aggiunta dell´agonista del recettore del GLP−1 ha indotto un miglioramento del rapporto albumina/creatinina, peggiorato nel gruppo placebo, edeterminato una riduzione statisticamente significativa rispetto al placebo dei valori di pressione sistolica (−7 mmHg) e diastolica (−2 mmHg) (Mosenzon et al., 2019).

Lo studio PIONEER 6 ha valutato la sicurezza cardiovascolare della semaglutide orale (Husain et al., 2019). I pazienti arruolati associavano alla patologia diabetica un rischio cardiovascolare elavato. L´esito clinico principale dello studio era l´incidenza di un evento vascolare maggiore (MACEs): morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale o ictus non fatale. Durante il follow up di 15,9 mesi, la percentuale di pazienti che ha manifestato un evento cardiovascolare maggiore è stata il 3,8% vs 4,8% rispettivamente con semaglutide e placebo. L´analisi dei dati ha attestato la non inferiorità della semaglutide rispetto al placebo (riduzione del rischio di MACE del 21% con semaglutide, hazard ratio (HR) 0,79, p<0,001), ma non è stata raggiunta la significatività statistica per l´attestazione di superiorità. Nonostante questo, il rischio di morte cardiovascolare e morte per qualsiasi causa è diminuito rispettivamente del 51% e 49% con semaglutide rispetto al placebo. Il campione di pazienti arruolato nello studio PIONEER 6 aveva lo stesso profilo di rischio del campione dello studio SUSTAIN 6 che avava valutato la sicurezza cardiovascolare della semagluitde sottocutanea. Quest´ultimo studio ha dimostrato la superiorità della semaglutide sottocutanea rispetto al placebo (riduzione del rischio di MACE del 26%, HR 0,74) (Pratley et al., 2018). E´ possibile che il diverso esito dei due studi clinici sia imputabile alla differente durata dei trial (64 vs 104 settimane rispettivamente PIONEER 6 e SUSTEIN 6) che può aver influito sul numero di eventi cardiovascolari osservabili (Husain et al., 2019).

Osteopatia diabetica
Nei pazienti con diabete di tipo 2 l´incidenza di osteopatia è più alta rispetto alla popolazione generale. Il diabete compromette la qualità dell´osso ed espone ad un rischio aumentato di frattura alla colonna vertebrale e all´anca. La somministrazione di semaglutide e dulaglutide una volta alla settimana per via sottocutanea, per un anno, in pazienti con diabete di tipo 2 ha sostanzialmente preservato la qualità dell´osso. La valutazione della densità minerale ossea effettuata con densitometria DXA (assorbimetria a raggi X a doppia energia) e REMS (multispettrometria ecografica a radiofrequenza) ha riportato una riduzione statisticamente significativa nel primo caso, non significativa nel secondo. Inoltre i valori dello score trabecolare (TBS) hanno evidenziato un trend in aumento, seppure marginale (Al Refaie et al., 2024).

Obesità
Dal 1975 ad oggi l´incidenza di obesità nel mondo è triplicata (World Health Organization − WHO, 2021). L´obesità rappresenta un fattore di rischio per malattie metaboliche e cardiovascolari. Di contro, una riduzione del peso in pazienti con sovrappeso o obesità si associa ad una riduzione del rischio cardiovascolare, al miglioramento del profilo metabolico con riduzione della resistenza all´insulina e aumento della sensibilità a questo ormone, ad una diminuzione dell´infiammazione sistemica, al miglioramento della funzione endoteliale, con effetti positivi sulla salute fisica e mentale.

Nelle persone con un aumento importante del peso corporeo, l´intervento terapeutico combina un adeguato stile di vita (regime alimentare, attività fisica) con trattamenti farmacologici, fino ad interventi di chirurgia bariatrica in caso di obesità molto grave.

Nel 2021 l´Agenzia americana che si occupa di farmaci (Food and Drug Administration, FDA) ha approvata la semaglutide per il trattamento dell´obesità o del sovrappeso in pazienti con almeno una comorbilità legata al peso corporeo (glicemia alta, diabete, malattia cardiovasoclare, ipertensione, apnea ostruttiva). Il farmaco è indicato, in combinazione ad uno stile di vita adeguato, nei pazienti adulti e nei pazienti pediatrici con almeno 12 anni di età. La semaglutide è stata approvata nella formulazione sottocutanea, ma come già successo per il trattamento del diabete di tipo 2, i ricercatori stanno valutando la possibilità di estendere l´indicazione per il trattamento dell´obesità alla formulazione orale (Knop et al., 2023).

L´efficacia della semaglutide nell´indurre perdita di peso, che in alcuni casi può arrivare al 20−25%, ha sancito la popolarità di questo farmaco e causato problemi diffusi di approvigionamento anche come antidiabetico. La semaglutide agisce sopprimendo l´appetito, stimolando il senso di sazietà, riducendo l´apporto calorico e la propensione verso cibi grassi e ad alto contenuto energetico. Con semaglutide sottocutanea 1 mg, ad esempio, l´apporto energetico diminuisce del 24% nell´arco della giornata (Blundell et al., 2017). Negli studi clinici il farmaco è risultato efficace nel ridurre il peso corporeo sia quando somministrato per via sottocutanea (2,4 mg) una volta alla settimana (studi clinici della serie STEP − Semaglutide Treatment Effect in People with obesity) sia quando somministrato per via orale (50 mg una volta al giorno) (Knop et al., 2023; Friedrichsen et al., 2021; Aroda et al., 2019a).

Gli effetti sul peso della semaglutide sono stati confermati in diversi studi clinici, per lo più riferiti alla formulazione iniettabile. In questi studi la somministrazione di semaglutide, somministrata per un tempo massimo di 68 settimane, si associa ad una perdita di peso significativa e al miglioramento di diversi parametri cardiometabolici quali girovita, indice di massa corporea, pressione arteriosa, emoglobina glicata, glicemia a digiuno e profilo lipido plasmatico (Friedrichsen et al., 2021; Rubino et al., 2021).

La somministrazione di semaglutide per via sottocutanea (2,4 mg/settimana) per 68 settimane ha determinato una riduzione media del peso corporeo pari al 14,9% contro il 2,4% nel gruppo placebo (studio clinico STEP 1). Il trattamento con l´analogo del GLP−1 ha determinato una perdita di peso uguale o maggiore al 5%, 10% e 15% in una percentuale di pazienti più alta rispetto al gruppo di controllo, rispettivamente pari a 86,4% vs 31,5%, a 69,1% vs 12,0%, a 50,5% vs 4,9% (Wilding et al., 2021). Combinando la terapia farmacologica con semaglutide ad interventi di stile di vita intensivi (studio clinico STEP 3), la riduzione ponderale può aumentare in media di un punto percentuale (dal 15% al 16% dopo 68 settimane) (Wadden et al., 2021). Inoltre i pazienti in terapia con semaglutide hanno riscontrato un miglioramento maggiore in termini di rischio cardiometabolici e funzionalità fisica. Gli eventi avversi più frequenti sono stati nausea e diarrea, lieve e transitori nella maggior parte dei pazienti, ma che nel 4,5% (vs 0,8%) hanno determinato l´interruzione del trattamento (Wilding et al., 2021).

La semaglutide è risultata efficace nella gestione del peso corporeo anche nella popolazione asiatica che presenta peculiari caratteristiche nella distribuzione del grasso (maggior tendenza ad accumulare il grasso a livello viscerale), nella predisposizione all´obesità (rischio di complicanze metaboliche a valori di indice di massa corporea (BMI) più bassi) e nella risposta ai trattamenti rispetto a popolazioni non asiatiche. Nello studio STEP 6, condotto in un campione di pazienti asiatici obesi/sovrappeso, con o senza diabete di tipo 2, la semaglutide è risultata più efficace del placebo nel ridurre peso corporeo (la percentuale di pazienti che ha perso almeno il 5% del proprio peso è risultata pari all´83% vs 72% vs 21% rispettivamente con semaglutide sottocutanea 2,4 mg/sett, 1,7 mg/sett e placebo) e grasso viscerale (40% vs 22,2% vs 6,9% rispettivamente con semaglutide 2,4 mg e 1,7 mg e placebo) (Kadowaki et al., 2022).

Tutti gli interventi volti a ridurre il peso corporeo, dal cambiamento dello stile di vita, all´uso di farmaci fino alla chirurgia bariatrica, ottengono un effetto, minore o maggiore a seconda del trattamento, oltre il quale però, pur prosegunedo gli sforzi, non si riesce a progredire: la curva “kg persi/tempo” arriva cioè ad un “plateau”, un valore stabile nel tempo. Gli agonisti del recettore del GLP−1 (GLP−1 RA) non si sottraggono a questa sorte di “legge”, ma rispetto alla sola restrizione dietetica raddoppiano il tempo per arrivare al proprio valore di plateau (12 mesi vs 24 mesi rispettivamente) secondo un modello matematico che combina metabolismo energetico e dinamica della composizione corporea per simulare l´andamento medio della perdita di peso in risposta all´intervento clinico (Hall, 2024). Questa osservazione è emarsa dallo studio clinico STEP 5 in cui pazienti obesi o sovrappeso con almeno una comorbilità correlata al peso sono stati trattati con semaglutide sottocutanea o placebo per 104 settimane (tutti i pazienti seguivano una dieta ipocalorica e un programma di attività fisica adeguato). Nel gruppo trattato con l´agonista del recettore del GLP−1 il peso è diminuito fino alla 68esima settimana, dopo la quale si è stabilizzato (plateau), mentre nel gruppo placebo il valore di plateau è stato raggiunto dopo solo 20 settimane (Garvey et al., 2022).

Nello studio SELECT, la perdita di peso nei pazienti in sovrappeso o con obesità, ma non diabetici, trattati con semaglutide (2,4 mg/settimana) è continuata fino alla 65esima settimana e si è mantenuta poi fino a 4 anni (perdita di peso media: 10,2%). L´agonista del recettore del GLP−1 è stato associato anche ad una riduzione del giro vita (−7,7 cm) e del rapporto girovita/altezza (−6,9%) rispetto al placebo (il grasso addominale è fattore di rischio cardiovascolare). In questo stesso studio, analisi secondarie hanno mostrato come i pazienti di sesso femminile fossero propensi a perdere più peso di quelli di sesso maschile (−11,1% vs −7,5%, p<0,0001), probabilmente per una maggior esposizione al farmaco, e come i pazienti con BMI iniziale più alto perdessero più peso rispetto a quelli con BMI iniziale minore (Ryan et al., 2024).

L´interruzione del trattamento con semaglutide comporta un “ri−guadagno” dei kg persi. Una quota dei partecipanti allo studio STEP−1 sono stati seguiti dopo aver interrotto la terapia farmacologica (semaglutide o placebo) e gli interventi sullo stile di vita. La valutazione del peso alla 120esima settimana ha visto un recupero dell´11,6% e dell´1,9% del peso nei pazienti che precedentemente avevano perso, rispettivamente, il 17,3% del peso con semaglutide e il 2,0% con placebo. Nei pazienti ex−semaglutide sussisteva ancora una perdita netta di peso del 5,6% (vs 0,1% ex gruppo placebo). I miglioramenti cardiometabolici riscontrati al termine dello studio STEP−1 (68esima settimana) non si sono mantenuti con la sospensione della semaglutide (Wilding et al., 2022). Analogamente, nello studio clinico STEP 4, i pazienti in terapia di mantenimento con semaglutide (2,4 mg/settimana per 20 settimane) che hanno interrotto il farmaco, hanno visto un aumento progressivo del proprio peso rispetto ai pazienti assegnati invece al gruppo che continuava la terapia fino alla 68 settimana (durata dello studio clinico). Nei pazienti che alla 20esima settimana erano passati al placebo, al termine dello studio il peso finale rimaneva comunque inferiore al valore del peso al basale (inizio dell´arruolamento) (Rubino et al., 2021).

Nello studio clinico STEP−2, la semaglutide è stata valutata per la gestione del peso in pazienti con diabete di tipo 2. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere semaglutide 2,4 mg o 1 mg una volta a settimana o placebo per 68 settimane. Al termine dello studio, la variazione del peso rispetto al basale è stata pari a −9,6% con semaglutide 2,4 mg vs −3,4% con placebo. La percentuale di pazienti che hanno raggiunto una perdita di peso almeno del 5% è stata maggiore con il GLP−1 RA rispetto al placebo (68,8% vs 28,5%) L´incidenza di eventi avversi è risultata quasi doppia con semaglutide rispetto al plecebo (63,5% vs 57,5% vs 34,3% rispettivamente con semaglutide 2,4 mg, 1 mg e placebo) (Davies et al., 2021).

Nella formulazione orale, la semaglutide (50 mg/die) somministrata per 68 settimane (studio clinico OASIS 1), è stata associata ad una riduzione del peso corporeo del 15,1% contro il 2,4% nel gruppo placebo e l´84,9% dei pazienti trattati con il farmaco ha sperimentato una perdita di peso uguale o superiore al 5% contro solo il 25,8% dei pazienti nel gruppo di confronto. Inoltre, il 69% vs 12% dei pazienti, rispettivamente con semaglutide e placebo, ha perso almeno il 10% del peso, il 54% vs 6% il 15% del peso e il 34% vs 3% il 20% del peso. L´incidenza di eventi avversi è stata pari al 92% con semaglutide e all´86% con placebo e circa l´80% dei pazienti, vs 45% nel gruppo placebo, ha manifestato sintomi gastrointestinali (Knop et al., 2023).

Le evidenze disponibili indicano un effetto della semaglutide sulla perdita di peso maggiore nei pazienti non diabetici rispetto ai pazienti diabetici. Uno studio ha voluto approfondire questo aspetto e ha preso in considerazione pazienti obesi con diabete di tipo 2. I pazienti sono stati suddivisi in 3 gruppi a seconda della gravità del diabete (lieve, moderato, severo), valutata con punteggio IMS (Individualized metabolic surgery scoring system) basato su 4 parametri: emoglobina glicata <7%, uso di insulina, numero di farmaci antidiabetici utilizzati e durata del diabete. Lo studio di coorte retrospettivo ha indagato la perdita di peso in base al punteggio iniziale IMS, suddiviso in 4 parti o quartili, da 1 a 4 in ordine di punteggio crescente. Dopo 12 mesi la percentuale di peso perso diminuiva all´aumentare del punteggio IMS: 8,8% per il quartile 1; 6,9% per il quartile 2; 5,7% per il quartile 3; 5,0% per il quartile 4. Tutti i 4 parametri del punteggio IMS risultavano indipendentemente associati a risultati di perdita di peso significativamente inferiori. Inoltre i parametri glicemici (glicemia a digiuno e emoglobina glicata) non sono migliorati indipendentemente dalla gravità iniziale dell´IMS (Ghusn et al., 2024).

La semaglutide è risultata efficace nel trattamento dell´obesità o sovrappeso anche nei pazienti pediatrici. In uno studio in doppio cieco in ragazzi di età compresa tra 12 e 18 anni, la somministrazione di semaglutide sottocutanea (2,4 mg/settimana) ha determinato una variazione dell´indice di massa corporea (BMI), rispetto al basale, di 16,1 punti percentuali rispetto a 0,6 punti percentuali con il placebo. Al termine dello studio (68esima settimana di trattamento), il 73% dei ragazzi trattati con il farmaco dimostrava una riduzione del proprio peso almeno del 5% contro il 18% del gruppo placebo. Nel gruppo trattato inoltre miglioravano anche i fattori di rischio cardiometabolici: girovita, emoglobina glicata, lipidi plasmatici, alanina aminotransferasi. Eventi avversi seri sono stati riportati nell´11% vs 9% dei ragazzi trattati rispettivamente con semaglutide e placebo. Nel gruppo trattato con il farmaco il 4% dei pazienti ha sviluppato calcoli biliari (colelitiasi) contro nessun paziente del gruppo placebo (Weghuber et al., 2022).

La perdita di peso indotta da semaglutide interessa principalmente la massa grassa, ma riduzioie comprese tra 0% e 40% rispetto al peso perso sono state riportate anche per la massa magra (LBM, Lean Body Mass) soprattutto negli studi di maggiori dimensioni in pazienti in sovrappeso o con obesità. La perdita di massa magra è correlata ad un aumento della mortalità e ad una minore durata della vita. Nei pazienti anziani con obesità combinata ad una generale perdita di forza e funzionalità muscolare (obesità sarcopenica) un´eccessiva perdita di massa magra potrebbe rappresentare un problema. Per ovviare alla perdita di massa magra, i ricercatori stanno valutando l´associazione tra farmaci GLP−1 RA antiobesità e farmaci che preservino la massa muscolare, come ad esempio l´anticorpo monoclonale bimagrumab (NCT056166013; Nunn et al., 2024) Comunque negli studi in cui la semaglutide è stata associata a perdita di massa magra, di fatto il rapporto della massa magra rispetto al peso è aumentato, suggerendo un bilancio complessivamente positivo (Bikou et al., 2024).

Non tutti i pazienti rispondono al trattamento con GLP−1 RA. Uno studio preliminare ha osservato che combinando semaglutide o liraglutide con bupropione/naltrexone la riduzione del peso aumenta di un ulteriore 4−5% anche in chi aveva ottenuto una riduzione del peso inferiore al 5% con i GLP−1 RA (Naude et al., 2024).

Nei pazienti obesi con osteoartrite al ginocchio la semaglutide ha ridotto il dolore e migliorato la funzionalità articolare. La perdita di peso è una delle raccomandazioni di base nei pazienti con peso eccessivo e artrosi al ginocchio. Nello studio STEP−9, i cui risultati sono stati presentati al World Congress on Osteoarthritis tenutosi a Vienna nel mese di aprile del 2024, dopo 68 settimane di trattamento i pazienti in terapia con semaglutide sottocutanea (2,4 mg/settimana) presentavano una riduzione del punteggio di valutazione del dolore e della mobilità dell´articolazione dell´Indice WOMAC (Western Ontario and McMaster Universities Arthritis Index), rispettivamente di 41,7 punti vs 27,5 punti con placebo (p<0,001) e di 41,5 vs 26,7 punti (p<0,001). Quest´esito si accordava alla maggior riduzione di peso con semaglutide rispetto al placebo (13,7% vs 3,2%). I partecipanti allo studio STEP−9, oltre ad un BMI maggiore di 30 presentavano diagnosi clinica di osteoartrite al ginocchio con segni di alterazione radiografica di grado moderato (grado 2−3 secondo la classificazione di Kellgren−Lawrance) e dolore articolare. Resta da chiarire se, come già sottolineato anche per altri ambiti, l´effetto della semaglutide vada oltre il solo calo ponderale e cosa succeda quando si interrompe la terapia con GLP−1 RA e il paziente va incontro ad un ri−guadagno dei kg persi (Bliddal et al., 2024).

L´obesità rappresenta un fattore di rischio per infertilità nell´uomo. L´aumento eccessivo del peso corporeo può infatti modificare l´assetto degli ormoni sessuali, peggiorare vitalità e motilità degli spermatozoi e aumentare il rischio di disfunzione erettile. La presenza di recettori per il GLP−1 nel sistema riproduttivo maschile (in particolare sulle cellule di sertoli e di Leydig) unitamente ad alcuni risultati in vitro e sugli animalidi laboratorio hanno suggerito la possibilità che gli agonisti del recettore del GLP−1 possano rappresentare un´opportunità nel trattamento dell´infertilità in pazienti in sovrappeso o con obesità. Le limitate evidenze cliniche però non consentono ancora di stabilire se l´effetto positivo associato a questi farmaci vada al di là di un beneficio indiretto legato alla perdita di peso (il calo ponderale si accompagna ad un miglioramento della qualità degli spermatozoi) (Andersen et al., 2022; Mir et al., 2018).

Dati preliminare indicherebbero un ulteriore vantaggio nell´uso degli agononisti del recettore del GLP−1: un minor rischio di tumori correlati all´obesità rispetto all´insulina, ma non rispetto alla metformina. Il tessuto adiposo produce diverse adipochine tra cui la leptina, coinvolta nella regolazione del bilancio energetico. Nei pazienti obesi e diabetici la resistenza alla leptina determina concentrazioni elevate di quest´ormone che è stato associato ad aggressività tumorale e metastasti per gli effetti proinfiammatori e di stimolazione della proliferazione cellulare. Lo studio che ha indagato GLP−1 RA e tumori associati all´obesità ha preso in considerazione le cartelle cliniche elettroniche di 1,6 milioni di pazienti con diabete di tipo 2, non affetti da tumori correlati all´obesità, in terapia con GLP−1 RA, insulina o metformina dal marzo 2005 a novembre 2018. Nei 15 anni di follow up gli GLP−1 RA sono risultati associati ad un minor rischio di 10 su 13 tumori correlati all´obesità rispetto all´insulina. Un rischio inferiore è stato riscontrato per il tumore a esofago, colon−retto, endometrio, cistifellea, rene, fegato, ovaia, pancreas, meningioma e mieloma multiplo. Le tre tipologie di tumore non correlate erano il tumore allo stomaco, al seno e alla tiroide. Rispetto ai pazienti in terapia con metformina, i pazienti che assumevano GLP−1 RA hanno mostrato un rischio più basso (differenza statisticamente non signficativa) per il tumore del colon−retto e un rischio più alto (differenza statisticamente significativa) per il tumore del rene (Wang et al., 2024).

Per quanto riguarda il tumore alla tiroide − negli studi preclinici i roditori hanno evidenziato un aumento dell´incidenza di tumori delle cellule C della tiroide − uno studio clinico della durata di quasi 4 anni esclude l´associazione tra questo tumore e l´uso di GLP−1 RA. Lo studio si basa sui dati raccolti nei registri nazionali di Danimarca, Norvegia e Svezia tra il 2007 e il 2021 relativo a più di 140mila pazienti che hanno iniziato una terapia con GLP−1 RA (i farmaci più prescritti: liraglutide e semaglutide). Tramite la tecnica statistica Propensity Score Metching (PSM) i pazienti in terapia con GLP−1 RA sono stati abbinati ad altrettanti pazienti in terapia con farmaci antidiabetici della classe degli DPP4−inibitori (inibitori della dipeptidil−peptidasi 4) come farmaco di confronto. Durante il follow up, l´incidenza di tumori alla tiroide non è risultata diversa tra i due gruppi di pazienti (hazard ratio, HR, 0,93, IC95% 0,66−1,31). Tra i casi di tumore alla tiroide riportati (76 nel gruppo GLP−1 RA e 184 nel gruppo DPP4 inibitori) i più frequenti sono stati il cancro papillare, il sottotipo più comune, seguito dal cancro follicolare e midollare (Pasternak et al., 2024).

Semaglutide e rischio cardiovascolare
Studio clinico SUSTAIN 6
Il primo studio che ha valutato l´impatto della semaglutide sul rischio cardiovascolare è stato il trial SUSTAIN 6. Focus dello studio era verificare la “non inferiorità” della semaglutide sottocutanea (0,5 mg e 1 mg) rispetto al placebo in pazienti con diabete di tipo 2 considerando come outcome primario l´esito clinico composito per eventi cardiovascolari maggiori (MACE, major cardiovascular events): morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale. L´83% dei pazienti arruolati presentava diagnosi per malattia cardiovascolare e/o malattia renale cronica. Al termine dello studio i pazienti trattati con semaglutide presentavano una riduzione del rischio di MACE del 26 % (hazard ratio o HR 0,74 IC95% 0,58−1,08; p< 0,001 per la “non−inferiorità”) (Marso et al., 2016).

Queste osservazioni sono state confermate in diversi studi clinici e meta−analisi che supportano un effetto specifico per gli agonisti del recettore del GLP−1 nel ridurre il rischio di eventi cardiovascolari maggiori (MACE) nei pazienti diabetici. In particolare questa classe di farmaci è risultata ridurre il rischio di mortalità per tutte le cause del 12%, il rischio di ricovero per insufficienza cardiaca dell´11% e il rischio di un peggioramento della funzionalità renale del 21% (Sattar et al., 2021). Per quanto riguarda l´ictus, una meta−analisi di 48 studi clinici relativi ad 8 classi di farmaci ipoglicemici riporta solo per i tiazolidinedioni e gli analoghi del GLP−1 una riduzione statisticamente significativa del rischio (Benn et al., 2021). I farmaci antidiabetici tradizionali infatti non hanno mai dimostrato un effetto di protezione verso l´ictus nei principali studi clinici e nel caso degli analoghi del GLP−1 tale effetto non sembra legato ad un controllo glicemico più stretto (ACCORD study Group, 2011). Nello studio SUSTAIN 6, la semaglutide è stata associata ad una riduzione della componente di ictus non fatale dell´esito clinico primario del 39% (HR 0,61 IC95% 0,38−0,99; p=0,04) (Marso et al., 2016). Una successiva analisi degli studi SUSTEIN 6 e PIONNER 6 ha dimostrato una diminuzione del rischio di ictus fatale/non fatale del 32% per la semaglutide (HR 0,68 IC95% 0,46−1,00; p=0,048) (Strain et al., 2020). La riduzione del peso corporeo indotta dalla semaglutide non sembra essere un fattore sufficiente a giustificare la riduzione del rischio di ictus. Gli SGLT2 inibitori, ad esempio, determinano cali ponderali simili agli antagonisti del recettore del GLP−1, ma non mostrano analoghi effetti sul rischio di ictus. Sulla base di questi dati gli USA, hanno quindi approvato la semaglutide per ridurre il rischio di MACE in pazienti adulti con diabete di tipo 2 e diagnosi di malattia cardiovascolare (Food and Drug Administration − FDA, 2023). E diverse società scientifiche hanno iniziato a raccomandare l´uso degli analoghi del GLP−1 per ridurre il rischio di ictus in pazienti diabetici con fattori di rischio o malattia cardiovascolare accertata (Gladstone et al., 2022; Handelsman et al., 2022; Fuentes et al., 2021; Kleindorfer et al., 2021; Diabetes Canada Clinical Practice Guidelines Expert Committee, 2020).

Due i meccanismi principali attribuiti ai GLP−1 RA che potrebbero spiegare gli effetti cerebrovascolari: la neuroprotezione e la riduzione dell´aterosclerosi cerebrale. A livello molecolare i GLP−1 RA attenuano la componente infiammatoria dell´aterosclerosi diminuendo lo stress ossidativo e l´apoptosi (morte cellulare programmata) e limitando formazione e accumulo di prodotti di glicazione avanzata, sostanze proinfiammatorie. I GLP−1 RA inoltre migliorano la funzione endoteliale e il flusso cerebrale di sangue, promuovono l´angiogenesi e riducono il danno neuonale, l´accumulo di placce amiloidi e il volume dell´infarto nella circolazione cerebrale. Inoltre, riducono ulteriormente il rischio di ictus abbassando i livelli di emoglobina glicata: tra la riduzione dell´emoglobina glicata e la riduzione del rischio di ictus è stata dimostrata una relazione lineare (Goldenberg et al., 2022; Maiorino et al., 2021; Caruso et al., 2020).

Studio clinico SELECT
Benefici cardiovascolari della semaglutide sono stati riscontrati anche in pazienti obesi o in sovrappeso non diabetici, in prevenzione secondaria. Nello studio SELECT la semaglutide, somministrata dopo titolazione alla dose di 2,4 mg/settimana per via sottocutanea, ha determinato una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori (MACE: morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale) del 20% rispetto al placebo. In termini assoluti la riduzione del rischio con semaglutide è stata dell´1,5%, corrispondente ad un valore di NNT di 67 in 34 mesi (NNT: numero di pazienti da trattare per evitare un evento CV maggiore). I partecipanti allo studio erano circa 17mila, di entrambi i sessi, con un´età media ≥45 anni, indice di massa corporea (BMI) ≥27 kg/m2 e con diagnosi di almeno un evento cardiovascolare. Gli effetti della semaglutide sul rischio di un evento cardiovascolare maggiore sono risultati indipendenti dal valore del peso corporeo al basale o dalla quantità di peso persa, suggerendo la possibilità, comunque da confermare, che l´azione del farmaco possa essere in parte indipendente dagli effetti ponderali. A sostegno di questa ipotesi anche la riduzione del 38% dei livelli di proteine C reattiva ad alta sensibilità (PCR−hs), marker di infiammazione cardiovascolare, osservata nei pazienti in terapia con semaglutide indipendentemente dal valore di BMI basale, livelli di colesterolo, uso di statine. La riduzione di PCR ad alta sensibilità si è manifestata prima di un significativo calo ponderale anche nei pazienti in cui la perdita di peso è stata minima (inferiore al 2%). Lo studio SELECT è il primo studio in cui un farmaco per l´obesità abbia ridotto in modo significativo il rischio di eventi cardiovascolari (Lincoff et al., 2023).

Nello studio SELECT l´incidenza di eventi avversi gravi è risultata più alta nel gruppo placebo (36,4% vs 33,4%; p<0,001). Questi eventi hanno incluso problemi cardiaci, infezioni, disturbi del sistema nervoso, tumori benigni, maligni e non specificati e disturbi gastrointestinali. Di contro, gli eventi avversi che hanno portato ad interrompere il trattamento hanno coinvolto un maggior numero di pazienti nel gruppo trattato con semalgutide (16,6% vs 8,2%; p<0,001). Tra questi sono stati riportati problemi gastrointestinali in particolare nausea, vomito e diarrea (10% vs 2% rispettivamente con semaglutide e placebo) e problemi alla cistifellea (2,8% vs 2,3%). Gli effetti avversi gastrointestinali sono un effetto noto dei farmaci GLP−1 RA e sebbene la titolazione della dose possa aiutare a ridurli, una parte dei pazienti non riesce a tollerarli. Comunque, dopo 2 anni, tra i pazienti ncor in terapia, il 77% assumeva semaglutide a dose piena mentre il 23% a dose ridotta (Lincoff et al., 2023).

Oltre agli effetti cardiovascolari, lo studio SELECT ha fornito informazioni sull´andamento della glicemia. Due analisi successive hanno evidenziato da un lato come la semaglutide sia stata associata ad una maggiore regressione dei livelli di HbA1c e ad una minor progressione degli stessi rispetto al placebo, e dall´altro come i benefici cardiovascolari fossero indipendenti dal valore iniziale di HbA1c o dalla variazione di questo parametro (Kahn et al., 2024; Lingvay et al., 2024). Comunque, nel tempo la semaglutide non ha rallentato la progressione glicemica, indicando una progressiva perdita della funzione beta−cellulare pancreatica (lo studio non ha misurato l´andamento della sensibilità all´insulina né la funzione beta pancreatica). All´inizio del trattamento il 33,5% dei pazienti presentava valori di HbA1c normali, inferiori a 5,7%, il 34,6% valori di HbA1c compresi tra 5,7% e 6% e il 31,9% valori uguali o superiori a 6,0%, ma inferiori a 6,5% (valori uguali o superiori a 6,5% sono indicativi di diabete). Al termine dello studio, dopo 3 anni, il 69,5% dei pazienti trattati con semaglutide presentava valori di glicemia nella norma contro il 35,8% del gruppo placebo (p<0,0001). Nel gruppo trattato con semaglutide, la percentuale di pazienti che ha sviluppato il diabete è stata, rispettivamente, lo 0,5% tra quelli con HbA1c <5,7% (vs 1,1% con placebo), lo 0,8% tra quelli con HbA1c 5,7−6,0% (vs 3,5% con placebo) e il 3,5% tra quelli con HbA1c da 6,0 a <6,5% (vs 17% con placebo). Il numero di pazienti da trattare per prevenire il diabete (NNT) è risultato di 18,5 (Kahn et al., 2024).

Studi clinici STEP−HfpEF e STEP−HfpEF DM
La semaglutide è risultata migliorare gli esiti cardiovascolare anche in pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione preservata legato a sovrappeso e obesità. L´analogo del GLP−1 è stato inizialmente sperimentato in pazienti con scompenso senza diabete (studio clinico STEP−HfpEF). I partecipanti allo studio clinico presentavano un BMI uguale o superiore a 30 kg/m2, scompenso di classe NYHA II−IV e un punteggio KCCQ−CSS inferiore a 90. il test KCCQ−CSS (Kansas City cardiomyopathy Questionnaire − Clinical Summary Score) valuta sintomi e funzionalità legati allo scompenso cardiaco. Dopo un anno di terapia con semaglutide (2,4 mg/settimana per via sottocutanea), il gruppo trattato con il farmaco ha registrato un miglioramento del punteggio KCCQ−CSS maggiore rispetto al placebo (16,6 vs 8,7; p<0,001), evidenziabile già dopo 20 settimane di terapia, e una perdita di peso più consistente (−13,3% vs −2,6%; p<0,001). La semaglutide è stata associata a miglioramenti più marcati rispetto al placebo anche per gli esiti clinici secondari: test dei 6 minuti di cammino (6MWT), valori di proteina C reattiva, marker di infiammazione, e misura composita gerarchica di morte, eventi di scompenso cardiaco e variazioni del test KCCQ−CSS e 6MWT (Kosiborod et al., 2023).

Poiché la perdita di peso associata agli agonisti del recettore del GLP−1 nei pazienti diabetici è circa il 40% inferiore rispetto a quella osservata nei pazienti non diabetici, lo studio precedente è stato replicato in pazienti con diabete di tipo 2 per verificare se gli effetti della semaglutide fossero correlati esclusivamente alla perdita di peso (studio STEP−HfpEF DM). I risultati ottenuti in questo secondo studio sono risultati sovrapponibili a quelli osservati nei pazienti non diabetici suggerendo per la semaglutide benefici cardiovascolari in parte indipendenti dagli effetti ponderali (miglioramento medio del punteggio KCCQ−CSS: 13,7 vs 6,4 punti, p<0,001; variazione media peso corporeo: −9,8% vs −3,4%, p<0,001; variazione stimata tra i due gruppi di trattamento per 6MWT: 14,3 m, p=0,008) (Kosiborod et al. 2024).

I benefici clinici osservati con semaglutide sono stati trasversali alle classi NYHA di partenza dei pazienti, ma il miglioramento del punteggio KCCQ−CSS è risultato maggiore nei pazienti con scompenso più grave (classi NYHA III e IV). Ad 1 anno dall´inizio della terapia il 32,6% dei pazienti trattati con semaglutide ha presentato un miglioramento della classe di funzionalità NYHA rispetto al 21,5% del gruppo placebo (p<0,001), mentre un peggioramento della classe di funzionalità NYHA è stato riscontrato nel 2,09% con semaglutide e nel 5,24% con plcaebo (p=0,003).

L´analisi dei dati delle pazienti di sesso femminile arruolate nei due studi precedenti ha confermato come i benefici della semaglutide sulla sintomatologia e sulla funzionalità correlata allo scompenso cardiaco sia indipendente dal sesso e dal peso (la percentuale di peso perso dopo 1 anno di terapia è risultata più alta nel sesso femminile: 12,6% vs 10,2). I pazienti di sesso femminile arruolati nei due studi STEP avevano al basale un BMI più alto rispetto alla controparte di sesso maschile (39 vs 37), sintomi più gravi e capacità funzionali peggiori anche se la frazione ventricolare sinistra risultava più preservata. Ad 1 anno, la variazione media del punteggio KCCQ−CSS è risultata pari a +7,5 punti per il sesso femminile e +7,6 punti per il sesso maschile con semaglutide; la percentuale di pazienti con un miglioramento di almeno 20 punti del KCCQ−CSS è stata del 35% (vs 21% con placebo) e del 39% (vs 25% con placebo) rispettivamente per il sesso femminile e maschile (Verma et al., 2024).

Un´ulteriore riprova degli effetti “cardiovascolari” della semaglutide nei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione preservata, secondo i ricercatori, anche la riduzione del consumo di diuretici, soprattutto diuretici dell´ansa, nel gruppo trattato con l´analogo del GLP−1 (i diuretici dell´ansa sono farmaci di prima linea per la decongestione nei pazienti con insufficienza cardiaca e frazione di eiezione conservata). Rispetto al placebo infatti, i pazienti trattati con semaglutide hanno visto una riduzione giornaliera della dose di diuretico dell´ansa di circa il 17% (vs un aumento del 2,4% con placebo), una probabilità minore di iniziare un nuovo diuretico dell´ansa (20,1% vs 6,1%) e una probabilità più alta di interrompere il diuretico dell´ansa (5,9% vs 2,3%) (Shah et al., 2024).

A dispetto di questi risultati clinici ci sono diverse domande aperte a cui è necessario rispondere se si vuole inqudrare l´effettivo contributo cardiovascolare della semaglutide nel trattamento dell´insufficienza cardiaca, come ad esempio stabilirne l´efficacia indipendentemente dalla frazione di eiezione ventricolare sinistra e dall´obesità, stabilire se si tratta di un effetto farmaco specifico o di classe e verificare cosa succede una volta cessata la terapia.

Malattia renale cronica
Lo studio FLOW (Evaluate Renal Function with Semaglutide Once Weekly), finanziato dall´azienda produttrice, ha indagato il ruolo della semaglutide sulla funzionalità renale nei pazienti con diabete di tipo 2 (Perkovic et al., 2024). Quasi la metà dei pazienti con insufficienza renale infatti è diabetica. Lo studio è stato interrotto in anticipo dopo che un´analisi intermedia definita nel protocollo aveva evidenziato l´efficacia della semaglutide rispetto al placebo. La popolazione arruolata nello studio aveva un´età media di 66 anni, per il 30% di sesso femminile e per il 66% bianca. Il 93% inoltre presentava malattia renale cronica severa o molto severe: il 95% era in terapia con un bloccante del sistema renina angiotensina aldosterone (RAAS), il 60% in terapia con un bloccante del recettore dell´angiotensina (ARB o sartano), il 35% in terapia con un ACE inibitore; il 15% in teraia con un SGLT2 inibitore e l´80% assumeva farmaci ipolipemizzanti. Dopo un follow up medio di 3,4 anni, la semaglutide risultava ridurre del 24% il rischio di un evento renale maggiore, composito per insorgenza di unsufficienza renale (dialisi, trapianto, eGFR <15 ml/min/1,73m2), riduzione di almeno il 50% dell´eGFR basale, morte renale o cardiovascolare (incidenza eventi: 18,7% vs 23,2% rispettivamente con semaglutide e placebo; hazard ratio HR 0,76; p=0,0003). Analisi successive degli esiti clinici secondari sono risultati a favore della semaglutide: riduzione del 21% del rischio di eventi solo renali (HR 0,79); riduzione del 29% del rischio di morte cardiovascolare (HR 0,71); progressiva riduzione di eGFR più lenta (p<0,001) in aggiunta ad una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari del 18% (HR 0,82; p=0,029); riduzione del 20% del rischio di mortalità per tutte le cause (HR 0,80; p=0,01). Nel gruppo semaglutide inoltre è risultata inferiore rispetto al placebo l´incidenza di eventi avversi (49,6% vs 53,8%).

Dopo lo studio FLOW nei pazienti diabetici, i ricercatori sono passati a verificare il comportamento della semaglutide sulla funzionalità renale in pazienti sovrappeso/obesi non diabetici. Per questo scopo è stata condotto un´analisi secondaria dello studio SELECT utilizzando come esito clinico primario l´insieme di eventi relativi a: tempo compreso fra randomizzazione e morte per cause renali, inizio della terapia sostitutiva renale cronica, riduzione di eGFR <15 ml/min/1,73 m25, riduzione persistente di almeno il 50% dell´eGFR basale, insorgenza di macroalbuminuria persistente. Dopo una media di 182 settimane di follow up (circa 3,5 anni), il gruppo di pazienti trattato con semaglutide mostrava una riduzione del rischio di eventi composito , rispetto al placebo, del 22% (incidenza eventi: 1,8% vs 2,2%; HR 0,78; p=0,02). Specificatamente per quanto riguardava la funzionalità renale, i pazienti trattati con semaglutide mostravano una riduzione significativamente minore del tasso di filtrazione glomerulare stimato (eGFR) al punto temporale prestabilito di 104 settimane, con un effetto del trattamento di 0,75 ml/min/1,73 m2 (p<0,001) e quest´effetto era più pronunciato nei pazienti con valori di eGFR al basale inferiore a 60 ml/min/1,73m2 (p<0,001). Inoltre, nel gruppo semaglutide il rapporto albumina/cretinina (UACR), fattore predittivo di insufficienza renale, presentava un aumento inferiore rispetto a quanto osservato con il placebo (−10,7%; p<0,001), con un beneficio netto del trattamento di −27,2% e −31,4% rispettivamente per i pazienti che alla randomizzazione mostravano un valore di UACR da 30 a < 300 mg/g e ≥ 300 mg/g. I miglioramenti variavano a seconda dello stato UACR iniziale ed erano più pronunciati passando dalla normoalbuminuria (−8,1%), alla microalbuminuria (−27%) e macroalbuminuria (−31%). Nel gruppo trattato con semaglutide non ci sono stati casi di danno renale acuto, indipendentemente dal valore di eGFR (Colhoun et al., 2024).

Lo studio FLOW per primo e le analisi successive dimostrano l´utilità clinica della semaglutide nei pazienti nefropatici: oltre alla diminuzione degli eventi cardiovascolari, il rallentamento del declino della velocità di filtrazione glomerulare e dell´albuminuria suggeriscono un effetto di riduzione della progressione della nefropatia.

Una metanalisi di 12 studi randomizzati in doppio cieco, controllati con placebo, ha analizzato la combinazione di GLP−1 agonisti e inibitori SGLT2 in pazienti con diabete di tipo 2 rispetto al solo uso di SGLT2. I risultati suggeriscono un´indipendenza sostanziale delle due classi di farmaci in termini di esiti cardiovascolari e renali − gli effetti degli SGLT2 sugli eventi cardiovascolari e renali è risultata coerente indipendentemente dal fatto che il paziente assumesse o meno GLP−1 RA − e supportano l´uso combinato di queste due classi di farmaci antidiabetici. Gli esiti clinici principali cardiovascolari erano rappresentati dall´incidenza di MACE (morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale o ictus non fatale) e da una misura composita di ospedalizzazione per scompenso cardiaco o morte cardiovascolare, Gli esiti clinici principali renali comprendevano la progressione della malattia renale cronica (riduzione uguale o maggiore del 40% di eGFR), l´insufficienza renale (eGFR <15 ml/min/1,73 m2, dialisi cronica, trapianto di rene, morte per insufficienza renale) e la variazione nel tempo di eGFR (Apperloo et al., 2024).

Malattia epatica associata a disfunione metabolica (MASLD)
La malattia epatica steatosica MASLD è caratterizzata da accumulo di lipidi nelle cellule del fegato (epatociti) non causato da alcool, da cui il nome di steatosi non alcolica, o da infezione virale. Nel tempo l´accumulo di grasso provoca infiammazione e fibrosi. La malattia epatica steatosica si associa a obesità, diabete mellito di tipo 2 e ad altri disturbi metabolici. Più del 75% dei pazienti con diabete di tipo 2 presenta MASLD e questa malattia aumenta il rischio di diabete di oltre 2 volte. In pazienti con diabete, dislipidemia e steatosi epatica la somministrazione di semaglutide ha determinato calo ponderale, riduzione della circonferenza di vita e fianchi e riduzione dei valori di emoglobina glicata e di creatinina. Sono risultati migliorare anche l´indice FIB−4, che valuta il rischio di epatopatia associata a disfunzione metabolica, e il rapporto AST/ALT, noto come indice De Ritis, utilizzato a fini diagnostici nelle patologie del fegato (Hacula et al., 2023). Nei pazienti con MASLD, la semaglutide agirebbe sulle cellule stellate epatiche, che, se da un lato supportano la capacita di rigenerarsi del fegato, dall´altro sono coinvolte nell´evoluzione fibrotica dell´organo (Scavo et al., 2024).

La MASLD è presente in circa il 20% dei pazienti con HIV. Uno studio clinico pilota di fase 2b (SLIM LIVER) ha valutato la somministrazione di semaglutide sottocutanea in pazienti con HIV e MASLD. I pazienti (49), che non avevano segni di replicazione virale, presentavano insulino resistenza o glicemia elevata, e adiposità viscerale. Dopo 24 settimane di terapia (1 mg/settimana di semaglutide) il grasso epatico risultava ridotto nel 31% dei pazienti con completa risoluzione della malattia epatica steatosica (grasso epatico ?5%) nel 29%. Il profilo di tollerabilità della semaglutide è risultato sovrapponibile a quello riscontrato nei pazienti senza infezione da HIV. Gli effetti avversi più comuni sono stati a carico del tratto gastrointestinale (nausea, diarrea, vomito, dolore addominale). La riduzione di peso si associa a miglioramento della malattia epatica steatosica: rimane da chiarire se la semaglutide possieda benefici clinici che vadano al di là della perdita ponderale.

Menopausa
In donne in menopausa, sovrappeso o obese, la semaglutide è stata associata ad un calo ponderale maggiore nel gruppo di pazienti che assumevano la terapia ormonale sostitutiva rispetto a quelle che non la assumevano in uno studio preliminare, retrospettivo della durata di 12 mesi (Hurtado et al., 2024). Al termine dello studio la perdita di peso nelle donne in terapia ormonale era pari al 16%, sovrapponibile a quella riportata negli studi di riferimento della semaglutide nei pazienti obesi. Nelle donne in postmenopausa, non in terapia ormonale, il peso perso era invece inferiore, pari a circa il 12%. Sulla base di questi risultati la terapia ormonale nelle donne in menopausa sovrappeso o obese sembrerebbe “normalizzare” la risposta ponderale alla semaglutide piuttosto che indurre un effetto “booster” come ipotizzato inizialmente.

Semaglutide vs liraglutide
Semaglutide e liraglutide possiedono una struttura molecolare molto simile (similarità del 93%) che li rende affini anche da un punto di vista farmacologico. Entrambi i farmaci sono indicati per il trattamento del diabete di tipo 2 e del sovrappeso/obesità. In questo secondo ambito i due analoghi del GLP−1 determinano una riduzione del peso corporeo, ma la perdita di peso osservata con semaglutide risulta maggiore a fronte di un profilo di tollerabilità migliore, considerando la percentuale di pazienti che interrompono la terapia a causa degli eventi avversi. L´analisi di 18 studi clinici controllati con placebo in pazienti con obesità o sovrappeso non diabetici, riporta una perdita di peso di almeno il 5% e il 10% per semaglutide sottocutanea (2,4 mg/settimana) rispettivamente nell´86,6% e 75,3% dei pazienti trattati (placebo: 47,6% e 20,4%) e per liraglutide (3 mg/die) rispettivamente nel 65,3% e 30,7% (placebo: 27,7% e 10,3%). Nessuno dei due farmaci ha influenzato il profilo lipido plasmatico né la glicemia (Deng et al., 2022). Il tasso di interruzione della terapia per eventi avversi ha interessato il 2,4−7% dei pazienti che assumevano semaglutide e il 5,4−11,4% dei pazienti in terapia con liraglurtide. L´incidenza degli eventi avversi è risultata compresa tra 81,3% e 95,8% (severi: 7,7−9,8%) per semaglutide e tra 66,5% e 96,7% (severi: 0%−7,5%) per liraglutide (Mariam, Niazi, 2024).

Semaglutide vs exenatide
Semaglutide e exenatide presentano una identità di sequenza del 42,5% e una similarità del 52,5%. Exenatide è approvato per il trattamento del diabete di tipo 2, ed è in sperimentazione per la terapia del parkinson, la steatopatia non alcolica (malattia del fegato caratterizzata dall´accumulo di grassi nell´organo) e la sindrome di Wolfram (malattia genetica rara caratterizzata da diabete mellito, diabete insipido atrofia ottica, sordità). In uno studio clinico in aperto, a gruppi paralleli, randomizzato (studio SUSTEIN 3) sono stati confrontati semaglutide sottocutanea 1,0 mg e exanitide a lento rilascio 2,0 mg in pazienti con diabete di tipo 2. L´esito clinico principale era la variazione di emoglobina glicata (HbA1c) dopo 56 settimane di terapia. Al termine dello studio, semaglutide è stata associata ad un miglior controllo della glicemia e ad una maggior perdita di peso (perdita di peso media: 5,6 kg vs 1,9 Kg). La riduzione media di emoglobina glicata è risultata quasi doppia con semaglutide (1,5% vs 0,9%) e la percentuale di pazienti che ha raggiunto valori di HbA1c inferiori al 7,0% (target terapeutico) è stata il 67% vs il 40% rispettivamente con semaglutide e exenatide. Il profilo di tollerabilità dei due farmaci è risultato sovrapponibile. Semaglutide ha evidenziato una maggior incidenza di eventi avversi gastrointestinali (41,8% vs 33,3%) ma un tasso di reazioni all´iniezione inferiore (1,2% vs 22,0%) (Ahmann et al., 2018).

Semaglutide vs dulaglutide
Semaglutide ha evidenziato un maggior effetto di dulaglutide sul controllo glicemico e sulla riduzione di peso in pazienti con diabete di tipo 2 (Pratley et al., 2018). Nello studio semaglutide sottocutanea 0,5 mg/settimana è stata confrontata con dulaglutide 0,75 mg/settimana e semaglutide 1 mg/settimana verso dulaglutide 1,5 mg/settimana: in entrambi i casi la semaglutide ha comportato un controllo della glicemia glicata maggiore dopo 40 settimane di trattamento. Analogo trend è stato riscontrato per la perdita di peso (esito clinico secondario). Al dosaggio più basso, i kg persi sono stati in media 4,6 kg vs 2,3 kg con semaglutide e dulaglutide e al dosaggio più alto, rispettivamente, 6,5 kg vs 3,0 kg. Gli eventi avversi più frequenti sono stati a carico del tratto gastrointestinale per entrambi i farmaci; l´incidenza è risultata pari a 43% e 44% con semaglutide 0,5 mg e 1,0 mg, pari a 33% e 48% con dulaglutide 0,75 mg e 1,5 mg. Gli eventi avversi gastrointestinali sono stati anche la ragione più frequente di interruzione della terapia. La maggior efficacia di semaglutide nell´indurre perdita di peso è stata verificata anche in un altro studio di comparazione indiretto (Lingvay et al., 2022).

Semaglutide vs tirzepatide
Tirzepatide è un agonista GLP−1 come semaglutide ma agisce anche come agonista del polipeptide inibitorio gastrico (GIP) e questo doppio meccanismo conferisce al farmaco un vantaggio nella gestione della glicemia nel paziente diabetico. In uno studio di confronto della durata di 40 settimane tirzepatide (5, 10, 15 mg/settimana) è risultato superiore a semaglutide (1 mg/settimana) nel ridurre i livelli di emoglobina glicata e il peso corporeo in pazienti con diabete di tipo 2. Come semaglutide anche tirzepatide induce effetti avversi gastrointestinali in una percentuale di pazienti che varia dal 10 al 20% circa (Frías et al., 2021). La maggior efficacia di tirzepatide nella gestione del paziente diabetico rispetto a semaglutide e ad altri analoghi del GLP−1 è stata confermata in altri studi clinici (Tang et al., 2022; Nauck, D´Alessio, 2022).

La tirzepatide è risultata più efficace della semaglutide anche come farmaco antiobesità. Studi clinici testa a testa non sono attualmente disponibili, ma i due farmaci sono stati confrontati utilizzando la tecnica statistica Propensity Score Matching (PMS) partendo da dati di real world. Il PMS consente di bilanciare le caratteristiche osservabili dei pazienti nei due gruppi confrontati e di fornire stime accurate rispetto all´effetto che si vuole misurare. Nello studio statistico sono stati selezionate e abbinate 9193 coppie di pazienti semaglutide/tirzepatide. Nel campione per l´analisi PMS l´età media era 52 anni, il 70,5% dei pazienti era di sesso femminile, il 77,1% caucasico, l´11,8% black e l´1,9% asiatico, il 52% aveva diagnosi di diabete di tipo 2. Dopo un anno, i pazienti trattati con tirzepatide avevano perso in media il 15% del loro peso contro l´8% nel gruppo trattato con semaglutide. La percentuale di pazienti che ha perso almeno il 5% del proprio peso è stata pari all´81,8% vs 37,1% rispettivamente con tirzepatide e semaglutide, quella che ha perso almeno il 10% era pari a 66,5% vs 42,3% e quella che ha perso almeno il 15% pari a 62,1% vs 18,1%. La probabilità di perdere peso è risultata più alta con tirzepatide, pari a 1,76 volte considerando la soglia ≥5%, pari a 2,54 volte considerando la soglia ≥10% e pari a 3,24 volte considerando la soglia ≥15%. Le variazioni di peso durante il trattamento sono state maggiori per i pazienti che assumevano tirzepatide a 3 mesi (differenza di −2,4%, IC95% ?2.5% a ?2.2%), a 6 mesi (differenza −4.3% IC95% ?4.7% a ?4.0%) e a 12 mesi (differenza −6,9% IC95% −7,9 a −5,8). Con entrambi i farmaci il calo ponderale è stato maggiore nei pazienti non diabetici rispetto a quelli diabetici. Il tasso di reazioni avverse gastrointestinali è risultato simile tra i due farmaci (Rodriguez et al., 2024).