Passaggio dagli antagonisti della vitamina k a rivaroxaban: nei pazienti che passano da una terapia con anticoagulenti orali antagonisti della vitamina k (come il warfarin) ad una terapia con rivaroxaban non è raccomandato il monitoraggio dell’INR (International Normalized Ratio) per valutare la coagulabilità del sangue, perchè rivaroxaban tende a sovrastimare l’indice INR (aumenti maggiori del dovuto). Nella prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica, il rivaroxaban deve essere somministrato quando INR </= 3, dopo aver sospeso gli antagonisti della vitamina k. In caso di prevenzione della trombosi profonda e dell’embolia polmonare, e delle loro recidive, il rivaroxaban deve essere somministrato quando INR </= 2,5, sempre dopo aver sospeso gli antagonisti della vitamina k.
Passaggio da rivaroxaban agli antagonisti della vitamina k: gli antagonisti della vitamina k devono essere somministrati insieme a rivaroxaban fino a quando l’INR non raggiunga un valore =/> 2. Nei primi due giorni di terapia con antagonisti della vitamina k, la dose di questi farmaci deve essere quella standard, a partire dal terzo giorno la dose deve essere aggiustata in base al valore di INR. Nella fase in cui gli antagonisti della vitamina k e il rivaroxaban sono somministrati in associazione, l’INR deve essere misurato dopo 24 ore dalla dose di rivaroxaban e prima di quella successiva. Dopo la sospensione di rivaroxaban, devono passare almeno 24 ore per avere valori affidabili di INR.
Passaggio da anticoagulanti parenterali a rivaroxaban: interrompere la terapia parentarale e somministrare il rivaroxaban al posto della successiva dose di anticoagulente parenterale, o nelle due ore precedenti. In caso di anticoagulante in infusione continua, il rivaroxaban deve essere somministrato quando si interrompe la terapia parenterale.
Passaggio da rivaroxaban ad anticoagulanti parenterali: interrompere la terapia con rivaroxaban e somministrare la terapia anticoagulante parenterale al posto della dose successiva di rivaroxaban.
Insufficienza renale: il rivaroxaban non è raccomandato in caso di insufficienza renale molto grave (CLcr < 15 ml/min) perché in uesta condizione la concentrazione plasmatica di rivaroxaban aumenta in modo significativo (media 1,6 volte) esponendo il paziente ad un aumento del rischio di emorragia. In genere nei pazienti con insufficienza renale lieve o moderata non è necessario modificare il dosaggio del farmaco, ma nei pazienti con insufficienza renale moderata, trattati con rivaroxaban per la profilassi dell’ictus e dell’embolia sistemica e per la terapia di mantenimento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare, il produttore del farmaco raccomanda di ridurre il dosaggio.
Rischio di emorragia: il rivaroxaban agisce riducendo la capacità del sangue di coagularsi, aumentando di conseguenza il rischio di emorragia. La somministrazione del farmaco richiede cautela soprattutto quando il paziente presenta più fattori di rischio emorragico. Il rischio di sanguinamento aumenta anche quando il rivaroxaban è somministrato in associazione a farmaci che inibiscono l’aggregazione piastrinica come l’acido acetilsalicilico, il clopidogrel o la ticlopidina. La riduzione dell’emoglobina o della pressione arteriosa senza causa nota devono indurre a sospettare un’emorragia. In caso di grave emorragia il rivaroxaban deve essere sospeso. A differenza degli anticoagulanti antagonisti della vitamina k (come il warfarin), la terapia con rivaroxaban non richiede il controllo costante dell’indice di coagulabilità del sangue, ma in alcuni casi (sovradosaggio, chirurgia d’emergenza) questo può essere utile. Gli effetti anticoagulanti del rivaroxaban possono essere misurati tramite l’attività antifattore Xa oppure con il tempo di protrombina eseguito con tromboplasina sensibile.
Pazienti che presentano un rischio elevato di emorragia: il rivaroxaban non è raccomandato nei pazienti che hanno problemi di coagulazione (disturbi emorragici) congeniti o acquisiti; pazienti con ipertensione grave non controllata; pazienti con malattie gastrointestinali che possono causare emorragia (malattia infiammatoria intestinale, gastrite, esofagite, malattia da reflusso gastroesofageo); pazienti con problemi alla retina di origine vascolare; pazienti con storia precedente di emorragia polmonare o con malformazione dei bronchi che si presentano dilatati con pus (bronchiectasia).
Sindrome antifosfolipidica (APS): il rivaroxaban non è raccomandato nei pazienti con sindrome antifosfolipidica, in particolare se a rischio elevato (positività a tutti e tre i test per la determinazione degli anticorpi antifosfolipidici: lupus anticoagulante, anticorpi anti-cardiolipina, anticorpi anti-beta 2 glicoproteina I). La sindrome antifosfolipidica è caratterizzata da un quadro clinico di trombosi venosa e arteriosa e aborti ricorrenti. La somministrazione di rivaroxaban a pazienti con trombosi accertata e sindrome antifosfolipidica è stata associata ad un aumento significativo del rischio di eventi trombotici ricorrenti rispetto al warfarin (lo studio di riferimento è stato interrotto per questo motivo). Nello studio clinico di riferimento l’incidenza di eventi tromboembolici nei pazienti trattati con rivaroxaban (20 mg; 15 mg con clearance creatinina 50 ml/min) è stata del 12% contro nessun evento nel gruppo trattato con warfarin (INR:2-3) (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2019; Pengo et al., 2018).
Anestesia o puntura spinale/epidurale: la somministrazione di farmaci anticoagulanti in caso di anestesia o puntura spinale o epidurale può causare un ematoma spinale o epidurale che può provocare una paralisi prolungata o permanente. I pazienti in terapia con rivaroxaban sottoposti ad anestesia o puntura spinale o epidurale devono essere attentamente controllati per rivelare eventuali segni o sintomi riconducibili a paralisi (intorpidimento o debolezza delle gambe, mal funzionamento dell’intestino o della vescica).
Procedure invasive e interventi chirurgici: in caso di procedure invasive e interventi chirurgici, il rivaroxaban deve essere sospeso almeno 12-24 ore prima (il produttore del farmaco indica come intervallo di tempo di sospensione 12 ore nel caso di una posologia di 5 mg/die, 24 ore per posologia =/> 10 mg/die) (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2016). Comunque, in caso di dubbio sullo stato di coagulabilità del sangue è utile procedere con test di laboratorio adatti che per il rivaroxaban sono la misurazione dell’attività anti-fattore Xa o del tempo di protrombina, eseguito con tromboplastina sensibile. La terapia con rivaraxoban deve essere ripresa una volta cessate eventuali emorragie, in condizioni di stabilità del paziente (emostasi adeguata).
Età: i pazienti anziani presentano un rischio maggiore di emorragia.
Prolungamento dell’intervallo QT: il rivaroxaban non è risultato influenzare la durata dell’intervallo QT dell’elettrocardiogramma in volontari sani (Kubitza et al., 2008).
Popolazione pediatrica: il rivaroxaban non è autorizzato per l’uso nei bambini e nei ragazzi (età < 18 anni) perché mancano sufficienti dati clinici.
Gravidanza: il rivaroxaban non è raccomandato in gravidanza (negli studi sugli animali, il farmaco è stato associato a tossicità fetale).
Allattamento: i dati di letteratura disponibili suggeriscono un passaggio limitato del rivaroxaban nel latte materno. Un bambino allattato completamente al seno riceve circa 2,4 mcg/kg di farmaco, in un arco di 10 ore, nel caso in cui la madre sia trattata con 30 mg/die di rivaroxaban. La quantità che passa nel bambino con il latte materno ammonterebbe pertanto a circa l’1,3% del dosaggio materno aggiustato per il peso (Wiesen et al., 2016). Poiché i dati di letteratura sono limitati, il rivaroxaban non è raccomandato durante l’allattamento al seno (Bates et al., 2012).
Lattosio: la presenza fra gli eccipienti di lattosio (zucchero formato da glucosio e galattosio) rappresenta una controindicazione per chi soffre di problemi ereditari di intolleranza al galattosio, di deficit di lapp lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio.
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