Somministrazione endovenosa: il rituximab deve essere somministrato per infusione endovena tramite deflussore dedicato, non deve essere somministrato come push o bolo endovena.
Premedicazione: prima dell’inizio di ogni infusione di rituximab deve sempre essere effettuata una premedicazione con farmaci antidolorifici e antistaminici quali paracetamolo e difenidramina. In alcune condizioni è richiesta anche una premedicazione con glucocorticoidi.
Reazioni correlate all’infusione: queste reazioni (Infusion-related reaction, IRR), che possono essere gravi e con esito fatale, si manifestano in genere dai 30 minuti alle 2 ore successive all’infusione endovenosa. Le reazioni correlate all’infusione, che possono essere associate al rilaschio di mediatori chimici, in particolare citochine, comprendono un’ampia varietà di sintomi quali orticaria, prurito, febbre, difficoltà respiratoria, nausea, vomito, ipotensione/ipertensione, angioedema sino a manifestazioni più severe quali sindrome da rilascio di citochine o, nei pazienti oncologici, lisi tumorale e sindrome da lisi tumorale.
Nei pazienti con artite reumatoide, l’incidenza delle reazioni correlate al’infusione tende a diminuire nei cicli successivi di trattamento con rituximab.
Tali reazioni tendono a risolversi con la riduzione della velocità dell’infusione o la sospensione della stessa. La premedicazione (antipiretici, antistaminici, glucocorticoidi) riduce il rischio di queste reazioni. Una volta risolti i sintomi, l’infusione di rituximab può essere ripresa con una velocità dimezzata rispetto a quella utilizzata precedentemente.
Sindrome da rilascio di citochine: sindrome caratterizzata da difficoltà respiratoria (dispnea) grave, spesso accompagnata da broncospasmo e ipossia, febbre, brividi, orticaria e angioedema. Altri sintomi sono comuni alla sindrome da lisi tumorale e comprendono edema polmonare, infiammazione dell’interstizio polmonare, squilibri elettrolitici (l’iperkaliemia, l’ipocalcemia, l’iperfosfatemia), iperuricemia, aumento della concentrazione della lattato deidrogenasi (LDH) fino a insufficienza renale acuta. Nella maggior parte dei casi la sindrome da rilascio di citochine si manifesta nelle prime due ore dall’inizio della prima infusione di rituximab. La comparsa di problemi respiratori durante l’infusione richiede l’interruzione della stessa. La presenza pregressa di insufficienza polmonare e/o di tumore polmonare richiede estrema cautela nella somministrazione del rituximab. Inoltre i pazienti con numero elevato di cellule neoplastiche circolanti (>25 x 109/L) cell/mm3) o con elevato carico tumorale risultano maggiormente a rischio di sindrome da rilascio di citochine che, in queste condizioni, si può manifestare con particolare gravità. Questi pazienti devono essere trattati con estrema cautela: monitorati attentamente per tutto il corso della prima infusione, adottando eventualmente una velocità di infusione ridotta o suddividendo la dose di rituximab in due giorni per la prima somministrazione di farmaco e per ogni ciclo successivo se il numero di cellule tumorali circolanti dovesse rimanere sopra la soglia indicata di 258 x 109/L.
Insufficienza polmonare o infiltrazione tumorale del polmone: i pazienti con anamnesi di insufficienza polmonare o con infiltrazione tumorale del polmone sono esposti ad un rischio più elevato di risultati negativi e devono essere trattati con maggiore cautela.
Sindrome da lisi tumorale: la sindrome da lisi tumorale è caratterizzata da rapida riduzione del volume tumorale, insufficienza renale, iperkaliemia, ipocalcemia, iperuricemia, iperfosfatemia. Si manifesta 12-24 ore dopo la prima infusione; nei trial clinici ha avuto un’incidenza non superiore allo 0,05%. Il rischio di lisi tumorale aumenta nei pazienti con un numero elevato di cellule maligne circolanti. I pazienti che resentano sintomi riconducibili a lisi tumorali devono essere valutati con idonei esami di laboratorio, e per la presenza di infiltrazione polmonare con radiografia del torace. L’infusione di rituximab può essere ripresa solo con la risoluzione di tutti i sintomi, con la normalizzazione dei valori di laboratorio e con negatività radiografica. La ripresa dell’infusione deve avvenire ad una velocità dimezzata rispetto a quella precedente l’evento della sindrome da lisi tumorale. Qualora dovessero ripresentarsi le stesse reazioni avverse, deve essere presa in considerazione l’eventualità di interrompere il rituximab.
Ipersensibilità: il rituximab può dar luogo a reazioni d ipersensibilità i cui sintomi possono essere confusi con quelli che accompagnano la sindrome grave da rilascio di citochine. Le reazioni di ipersensibilità si contraddistinguono perché compaiono nel giro di pochi minuti dall’inizio dell’infusione. In caso di ipersensibilità somministrare antistaminici e glucocorticoidi. La presenza di anticorpi antichimerici umani HACA può essere associata ad un peggioramento delle reazioni all’infusione o di tipo allergico dopo la seconda infusione di cicli successivi.
Anticorpi antichimerici umani (HACA): la risomministrazione di uno o più cicli di trattamento con rituximab può indurre la formazione di anticorpi antichimerici umani (HACA) diretti contro la porzione murina del farmaco. La comparsa di questo tipo di anticorpi può interessare fino ad un terzo dei pazienti. Gli anticorpi HACA sono risultati associati ad un peggioramento delle reazioni correlata all’infusione e delle reazione allergiche, e ad una mancata deplezione delle cellule B (Lunardon, Payne, 2012; Schmidt et al., 2009; Goto et al., 2009; Albert et al., 2008; Pijpe et al., 2005; John Looney et al., 2004).
Leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML): questa malattia rappresenta una complicanza rara della terapia con rituximab. La PML è causata dal virus JC (John Cunningham), che si contrae spesso durante l’infanzia. Il virus rimane latente nell’organismo tenuto a bada dal sistema immunitario. Quando quest’ultimo viene indebolito, ad esempio in seguito alla somministrazione di farmaci immunosoppressori o immunomodulanti, come il rituximab, il virus può riattivarsi. La PML provoca danni alla materia bianca del sistema nervoso centrale. I danni neurologici sono progressivi e la morte del paziente soppraggiunge in 1-9 mesi dopo l’insorgenza dei sintomi. In presenza di manifestazioni neurologiche, in corso di terapia con rituximab, sottoporre il paziente ad esame neurologico. In caso di sospetto di PML, il rituximab deve essere sospeso e devono essere effettuati tutti gli esami necessari ad escludere la PML. Se la malattia dovesse manifestarsi, il rituximab deve essere interrotto definitiviamente.
Ipotensione: pazienti in trattamento antipertensivo devono lasciar trascorre almeno 12 ore fra l’assunzione dell’antipertensivo e l’infusione di rituximab, perché quest’ultimo può indure ipotensione anche grave.
Malattie cardiache: cautela in caso di pazienti affetti da patologie cardiache o in terapia antitumorale con nota tossicità cardiaca perché l’infusione di rituximab è stata associata ad angina pectoris, aritmia cardiaca, insufficienza cardiaca e infarto miocardico.
Neutropenia/piastrinopenia: sebbene il rituximab non abbia un’azione diretta negativa (mielosoppressione) sulla capacità del midollo osseo di produrre le cellule del sangue, la sua somministrazione a pazienti con valori di neutrofili <1,5 x 109/L e/o conta delle piastrine <75 x 109/L richiede cautela perché in questo sottogruppo di pazienti i dati clinici sono limitati. L’impiego di rituximab in monoterapia o in associazione a chemioterapia richiede il monitoraggio dell’emocromo completo, inclusa la conta dei neutrofili e delle piastrine.
Infezioni: rituximab è controindicato in caso di gravi infezioni (tubercolosi, sepsi, infezioni opportunistiche) o in condizioni di immunodepressione. La somministrazione dell’anticorpo richiede cautela e il monitoraggio attento dei segni di infezione soprattutto in caso di pazienti soggetti ad infezioni ricorrenti o croniche, perché si potrebbe verificare un peggioramento delle infezioni stesse.
Epatite b: sono stati riportati episodi di riacutizzazione di epatite B in pazienti trattati con rituximab e chemioterapia citotossica; sono stati segnalati casi di epatite fulminante con esito fatale. Per questo motivo deve essere effettuato lo screening per l’epatite B (determinazione dell’antigene HbsAg e dell’anticorpo HbcAb) in tutti i pazienti candidati a ricevere rituximab. I pazienti con infezione attiva non possono ricevere il farmaco. I pazienti con test sierici positivi, in assenza di infezione attiva, devono essere valutati da un epatologo e quindi monitorati per prevenire la riattivazione dell’infezione virale.
Reazioni cutanee gravi: sono state segnalate reazioni cutanee gravi quali necrolisi epidermica tossica (sindrome di Lyell) e sindrome di Stevens-Johnson in pazienti trattati con rituximab. Se si sospetta una possibile correlazione con il farmaco, il rituximab deve essere interrotto.
Immunizzazione: il rituximan agisce riducendo la quota di linfociti B circolanti. Poiché questa classe di linfociti è quella deputata alla produzione di anticorpi in caso di infezione, sarebbe opportuno che i pazienti candidati alla terapia con rituximab avessero completato titte le vaccinazioni raccomandate dalle linee guida. Il grado infatti di immunizzazione ottenuta con l’impiego di vaccini non vivi dopo terapia con rituximab non è noto e l’impiego di vaccini vivi non è raccomandato né durante il trattamento con rituximab né nella fase successiva di deplezione dei linfociti B. Nel caso sia necessario somministrare un vaccino con virus non vivo in corso di terapia con rituximab, la vaccinazione deve essere completata almeno 4 settimane prima dell’inizio del ciclo successivo di rituximab.
Attività neoplastica: sebbene i farmaci immunomodulanti siano associati ad un incremento del rischio neoplastico, i dati di letteratura disponibili, relativi all’uso di rituximab in pazienti con artrite reumatoide, non sembrano indicare un aumento di tale rischio.
Pazienti con artrite reumatoide mai trattati con metotrexato: in questo gruppo di pazienti il rituximab non è raccomandato perché non è stato stabilito un rapporto rischio-beneficio favorevole. I farmaci biologici sono indicati nell’artrite reumatoide attiva come seconda opzione, successiva ad un farmaco modificante la malattia (DMARD).
Uso concomitante/successivo di farmaci DMARD in pazienti con artite reumatoide: dai dati clinici disponibili, la somministrazione di farmaci biologici o modificanti la malattia (DMARD) dopo il trattamento con rituximab in pazienti con artrite reumatoide non sembra aumentare il rischio di infezioni. Ma poiché questo rischio non può essere escluso, il paziente deve essere monitorato anche sotto questo aspetto.
Gravidanza: poiché le immunoglobuline IgG umane attraversano la placenta, il rituximab potrebbe causare deplezione delle cellule B fetali. In base a questa considerazione, l’uso di rituximab in gravidanza richiede un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio.
Allattamento: Il produttore del rituximab raccomanda di interrompere l’allattamento al seno durante la terapia con il farmaco e fino a 6 mesi dopo l’ultima dose. L’America College of Rheumatology considera il rituximab compatibile con l’allattamento perché i dati clinici disponibili suggeriscono un’assorbimento del farmaco attraverso il latte molto basso in virtù della quantità minima di farmaco presente nel latte materno e perché è probabile una parziale degradazione dell’anticorpo nel tratto digerente del lattante (Russel et al., 2023; Sammaritano et al., 2020; Bragnes et al., 2017). A fini precauzionali, alcuni accorgimenti possono ridurre la quantità di rituximab che può passare con l’allattamento al bambino: attendere almeno 2 settimane dopo il parto per riprendere la terapia con rituximab; riprendere l’allattamento al seno dopo la somministrazione dell’anticorpo; attendere 4 ore dopo la somministrazione dell’antistaminico pre-iniezione prima di riprendere l’allattamento al seno (Krysko et al., 2023).
Contraccezione: durante la terapia con rituximab devono essere adottate valide misure contraccettive fino a 12 mesi dopo la fine del trattamento farmacologico (il farmaco ha un lungo tempo di ritenzione nei pazienti con deplezione delle cellule B).
Conservazione: conservare rituximab al riparo dalla luce e a temperature comprese fra 2 e 8°C.
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