Il rituximab è indicato nel trattamento del linfoma non-Hodgkin (LNH) in pazienti adulti. (leggi)
Riportiamo di seguito la posologia di rituximab nelle diverse indicazioni terapeutiche. (leggi)
Il rituximab è controindicato in caso di ipersensibilità, inclusa l’ipersensibilità alle proteine di origine murina. (leggi)
Il rituximab deve essere somministrato per infusione endovena tramite deflussore dedicato, non deve essere somministrato come push o bolo endovena. (leggi)
La presenza di anticorpi antichimerici (HACA) o antimurinici (HAMA) può indurre comparsa di reazioni allergiche in associazione con altri anticorpi monoclonali diagnostici o terapeutici. (leggi)
Reazioni correlate all’infusione, compresa la sindrome da rilascio di citochine, si sono verificate in oltre il 50% dei pazienti in monoterapia con rituximab, e sono state osservate soprattutto dopo la prima infusione. (leggi)
Sono stati segnalati 5 casi di sovradosaggio da rituximab dopo la sua commercializzazione, ma solo in due casi sono stati riportati eventi avversi. (leggi)
Il rituximab è un anticorpo sintetizzato in laboratorio in parte umano e in parte murino (topo) (anticorpo ingegnerizzato chimerico murino/umano) diretto contro l’antigene transmembrana CD20. (leggi)
La somministrazione di dosi di rituximab comprese fra 10 e 500 mg/m2 determina concentrazioni sieriche proporzionali alla dose stessa, ma con elevata variabilità dei livelli sierici. (leggi)
La formula bruta di rituximab è C6416H9874N1688O1987S44 (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata a rituximab sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Rituximab è prescrivibile nelle specialità commerciali Mabthera, Rixathon, Truxima, Ruxience. (leggi)
Il rituximab è un anticorpo monoclonale chimerico murino/umano diretto contro l’antigene di membrana CD20, molecola che si trova sui linfociti B normali e tumorali. Le cellule staminali non presentano l’antigene CD20 quindi sono “risparmiate” dalla terapia con rituximab e questo consente la produzione di nuovi linfociti B dopo il trattamento con il farmaco.
Il rituximab costituisce la “pietra angolare” del trattamento del linfoma follicolare, forma più comune di linfoma non-Hodgkin (LNH), sia in monoterapia che in associazione alla chemioterapia. Per questa indicazione è stato approvato, per la prima volta negli USA, nel 1997. In Europa il brevetto del rituximab è scaduto nel 2013 e questo ha permesso di poter sviluppare diversi biosimilari del farmaco. Negli USA, il primo biosimilare del rituximab è stato approvato nel 2018.
Nei pazienti sintomatici con linfoma follicolare, l’aggiunta di rituximab al trattamento chemioterapico migliora la risposta terapeutica complessiva, la durata della risposta, la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione. L’impiego del rituximab richiede una valutazione rischi/benefici per la sola classe di pazienti con epatite B asintomatica o occulta perchè sono stati segnalati casi di riattivazione della malattia epatica, anche con esito fatale. Per ridurre il rischio di riattivazione virale, le linee guida raccomandano una profilassi con lamivudina prima dell’impiego del rituximab.
Il rituximab è utilizzato anche come terapia di mantenimento nei pazienti che rispondono al trattamento di induzione. Nello studio clinico PRISMA, cha ha valutato in termini di sopravvivenza libera da progressione una terapia di due anni con rituximab, somministrato ogni 8 settimane, a pazienti responsivi al trattamento di prima linea, ha dimezzato il rischio di progressione del tumore rispetto ai pazienti non trattati 8follow up mediano di 36 mesi).
Il rituximab trova impiego anche nella terapia di seconda linea e successive. I pazienti con linfoma follicolare infatti, sebbene rispondano bene al trattaamento di prima linea, presentano una frequenza di recidiva piuttosto elevata.
Il rituximab è approvato anche per alcune forme di linfoma non Hodgkin in ambito pediatrico: linfoma CD20 positivo, diffuso a grandi cellule B (DLBCL); linfoma di Burkitt (BL)/leucemia di Burkitt (leucemia acuta a cellule B mature, BAL); linfoma simil-Burkitt (BLL).
E’ indicato nel trattameno della leucemia linfatica cronica in pazienti adulti in associazione a chemioterapia, dell’artrite reumatoide, del pemfigo volgare, nella granulomatosi con poliangite (granulomatosi di Wegener) (GPA) e nella poliangite microscopica (MPA) di grado severo, in associazione a glucocorticoidi, in pazienti adulti e per l’induzione della remissione nei pazienti pediatrici.
Il rituximab trova impiego off label (indicazioni non approvate, ma con solide evidenze scientifiche) in altre patologie autoimmuni come la sclerosi multipla, il lupus eritematoso sistemico e la piastrinopenia autoimmune.
Lo schema posologico del rituximab dipende dalla malattia da trattare e dall’eventuale associazione con chemioterapia. Il farmaco è somministrato per infusione endovenosa alla dose di 375 mg/m2 di superficie corporea una volta alla settimana oppure alla dose di 1000 mg (in quest’ultimo caso lo schema adottato è in genere di due dosi a distanza di 15 giorni l’una dall’altra). La velocità di infusione del farmaco viene calibrata in base alla tollerabilità evidenziata dal paziente.
La terapia con rituximab richiede premedicazione che si basa sulla somministrazione di antipiretici, antistaminici e glucocorticoidi. La terapia con rituximab infatti si accompagna, in una percentuale elevata di pazienti, a reazioni legate all’infusione, in genere di grado lieve-moderato di tipo simil influenzale; in una percentuale limitata di pazienti può scatenare reazioni avverse gravi, quali la sindrome da rilascio di citochine e la sindrome da lisi tumorale.
Inoltre, fino a metà circa dei pazienti trattati con l’anticorpo chimerico sviluppa infezioni opportunistiche, a causa dell’effetto immunosoppressore del farmaco. Il rituximab infatti provoca un riduzione massiccia dei linfociti B, responsabili nella loro forma attivata (plasmacellule) della produzione di anticorpi. Le infezioni opportunistiche sono causate da patogeni che normalmente non causano malattie nelle persone con sistema immunitario efficiente. In condizioni di immunosoppressione intensa e prolungata (ad esempio in pazienti trattati con immunosoppressori e poi con rituximab) si può verificare anche la riattivazione di virus silenti, presenti nell’organismo. Una delle complicanze più gravi che rientra in questo ambito è la leucoencefalopatia multifocale progressiva, patologia che interessa il sistema nervoso centrale, causata dall’attivazione del poliomavirus JC. Questo virus è presente in forma latente in più dell’80% delle persone sane.
La somministrazione del rituximab in gravidanza richiede un’attenta valutazione dei benefici per la madre e dei rischi per il feto. Le linee guida sull’impiego del farmaco raccomandano di evitare un’eventuale gravidanza e pertanto richiedono l’adozione di valide misure di contraccezione a barriera (come il profilattico) fino a 12 mesi dopo l’ultima somministrazione di rituximab. I dati di sponibili relativi all’esposizione in gravidanza del rituximab riportano un aumento dei parti pretermine, ma non un aumento dell’incidenza e della tipologia di malformazioni congenite. Il rituximab è un anticorpo della classe delle immunoglobuline G (IgG). Il passaggio delle IgG attraverso la placenta dipende dalla fase della gavidanza, raggiungengo il picco alla 26esima settimana di gestazione. E’ possibile quindi che anche il rituximab segua un andamento simile. Il rituximab viene escreto nel latte materno, ma i dati clinici disponibili non riportano eventi avversi nei bambini esposti al farmaco con l’allattamento.