Demenza: l’olanzapina non è raccomandata per il trattamento di comportamenti psicotici nei pazienti con demenza perchè associata ad un aumento di ictus e morte improvvisa. Nei pazienti con demenza l’olanzapina non è autorizzata (uso off label). L’efficacia e la sicurezza di olanzapina e degli altri farmaci antipsicotici atipici in pazienti con demenza sono state valutate in diverse metanalisi. Una delle analisi effettuate (pazienti complessivi arruolati: 5106) ha evidenziato un aumento del rischio di mortalità nei pazienti trattati con antipsicotici atipici pari a 1,6-1,7 volte rispetto ai pazienti non esposti a questo tipo di farmaci. La mortalità è risultata dipendere soprattutto da cause cardiache (insufficienza cardiaca, morte improvvisa) o infettive (soprattutto polmonite) (FDA, 2005). In uno studio osservazionale retrospettivo (più di 27 mila pazienti con demenza ed età media di 83 anni), il rischio di morte a breve termine (30 giorni) è risultato maggiore con i farmaci antipsicotici atipici rispetto al non uso di tali farmaci (secondo gli autori comunque lo studio presentava alcuni limiti metodologici) (Gill et al., 2007). In uno studio di confronto con risperidone, quetiapina, aloperidolo e acido valproico, il rischio di mortalità in pazienti anziani con demenza è risultato maggiore per aloperidolo (rischio relativo: 1,54), seguito da risperidone (farmaco di riferimento), olanzapina (rischio relativo: 0,99), acido valproico (rischio relativo: 0,91) e quetiapina (rischio relativo: 0,73) (Kales et al., 2012).
Nello specifico, per quanto riguarda l’olanzapina, negli studi clinici l’incidenza di mortalità è risultata pari al 3,5% nei pazienti trattati con il farmaco rispetto all’1,5% del gruppo placebo (Hermann, Lanctot, 2005). L’aumento della mortalità non è risultato dipendere dalla dose di olanzapina somministrata nè dalla durata del trattamento nè da fattori di rischio per mortalità quali età, disfagia (difficoltà a deglutire), sedazione, malnutrizione, disidratazione, malattie polmonari, uso di benzodiazepine. Nei pazienti con demenza trattati con olanzapina è stato osservato un aumento di circa tre volte dell’incidenza di eventi cerebrovascolari (ictus, attacco ischemico transitorio). Nei pazienti in cui sono stati riportati eventi cerebrovascolari, sia nel gruppo in terapia con olanzapina, sia nel gruppo placebo, erano presenti anche fattori di rischio indipendenti per eventi cerebrovascolari quali età superiore ai 75 anni e demenza di origine vascolare o mista.
Parkinson: l’olanzapina non è raccomandata per trattare i comportamenti psicotici nel malato di parkinson (Seppi et al., 2011). Il fattore di rischio principale per la psicosi associata a parkinson è rappresentato dagli stessi farmaci usati per la cura della malattia ovvero gli agonisti dopaminergici; altri fattori di rischio comprendono età avanzata, gravità del parkinson, disturbi del sonno, deficit cognitivo, demenza e depressione (Zahodne, Fernandez, 2008).
Negli studi clinici, l’olanzapina non è risultata più efficace del placebo nel migliorare la sintomatologia psicotica; nei pazienti trattati con olanzapina è risultato maggiore il peggioramento del parkinson e più frequente la manifestazione di allucinazioni. Inoltre il farmaco tende ad influire negativamente sui sintomi motori del parkinson (Friedman, 2011; Ondo et al., 2002).
Per quanto riguarda invece il rischio di indurre parkinsonismo associato ai farmaci antipsicotici di seconda generazione, in uno studio recente di confronto con risperidone e quetiapina, non sono emerse differenze significative fra i tre farmaci. Prendendo come riferimento il risperidone a basso dosaggio, il rischio (hazard ratios) di parkinsonismo farmaco-indotto con olanzapina a basso dosaggio è risultato pari a 0,49, mentre con quetiapina a basso dosaggio è stato di 1,18. Confrontando invece i tre farmaci ai dosaggi terapeutici più frequentemente utilizzati, l’incidenza maggiore di parkinsonismo-farmaco indotto è stata attribuita all’olanzapina a dosaggi intermedio, confrontata con il risperidone a basso dosaggio (hazard ratios: 1,66) (Marras et al., 2012).
Sindrome neurolettica maligna: la sindrome neurolettica maligna è un raro ma grave effetto collaterale che può verificarsi in corso di trattamento con farmaci antipsicotici e che richiede la sospensione immediata del farmaco responsabile. In letteratura sono riportati diversi casi di sindrome neurolettica maligna associata a olanzapina (Patra et al., 2013). I sintomi più frequenti sono: ipertermia, sintomi extrapiramidali, stato mentale alterato e disfunzione del sistema nervoso autonomo. Altre manifestazioni comprendono aumento dei livelli di creatinfosfochinasi, mioglobinuria (rabdomiolisi), insufficienza renale acuta. La causa della sindrome neurolettica maligna da farmaci non è nota, ma è stato ipotizzato che il rischio di indurre sindrome neurolettica maligna sia in qualche modo correlato con la potenza con cui ciascun farmaco neurolettico blocca le vie dopaminergiche del tratto nigrostriatale, mesocorticale e del nucleo ipotalamico (Khaldi et al., 2008). E’ possibile comunque che nello sviluppo della sindrome neurolettica siano coinvolti anche recettori serotoninergici e noradrenergici (la clozapina che ha una bassa potenza di blocco dei recettori dopaminergici D2 è associata comunque a sindrome neurolettica maligna (Khaldi et al., 2008).
Aumento di peso: l’olanzapina è stata associata ad un aumento di peso corporeo significativo, osservato sia nella popolazione adulta che pediatrica. Fra gli antipsicotici di prima e seconda generazione, l’olanzapina rappresenta il farmaco con rischio maggiore per aumento di peso corporeo (Leucht et al., 2013). Il rischio è risultato più alto nei pazienti affetti da schizofrenia rispetto ai pazienti con disturbo bipolare (i pazienti con schizofrenia sembrerebbero presentare una sorta di predisposizione genetica alla sindrome metabolica) (Moteshafi et al., 2012). Nei pazienti in terapia con olanzapina il peso corporeo deve essere monitorato con attenzione.
Diabete: l’olanzapina è stata associata a sviluppo di diabete di tipo 2 o a peggioramento del diabete. Sulla base dei dati di letteratura, l’olanzapina, insieme alla clozapina, è risultata l’antipsicotico atipico con il maggior numero di segnalazioni di iperglicemia diabetica. L’olanzapina è risultata aumentare di oltre 4 volte il rischio di iperglicemia rispetto agli antipsicotici tradizionali (Citrome, Jaffe, 2003). Il rischio di diabete di nuova diagnosi è stato stimato più alto del 16% con olanzapina rispetto agli altri antipsicotici atipici (McDonagh et al., 2010). Nei pazienti candidati ad un potenziale trattamento con olanzapina dovrebbero pertanto essere presi in considerazione i rischi potenziali per diabete (obesità, anamnesi familiare per diabete, elevati livelli di trigliceridi nel sangue) e dovrebbe essere effettuata un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio. Nei pazienti in terapia con il farmaco le linee guida sull’uso degli antipsicotici raccomandano il controllo della glicemia dopo 12 settimane dall’inizio del trattamento, quindi una volta l’anno; il controllo degli zuccheri nelle urine (glicosuria) ogni tre mesi; il monitoraggio di sintomi riconducibili a diabete quali ad esempio sete intensa (polidipsia), fame intensa (polifagia) e aumento della quantità di urina prodotta (poliuria). Poichè in alcuni pazienti che assumevano olanzapina, un aumento significativo del peso corporeo, in un breve periodo di tempo, potrebbe aver rappresentato un fattore predisponente allo sviluppo di diabete, è raccomandato anche il controllo del peso dopo 4, 8, 12 settimane dall’inizio della terapia farmacologica, quindi ogni tre mesi (Informazione sui Farmaci, 2004).
Lipidi plasmatici: l’olanzapina è stata associata ad aumento della concentrazione dei lipidi plasmatici, colesterolo e trigliceridi, sia nei pazienti adulti che negli adolescenti (età > 13 anni). Poichè l’aumento dei lipidi plasmatici rappresenta un fattore di rischio metabolico, i pazienti candidati ad un trattamento con olanzapina dovrebbero effettuare un controllo del colesterolo e dei trigliceridi prima di iniziare la terapia farmacologica, da ripetere con cadenza periodica. Negli studi clinici è stato osservato un aumento più marcato per i trigliceridi rispetto al colesterolo in seguito all’assunzione di olanzapina; in alcuni casi i trigliceridi hanno superato il valore di 500 mg/dL. Nello studio CATIE, che ha valutato l’efficacia di olanzapina in pazienti ambulatoriali con schizofrenia cronica, l’aumento medio di colesterolo totale è stato di 9,4 mg/dL, mentre quello dei trigliceridi di 40,5 mg/dl (tempo medio di esposizione al farmaco: 9,2 mesi) (Lieberman et al., 2005).
Iperprolattinemia: l’olanzapina può aumentare i livelli plasmatici di prolattina per l’azione antagonista sui recettori dopaminergici D2. Nella maggior parte dei pazienti adulti comunque l’aumento dei livelli di prolattina indotto da olanzapina è risultato minimo e non persistente (Crawford et al., 1997). Negli adolescenti, invece, l’antipsicotico è stato associato ad aumenti significativi della prolattina sierica (variazione compresa fra -1,5 ng/ml e +13,7 ng/ml) (Fraguas et al., 2011).
Epilessia: l’olanzapina, come tutti i farmaci antipsicotici, può ridurre la soglia convulsivante e favorire, di conseguenza, manifestazioni di tipo epilettico, in particolare nei pazienti con anamnesi per convulsioni o a rischio di convulsioni. Negli studi clinici precedenti la commercializzazione del farmaco, l’incidenza di convulsioni riportata è stata pari allo 0,9% (22 casi su 2500 pazienti) (FDA, 2013).
Ipotensione ortostatica: l’olanzapina può indurre o peggiorare l’ipotensione ortostatica (abbassamento della pressione quando si passa dalla posizione supina a quella eretta). Nei pazienti con ipotensione ortostatica o a rischio di ipotensione ortostatica per malattie cardiovascolari, cerebrovascolari, ipovolemia, disidratazione si potrebbe avere un maggior rischio di caduta accidentale. Nei pazienti a rischio di ipotensione ortostatica la dose iniziale orale di olanzapina raccomandata è di 5 mg/die, da titolare progressivamente a seconda della risposta del paziente.
Intervallo QT: poichè l’olanzapina può, raramente, indurre prolungamento dell’intervallo QT dell’elettrocardiogramma, la somministrazione del farmaco in pazienti con fattori di rischio per prolungamento dell’intervallo QT richiede cautela. I fattori di rischio comprendono terapia concomitante con altri farmaci noti per avere effetti sull’intervallo QT, sindrome congenita del QT lungo, squilibri elettrolitici (ipokaliemia, ipomagnesiemia, ipocalcemia) e malattie cardiache (insufficienza cardiaca congestizia, bradicardia, ipertrofia ventricolare sinistra). La durata dell’intervallo QT corrisponde al tempo necessario per la ripolarizzazione dei ventricoli (durata normale QT corretto per la frequenza cardiaca: 0,30-0,44 o 0,45 rispettivamente nell’uomo e nella donna); un ritardo nella ripolarizzazione predispone alla comparsa di aritmie ventricolari potenzialmente fatali come la torsione di punta (TdP). Nelle donne gli effetti dell’olanzapina sulla durata dell’intervallo QT potrebbero essere maggiori rispetto a quanto osservato nell’uomo (Suzuki et al., 2013). In uno studio condotto in pazienti con schizofrenia stabile, gli effetti dell’olanzapina sull’intervallo QT sono risultati dose-dipendenti (Suzuki et al., 2011).
Discinesia tardiva: la discinesia tardiva è una sindrome, potenzialmente irreversibile, caratterizzata da movimenti involontari e ripetitivi, soprattutto a carico del viso e della lingua, che si può manifestare dopo trattamento prolungato con farmaci antipsicotici. Il rischio è raro dopo trattamenti di breve durata (qualche mese). In uno studio prospettico che ha preso in considerazione pazienti anziani (età media: 79,8 anni) con demenza (58,9%) o disturbi dell’umore (depressione o disturbo bipolare: 30,9) candidati al trattamento con olanzapina (o risperidone) per psicosi (78,7%), il tasso cumulativo di discinesia tardiva è risultato pari al 6,7% dopo 1 anno di terapia e all’11,1% dopo 2 anni confermando la minor incidenza di discinesia tardiva con gli antipsicotici atipici rispetto a quelli di prima generazione osservata in precedenti studi clinici (Woerner et al., 2011). In caso di comparsa di discinesia tardiva può essere utile ridurre la dose di olanzapina; in assenza di una remissione dei sintomi il farmaco deve essere sospeso. Con la sospensione dell’antipsicotico si può avere un peggioramento transitorio dei sintomi di discinesia tardiva.
Leucopenia, neutropenia, agranulocitosi: l’olanzapina è stata associata a comparsa di neutropenia (conta neutrofili < 1,5x109/L), leucopenia (conta dei globuli bianchi < 4x109L) e agranulocitosi (granulociti: < 100 cell/mm3) (Stip et al., 2007). L’agranulocitosi rappresenta la complicanza ematologica più grave, fatale nel 5-10% dei casi di agranulocitosi indotta da farmaci (Flanagan, Dunk, 2008). Nei pazienti a rischio di leucopenia o neutropenia o che assumono farmaci che possono aumentare l’incidenza di questi effetti collaterali la somministrazione di olanzapina richiede cautela. La neutropenia è stata riportata frequentemente in caso di associazione di olanzapina e acido valproico.
Attività anticolinergica: sebbene l’olanzapina presenti una bassa incidenza di effetti collaterali di tipo anticolinergico, la somministrazione del farmaco a pazienti con ipertrofia prostatica e ileo paralitico richiede comunque cautela. In uno studio che ha valutato l’attività anticolinergica di 107 farmaci in termini di pmol/ml di equivalenti atropina, l’olanzapina ha evidenziato un’attività intermedia, compresa fra 5-15 pmoli/ml (attività elevata>15 pmoli/ml; attività scarsa < 5 pmoli/ml) (Chew et al., 2008). Nel gruppo di farmaci antipsicotici atipici o di seconda generazione, l’incidenza degli effetti avversi anticolinergici è risultata alta per clozapina, moderata per olanzapina, bassa per quetiapina e molto bassa per risperidone, sertindolo e ziprasidone (Brown et al., 1999).
Funzione epatica: l’olanzapina è stata associata ad aumento degli enzimi di funzionalità epatica alanino aminotransferasi (ALT), aspartato aminotransferasi (ASP) e fosfatasi alcalina (ALP). In uno studio di confronto con risperidone, l’antipsicotico atipico più frequentemente impiegato in ambito clinico, l’olanzapina è risultata associata ad una percentuale maggiore di pazienti in cui almeno uno dei tre enzimi risultava aumentato (26,9% vs 14,2%) (Pae et al., 2005). In un altro studio che ha preso in considerazione olanzapina, risperidone e quetiapina, è emerso che, benché l’aumento degli enzimi epatici (ALT, AST, gamma glutamiltransferasi GGT e bilirubina serica) fosse frequente (27,2% dei pazienti), solo in un numero limitato di pazienti tali incrementi diventano clinicamente significativi (1,8%). Nello studio considerato, solo 2 pazienti su 110, entrambi in terapia con dosi elevate di olanzapina, hanno manifestato aumenti dell’enzima AST e ALT significativi (AST pari a 4 volte il valore basale con olanzapina 20 mg/die; ALT pari a 3 volte il valore basale con olanzapina 30 mg/die) (Atasoy et al., 2007).
La somministrazione di olanzapina richiede cautela e monitoraggio degli enzimi plasmatici nei pazienti con fattori di rischio per tossicità epatica (epatotossicità pregressa, AST/ALT elevate, insufficienza epatica, terapia concomitante con farmaci epatotossici). In caso di epatite, l’olanzapina deve essere sospesa.
Tromboembolismo: i farmaci antipsicotici sono associati ad un aumento del rischio di trombosi venosa profonda e di embolia polmonare (odds ratio pari a 3,51 considerando l’incidenza di tromboembolismo fra pazienti esposti e non esposti agli antipsicotici). L’analisi dei dati di letteratura pubblicati fra il 1990 e il 2012 (ricerca tramite Medline) ha collocato l’olanzapina al terzo posto, dopo clozapina e risperidone, per incidenza di complicanze tromboemboliche (rispettivamente 438 eventi con clozapina vs 283 con risperidone vs 241 con olanzapina). I fattori che aumentano il rischio sono stati individuati nell’uso di antipsicotici di seconda generazione, nell’uso di antipsicotici con bassa potenza e nel ricorso alla politerapia antipsicotica. Ci sono inoltre indicazioni che suggeriscono un aumento del rischio di tromboembolismo venoso dipendente dalla dose dei farmaci somministrati (Shulman et al., 2013).
Rabdomiolisi: poichè l’olanzapina può provocare danno muscolare (rabdomiolisi: <1% dei pazienti), in caso di dolore muscolare, perdita di forza muscolare e affaticamento senza un causa apparente, potrebbe essere utile valutare i livelli plasmatici di creatinfosfochinasi (CPK), marker di danno muscolare (valori normali di CPK: 60190 UI/L) (Ribeyron et al., 2009).
Età, sesso, fumo: sebbene negli studi di farmacocinetica, fattori quali età, sesso o fumo possano indurre variazioni nell’esposizione sistemica all’olanzapina (la clearance plasmatica diminuisce nei pazienti anziani e nelle donne, mentre aumenta nei fumatori abituali) in genere non è necessario aggiustare la dose di farmaco in base a tali fattori, poichè la concentrazione plasmatica dell’olanzapina varia in modo significativo da un paziente all’altro senza che questo ne influenzi l’efficacia terapeutica. In presenza però di più fattori che contemporaneamente tendono a rallentare il metabolismo ossidativo dell’antipsicotico (es. donne anziane), potrebbe essere necessario modificare la dose di olanzapina (Callaghan et al. 1999).
Litio, valproato: la combinazione di olanzapina e valproato o litio può indurre un aumento di alcuni effetti collaterali. In pazienti con mania bipolare trattati con olanzapina e valproato, l’incidenza di neutropenia è risultata circa del 4%. In pazienti trattati con olanzapina e valproato o litio può aumentare (oltre il 10% dei pazienti) la comparsa di tremore, secchezza della bocca, aumento dell’appetito e del peso corporeo. In caso di trattamento acuto (massimo 6 settimane) l’associazione di olanzapina e valproato o litio ha indotto un aumento del peso uguale o superiore al 7% (aumento clinicamente significativo) nel 17,4% dei pazienti.
Interruzione della terapia: l’interruzione brusca della terapia con olanzapina può provocare sudorazione, insonnia, tremore, ansia, nausea e/o vomito (0,01%-0,1% dei pazienti).
Pazienti pediatrici: nei bambini e nei ragazzi con meno di 18 anni l’olanzapina non è raccomandata. Negli studi clinici l’incidenza degli effetti collaterali del farmaco, quali aumento del peso corporeo e aumento dei livelli di prolattina, colesterolo e trigliceridi, è risultata maggiore rispetto alla popolazione adulta. In uno studio della durata di 6 anni, la somministrazione di olanzapina a pazienti di età compresa fra 4 e 19 anni ha determinato un aumento medio del peso corporeo di 8,5 Kg, di colesterolo totale di 15,6 mg/dL e di trigliceridi totali di 24,3 mg/dL (Correl, Manu, 2009).
Gravidanza: la somministrazione di olanzapina in gravidanza e nelle donne che allattano richiede un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio. I dati di letteratura disponibili sull’uso di olanzapina in gravidanza e durante l’allattamento sono limitati e derivano nella maggior parte da case report. L’uso di olanzapina in gravidanza è stato associato a diabete gestazionale (aumento del rischio non statisticamente significativo) e a ipoglicemia neonatale (Bodén et al., 2012; Rowe et al., 2012). L’esposizione a farmaci antipsicotici durante il terzo trimestre di gravidanza può comportare nei neonati la comparsa di reazioni avverse sovrapponibili a quelle osservate nei pazienti che interrompono bruscamente la terapia farmacologica: irrequietezza, iper/ipotonia, tremore, sonnolenza, difficoltà respiratoria o disturbi dell’alimentazione (Gilad et al., 2011).
Allattamento: sulla base dei dati raccolti nel Worldwide Safety Database della Eli Lilly, l’azienda produttrice dell’olanzapina, la maggior parte dei neonati allattati da donne che assumo il farmaco non ha evidenziato effetti collaterali riconducibili a olanzapina (82,3%); in una piccola percentuale di bambini sono stati segnalati sonnolenza (3,9%), irritabilità (2%), tremore (2%) e insonnia (2%) (Brunner et al., 2013).
Lattosio: alcune specialità medicinali a base di olanzapina possono contenere lattosio come eccipiente. Il lattosio è uno zucchero formato da altri due zuccheri, il galattosio e il glucosio. Nei pazienti con intolleranza su base ereditaria al galattosio, con deficit della lapp lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio potrebbe essere non indicato assumere farmaci contenenti lattosio.
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