Sovradosaggio: in caso di sovradosaggio di metilfenidato i sintomi includono vomito, stato d’agitazione, tremori, eccessiva vivacità dei riflessi, contrazioni muscolari, convulsioni (a volte seguite da coma), stati euforici, confusione, allucinazioni, delirio, sudorazione, vampate di calore, cefalea, iperpiressia (febbre molto alta, oltre i 40°C), tachicardia, palpitazioni, aritmie cardiache, ipertensione, midriasi e secchezza delle membrane mucose.
Nel trattare i pazienti con sovradosaggio, bisogna considerare il rilascio ritardato del metilfenidato dalla formulazione farmaceutica. Non esiste un antidoto specifico per il sovradosaggio da metilfenidato. Se il paziente è cosciente ed i sintomi non sono severi, si può effettuare una lavanda gastrica o indurre il vomito. In alternativa somministrare carbone attivo ed un catartico (farmaco ad azione lassativa).
In caso di intossicazione grave somministrare una benzodiazepina (dose titolata) prima di effettuare la lavanda gastrica e istituire trattamenti di supporto per normalizzare i parametri vitali (temperatura corporea, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, funzionalità respiratoria, ossigenazione del sangue, stato di coscienza).
Tossicologia: negli animali la somministrazione di dosi molto alte di farmaci con azione stimolante sul sistema nervoso (25 mg/kg di amfetamine per via sottocutanea nel ratto vs 0,3-0,5 mg/kg nel bambino) è stata associata ad alterazioni delle terminazioni nervose serotoninergiche e dopaminergiche in aree specifiche del sistema nervoso centrale (SNC), che negli animali adulti, sono risultate rapidamente reversibili. La somministrazione orale continuata di dosi di metilfenidato simili a quelle utilizzate in clinica (2 mg/kg) ha determinato negli animali molto giovani (prepuberi), ma non negli animali adulti, una diminuzione persistente (mesi) e selettiva (nucleo striato) dei trasportatori della dopamina a livello sinaptico. Il significato clinico di questa osservazione è controverso (Panei et al., 2009). Si raccomanda cautela nell’uso di dosi estremamente alte di psicostimolanti: dosi circa trenta volte superiori a quelle utilizzate nei bambini (intossicazione grave) potrebbero produrre tali effetti tossici (National Institutes of Health, NIH, 1998).
Cancerogenicità: studi condotti su ratti e topi mostrano che dosi elevate (oltre 40 mg/kg per due anni) di metilfenidato possono indurre tumori epatici nei roditori (Dunnick, Hailey, 1995), ma tale evenienza non è mai stata riscontrata nell’uomo. Il significato per la specie umana di tale osservazione non è noto.
Mutagenicità: numerosi studi clinici escludono casi di mutagenicità ed alterazioni del genoma nei pazienti trattati con metilfenidato affetti da adhd (Morris et al., 2012; Walitza et al, 2009). Diversi sono gli studi prospettici che non hanno riscontrato mutagenicità cromosomica nei bambini in terapia con metilfenidato (Walitza et al, 2010). Anche studi in vitro su colture di cellule di topo non rivelano un potenziale effetto mutageno del farmaco. In uno studio in vivo sull’effetto del metilfenidato sulle cellule del midollo osseo del topo sono state somministrate dosi fino a 250 mg/kg e non è emersa alcuna evidenza degli effetti mutageni. Tali risultati supportano l’ipotesi che non vi sia un aumentato rischio di cancro in seguito a trattamento con metilfenidato (Ponsa et al., 2009).
Tossicità riproduttiva: il metilfenidato è risultato teratogeno nel coniglio quando viene somministrato a dosi di 200 mg/kg/die, dose circa 167 volte e 78 volte superiore di quella massima raccomandata per l’uomo espressa rispettivamente in mg/kg e mg/m². Gli effetti teratogeni non sono stati osservati nel ratto cui il farmaco è stato somministrato a dosi di 75 mg/kg/die, circa 62,5 e 13,5 volte superiore della dose massima raccomandata per l’uomo espressa rispettivamente in mg/kg e mg/m² (Panei et al., 2009). Non sono disponibili dati clinici per valutare l’effetto su donne gravide e sul feto.
DL50: 190 mg/kg (somministrazione orale nei topi).