La lamotrigina è un farmaco ad azione antiepilettica; chimicamente è un derivato feniltriazinico (6-(2,3-diclorofenil)- 1,2,4 triazina-3,5-diamina). Possiede efficacia nel trattamento delle assenze, delle convulsioni tonico-cloniche parziali e generalizzate.
La lamotrigina agisce bloccando i canali del sodio voltaggio dipendenti (stabilizzazione della membrana neuronale) con conseguente riduzione dei neurotrasmettitori eccitatori glutammato e aspartato. Questo meccanismo è condiviso con carbamazepina e fenitoina, ma non è sufficiente a spiegare l’attività farmacologica della lamotrigina che, a differenza degli altri due antiepilettici, è efficace anche nel trattamento delle assenze. E’ stato ipotizzato che il farmaco possa agire su particolari isoforme del canale del sodio, presenti a livello cerebrale, e la cui espressione risulta alterata nel circuito talamo-corticale coinvolto nelle assenze (Coulter, 1997; White, 1999). E’ probabile inoltre che la lamotrigina influenzi il rilascio dei neurotrasmettitori eccitatori anche attraverso effetti sulla conduttanza del calcio (inibizione differenziale dei canali del calcio voltaggio-dipendenti, meccanismo condiviso con felbamato e oxcarbamazepina) e che svolga un’azione antagonista o di modulazione negativa dei recettori serotoninergici 5-HT1A.
In vitro, la lamotrigina blocca il rilascio (veratrina-dipendente) dell’acido glutammico e dell’aspartato (Brodie et al., 1992).
Epilessia
La lamotrigina è efficace, in monoterapia, nel trattamento delle crisi convulsive tonico-cloniche parziali e generalizzate; in associazione ad altri farmaci, nel trattamento delle epilessie parziali refrattarie con o senza generalizzazione secondaria, delle assenze tipiche e delle crisi di “drop-attacks” associate alla sindrome di Lennox-Gastaut.
La tollerabilità neurologica della lamotrigina è risultata più favorevole rispetto a carbamazepina e fenitoina sia in monoterapia sia quando somministrata in politerapia. Il più comune effetto collaterale associato a lamotrigina è rappresentato dai rash cutanei, la cui gravità è spesso causa dell’interruzione della terapia farmacologica. I pazienti pediatrici sono più esposti degli adulti a questo tipo di tossicità.
Nel trattamento dell’epilessia di recente insorgenza, (epilessia parziale e/o convulsioni tonico cloniche generalizzate idiopatiche) la lamotrigina ha mostrato attività terapeutica sovrapponibile a carbamazepina e fenitoina.
Nello studio che ha confrontato lamotrigina e carbamazepina in monoterapia, i pazienti arruolati (13-81 anni) presentavano una media di attacchi epilettici, rispettivamente, di 4 nel gruppo in terapia con lamotrigina (dosaggio medio: 150 mg/die) e di 3 in quello con carbamazepina (dosaggio medio: 600 mg/die). Dopo 48 settimane di terapia, un controllo completo dei sintomi era stato ottenuto nel 39% e nel 38% dei pazienti trattati, rispettivamente, con lamotrigina e carbamazepina (convulsioni parziali: 35% vs 37% dei pazienti; convulsioni tonico-cloniche generalizzate idiopatiche: 47% vs 47%). Con lamotrigina è stata osservata una minor incidenza di sonnolenza. La percentuale di pazienti che ha interrotto il trattamento a causa degli eventi avversi è stata di 15% vs 27% rispettivamente con lamotrigina e carbamazepina. Il disturbo più frequentemente responsabile della sospensione del farmaco è stato la comparsa di rash cutanei (9% vs 13%, lamotrigina e carbamazepina) (Brodie et al., 1995).
Un protocollo simile ha presentato anche lo studio che ha confrontato lamotrigina (150 mg/die) e fenitoina (300 mg/die). I pazienti, con un’età che oscillava fra 13 e 74 anni, sono stati trattati per 48 settimane. I due farmaci hanno evidenziato un’efficacia terapeutica sovrapponibile (pazienti liberi da attacchi nelle ultime 24 settimane di terapia: 43% vs 36%; pazienti liberi da attacchi generalizzati idiopatici: 44% vs 34% (Steiner et al., 1994).
L’aggiunta di lamotrigina ad un trattamento epilettico già in atto con uno o due farmaci convenzionali, in pazienti con crisi convulsive tonico-cloniche generalizzate primarie (età: 2-55 anni) è risultata efficace nel ridurre la frequenza delle crisi (65% vs 34,2% rispettivamente con lamotrigina e placebo). La percentuale di pazienti che è andata incontro ad una diminuzione del numero di crisi convulsive = 50% è stata pari al 72% nel gruppo lamotrigina vs 49% nel gruppo placebo. Nei pazienti trattati con lamotrigina gli eventi avversi più frequenti sono stati capogiri (5% vs 2%, rispettivamente lamotrigina e placebo), sonnolenza (5% vs 2%) e nausea (5% vs 3%) (Biton et al., 2005).
Il monitoraggio sul lungo periodo (107 settimane) dei pazienti trattati con lamotrigina (200-300 mg/die) ha evidenziato un controllo dell’epilessia nel 75% dei pazienti. L’efficacia di una terapia di mantenimento con sola lamotrigina è stata riscontrata anche nei pazienti con epilessia resistente al trattamento farmacologico, i quali dopo aver ricevuto lamotrigina come trattamento aggiuntivo sono passati al trattamento in monoterapia, dismettendo i farmaci antiepilettici iniziali (56% dei pazienti) (Clifford et al., 1994).
Nei pazienti con epilessia refrattaria, l’aggiunta di lamotrigina ai farmaci già in uso, è risultata efficace nel controllare la sintomatologia. La lamotrigina, somministrata con dosaggio variabile (da 50 a 500 mg/die), ha determinato una riduzione del 13-59% nella frequenza degli attacchi convulsivi (vs placebo), con una percentuale di pazienti oscillante fra il 7 e il 67% in cui la riduzione degli attacchi è risultata uguale o superiore al 50%. L’analisi, inoltre, dell’azione della lamotrigina, sulle singole tipologie di crisi convulsive ha evidenziato un’efficacia sia sulle crisi parziali sia sugli attacchi di natura tonico-clonico generalizzato, con una tendenza ad un maggior controllo delle crisi generalizzate rispetto alle crisi parziali. Dai risultati di piccoli studi non comparativi, i benefici clinici ottenuti con l’aggiunta della lamotrigina ai farmaci convenzionali sono risultati duraturi nel tempo (= 38 settimane) (Fitton, Goa, 1995).
La lamotrigina in politerapia è risultata efficace anche nel trattamento di forme epilettiche quali le assenze tipiche (percentuale di pazienti con una riduzione della frequenza degli attacchi = 50%: 33%), assenze atipiche (60% dei pazienti), convulsioni atoniche (58%) e miocloniche (30%) (Binnie, 1993); malattia di Lennox-Gastaut (riduzione della frequenza degli attacchi = 50% nel 91% dei pazienti dopo 3 mesi; 55% dei pazienti dopo 4-12 mesi) (Foletti et al., 1992).
La lamotrigina ha mostrato attività anticonvulsivante sovrapponibile a gabapentin e carbamazepina nei pazienti anziani (età = 72 anni) a fronte di una maggiore compliance rispetto agli altri due farmaci. Le interruzioni precoci hanno coinvolto il 44,2% vs 51% vs 64,5% dei pazienti rispettivamente in terapia con lamotrigina (150 mg/die), gabapentin (1500 mg/die) e carbamazepina (600 mg/die). Le interruzioni per eventi avversi sono state, rispettivamente per i tre farmaci 12,1% vs 21,6% vs 31% (Rowan et al., 2005).
In pazienti pediatrici (età compresa fra 2 e 16 anni) con epilessia non adeguatamente controllata, nonostante il trattamento antiepilettico (almeno 4 crisi per mese), la somministrazione di lamotrigina è risultata più efficace del placebo nel ridurre la frequenza delle crisi parziali (riduzione: -36% vs -7%). Una diminuzione del 50% nella frequenza delle crisi epilettiche è stata raggiunta dal 42% dei pazienti trattati con lamotrigina, come farmaco aggiuntivo, rispetto al 16% di quelli trattati con placebo. Il numero di giorni liberi dagli attacchi epilettici sono aumentati del 28% vs 3,2%, rispettivamente con lamotrigina e placebo. La maggior parte degli eventi avversi è stata di intensità lieve/moderata, con una maggior frequenza, nel gruppo lamotrigina, per vertigini (21% vs 5%), instabilità/atassia (10% vs 2%), tremore (12% vs 2%) e nausea (11% vs 2%). La percentuale di pazienti che ha sospeso il farmaco, lamotrigina o placebo, per eventi avversi è stata sovrapponibile.
La tollerabilità della lamotrigina nei pazienti pediatrici è stata analizzata prendendo in considerazione 13 studi clinici di cui 8 con il farmaco in terapia aggiuntiva, 3 in monoterapia e 2 che rappresentavano la continuazione di precedenti trial. I pazienti trattati (1096) erano suddivisi, quasi al 50%, fra maschi e femmine con un età compresa fra = 2 e =12 anni (età 6-12 anni: 56%; età 2-5 anni: 30%; età > 12 anni: 12%; età < 2 anni: 2%) (Massenhaimer et al., 2000).
Dall’analisi è emersa una maggior incidenza di eventi avversi quando la lamotrigina è impiegata come terapia aggiuntiva rispetto alla monoterapia (82% vs 67% dei pazienti).
Nei trial in cui la lamotrigina è somministrata in politerapia, gli eventi avversi più frequenti sono stati sonnolenza, infezioni, rash cutanei, vomito, aggravamento della crisi, faringite, febbre.
In particolare, l’epilessia mioclonica dell’infanzia, nella sua forma più severa, sembra essere aggravata dall’uso della lamotrigina. Negli studi in cui l’antiepilettico è stato somministrato in monoterapia, gli eventi avversi più segnalati hanno incluso infezioni, cefalea, rash, faringite e febbre. Circa il 9,7% dei pazienti (10,1% con lamotrigina in politerapia e 6,6% con lamotrigina in monoterapia) ha sospeso il trattamento per le reazioni avverse, gravi nel 38% dei pazienti e moderate nel 44%. Le reazioni avverse più comuni, ritenute responsabili dell’abbandono della terapia, sono state rash cutanei (5% e 2,9%, rispettivamente in politerapia e monoterapia) e aggravamento della crisi (1,5% e 2,2% rispettivamente politerapia e monoterapia).
Negli studi in cui la lamotrigina era impiegata in politerapia, circa il 50% dei pazienti pediatrici riceveva anche valproato e circa il 50% induttori farmacometabolici quali carbamazepina e fenitoina. Sia il valproato sia gli induttori sono associati a tossicità centrale (sonnolenza, aggravamento delle crisi, atassia vertigini) e gastrointestinale (vomito, nausea, diarrea). Il rischio quindi di incorrere in effetti collaterali aumenta quando la lamotrigina è associata ad altri antiepilettici.
Negli studi in monoterapia, il profilo di tollerabilità della lamotrigina è risultato simile nei fra pazienti adulti e pediatrici. I fattori di rischio principali che possono determinare un peggioramento della tollerabilità sono rappresentati da dose iniziale eccessiva, associazione con valproato e anamnesi per allergia ad altri farmaci antiepilettici.
Disturbo bipolare
La lamotrigina possiede un effetto antimaniacale additivo a quello del litio. Il farmaco è risultato efficace nel trattamento di mantenimento del disturbo bipolare di tipo 1 caratterizzato da episodi maniacali, depressivi o misti alternati a periodi di benessere. Il ruolo della lamotrigina nel trattamento acuto degli episodi di alterazione dell’umore non è stato completamente definito (i dati di letteratura attualmente disponibili, benché indichino un possibile beneficio del farmaco nel trattamento della mania acuta e della depressione bipolare acuta, sono limitati) (Ichim et al., 2000; Frye et al., 2000; Calabrese et al., 1999).
In pazienti con disturbo bipolare di tipo 1, la somministrazione di lamotrigina è risultata efficace nell’incrementare la durata dell’intervallo di tempo fra un episodio depressivo e quello successivo. La lamotrigina è risultata meno efficace nel ritardare la comparsa degli episodi maniacali o misti. Dopo trattamento in aperto di 8-16 settimane con lamotrigina, i pazienti, che avevano risposto positivamente al farmaco, sono stati randomizzati a ricevere ancora lamotrigina (100-400 mg/die) oppure litio (0,8-1,1 mEq/L) in uno studio, oppure placebo in un altro studio clinico, per 18 mesi. Sia la lamotrigina sia il litio sono risultati più efficaci del placebo nell’incrementare l’intervallo di tempo fra un episodio di alterazione dell’umore e quello successivo (endpoint primario).
La lamotrigina ha mostrato maggior efficacia del litio nel prolungare il periodo di remissione degli episodi depressivi (da 93 giorni con placebo a 200 giorni con lamotrigina oppure 170 giorni con litio), mentre il litio è risultato superiore a lamotrigina nel mantenere in remissione gli eventi di natura maniacale (da 85 giorni con placebo a 141 giorni con lamotrigina oppure 292 giorni con litio) (Calabrese et al., 2003; Bowden et al., 2003).
L’analisi post-hoc di questi due studi, che hanno valutato l’efficacia della lamotrigina nel trattamento del disturbo bipolare, ha evidenziato un effetto di riduzione ponderale del farmaco. Dopo 52 settimane, nel gruppo di pazienti obesi, il peso corporeo variava da -4,2 kg a +6,1kg a –0,6 kg, rispettivamente con lamotrigina, litio e placebo; nel gruppo di pazienti non obesi, il peso corporeo variava da –0,5 kg a +11 kg a +0,7 kg, rispettivamente con lamotrigina, litio e placebo (Bowden et al., 2006).
Cefalea
La lamotrigina è risultata efficace nel ridurre gli attacchi di cefalea con aurea (Lampl et al., 2005) e nel trattamento della cefalea identificata con il termine “Sunct”. L’ipotalamo sembra essere coinvolto nell’origine di questo tipo di cefalea, che si presenta con attacchi nevralgiformi unilaterali di breve durata con iniezione congiuntivale e lacrimazione (Cohen, 2007; Malik et al., 2002).
Dolore neuropatico
La lamotrigina è stata valutata come possibile opzione terapeutica nel trattamento del dolore neuropatico (Titlic et al., 2008). Gli studi clinici hanno evidenziato risultati contrastanti. In un trial randomizzato, in doppio cieco, in pazienti con dolore neuropatico causato da sofferenza del trigemino (nevralgia grave o cronicizzata), l’aggiunta della lamotrigina al trattamento già in atto (carbamazepina o fenitoina) è risultata più efficace del placebo nel controllare la sintomatologia dolorosa dopo 2 settimane. La dose di lamotrigina era stata gradualmente aumentata (4 giorni) fino a 400 mg/die (Zakrzewska et al., 1997). Analoghi risultati sono stati evidenziati in caso di dolore neuropatico da HIV. L’efficacia antalgica della lamotrigina, somministrata a dosi progressivamente crescenti fino a 300 mg/die è risultata superiore al placebo dopo 14 settimane (Simpson et al., 2000). Di contro, in caso di dolore neuropatico di origine non nota, il trattamento con lamotrigina (dose di mantenimento di 200 mg/die) non ha mostrato maggior efficacia del placebo dopo 8 settimane (McCleane, 1999).