La ketamina (o chetamina; INN: ketamine) è un anestetico generale, non barbiturico, ad azione rapida, ottenuto a partire dalla fenciclidina (PCP). E’ disponibile sotto forma di miscela racemica, contenente uguali quantità dei due isomeri: (S+) ketamina e (R-) ketamina. La (S+) ketamina è caratterizzata da una potenza analgesica pari a 3-4 volte quella dell’isomero (R-).
La Ketamina è stata approvata ngli USA nel 1970.
La ketamina possiede elevata attività analgesica, associata però ad intensi effetti collaterali, soprattutto causati dalla stimolazione del sistema cardiovascolare. L’azione analgesica dell’enantiomero (S+) ketamina è risultata maggiore nell’uomo rispetto alla donna. Nella donna infatti la clearance del farmaco aumenta di circa il 20%, condizione che comporta, a parità di dosaggio, una concentrazione plasmatica di ketamina significativamente più elevata nei pazienti di sesso maschile (Sigtermans et al., 2009). L’azione analgesica si manifesta a dosi subanestetiche (100 ng/ml) per inibizione acompetitiva dei recettori NMDA del glutammato.
La ketamina sembra agire a livello mesencefalico, con un’induzione rapida ma meno veloce dei barbiturici. Dopo somministrazione endovena l’anestesia si manifesta entro 30 secondi (durata di 10-15 minuti) ed entro 3-5 minuti dalla somministrazione intramuscolare (durata di 12-25 minuti). La durata dell’analgesia, dopo somministrazione intratecale ed extradurale, è rispettivamente di 1 e 4 ore (Reilly, Nimmo, 1987). Dopo anestesia regionale gli effetti del farmaco durano per 14 minuti (Amiot et al., 1985).
La ketamina è un antagonista dei recettori postsinaptici NMDA verso cui evidenzia moderata affinità. I recettori NMDA, identificati con il nome di una delle molecole agoniste, l’N-metil-D-aspartato, sono recettori ionotropici, funzionano cioè come canali ionici lasciando fluire, dopo attivazione, Na e Ca verso l’interno della cellula e K verso l’esterno. Il principale agonista del recettore NMDA è l’acido glutammico, il principale neurotrasmettitore ad attività eccitatoria; altri agonisti sono, oltre all’N-metil-D-aspartato, la glicina, le poliamine e i protoni. Fra gli antagonisti del recettore compaiono lo ione magnesio e lo ione zinco. Il recettore presenta, oltre al sito di attivazione e di inibizione, un terzo sito, di fosforilazione, sul lato endoplasmatico, e un quarto sito di ossidoriduzione, sul lato extraplasmatico, la cui attivazione regola ulteriormente l’attività ionotropica del recettore. I recettori NMDA sembrerebbero coinvolti nei processi di apprendimento e della memoria a lungo e a breve termine e nei meccanismi che originano iperalgesia e allodinia (percezione di dolore da uno stimolo che non dà dolore) conseguenti a danno tissutale o nervoso.
Nello stato di riposo il recettore NMDA è inattivo e il suo canale ionico è bloccato dalla presenza all’interno degli ioni magnesio. L’interazione con neurotrasmettitori eccitatori provoca depolarizzazione della membrana e rimozione dello ione magnesio con conseguente apertura del canale, flusso intracellulare di calcio e sodio e fuoriuscita di potassio. Questa situazione attiva una serie di reazioni a catena, di fosforilazione, di chinasi intracellulari.
La ketamina agisce verso i recettori NMDA come antagonista acompetitivo perchè il blocco dei recettori è condizionato dal legame con agonisti endogeni come la glicina. Questo particolare tipo di antagonismo dipende dal fatto che la ketamina per inibire il recettore deve trovare il canale recettoriale nello stato di apertura. Da studi ulteriori sembrerebbe, tuttavia, che la ketamina sia in grado di legarsi al recettore NMDA anche nello stato di chiusura e questo presupporrebbe la presenza di un sito idrofobico transmembrana accessibile (Orser et al., 1997). La ketamina una volta legata al recettore NMDA condiziona l’apertura del canale impedendo il flusso di ioni calcio e limitando quindi la cascata di reazioni di fosforilazione. La ketamina quindi agirebbe come “modulatore“ con un’azione antiallodinica e antiperalgesica piuttosto che come un analgesico puro, particolarmente utile nel trattamento del dolore neoplastico e neuropatico. La ketamina inoltre sembra ridurre lo sviluppo di tolleranza e iperalgesia indotta dagli oppioidi, probabilmente interferendo con la fosforilazione delle proteinchinasi che costituiscono una tappa fondamentale dell’attività eccitatoria causata dagli oppioidi.
La ketamina interagisce, anche se con legame a bassa affinità, con i recettori non-NMDA del glutammato, con i reccetori per gli oppioidi (ad alte dosi, con affinità decrescente per mu, kappa e delta), con i recettori per le amine simpaticomimetiche e con i recettori colinergici. Poichè la stimolazione dei recettori non-MNDA del glutammato determina un aumento della sintesi di ossido nitrico, molecola implicata nella percezione del dolore, l’inibizione dei recettori non-MNDA indotta dalla ketamina potrebbe contribuire alla sua azione analgesica (Gordh et al., 1995). L’interazione invece con i recettori mu degli oppioidi potrebbe spiegare l’insorgenza degli effetti psicotomimetici dell’anestetico (Kohrs, Durieux, 1998). L’interazione con i recettori oppioidi, comunque, non sembra svolgere un ruolo significativo nell’azione analgesica della ketamina, poiché la somministrazione di naloxone, antagonista oppioide, non ne annulla l’azione (Sarton et al., 2001; Smith et al., 1985). L’inibizione della ricaptazione delle catecolamine a livello periferico è responsabile dell’azione di stimolo sul sistema cardiovascolare da parte della ketamina.
La ketamina inibisce il sistema colinergico sia direttamente (inibizione dei recettori muscarinici e nicotinici) sia indirettamente (inibizione NMDA-mediata del rilascio di acetilcolina) (Kress, 1994). L’attività sui recettori nicotinici, insieme a quella sui recettori NMDA e sui recettori della serotonina, sono alla base, probabilmente, degli effetti amnesici della ketamina (Cohen et al., 2018). La ketamina inibisce i canali ionici voltaggio-dipendenti del sodio (effetto che sembrerebbe contribuire all’azione anestetica della ketamina) e del calcio (effetto osservato in vitro che potrebbe spiegare la vasodilatazione cerebrale riscontrata nei pazienti sottoposti ad anestesia) (Kohrs, Durieux, 1998). L’inibizione inoltre dei recettori HCN1 sembrerebbe alla base degli effetti ipnotici della ketamina (i recettori HNC sono canali ionici transmembrana che interagiscono con nucleotidi ciclici, ma rispondono anche a condizioni di iperpolarizzazione della membrana cellulare) (Cohen et al., 2018).
L’interazione con i recettori NMDA e quella agonista sui recettori GABA (A e B) e sigma è coinvolta, secondo le più recenti evidenze scientifiche, negli effetti anticonvulsivanti della ketamina (Synowiec et al., 2013).
La ketamina sembra inibire l’induzione del potenziamento a lungo termine (LTP, Long Term Potentiation) a livello dell’ippocampo, area implicata nei processi di apprendimento. Il potenziamento a lungo termine consiste in un aumento dell’eccitabilità della cellula postsinaptica causato da una stimolazione breve e ad alta frequenza della via sinaptica stessa (Harris et al., 1984).
L’anestetico ha dimostrato inoltre la capacità di rilasciare dopamina a livello del nucleus accumbens.
La ketamina è un anestetico “dissociativo“ perchè causa uno stato catalettico (il paziente è dissociato dall’ambiente esterno), amnesia ed analgesia, senza perdita di coscienza. La ketamina deprime il sistema talamo-corticale e stimola il sistema limbico, compreso l’ippocampo. Questo provoca una sorta di disorientamento funzionale del cervello che produce anestesia. La somministrazione contemporane di benzodiazepine o agonisti alfa2 riduce, durante il risveglio, gli effetti psicomimetici della ketamina diminuendone l’azione colinergica, che si traduce, a valle, in una minore stimolazione dei neuroni corticolimbici.
La ketamina esercita il suo effetto anche sul midollo spinale dove inibisce a livello delle corna dorsali i neuroni ad ampia gamma dinamica (neuroni WDR, Wide Dynamic Range), cellule nervose che rispondono a diversi stimoli sensoriali, ricevendo fibre anche non nocicettive. Il blocco della sensibilità dolorosa indotto da ketamina avviene a livello tegumentario e non viscerale. Sotto l’azione della ketamina sono mantenuti i riflessi osteotendinei, ciliari, fotomotori, faringei e laringei, il riflesso della deglutizione; si ha dilatazione della pupilla e nistagmo.
La ketamina presenta una modesta azione miorilassante ma può talvolta causare un aumento del tono muscolare. Provoca aumento della pressione arteriosa sia sistemica sia polmonare, della frequenza e della gittata cardiaca (stimolazione del sistema simpatico); del flusso e consumo d’ossigeno cerebrale, della pressione intracranica; della pressione intraoculare. Gli effetti della ketamina sul sistema cardiovascolare contraddistinguono questa molecola rispetto agli altri ipnoinduttori venosi che determinano invece depressione del sistema cardiovascolare. Nei pazienti con funzionalità miocardica normale, gli effetti cardiovascolari della ketamina vengono compensati con una vasodilatazione coronarica che supporta l’aumentata richiesta di ossigeno, questa compensazione manca o risulta insufficiente nei pazienti coronaropatici nei quali si viene a creare una squilibrio tra domanda e apporto di ossigeno al miocardio (la ketamina non è indicata nei pazienti coronaropatici).
La ketamina possiede un’azione inotropa negativa (riduzione della forza di contrazione del cuore) diretta e dose-dipendente, evidente solo in pazienti con deplezione delle catecolamine (ad esempio pazienti ricoverati in terapia intensiva, pazienti sottoposti a truami di lunga durata).
La ketamina determina transitoria depressione respiratoria (riduzione della frequenza respiratoria per 2-3 minuti dopo la somministrazione). Gli effetti sul centro del respiro sono minimi e brevi: il centro del respiro infatti risponde normalmente allo stimolo dell’anidride carbonica in presenza di ketamina. La ketamina non agisce sui muscoli respiratori.
L’anestetico aumenta i valori di adrenalina e noradrenalina 2 minuti dopo la somministrazione ev.: entro 15 minuti tali valori scendono ai livelli basali. La stimolazione del sistema simpatico adrenergico rende la ketamina particolarmente utile nei pazienti con ipotensione in cui è importante evitare ulteriori cadute pressorie, mentre la controindica negli ipertesi. Poichè attiva le MAO e causa una ciclizzazione delle catecolamine, la ketamina aumenta i derivati ciclici tossici psicotogenetici, responsabili dei fenomeni di allucinazione che possono verificarsi al risveglio.
Provoca estesa broncodilatazione, probabilmente come conseguenza dell’attivazione del sistema simpatico adrenergico, anche se sembrano coinvolti anche altri meccanismi come suggerirebbe la capacità della ketamina di inibire l’azione di sostanze broncocostrittrici come il carbacolo e l’istamina.
La ketamina aumenta le secrezioni salivare e bronchiale.
La ketamina è impiegata, come unico anestetico, in caso di procedure diagnostiche o chirurgiche che non richiedono rilasciamento muscolare (sedoanalgesia o PSA) e nell’induzione dell’anestesia, che viene poi mantenuta con l’ausilio di altri anestetici generali.
E’ impiegata anche nell’anestesia di pazienti ad elevato rischio operatorio con depressione delle funzioni vitali; nei pazienti ustionati per anestesie ripetute, in caso di analgesia chirurgica (via intratecale) (Bion, 1984); per anestesia regionale (Amiot et al., 1985); per il trattamento del dolore intrattabile (via extradurale) (Mankowitz et al., 1982) e del dolore post-operatorio (Islas et al., 1985).
Sedoanalgesia
Poichè la ketamina induce crisi allucinative al risveglio in circa la metà dei pazienti adulti, mentre questo si verifica in meno del 10% dei pazienti pediatrici, attualmente il suo impiego clinico è focalizzato all’induzione della sedoanalgesia o PSA (Procedural Sedation and Analgesia) in ambito pediatrico, quando il bambino deve essere sottoposto a procedure diagnostiche o terapeutiche che possono causare dolore e ansia. Le indicazioni alla PSA comprendono, ad esempio, riduzione di fratture e lussazioni ortopediche, indagini diagnostiche per immagini, riparazione di lacerazioni facciali o altro tipo di lacerazione, drenaggio di ascessi, artrocentesi, puntura lombare, prelievo di midollo osseo.
La sedazione che può essere ottenuta nei pazienti pediatrici può avere diversi gradi di intensità: sedazione cosciente, sedazione profonda, anestesia generale (classificazione individuata dall’America Academy of Pediatrics, AAP). La sedazione cosciente presenta un livello di coscienza leggermente diminuito e la conservazione dei riflessi respiratori di difesa e della pervietà delle vie respiratorie. La sedazione profonda è caratterizzata da coscienza ridotta o stato di incoscienza, in cui il bambino può non essere in grado di rispondere intenzionalmente a stimoli verbali o fisici e in cui può verificarsi compromissione dei riflessi respiratori di difesa e la capacità di conservare la pervietà delle vie respiratorie. L’anestesia generale comporta uno stato di incoscienza completo e l’assenza di riflessi respiratori di difesa.
La ketamina induce nel bambino una sedazione che differisce dallo stato di “sonno“ in quanto il bambino può mantenere gli occhi aperti, lo sguardo è vacuo e può essere presente nistagmo (movimento ritmico e involontario degli occhi). A causa dell’inibizione del tono muscolare indotto dall’anestetico possono persistere movimenti involontari degli arti. Nei bambini di età superiore ai 10 anni e nei pazienti adulti, la ketamina può indurre allucinazioni, agitazione e attività onirica vivida; crisi allucinatorie al risveglio della sedazione (<10% nei bambini, 50% negli adulti), il cui rischio può essere ridotto con la somministrazione concomitante di una benzodiazepina (midazolam). L’induzione di PSA con ketamina richiede la co-somministrazione di un antisialogogo, come l’atropina o il glicopirrolato, per ridurre l’aumento delle secrezioni salivare e trecheobronchiali stimolato dall’anestetico.
Dolore acuto
Benchè autorizzata dalle agenzie regolatorie come farmaco anestetico, la ketamina è utilizzata da molto tempo anche nel trattamento del dolore acuto (uso off label) in caso di trauma, esacerbazione acuta di condizioni patologiche croniche e nel dolore postoperatorio. Questo ha portato, nel 2018, l’American Society of Regional Anesthesia and Pain Medicine (ASRA), l’American Academy of Pain Medicine e l’American Society of Anaesthesiologists, a redigere delle linee guida dedicate (Schwenk et al., 2018). Sulla base delle evidenze scientifiche disponibili prese in considerazione dalle tre scietà scientifiche americane, la ketamina può essere utilizzata come analgesico nel trattamento del dolore postoperatorio da moderato a severo (chirurgia del torace e alto addome, procedure del basso addome, intraddominali e ortopediche a carico della colonna e degli arti) e nei i pazienti dipendenti o tolleranti agli oppioidi sottoposti a chirurgia. In questo gruppo di pazienti, la ketamina è risultata ridurre il consumo di oppioidi (Assouline et al., 2016; Wang et al., 2016; Jouguelet-Lacoste et al., 2015; Bell et al., 2005; Elia, Tramèr, 2005). Può inoltre essere utilizzata come terapia analgesica aggiuntiva nei pazienti con dipendenza agli oppioidi nel trattamento delle esacerbazioni acute in caso di malattie croniche (la maggior parte dei dati riguarda il dolore falciforme) e come coadiuvante per limitare l’uso di oppioidi nei pazienti con apnea ostruttiva del sonno (in caso di chirurgia gli oppioidi aumentano il rischio di apnea centrale). Il dosaggio della ketamina come analgesico è inferiore a quello utilizzato per indurre l’anestesia (in media: 2 mg/kg): non superiore a 0,35 mg/kg come bolo endovena e non superiore a 1 mg/kg/ora in infusione endovena in assenza di monitoraggio intensivo (lo stesso dosaggio potrebbe essere adottato anche in caso di analgesia perioperativa come terapia aggiuntiva a quella con oppioidi, anche se le evidenze scientifiche sono limitate).
L’uso di dosi di ketamina inferiori a quelle impiegate in anestesia risultano efficaci nel trattamento del dolore acuto e gravate da minori effetti collaterali, pertanto più tollerabili. È anche vero, comunque, che in particolari condizioni (come ad esempio in caso di pazienti già esposti a ketamina) potrebbe essere opportuno modificare la dose di ketamina rispetto agli intervalli indicati (nei pazienti con minore tollerabilità alla ketamina, possono essere indicate dosi più basse: 0,1-0,5 mg/kg). Nei pazienti che non possono, o difficilmente possono, essere trattati per via parenterale (come ad esempio i bambini), le evidenze disponibili suggeriscono come via di somministrazione alternativa quella nasale, mentre meno convincente, attualmente, è l’uso per via orale.
Nella maggior parte degli studi clinici che hanno valutato l’uso della ketamina nel trattamento del dolore acuto, gli effetti collaterali, spesso raccolti come segnalazione spontanea da parte dei pazienti, sono risultati avere un’incidenza simile o di poco superiore a quella osservata nel gruppo di confronto (placebo). Gli effetti collaterali più frequenti sono stati nausea, vomito, sogni vividi o allucinazioni, raramenti effetti dissociativi (Laskowski et al. 2011; Elia, Tramèr, 2005; Bell et al., 2005). Rappresentano controindicazioni all’uso della ketamina come analgesico la disfunzione epatica grave (ad esempio cirrosi), le patologie cardiovascolari a rischio elevato, i problemi psichiatrici caratterizzati da psicosi come la schizofrenia, la gravidanza, la pressione intracranica elevata e la pressione oculare elevata (Schwenk et al., 2018). A differenza di quanto osservato per la ketamina nel trattamento del dolore cronico, un’esposizione per un tempo limitato al farmaco, come si verifica nel dolore acuto, in pazienti con storia di abuso di sostanze non ha aumentato il rischio di dipendenza. L’uso della ketamina, in ogni caso, richiede un attento monitoraggio del paziente. In caso di eventi avversi (effetti psicomimetici, simpaticomimetici, convulsioni), le uniche classi di farmaci utilizzabili sono le benzodiazepine e la clonidina (evidenze scientifiche molto limitate) (Cohen et al., 2018).
Dolore cronico
Il dolore cronico è una delle pincipali cause di disabilità nel mondo. In Europa e Stati Uniti circa un terzo della popolazione adulta soffre di dolore cronico (prevalenza di dolore cronico in Europa: 25-30%) (Leadley et al., 2012; Institute of Medicine Committee on Advancing Pain Research, Care, and Education, 2011). Negli ultimi 20 anni l’uso endovenoso della ketamina nel trattamento del dolore cronico (uso off label) è aumentato notevolmente. Sulla base dei dati di letteratura, secondo l’American Society of Regional Anesthesia and Pain Medicine (ASRA), l’American Academy of Pain Medicine e l’American Society of Anaesthesiologists, gli ambiti in cui la ketamina può essere utilizzata per un’azione analgesica a breve termine comprendono il dolore da danno al midollo osseo e la sindrome dolorosa regionale complessa (CRPS) di tipo 1 (evidenze scientifiche di qualità limitata). Per quanto riguarda invece il dolore neuropatico di altra forma (dolore neuropatico misto, dolore dell’arto fantasma, dolore posterpetico, fibromialgia) e il dolore nocicettivo (cefalea dolore alla schiena, dolore oncologico, dolore ischemico) le evidenze scientifiche a supporto di un uso della ketamina per un’azione analgesica immediata risultano deboli o non ci sono. Per quanto riguarda lo schema posologico, nel trattamento del dolore cronico i benefici maggiori sono stati ottenuti somministrando la ketamina a dosi più elevate per un tempo più lungo e con somministrazioni più frequenti. La sostituzione di ketamina orale o di altri antagonisti del recettore NMDA (ad esempio, destrometorfano) come terapia di mantenimento, in alternativa ad infusioni ripetute di ketamina, è associata a benefici clinici poco evidenti (a cui si deve aggiungere un elevato rischio di abuso con la ketamina orale), mentre maggiori sono le evidenze per la ketamina intranasale nel trattamento del dolore episodico intenso (Cohen et al., 2018).
Nel trattamento del dolore la ketamina è impiegata a dosi subanestetiche, che nella maggior parte dei pazienti hanno evidenziato una maggiore tollerabilità. Inoltre mentre è stata osservata una corelazione dose-dipendente tra dose anestetica ed effetti collaterali, tale correlazione è risultata più incerta quando il farmaco è somministrato a dosaggio inferiore. Queste considerazioni possono essere estese anche all’ambito delle controindicazioni all’uso del farmaco, che, in caso di dosi subanestetiche, potrebbero essere considerate controindicazioni relative o solo precauzioni. Le linee guida per l’uso della ketamina nel dolore cronico, definite sulla base delle evidenze scientifiche dall’American Society of Regional Anesthesia and Pain Medicine (ASRA), l’American Academy of Pain Medicine e l’American Society of Anaesthesiologists, confermano tra le controindicazioni la malattia cardiovascolare non controllata (angina instabile, ipertensione non controllata, malattia coronarica ad alto rischio), la psicosi (ricomparsa di allucinazioni e/o visioni in pazienti con schizofrenia), il delirio (esacerbazione dei sintomi) e l’insufficienza epatica grave (il farmaco deve essere somministrato con cautela in caso di insufficienza epatica moderata). Rientrano tra i pazienti non candidabili all’uso della ketamina, anche quelli con storia positiva per sintomi psicomimetici e controindicazione alle benzodiazepine (farmaci di prima linea per il trattamento dei sintomi psicomimetici della ketamina). La somministrazione di ketamina a dosi subanestetiche in pazienti con storia di abuso di sostanze deve essere valutata caso per caso, considerando che dosi elevate e/o un’esposizione elevata al farmaco (infusioni ripetute di ketamina) aumentano il rischio di abuso. Possono essere considerate controindicazioni relative per la ketamina subanestetica la pressione intracranica elevata, la pressione intraoculare elevata, i tumori cerebrali e i traumi cerebrali (Cohen et al., 2018).
Inoltre, sempre le linee guida americane suggeriscono come risposta positiva alla ketamina (in genere somministrata in pazienti con dolore cronico refrattario) una riduzione almeno del 30% del dolore, associata a soddisfazione del paziente e/o miglioramento di marcatori clinici obiettivi (scale di disablità specifiche per tipo di dolore, riduzione del consumo di oppioidi). In termini di durata, può essere considerata positiva una durata maggiore di 3 settimane in caso di singola somministrazione in pazienti ambulatoriali, maggiore di 6 settimane in caso di paziente ricoverato o infusioni ripetute (non più di 6-12 all’anno, considerando i rischi connessi ad un uso prolungato della ketamina) (Cohen et al., 2018).
Depressione, Disturbo da stress post traumatico (PTSD)
La ketamina è stata associata ad un effetto antidepressivo rapido ma di breve durata quando somministrata per via endovenosa o intranasale in pazienti con depressione maggiore o bipolare resistente ai trattamenti standard e nei pazienti con stress post traumatico (Lapidus et al., 2014; Feder et al., 2014; Brittner et al., 2014). In pazienti, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, con depressione maggiore o depressione bipolare la ketamina somministrata in infusione (0,5 mg/Kg nell’arco di 40 minuti) ad un dosaggio inferiore a quello utilizzato in anestesia è stata associata a riduzione dell’ideazione suicidaria (Ballard et al., 2015). Effetti positivi sull’ideazione suicidaria sono stati osservati anche in pazienti con disturbi d’ansia e dell’umore (Murrough et al., 2015).
Gli effetti sull’umore indotti dalla ketamina si manifestano rapidamente, in circa 4 ore, quando la maggior parte di farmaco non è più rintracciabile nel sangue, e persistono per circa 2 settimane, molto più a lungo dell’azione analgesica acuta (Abdallah et al., 2016). Diversi meccanismi sono stati considerati per spiegare gli effetti antidepressivi della ketamina: il blocco dei recettori NMDA; la disinibizione delle cellule piramidali con aumento brusco di glutammato (il più importante neurotasmettitore eccitatorio del sistema nervoso); l’attivazione di recettori AMPA prosinaptogenici; l’attivazione di segnali intracellulari sinaptogenici, come la via del segnale TORC1 (Mammalian Target Of Rapamycin Complex 1, che controlla la sintesi proteica) e BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor, appartenente alla famiglia delle neurotrofine, molecole che regolano il funzionamento delle cellule nervose); l’incremento del recettore GABA-B; l’inibizione della glicogenosintetasi chinasi 3 cerebrale (GSK-3B, Brain Glycogen Synthetase Kinase 3) (l’inibizione di questo enzima è un meccanismo condiviso con il litio, noto stabilizzatore dell’umore; l’associazione di molecole stabilizzatrici dell’umore, come il litio, potenzia gli effetti antidepressivi della ketamina) (Scheuing et al., 2015). Di tutti questi meccanismi comunque il più importante è rappresentato dall’interazione con i recettori NMDA. L’azione antidepressiva della ketamina è seguita da un aumento repentino dei livelli di glutammato che dà l’avvio ad una serie di reazioni a cascata. L’esito finale porta ad un aumento della formazioni di sinapsi (sinaptogenesi) e al successivo annullamento degli effetti negativi dello stress e della depressione cronici. Nel disturbo da stress post traumatico, la ketamina, ostacolando l’interazione glutammato-recettore NMDA, impedisce la formazione e/o consolidamento della memoria traumatica, processo nel quale il glutammato gioca un ruolo decisivo (Riaza Bermudo-Soriano et al., 2012; Nair, Singh, 2008).
In Italia è stata approvata l’esketamina (specialità medicinale Spravato), enantiomero della ketamina, nel trattamento della depressione resistente ai farmaci e della depressione maggiore con ideazione suicidaria, previa adozione di specifiche condizioni. L’uso del farmaco infatti deve avvenire in ospedale, a causa degli effetti di dissociazione della ketamina, e in combinazione a farmaci antidepressivi classici (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2023).
Uso della ketamina come droga
In virtù della capacità della ketamina di indurre allucinazioni ed esperienze “extra-corporee“, si è diffuso l’uso della sostanza come droga. Gli effetti stupefacenti della ketamina sono meno intensi e meno duraturi rispetto a quelli della fenciclidina (PCP) da cui deriva. Come la ketamina, anche la fenciclidina era stata inizialmente impiegata come anestetico, uso poi abbandonato per gli effetti psichici che induceva. Rispetto alla ketamina, la fenciclidina possiede un’affinità maggiore verso i recettori NMDA.
La ketamina rientra nelle cosidette “club drugs“, insieme all’ecstasy (anche nota come MDMA) e al GHB (acido gamma-idrossibutirrico chiamato anche ecstasy liquida), utilizzate ampiamente dai giovani in contesti di socializzazione quali i rave parties. La via di somministrazione più diffusa è quella nasale (82%) seguita da quella endovenosa (11%), intramuscolare (4%) e orale (3%) (Dillon et al., 2003). La ketamina non ha odore o sapore, pertanto può essere miscelata ad altre sostanze o bevande senza che il soggetto ne sia consapevole. A dosi pari a 0,2 mg/kg, gli effetti della ketamina comprendono elevazione del tono dell’umore, sogni piacevoli o spiacevoli, alterazione delle funzioni cognitive, della memoria e dell’attenzione. A dosi maggiori, uguali o superiori a 2 mg/kg, gli effetti della ketamina risultano essere allucinogeni: distorsione della percezione del proprio corpo, che viene percepito come fatto di gomma o di legno, assenza della percezione del tempo, sensazione di fusione con altri corpi od oggetti. Nella maggior parte dei casi, la ketamina è associata ad altre droghe (Ecstasy, MDA, anfetamina, cannabis, cocaina, nitrito d’amile, LSD e GHB) oppure è fumata miscelata con tabacco o marijuana. Il rischio maggiore per chi utilizza la ketamina come sostanza stupefacente, non è il rischio di morte, ma quello di perdere il contatto con la realtà e di esporsi ad incidenti mortali. Poichè disinibizione e amnesia retrograda sono alcuni degli effetti della ketamina, la droga favorisce i comportamenti sessuali a rischio. Non è noto quali possano essere gli effetti dell’uso prolungato della ketamina come droga: sono stati riportati disturbi visivi e flashbacks dopo giorni o settimane dall’esposizione acuta al farmaco.
La somministrazione di 50-100 mg per endovena di ketamina determina il fenomeno della cosidetta pre-morte (NDE, Near-Death Experience). Le sensazioni che si provano durante l’NDE indotto da ketamina sono identiche a quelle associate ad alcune condizioni cliniche quali ipossiemia, ipotensione cerebrale, ipoglicemia, epilessia del lobo temporale: separazione dal proprio corpo, fluttuazione nell’aria e percezione di quello che succede come se la persona vedesse il proprio corpo dall’alto. Si tratterebbe di una dissociazione piuttosto che di una depersonalizzazione, perchè non si modifica la percezione del proprio Io, ma l’identità/unione Io-corpo. Quando queste sensazioni diventano estreme e il soggetto passa da uno stato di “benessere“ ad uno di “terrore per la sensazione di morte imminente“ si parla di esperienza K-hole, molto simile al bad trip causato dall’LSD. Il meccanismo ipotizzato per spiegare il fenomeno NDE coinvolge l’azione antagonista della ketamina sui recettori NMDA del glutammato (Greyson, 2000).
Gli effetti della ketamina a livello centrale rimandano ad un comportamento di tipo schizofrenico, con prevalenza di sintomi negativi (mancanza di motivazioni e appiattimento affettivo) rispetto a quelli positivi (allucinazioni e delirio) e alterazione delle funzioni cognitive. L’ipotesi del coinvolgimento dei recettori NMDA glutaminergici (ipofunzione dei recettori NMDA) è sostenuta dal fatto che l’applicazione di farmaci antagonisti di questo recettore tendono a riprodurre i sintomi schizofrenici negativi, mentre i farmaci che agiscono sui recettori serotoninergici o dopaminergici tendono a creare condizioni di schizofrenia con prevalenza di sintomi positivi. La tipologia dei sintomi indotti da ketamina in volontari sani riproduce quelli osservati nei pazienti schizofrenici non paranoici.