La finasteride è un farmaco ad attività antiandrogena; chimicamente è un derivato 4-azasteroideo (N-(1,1-dimetiletil)-3-osso-4-aza-5-alfa-androst-1-ene-17-beta-carbossamide).
Si presenta sotto forma di polvere bianca cristallina con un punto di fusione intorno a 250°. E’ facilmente solubile in cloroformio, poco solubile in solventi alcolici, praticamente insolubile in acqua.
La finasteride è un potente inibitore competitivo della 5alfa-reduttasi, enzima intracellulare che converte il testosterone in diidrotestosterone (DHT).
Esistono due isoforme enzimatiche della 5alfa-reduttasi: il tipo I e il tipo II.
Il tipo I è predominante nelle ghiandole sebacee, ghiandole sudoripare, cheratinociti follicolari, cheratinociti dell’epidermide, cellule esterne alla guaina che ricopre la radice del follicolo capillifero, fibroblasti e possiede un’emivita pari a 14 giorni. Catalizza un terzo della conversione di testosterone a DHT.
La forma II si trova principalmente nella prostata, vescicole seminali, epididimo, cheratinociti dell’epidermide, cellule interne alla guaina che riveste la radice del follicolo capillifero, fibroblasti della pelle dei genitali ed è responsabile dei due terzi di DHT circolante. La sua emivita è pari a 30 giorni.
La finasteride possiede maggiore affinità verso il tipo II dell’enzima.
Dopo 24 ore dalla somministrazione, il farmaco riduce i livelli ematici e intraprostatici di DHT (di circa il 65% dopo somministrazione di 1mg); l’effetto inibitorio permane per diversi giorni anche dopo una singola somministrazione.
La finasteride non interagisce con i recettori degli androgeni e degli estrogeni; non possiede attività progestinica. Non riduce la sintesi di testosterone, ne determina anzi un lieve incremento, come anche per l’estradiolo, mantenendo inalterato il valore del rapporto fra i due ormoni; l’incremento comunque rimane all’interno del range di fluttuazione fisiologica.
La finasteride non possiede alcun effetto sui livelli ematici di cortisolo, estradiolo, prolattina, ormone tireotropo, tiroxina, colesterolo plasmatico (lipoproteine ad alta e bassa densità), trigliceridi, densità minerale ossea; può determinare un aumento dei livelli plasmatici di ormone luteinizzante (LH) (9%) e ormone follicolo-stimolante (FSH) (15%).
La finasteride riduce i livelli plasmatici dell’antigene prostatico specifico (PSA), sia in caso di carcinoma prostatico metastatico, sia in caso di ipertrofia prostatica (del 50%) (Guess et al., 1996).
La finasteride viene impiegata per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna (iperplasia prostatica) e in caso di alopecia androgenica maschile caratterizzata da perdita dei capelli da lieve a moderata a livello del vertice e della zona centro-anteriore del cuoio capelluto. L’autorizzazione della finasteride per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna è stata rilasciata in Europa nel 1995 e quella per l’alopecia androgenica nel 1998.
Ipertrofia prostatica benigna
L’ipertrofia prostatica benigna è una patologia frequente nell’uomo: la sua incidenza aumenta con l’aumentare dell’età (70% degli uomini con più di 70 anni presentano evidenze istologiche di iperplasia della ghiandola) (Martindale, 1999).
L’ingrossamento della ghiandola si accompagna a sintomi ostruttivi (ritenzione urinaria acuta o cronica) e sintomi irritativi (frequenza della minzione, urgenza, nocturia, incontinenza occasionale).
La sintomatologia non compare secondo un ordine definito ed è indipendente dal grado di ingrossamento della prostata.
La finasteride riduce i livelli plasmatici di DHT (circa il 70% dopo 12 mesi di terapia), il volume prostatico (18% dopo 3 mesi di terapia; 27% dopo 6 mesi), e aumenta la velocità di flusso urinario (3 ml/sec nel 70% dei pazienti trattati).
Determina una diminuzione della necessità di cateterizzazione per episodi di ritenzione urinaria acuta e dopo interventi chirurgici di prostactemia.
In alcuni pazienti il farmaco ha migliorato la sintomatologia dolorosa e l’ostruzione delle vie urinarie associate all’iperplasia prostatica benigna (Ronchi et al., 1992).
L’efficacia della finasteride nel trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna è stata valutata nello studio PLESS (Proscar Long-term Efficacy and Safety Study). Lo studio, randomizzato e in doppio cieco, ha avuto una durata di 4 anni più 2 di follow up in aperto. I pazienti (3.040, età compresa tra 45 e 78 anni) sono stati suddivisi in due gruppi ed hanno assunto finasteride (5 mg/die) o placebo. La somministrazione di finasteride ha determinato un miglioramento nel punteggio dei sintomi (-3,3 nel gruppo trattato con finasteride vs -1,0 nel gruppo trattato con placebo), una diminuzione del volume prostatico medio (-18% con finasteride vs +14% con placebo, p<0,001) e un aumento del flusso urinario (+1,9 ml/secondo vs +0,2 ml/sec con placebo, p<0,001). In seguito a trattamento con finasteride è stata riscontrata una diminuzione del ricorso alla terapia chirurgica (5% vs 10% con placebo, riduzione del rischio del 55%, p<0,001) e una minore incidenza di ritenzione urinaria acuta (3% vs 7% con placebo, riduzione del rischio del 57%, p<0,001) (McConnell et al., 1998).
Durante il primo anno di terapia è stata rilevata una maggiore incidenza di effetti collaterali a correlati alla funzione sessuale in seguito all’assunzione di finasteride (15% vs 7% con placebo). Nel corso degli anni successivi dello studio, l’incidenza di tali effetti è risultata del 7% in entrambi i gruppi; il 4% dei pazienti che assumevano finasteride e il 2% dei pazienti che assumevano placebo hanno interrotto lo studio a causa dell’insorgenza di tali effetti (Wessells et al., 2003).
Uno studio clinico condotto in doppio cieco su 1.098 pazienti, della durata di sei mesi, ha confrontato finasteride (5 mg) e Serenoa repens (Permixon, 320 mg) nel trattamento dell’ipertrofia prostatica. Entrambi hanno mostrato efficacia comparabile nel ridurre i sintomi e nell’aumentare del flusso urinario. La finasteride ha determinato una maggior riduzione del volume prostatico (-18% vs -6% con Serenoa repens). Il trattamento con Serenoa repens non ha ridotto il livello ematico di antigene prostatico specifico (-41% con finasteride) ed è stato associato a minori effetti collaterali a livello sessuale (Carraro et al., 1996).
La riduzione delle dimensioni della prostata ottenuta con finasteride comunque non comporta necessariamente un miglioramento dei sintomi connessi con questa patologia. Inoltre il farmaco si è dimostrato più efficace del placebo soprattutto nei pazienti con un ingrossamento iniziale della prostata maggiore (Walsh, 1996).
La terapia per il trattamento dell’ipertrofia prostatica comprende anche l’associazione tra finasteride e farmaci alfa-1 antagonisti (doxazosin, terazosin). Nel corso dello studio MTOPS (Medical Therapy Of Prostatic Symptoms) 3047 uomini affetti da ipertrofia prostatica benigna hanno assunto in doppio cieco ed in modo randomizzato placebo, finasteride, doxazosin, finasteride più doxazosin per un periodo medio di 4,5 anni. Rispetto al trattamento con placebo, sia il trattamento con finasteride che quello con doxazosin hanno determinato un miglioramento dei sintomi; una ulteriore riduzione dei sintomi è stata ottenuta con l’associazione finasteride più doxazosin. Il rischio di sviluppare ritenzione urinaria acuta e la necessità di una terapia chirurgica sono risultate diminuite in seguito al trattamento con finasteride, sia da sola che in associazione a doxazosin (p<0,001) (McConnell et al., 2003).
La somministrazione di terazosin (10 mg/die) invece è stata più efficace sia della monoterapia con finasteride (5 mg/die) sia dell’associazione terazosin più finasteride nel ridurre i sintomi dell’ipertrofia prostatica e nell’aumentare il flusso urinario. E’ probabile che più che una riduzione delle dimensioni ghiandolari sia efficace la riduzione del tono della muscolatura che viene ottenuta con farmaci alfa1 bloccanti (Lepor et al., 1996).
Carcinoma prostatico
Uno studio clinico della durata di sette anni ha valutato l’impiego della finasteride per la prevenzione del carcinoma prostatico (studio PCPT, Prostate Cancer Prevention Trial). Lo studio è stato condotto su 18.882 pazienti, suddivisi in due gruppi e trattati in modo randomizzato con finasteride (5 mg/die) e placebo. L’incidenza di carcinoma prostatico è risultata minore nel gruppo di pazienti che hanno assunto finasteride (-24,8%), ma in tali pazienti è aumentata la percentuale di tumori con punteggio di Gleason >/= 7 (+25,5%) (il punteggio di Gleason viene attribuito ai campioni prelevati durante la biopsia della prostata ed è compreso tra 1 e 10; valori elevati indicano tumori aggressivi). I pazienti in trattamento con finasteride hanno riportato una maggiore incidenza di effetti collaterali a livello sessuale (riduzione del volume dell’eiaculato, disfunzione erettile, perdita della libido, ginecomastia), mentre nel gruppo in trattamento con placebo sono aumentati gli effetti collaterali del sistema urinario (Thompson et al., 2003).
Alopecia androgenica
L’alopecia androgenica è una forma di calvizie ereditaria che compare a partire dalla pubertà: circa il 30% dei maschi sotto i 30 anni e il 50% oltre i 50 anni ne soffre.
Sarebbe causata da un’eccessiva attività dei recettori per gli androgeni localizzati nel follicolo pilifero, per un aumento del numero dei recettori stessi oppure per un incremento del testosterone locale o sistemico.
Il ciclo vitale del capello è diviso in tre fasi. Nella prima fase (anagen) i cheratinociti, le cellule deputate a produrre i capelli, sono caratterizzati da un’intensa attività proliferativa. Aumentando di numero, i cheratinociti fanno crescere il follicolo pilifero che affonda nella pelle. Raggiunta una determinata profondità, i cheratinociti rallentano la loro moltiplicazione e iniziano a sintetizzare cheratina, la proteina costitutiva del fusto del capello. Questa fase può durare fino a 6-7 anni.
Durante la seconda fase (catagen), i cheratinociti cessano di riprodursi e si trasformano tutti in cheratina. Ne consegue l’accorciamento del follicolo e l’avvicinamento alla superficie del derma.
Al termine della terza fase (telogen), si ha la caduta del capello.
Quest’ultima fase è caratterizzata da una ripresa dell’attività riproduttiva dei cheratinociti che danno vita ad un nuovo ciclo.
Nell’alopecia androgenica, il ciclo di 6-7 anni si abbrevia notevolmente per cui i capelli risultano avere un fusto più sottile e si presentano radi e deboli.
L’elevata caduta dei capelli non è dovuta direttamente a questa forma di alopecia, ma al “telogen effluvium”, fenomeno che si associa frequentemente all’alopecia androgenica con cause però diverse.
L’elevata concentrazione di DHT a livello del follicolo pilifero determina un prolungamento della fase di crescita del follicolo a scapito della fase di produzione del fusto del capello. La finasteride, inibendo l’enzima, ripristina i normali livelli di DHT (riduzione pari al 65% a livello locale con dosi comprese fra 0,2 e 5 mg/die).
Il farmaco non risolvendo il problema di base, cioè l’elevata produzione di DHT, deve essere somministrato continuativamente per mantenere il suo “effetto” nel tempo e quando ancora il bulbo pilifero è attivo (in genere prima dei 40 anni).
In caso di alopecia del vertice, la finasteride ha indotto un aumento della conta dei capelli, dopo un anno di trattamento, pari all’11% (vs una riduzione del 2,7% con placebo). Dopo 2 anni, l’83% dei pazienti trattati con il farmaco non lamentava più caduta dei capelli contro il 28% trattato con placebo (Kaufman et al., 1998).
Inoltre il passaggio da finasteride a placebo, nel secondo anno, provocava una ripresa della caduta, mentre i pazienti che passavano da placebo al farmaco sperimentavano un significativo miglioramento nella conta dei capelli e nell’arresto della perdita degli stessi.
Il 48% dei pazienti che assumevano finasteride hanno segnalato una ripresa della crescita dei capelli (30% in modo lieve, 18% in maniera più vistosa) contro il 7% di quelli trattati con placebo ad un anno; la percentuale è aumentata a 66% (sempre contro un 7% nel gruppo placebo) dopo 2 anni in base a metodi fotografici (Kaufman et al., 1998).
Per quanto riguarda invece la perdita di capelli nella zona frontale, il 53% dei pazienti in terapia con finasteride hanno segnalato un miglioramento nell’aspetto, ad un anno, contro il 30% di quelli nel gruppo placebo (Waldstreicher et al., 1997).
L’efficacia della finasteride, basata sulla conta dei capelli, è risultata indipendente dall’età (range: 18-41 anni), dalla durata del tempo, compreso fra inizio della perdita dei capelli e somministrazione del farmaco, e dalla storia famigliare del paziente; è stata maggiore nei pazienti con una perdita più estesa dei capelli all’inizio del trattamento farmacologico (McClellan, Markham, 1999).
La finasteride è stata associata anche all’autotrapianto (1 mg/die 3 mesi prima e 12 mesi dopo l’intervento) risultando preferibile al solo autotrapianto in base a criteri di soddisfazione personale e riscontri obiettivi.
In pazienti uomini di età compresa tra 18 e 41 anni è stato evidenziato un aumento del numero di capelli pari a circa 20 capelli/cm2 in seguito a somministrazione di finasteride (1 mg/die) e placebo per un periodo fino a cinque anni. Uno studio clinico della durata di due anni ha valutato l’effetto della finasteride (1 mg/die) in pazienti di età compresa tra 41 e 60 anni. Dopo sei mesi di trattamento, i pazienti hanno riportato un aumento della ricrescita dei capelli; l’effetto, continuato per tutta la durata dello studio, è risultato reversibile in seguito alla sospensione della terapia (Shapiro, Kaufman, 2003; Whiting et al., 2003).
La finasteride potrebbe essere impiegata nel trattamento dell’alopecia androgenica femminile. Nel corso di uno studio cinque donne in postmenopausa con normali livelli sierici di androgeni hanno assunto finasteride (2,5-5 mg/die); il farmaco ha ridotto la perdita dei capelli (Trüeb et al., 2004).
L’efficacia di alcuni trattamenti per l’alopecia androgenica è stata messa a confronto in uno studio clinico, della durata di un anno. I pazienti (100) sono stati suddivisi in quattro gruppi e trattati con finasteride, finasteride più ketoconazolo (per via topica), finasteride più minoxidil (per via topica) o minoxidil (per via topica). Al termine dello studio è stato riportato un aumento della crescita dei capelli in tutti i gruppi. I risultati migliori sono stati ottenuti nei pazienti in trattamento con finasteride più minoxidil, seguiti dal gruppo in trattamento con finasteride più ketoconazolo. Nel trattamento dell’alopecia androgenica la combinazione di due farmaci che agiscono con meccanismi diversi sembra aumentarne l’efficacia terapeutica (Khandpur et al., 2002).
Irsutismo
La finasteride può essere impiegata nel trattamento dell’irsutismo sia idiopatico che associato alla sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) in pazienti di sesso femminile in alternativa alla terapia con estrogeni, qualora questa sia controindicata.
Nel trattamento dell’irsutismo, la finasteride (5 mg/die) possiede efficacia comparabile allo spironolattone (100 mg/die), mentre è risultata meno efficace rispetto all’associazione ciproterone acetato (2 mg) più etinilestradiolo (35 mcg). La somministrazione di finasteride (5 mg/die) nella prima metà del ciclo mestruale in aggiunta al trattamento con ciproterone acetato (2 mg) più etinilestradiolo (35 mcg) in pazienti affette da irsutismo e sindrome dell’ovaio policistico è risultata più efficace rispetto alla sola associazione dei due farmaci nel ridurre la crescita dei peli (Sahin et al., 1998; Moghetti et al., 2000; Tartagni et al., 2000).
Il confronto finasteride (5 mg/die) vs flutamide (500 mg/die) ha evidenziato, dopo 12 mesi di trattamento, una maggiore riduzione del punteggio di Ferriman-Gallwey in seguito a terapia con flutamide, sia in caso di irsutismo idiopatico (50,9 vs 31,4%) sia di irsutismo associato a sindrome dell’ovaio policistico (56,7 vs 34,2%). Entrambi i farmaci sono risultati efficaci nel ridurre il diametro dei peli, la flutamide in misura maggiore rispetto a finasteride. La finasteride ha determinato un aumento dei livelli sierici di testosterone (Falsetti et al., 1999).