Sovradosaggio: in caso di sovradosaggio (130 mg) sono stati segnalati frequentemente tachicardia, vertigini, ipertensione e vomito. L'incidenza di convulsioni e tremore è risultata inferiore rispetto a quanto osservato per citalopram. Anche il prolungamento dell'intervallo QTc è stato osservato in un numero di casi minore con escitalopram rispetto al racemo (7 casi vs 14 casi rispettivamente per 421 episodi di sovradosaggio con escitalopram e 374 per citalopram) (Hayes et al., 2008). In caso di sovradosaggio istituire una terapia sintomatica; ricorrere se possibile a lavaggio gastrico oppure carbone attivo. Poiché l'escitalopram possiede un'elevato Vd, è probabile che diuresi forzata, dialisi o emoperfusione non siano efficaci.
Sindrome serotoninergica: escitalopram può indurre sindrome serotoninergica. Questa sindrome, ad esordio improvviso, è causata da un aumento della concentrazione di serotonina a livello delle terminazioni nervose (non dipende dalla concentrazione plasmatica del neurotrasmettitore) e sembra coinvolgere in modo preferenziale i recettori 5-HT1A. La causa più frequente che induce la comparsa di sindrome serotoninergica è rappresentata dall'effetto di sommazione dovuto alla co-somministrazione di farmaci entrambi attivi, direttamente o indirettamente, sulla serotonina. L'associazione farmacologica che determina le forme più gravi di sindrome serotoninergica è quella fra MAO-inibitori e SSRI: in questo caso infatti le concentrazioni di serotonina a livello cerebrale aumentano notevolmente perché viene bloccata sia la ricaptazione del neurotrasmettitore sia la sua degradazione.
La sindrome serotoninergica può manifestarsi anche con la somministrazione di un solo famaco se il dosaggio è troppo elevato oppure nel passaggio da un principio attivo ad un altro quando il primo è caratterizzato da una lunga emivita oppure, ancora, se il primo possiede metaboliti farmacologicamente attivi con lunga emivita. E' necessario in questo caso lasciare intercorrere un periodo di “washout” prima di somministrare il secondo farmaco.
La sindrome serotoninergica lieve è nella maggior parte dei casi autolimitantesi, soprattutto se riconosciuta celermente e se si interviene con la riduzione del dosaggio o la sospensione del farmaco responsabile. La risoluzione avviene in circa 24 ore (70% dei casi). In presenza di una sindrome serotoninergica lieve/moderata, la terapia di supporto (sedazione, raffreddamento esterno, antiepilettici, antipertensivi) permette la risoluzione dei sintomi in 24-36 ore. In assenza di complicazioni, sono rare le forme che persistono fino a 72-96 ore. La sindrome serotoninergica grave richiede l'ospedalizzazione e si presenta con effetti neuromuscolari, ipertermia, ipossia, rabdomiolisi, acidosi metabolica, coagulazione intravasale disseminata, insufficienza renale. Un'ipertermia maggiore di 40,5°C è associata ad una condizione morbosa grave e tassi di mortalità che possono arrivare anche al 12%.
Esiti positivi nel trattamento della sindrome serotoninergica sono stati riportati con ciproeptadina (antistaminico con attività antagonista sui recettori 5-HT1A e 5-HT2), metisergide (antagonista specifico del recettore 5-HT), clorpromazina (attività antagonista sui recettori 5-HT1A, 5-HT2 e D2); esiti alternanti (successo e fallimento terapeutico) sono stati riportati per le benzodiazepine, il dantrolene e gli antagonisti della dopamina (bromocriptina e aloperidolo non sono raccomandati perché associati ad un peggioramento della sindrome serotoninergica). Gli SSRI sono responsabili della sindrome serotoninergica con una frequenza superiore (33,5%) a quella di tutte le altre classi di antidepressivi. Tra gli SSRI i farmaci più frequentemente correlati alla sindrome sono fluoxetina, sertralina e paroxetina.
Tossicità riproduttiva: in vivo, la somministrazione di escitalopram durante l'organogenesi è stata associata a ridotto peso fetale e a ritardo nella ossificazione (dosi = 56 volte la dose umana massima raccomandata); a tossicità materna, che si manifesta con ridotto peso corporeo e diminuito consumo di cibo. Non è stata evidenziata teratogenicità per escitalopram per dosi fino ad un massimo di 72 volte la dose umana massima raccomandata. La somministrazione di escitalopram in vivo durante la gravidanza e lo svezzamento ha determinato un lieve incremento della mortalità perinatale e ritardo nella crescita post natale (dosi pari a 24 volte la dose umana massima raccomandata).
Tossicità neonatale: l'esposizione a escitalopram nell'ultimo trimestre di gravidanza è stato associato, nei neonati, a complicazioni che hanno richiesto ospedalizzazione prolungata, intubazione e supporto respiratorio: distress respiratorio, cianosi, apnea, convulsioni, instabilità termica, allattamento difficoltoso, vomito, ipoglicemia, ipo/ipertonia, iperiflessia, tremore, irritabilità, pianto inconsolabile. Questi effetti possono essere ricondotti sia a tossicità diretta degli SSRI sia ad una forma di sindrome di astinenza dovuta all'interruzione dell'assunzione del farmaco attraverso la madre.
L'esposizione a SSRI durante la gravidanza determinerebbe anche ritardata espulsione del meconio e conseguente ileo da meconio.
L'esposizione tardiva (esclusivamente dopo la 20esima settimana di gestazione) a SSRI è stata associata a comparsa di ipertensione polmonare persistente neonatale (PPHN). Il farmaco maggiormente coinvolto sembra la fluoxetina. La PPHN ha un'incidenza di 1-2 neonati su 1000 è presenta elevata morbilità e mortalità (20-30%). Il meccanismo ipotizzato prevede un'accumulo di serotonina a livello polmonare fetale come causa di proliferazione delle cellule muscolari lisce, tipica della PPHN (la serotonina oltre ad effetti di vasocostrizione, possiede anche effetti mitogeni sulle cellule muscolari lisce polmonari). Un altro meccanismo ha considerato l'effetto inibitorio degli SSRI sulla sintesi di ossido nitrico potente vasodilatatore fisiologico, che sembra svolgere un'azione di regolazione del tono e della reattività vascolare sia nel feto sia nel neonato (Chambers et al., 2006; Abman, 1999).
La serotonina è presente già nelle primissime fasi dello sviluppo fetale ed oltre al ruolo di neurotrasmettitore nervoso sembra svolgere anche un ruolo da fattore di crescita e di regolazione verso neuroni serotoninergici e non. E' stato ipotizzato quindi che l'esposizione agli SSRI durante il periodo di gestazione possa avere effetti avversi sullo sviluppo del cervello fetale con conseguenti effetti neurologici e comportamentali nel neonato. I pochi dati clinici disponibili, non univoci, indicherebbero un indice più basso di sviluppo psico-motorio nei bambini tra i 6 e i 40 mesi di età rispetto ai bambini non esposti agli SSRI in gravidanza (Oberlander et al., 2002; Morag et al., 2004; Laine et al., 2003; Zeskind, Stephens, 2004; Zeskind et al., 2005; Nulman et al., 2002; Casper et al., 2003).