Interruzione del trattamento/sindrome da astinenza: la sospensione del trattamento con escitalopram deve avvenire gradualmente per ridurre il rischio di sindrome da astinenza (ad ). Nella maggior parte dei pazienti i sintomi di astinenza si risolvono in 2-3 settimane, ma in un numero limitato di pazienti si sono protratti per un periodo maggiore (2-3 mesi). I sintomi da astinenza si possono verificare al termine del trattamento, alla variazione del dosaggio, al passaggio da un antidepressivo ad un altro oppure quando la dose non viene assunta. Non interrompere mai bruscamente la terapia con escitalopram quando compaiono i sintomi d’astinenza.
Suicidio/ideazione di suicidio in pazienti pediatrici: gli SSRI non sono registrati per il trattamento della depressione nei pazienti pediatrici. La depressione è una patologia rara nel bambino (prevalenza 0,5%), aumenta nell’adolescenza (prevalenza 3%) ed è associata ad un rischio suicidario importante (Expertise Collective Inserm, 2003). Sulla base dell’analisi di 11 studi clinici in pazienti pediatrici trattati con SSRI per il disturbo depressivo maggiore (MDD), le agenzie regolatorie inglese CSM (Commitee on Safety of Medicines) e americana FDA hanno verificato che ci sono dati clinici di efficacia per fluoxetina e probabilmente per citalopram, ma non per paroxetina, sertralina e venlafaxina. Inoltre l’uso degli SSRI, in questa classe di pazienti, è stata associata ad un aumento di comportamenti volti al suicidio (ideazione di suicidio, tentativo di suicidio, autolesionismo) rispetto al placebo (in particolare per paroxetina e venlafaxina, ma sono implicati anche citalopram e il suo enantiomero S, sertralina e fluoxetina; per la fluvoxamina i dati di letteratura sono scarsi).
Suicidio/ideazione di suicidio in pazienti adulti: poiché l’ideazione di suicidio è una componente insita nel disturbo depressivo maggiore e in altre forme patologiche di disturbi del comportamento, il rischio di suicidio rimane alto fino a quando non sono evidenti segni di miglioramento connessi con la terapia farmacologica. E’ importante quindi monitorare segni e sintomi riconducibili all’ideazione di suicidio, in particolare nelle prime settimane di terapia, quando ancora non è stato raggiunto un controllo ottimale della patologia, e ogni qualvolta viene modificato il dosaggio del farmaco. Alcuni dati clinici hanno evidenziato in pazienti adulti un incidenza di comportamenti suicidatari più frequente, rispetto a placebo, nell’intervallo di età compreso fra 18 e 30 anni. Nessuna differenza è stata riscontrata quando il confronto è stato fatto fra SSRI e antidepressivi tricilici.
Sindrome serotoninergica: tutti gli SSRI possono causare sindrome serotoninergica, evento avverso raro ma potenzialmente pericoloso per la vita. L’associazione con farmaci ad attività serotoninergica (sibutramina, triptani, farmaci serotoninergici, iperico) aumenta il rischio di manifestare questa sindrome i cui sintomi possono comprendere: alterato stato mentale, febbre, agitazione, tremori, mioclono, iperreflessia, atassia, incordinazione, diaforesi, brividi e sintomi gastrointestinali. Raramente sono stati anche osservati aumento del conteggio dei globuli bianchi, della creatinfosfochinasi, delle transaminasi epatiche o diminuzione del bicarbonato sierico, coagulazione intravascolare disseminata, mioglobinemia e insufficienza renale. Le manifestazioni cliniche non correlano con la concentrazione ematica di serotonina perché quello che conta è la sua concentrazione a livello della terminazione nervosa. Il trattamento della sindrome serotoninergica prevede la riduzione del dosaggio del farmaco o la sua sospensione, sedazione, raffreddamento esterno, somministrazione di farmaci antiepilettici e antipertensivi.
Sanguinamento gastrointestinale: sulla base di alcuni studi osservazionali, la somministrazione di SSRI è associata ad un aumento del rischio di sanguinamento gastrointestinale di circa 3 volte rispetto ai pazienti che non fanno uso di questi farmaci. Il rischio assoluto può essere considerato basso (3 episodi di sanguinamento gastrointestinale che richiede ospedalizzazione ogni 1000 pazienti per anno di trattamento; il rischio relativo è analogo a quello associato all’uso di FANS o acido acetilsalicilico (asa). Il rischio aumenta in caso di associazione degli SSRI con FANS o asa, nei pazienti anzianti (età > 80 anni) e nei pazienti con anamnesi positiva per sanguinamento gastrointestinale.
Diabete: in caso di pazienti diabetici, la somministrazione di SSRI può alterare il controllo glicemico. L’aumento del tono serotoninergico indotto dall’antidepressivo, infatti, sembrerebbe aumentare la secrezione e la sensibilità all’insulina (Gulseren et al., 2005). Il dosaggio dei farmaci antidiabetici, ipoglicemizzanti orali e insulina, potrebbe richiedere quindi un aggiustamento (Sansone, Sansone, 2003).
Prolungamento dell’intervallo QT: il prolungamento dell’intervallo QT dell’elettrocardiogramma, corrispondente alla fase di ripolarizzazione ventricolare, può indurre lo sviluppo di aritmie ventricolari anche gravi, come la Torsione di Punta. Escitalopram è stato associato a episodi di prolungamento dell’intervallo QT in particolare nelle donne, con ridotta concentrazione di potassio nel sangue (ipopotassiemia) oppure con pre-esistente prolungamento dell’intervallo QT oppure con altre patologie a carico del cuore. Prima di iniziare la terapia con escitalopram effettuare un elettrocardiogramma nei pazienti con cardiopatia stabile; correggere un’eventuale ipopotassiemia e/o ipomagnesiemia (fattori di rischio per aritmia ventricolare). Se compare aritmia cardiaca durante la terapia con escitalopram, sospendere il farmaco.
Epilessia/convulsioni: monitorare i pazienti con epilessia; nel caso si verifichi un incremento della frequenza di convulsioni sospendere escitalopram. Escitalopram non è raccomandato nei pazienti con epilessia non controllata.
Iponatremia: gli SSRI possono indurre iponatremia (concentrazione plasmatica di sodio < 135 mEq/L) con un aumento del rischio di 3,5 volte (Kirby et al., 2002). Nella maggior parte dei pazienti questo effetto avverso si manifesta durante il primo mese di terapia; il rischio è maggiore nelle donne anziane e nei pazienti in terapia con diuretici. L’iponatremia si manifesta con confusione, convulsioni, senso di fatica, delirio, sincope, sonnolenza, agitazione, vertigini, allucinazioni; più raramente con aggressività, disturbi della personalità e depersonalizzazione. La comparsa quindi di sintomi neuropsichiatrici durante il primo mese di trattamento deve suggerire la misurazione degli elettroliti sierici. Il trattamento dell’iponatremia ipotonica da SSRI in assenza di squilibri del volume circolatorio include la restrizione idrica e una lieve forzatura della diuresi con diuretici dell’ansa. Condizioni gravi richiedono elevate dosi di diuretici dell’ansa e soluzione salina ipertonica.
Sindrome da inappropriata secrezione di ADH: monitorare natremia ed uremia al basale e dopo 2 settimane dall’inizio del trattamento con SSRI ed eseguire ulteriori controlli qualora i pazienti manifestino sintomi come debolezza, letargia, cefalea, anoressia, confusione, stipsi ed aumento di peso.
Depressione e cardiopatia: sulla base degli studi clinici disponibili, gli SSRI risultano possedere minimi effetti avversi cardiaci rappresentando quindi un’opzione terapeutica valida nel trattamento della depressione nei pazienti cardiopatici. In questi pazienti un rischio indiretto dovuto all’uso di SSRI potrebbe derivare dall’iponatriemia farmaco-indotta.
Diaforesi: la diaforesi o eccessiva sudorazione è un evento avverso comune con i farmaci antidepressivi. La terapia consiste nel ridurre il dosaggio dell’antidepressivo o nell’interrompere la terapia. Nel caso questo non sia possibile, la somministrazione di uno dei seguenti farmaci è stata associata a beneficio clinico: benztropina (anticolinergico), ciproeptadina (antagonista di acetilcolina, serotonina istamina), labetalolo (beta agonista) oppure clonidina (diaforesi di origine ipotalamica).
Mania/ipomania: somministare con cautela escitalopram in pazienti con anamnesi di mania, perché il farmaco potrebbe favorirne la recidiva.
Sedazione/sonnolenza: si richiede cautela in caso di attività che necessitano di attenzione e veglia costante.
Abuso di sostanze: non sono disponibili studi dedicati ad un’eventuale impiego di escitalopram come farmaco di abuso: valutare con attenzione l’impiego di questo farmaco in pazienti con anamnesi di abuso di farmaci.
Osteoporosi: alcuni studi avrebbero correlato la terapia con SSRI ad un aumento del rischio di osteoporosi. In realtà la stessa depressione potrebbe favorire l’osteoporosi attraverso modificazioni dell’attività dell’asse ipofiso-surrenalico e un aumento della produzione di corticosteroidi e di citochine (Mezuk et al., 2007). In assenza di dati definitivi monitorare periodicamente i valori di densità ossea nei pazienti in terapia con SSRI in associazione a farmaci che possono interferire negativamente con l’omeostasi ossea quali i corticosteroidi, gli anticonvulsivanti, gli antipsicotici che aumentano la prolattinemia e gli anticoagulanti.
Terapia elettroconvulsivante: sono disponibili dati limitati relativi alla somministrazione di escitalopram in associazione alla terapia elettroconvulsivante.
Farmaci con attività serotoninergica (destrometorfano, tramadolo, meperidina, venlafaxina, trazodone, nefazodone, paracetamolo, dossilamina, pseudoefedrina, linezolide, triptofano, ossitriptano, risperidone): in associazione a citalopram aumenta il rischio di sindrome serotoninergica. Con triptofano e citalopram si possono manifestare agitazione e nausea. Destrometorfano, tramadolo e meperidina inibiscono la ricaptazione della serotonina.
Mao-inibitori: non somministrare contemporaneamente escitalopram e MAO-inibitori per il rischio di reazioni collaterali gravi quali ipertermia, rigidità, mioclono, rapide fluttuazioni dei segni vitali, agitazione, delirio, coma (sindrome serotoninergica). Lasciar intercorrere almeno 14 giorni fra la fine del trattamento con MAO-inibitori e l’inizio di quello con citalopram e almeno una settimana fra la fine del trattamento con citalopram e l’inizio di quello con MAO-inibitori. Il rischio di sindrome serotoninergica è più elevato in caso di MAO-inibitori non selettivi (tranilcipromina, fenelzina) o selettivi per la forma A dell’enzima monoaminoossidasi (moclobemide), meno elevato per la forma B dell’enzima (selegilina).
FANS/acido acetilsalicilico: poiché sia gli SSRI sia i FANS, incluso l’acido acetilsalicilico, sono associati ad un aumento del rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore, l’eventuale associazione farmacologica richiede cautela. Nel caso non fosse possibile evitare l’associazione farmacologica preferire un antidepressivo a bassa inibizione del reuptake della serotonina, soprattutto nei soggetti a maggior rischio. In questi pazienti (età > 65 anni, anamnesi positiva per ulcera peptica o per sanguinamento gastrointestinale, pazienti defedati, pazienti in terapia con anticoagulanti o corticosteroidi) valutare la possibilità di ricorrere ad un trattamento gastroprotettivo.
Antipsicotici atipici: l’ipertensione indotta da antipsicotici atipici è un evento avverso noto. In associazione a SSRI il rischio aumenta probabilmente per inibizione farmacometabolica degli SSRI sugli antipsicotici. Poiché l’esordio dell’ipertensione è precoce, monitorare attentamente i valori pressori soprattutto nelle prime fasi dell’associazione terapeutica.
Barbiturici: la co-somministrazione di SSRI e barbiturici potrebbe comportare un abbassamento della soglia convulsiva. Possibile antagonismo dell’effetto anticonvulsivante.
Litio: in associazione a SSRI si può manifestare tossicità da litio.
Sibutramina: la co-somministrazione con SSRI non è raccomandata.
Pimozide, tioridazina: l’associazione con alcuni SSRI è stata associata a gravi aritmie ventricolari, fra cui “torsione di punta”.
Neurolettici: la co-somministrazione con SSRI richiede cautela perché può favorire la comparsa di sindrome maligna da neurolettici.
Anticoagulanti cumarinici: in associazione agli SSRI può verificarsi un aumento del rischio di ospedalizzazione per sanguinamento non-gastrointestinale.
Gravidanza: valutare attentamente il rapporto rischio/beneficio prima di somministrare escitalopram in donne in gravidanza. La depressione può arrivare a colpire fino al 20% delle donne in stato di gravidanza ed è stata associata a ritardo di crescita uterina e a basso peso alla nascita. La depressione materna non trattata può inoltre alterare il rapporto madre-neonato (scarsa capacità genitoriale). Gli studi clinici relativi all’impiego degli SSRI (come classe terapeutica) hanno evidenziato un basso rischio di anomalie congenite (Alwan et al., 2007); l’analisi dei singoli farmaci ha evidenziato un correlazione con difetti cardiaci settali e omfalocele per sertralina e paroxetina (Louik et al., 2007). L’esposizione agli SSRI durante il terzo trimestre di gravidanza può provocare nel neonato la comparsa della sindrome da astinenza da SSRI e ipertensione polmonare persistente (Malm et al., 2005; Chambers et al., 2006). I sintomi più frequenti relativi alla sindrome da astinenza includono: agitazione, irritabilità, ipo/ipertonia, iperriflessia, sonnolenza, problemi nella suzione, pianto persistente. Più raramente si sono manifestati ipoglicemia, difficoltà respiratoria, anomalie della termoregolazione, convulsioni. L’ipertensione polmonare persistente è una grave patologia che richiede terapia intensiva e che può indurre anomalie dello sviluppo neurologico e morte. L’incidenza è pari a 1/100 neonati esposti a SSRI nella seconda metà della gravidanza rispetto ad una incidenza di 1/1000 nati vivi nella popolazione generale. Probabilmente questa patologia è correlata ad effetti della serotonina sullo sviluppo cardiovascolare (Mills, 2006). Il passaggio transplacentare degli SSRI può provocare emorragie nel neonato (Serebruany, 2006). Non sono noti gli effetti dovuti all’esposizione in gravidanza agli SSRI sullo sviluppo neurocomportamentale dei bambini. Nelle donne in gravidanza in terapia con SSRI si raccomanda un monitoraggio ecografico fetale alla 20esima settimana per evidenziare eventuali malformazioni fetali e il monitoraggio di segni e/o sintomi riconducibili a tossicità neontale (distress respiratorio, ittero, convulsioni, PPHN).
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