Sovradosaggio: la somministrazione accidentale di 1260 mg (42 volte la massima dose raccomandata) di aripiprazolo in pazienti adulti e di 195 mg in pazienti pediatrici non ha causato la morte del paziente. I sintomi più comuni comparsi con il sovradosaggio hanno incluso: (adulti) letargia, ipertensione, sonnolenza, tachicardia, nausea, vomito, diarrea; (bambini) sonnolenza, sintomi extrapiramidali, perdita transitoria di conoscenza. Altri sintomi osservati sono stati: acidosi, comportamento aggressivo, aumento dell’aspartato aminotransferasi, fibrillazione atriale, bradicardia, coma, confusione mentale, convulsioni, aumento della creatinafosfochiansi ematica, coscienza alterata, ipertensione, ipokaliemia, prolungamento del complesso QRS o QT dell’elettrocardiogramma, polmonite da aspirazione, arresto respiratorio (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2023; Food and Drug Administration – FDA, 2022). In caso di sovradosaggio, il trattamento si basa sul controllo dei sintomi e il mantenimento delle funzioni vitali: monitoraggio del cuore (elettrocardiogramma) e della funzionalità respiratoria (pervietà delle vie aeree, ossigenazione e ventilazione). Può essere indicata la somministrazione di carbone attivo per ridurre l’assorbimento del farmaco (riduzione del 50% dell’AUC, area sottesa dalla curva concentrazione-tempo, e del picco plasmatico dell’aripiprazolo con carbone attivo 1 ora dopo la somministrazione di una dose singola di 15 mg). L’emodialisi non è risultata utile in caso di sovradosaggio a causa dell’elevato legame dell’aripiprazolo con le proteine plasmatiche.
Dipendenza/abuso: in vivo (scimmie), l’interruzione improvvisa dell’aripiprazolo ha indotto sintomi rebound riconducibili a dipendenza fisica. Sebbene dai dati clinici sull’uso di aripiprazolo il rischio di dipendenza/abuso possa essere considerato minimo (nessuna segnalazione nei trial clinici; 58 segnlazioni potenziali su 74601 nel database di monitoraggio dei farmaci, Vigibase, dell’OMS) è opportuno monitorare i pazienti con anamnesi positiva per abuso di farmaci/droghe.
Genotossicità: l’aripiprazolo è considerato non genotossico (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2023).
Tossicità cronica: in vivo (roditori) l’aripiprazolo è stato associato ad incremento dell’attività proliferativa cellulare nella ghiandola mammaria e nell’ipofisi (adenomi, adenocarcinomi, fibroadenomi) probabilmente mediati da un incremento dei livelli di prolattina. Questi effetti sono stati osservati per esposizioni molto più alte rispetto a quella corrispondente alla massima dose utilizzata nell’uomo, pertanto la rilevanza nell’uomo è considerata limitata o nulla.
Tossicità riproduttiva: negli studi sulla riproduzione animale, l’aripiprazolo ha evidenziato teratogenicità e tossicità fetale. La somministrazione per via orale o endovenosa di aripiprazolo durante l’organogenesi, a dosi 10 volte (ratto) e 19 volte (coniglio) la massima dose raccomandata nell’uomo (30 mg/die), ha determinato morte fetale, peso fetale ridotto, testicoli ritenuti, ossificazione scheletrica ritardata, anomalie scheletriche, ernia diaframmatica. La somministrazione (orale, endovenosa) pre e post natale del farmaco è stata associata a prolungamento della gestazione, nascita di cuccioli morti, diminuzione del peso e della sopravvivenza dei cuccioli (Food and Drug Administration – FDA, 2022). L’aripiprazolo non ha alterato la capacità riproduttiva in animali di entrambi i sessi. Nei ratti di sesso femminile l’esposizione al farmaco (dosi da 0, 2 a 6 volte la dose massima raccomandata nell’uomo) prima dell’accoppiamento e durante la gestazione ha determinato irregolarità nel ciclo estrale e aumento dei corpi lutei senza che questo abbia comportato problemi di fertilità. Nel ratto maschio l’esposizione (dosi 13-19 volte la dose massima raccomandata nell’uomo) prima dell’accoppiamento e durante l’accoppiamento ha provocato problemi alla spermatogenesi e atrofia della prostata, senza però influenzare la fertilità (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2023; Food and Drug Administration – FDA, 2022).
Sulla base dei dati clinici pubblicati, gli antipsicotici di seconda generazione, classe terapeutica di appartenenza l’aripiprazolo, non sembrano associati ad un aumento del rischio di gravi difetti congeniti, aborto spontaneo o esiti avversi materni e/o fetali (Cuomo et al., 2018; Tosato et al., 2017). L’esposizione a questi farmaci al terzo trimestre di gravidanza, però, può provocare la comparsa di sintomi extrapiramidali e/o sintomi da sospensione nei neonati dopo il parto.
Recentemente alcuni dati in vitro e in modelli animali suggeriscono un effetto potenzialmente negativo dell’aripiprazolo nei portatori eterozigoti (su uno solo degli alleli di un gene) di mutazioni del gene DHCR7 esposti al farmaco. Il gene DHCR7 codifica per l’enzima 7-deidrocolesterolo-reduttasi, che catalizza la conversione del 7-deidrocolesterolo in colesterolo. La perdita di funzionalità dell’enzima DHCR7 in seguito a mutazioni del gene corrispondente causa la sindrome di Smith-Lemli-Opitz (SLOS), caratterizzata da ritardo mentale, disturbi del comportamento e difetti congeniti multipli. Circa l’1-1,5% della popolazione è portatrice eterozigote di mutazioni del gene DHCR7. La perdita di attività dell’enzima DHCR7 provoca un accumulo di 7-deidrocolesterolo con effetti tossici sulla divisione e differenziazione cellulare. In vitro, l’esposizione all’aripiprazolo di cellule del tessuto nervoso (neuroni, astrociti) ha determinato livelli di 7-deidrocolesterolo simili a quelli riscontrati in culture di cellule dello stesso tipo ottenuti da topi con mutazioni del gene DHCR7 usati come modelli murini della sindrome SLOS (Tallman et al., 2021). Nei topi con mutazioni del gene DHCR7, la somministrazione di aripiprazolo è stata associata ad effetti negativi sullo sviluppo della prole, indipendentemente dal fatto che la prole fosse portatrice o meno di mutazioni DHCR7, ma i cuccioli portatori di mutazioni DHCR7 sono risultati più vulnerabili all’esposizione materna al farmaco. Incrementi significativi dei livelli di 7-deidrocolesterolo, indipendentemente da eventuali mutazioni genetiche del DHCR7, sono stati osservati anche nelle persone esposte all’antipsicotico. Queste ed altre evidenze sembrano indicare un effetto di potenziamento reciproco tra esposizione ad aripiprazolo e mutazioni del gene DHCR7 (Gennaro-Mattos et al., 2019; Korade et al., 2017).
Allattamento: l’aripiprazolo può ridurre la produzione di latte materno. La dopamina ha un effetto inibitorio sulla secrezione della prolattina e l’aripiprazolo, comportandosi da agonista dopaminergico sulle cellule dell’adenoipofisi deputate alla produzione di prolattina, può avere un effetto simile alla dopamina (Komaroff, 2021).
Il farmaco viene escreto nel latte materno. Sulla base dei dati disponibili, la concentrazione di aripiprazolo nel latte materno è risultata variare, quando rintracciabile, da 13 mcg/L a 53,6 mcg/L per dosi materne fino a 18 mg/die. Il monitoraggio dei bambini esposti al farmaco in utero e con l’allattamento non ha segnalato effetti avversi sul loro sviluppo psicomotorio (Viguera et al., 2022; Fernandez-Abascal et al., 2021; Nordeng H. et al., 2014; Lutz et al., 2010). In letteratura è riportato un caso di un neonato di 12 giorni ricoverato per grave disidratazione in seguito ad un allattamento insufficiente. La madre del bambino era in terapia con più farmaci (lamotrigina, aripiprazolo, sertralina) per disturbo bipolare. Il bambino ha subito amputazione delle dita del piede destro a causa di microtrombi arteriosi dovuti a coagulazione intravascolare disseminata conseguente alla grave disidratazione. E’ possibile che i farmaci assunti dalla donna possano aver influito sull’allattamento e quindi causato la grave disidratazione del bambino (Morin, Chevalier., 2017).
LD50: 2,8894 mol/kg (ratto).