L’acido alendronico appartiene alla famiglia dei bifosfonati (analoghi strutturali del pirofosfato organico), capaci in vitro di inibire la dissoluzione dei cristalli di calcio fosfato, che si traduce in vivo nella capacità di inibire il processo di calcificazione in sedi anomale (calcificazione ectopica) (Schibler et al., 1968; Fleisch et al., 1966).
In vivo, il pirofosfato previene la calcificazione dei tessuti molli e regola la mineralizzazione ossea. Questi effetti si osservano unicamente con la somministrazione parenterale, perché per via orale il pirofosfato viene velocemente degradato da enzimi specifici (pirofosfatasi) presenti nelle cellule epiteliali del tratto gastrointestinale.
I bifosfonati sono analoghi del pirofosfato somministrabili per via orale. La resistenza all’azione delle pirofosfatasi gastrointestinali è ottenuta con la sostituzione dell’ossigeno posto tra i due atomi di fosforo (P-O-P) con un atomo di carbonio (P-C-P).
I bifosfonati inibiscono formazione, aggregazione e dissoluzione del calcio fosfato e inibiscono il riassorbimento osseo degli osteoclasti: in virtù di questa seconda proprietà, il loro uso è indicato nelle condizioni cliniche caratterizzate da un riassorbimento osseo eccessivo (morbo di Paget, ipercalcemia, iperparatiroidismo e osteoporosi) (Corrado, Cantatore, 2005).
I bifosfonati si distinguono, da un punto di vista chimico-fisico e biologico, in base ai gruppi/catene legate al carbonio centrale (P-C-P). Nello specifico, l’acido alendronico possiede un gruppo ossidrilico (-OH) legato al carbonio centrale e una catena alifatica formata da tre atomi di carbonio con gruppo aminico terminale (-CH2CH2CH2NH2). Il gruppo ossidrilico sull’atomo di carbonio centrale aumenta il potere inibitorio sul riassorbimento osseo, mentre la catena laterale alifatica (fino ad un massimo di 9 atomi di carbonio) aumenta la potenza farmacologica della molecola. L’introduzione del gruppo amminico ha permesso inoltre di “dissociare” l’attività di inibizione del riassorbimento da quella di inibizione della mineralizzazione (Corrado, Cantatore, 2005).
Sebbene il meccanismo d’azione non sia stato completamente chiarito, la cellula bersaglio dell’azione dei bifosfonati è l’osteoclasta, cellula del tessuto osseo responsabile dei processi di rimodellamento osseo (distruzione dei cristalli di idrossiapatite e conseguente riassorbimento della matrice organica). L’interazione farmaco-cellula ossea è visibile dalle alterazioni cellulari dell’osteoclasta dopo esposizione al bifosfonato, che includono la perdita dell’orletto a spazzola e dei vacuoli citoplasmatici (caratteristici della fase attiva di riassorbimento osseo), e il blocco della produzione di metaboliti, tipici della fase di fagocitosi dell’osteoclasta (Corrado, Cantatore, 2005).
Altre azioni in cui è diretto il meccanismo dei bifosfonati sugli osteoclasti comprendono l’apoptosi o morte cellulare programmata e la neosintesi di osteoclasti. Cellule simil macrofagiche di topo trattate con bifosfonati (acido alendronico, acido pamidronico, acido ibandronico) hanno mostrato meccanismi cellulari tipici dell’apoptosi: condensazione della cromatina, frammentazione nucleare e segmentazione internucleosomiale (Makkonen et al., 1996).
L’attività dei bifosfonati sui precursori osteoclastici è supportata da alcune evidenze, seppur controverse, per cui i bifosfonati risulterebbero inibire la formazione degli osteoclasti a partire dai precursori midollari (Bock et al., 2007) Questa osservazione è supportata da dati farmacocinetici per cui, sebbene i bifosfonati vengano captati a livello scheletrico dopo sei ore (somministrazione endovena), l’effetto farmacologico massimo viene raggiunto solo dopo due giorni. Questo periodo di tempo corrisponderebbe a quello impiegato dai bifosfonati per inibire il reclutamento cellulare dei precursori degli osteoclasti (azione che richiede un tempo maggiore rispetto ad un’azione citotossica diretta) (Marshall et al., 1993).
I bifosfonati con gruppo aminico nella catena laterale, come l’acido alendronico, interferiscono a livello metabolico con il mevalonato (intermedio nella sintesi del colesterolo), che viene trasformato in lipidi isoprenoidi, responsabili delle reazioni di prenilazione (trasferimento di gruppi isoprenoidi) delle proteine che legano il GTP (GTPasi). Il GTP o guanosintrifosfato è una molecola formata da una base azotata (guanina) più uno zucchero (ribosio) più tre gruppi fosfato. Il GTP è coinvolto nel meccanismo di trasduzione del segnale cellulare, con cui la cellula trasforma un segnale in arrivo sulla sua membrana (attivazione di uno specifico recettore) in un azione precisa (risposta cellulare). Le GTPasi sono fondamentali nel signalling intracellulare, e l’interferenza nelle loro modificazioni post-trasduzionali altera i processi di proliferazione e trasduzione del segnale, con conseguente morte delle cellule per apoptosi (Zhang, Casey, 1996).