Monitoraggio della coagulabilità ematica: monitorare il tempo di protrombina prima di iniziare il trattamento farmacologico con warfarin. Seguire l’andamento della terapia con il monitoraggio giornaliero dei test di coagulazione sino allo stabilizzarsi dei valori; successivamente ad intervalli di 1-2 settimane.
Cambiamenti nella condizione clinica del paziente, specialmente se associati a epatopatie, malattie concomitanti o somministrazione di farmaci, richiedono controlli più frequenti. Anche importanti cambiamenti nella dieta (soprattutto se relativi al consumo di verdure) e nell’uso di alcol possono alterare il controllo del warfarin.
Rischio di emorragia: il warfarin può causare emorragie gravi, anche fatali. Il sanguinamento è più probabile che si verifichi all’inizio della terapia anticoagulante e ad alte dosi; fattori predisponenti all’emorragia comprendono: valori di INR maggiori di 4 o molto variabili, età >/=65 anni, precedenti sanguinamenti gastrointestinali, ipertensione, patologie cerebrovascolari, gravi malattie cardiache, anemia, neoplasie, traumi, insufficienza renale, concomitante assunzione di altri farmaci, terapia anticoagulante di lunga durata.
Le complicazioni emorragiche si possono presentare come paralisi, parestesia, mal di testa, dolore al petto, all’addome, alle articolazioni, dolore muscolare o di altro tipo, vertigini, fiato corto, difficoltà nel respirare o nell’ingoiare, gonfiore insolito, debolezza, ipotensione o shock non spiegabile. Perciò, in ogni paziente, in trattamento con anticoagulanti, con un disturbo per cui non ci sia una diagnosi ovvia, bisogna considerare la possibilità di un’emorragia.
Rischio tromboembolico: la terapia anticoagulante con warfarin può aumentare il rischio di occlusione tromboembolica, la quale si può manifestare con una serie di segni e sintomi fra cui: sindrome delle dita porporine, livedo reticularis, rash cutaneo, cancrena, dolore intenso e improvviso alle gambe, ai piedi o alle dita dei piedi, ulcere ai piedi, mialgia, cancrena del pene, dolore addominale, dolore alla schiena o al fianco, ematuria, insufficienza renale, ipertensione, ischemia cerebrale, infarto del midollo spinale, pancreatite, sintomi che simulano poliarterite.
Sindrome delle dita porporine: rappresenta una complicazione della terapia anticoagulante orale con warfarin. Le caratteristiche primarie di questa sindrome sono: colore violaceo della superficie plantare e laterale delle dita dei piedi (tale colorazione si attenua con una moderata pressione, mentre si intensifica con il sollevamento delle gambe), dolore e sensibilità delle dita, intensificazione e diminuzione della colorazione nel tempo. Generalmente si manifesta 3-10 settimane o più dopo l’inizio della terapia con warfarin o composti analoghi.
Situazioni di emergenza: dato che intercorre un intervallo di circa 12-18 ore fra la somministrazione della dose iniziale ed il prolungamento terapeutico del tempo di protrombina e un ritardo di 36-72 ore per il raggiungimento dell’effetto anticoagulante globale, in situazioni di emergenza (ad esempio in caso di embolia polmonare), somministrare inizialmente eparina sodica insieme al warfarin.
Insufficienza cardiaca congestizia: i pazienti affetti da tale patologia possono mostrare un PT/INR maggiore del previsto, quindi sono necessari più frequenti controlli di laboratorio e dosi di warfarin ridotte.
Deficit noto o sospetto di proteina C: deficienze ereditarie o acquisite di proteina C o del suo cofattore, proteina S, sono state associate a necrosi tessutale dopo somministrazione di warfarin.
Non tutti i pazienti in queste condizioni sviluppano necrosi, così come si può avere necrosi in pazienti senza questi deficit. La resistenza ereditaria alla proteina C attivata è stata descritta in molti pazienti con disturbi tromboembolici venosi, ma non è stata ancora definita come fattore di rischio per la necrosi tessutale. Il rischio associato a queste condizioni, sia per trombosi ricorrente sia per reazioni avverse, è di difficile valutazione perché non sembra essere lo stesso per tutti.
La decisione sulle analisi da effettuarsi e la terapia da intraprendere deve essere presa su base individuale. E’ stato riportato che una terapia anticoagulante concomitante con eparina per 5-7 giorni, durante l’inizio della terapia con warfarin, può minimizzare l’incidenza di necrosi tessutale (Anderson et al., 1992).
La terapia con warfarin deve essere sospesa quando c’è un sospetto che possa essere causa di sviluppo di necrosi e si deve prendere in considerazione una terapia anticoagulante con eparina.
Trombocitopenia eparino-indotta: il warfarin deve essere usato con cautela nei pazienti con trombocitopenia eparino-indotta e trombosi venosa profonda, in cui si sono verificati casi di ischemia venosa agli arti, necrosi e cancrena, quando il trattamento con eparina è stato interrotto e la terapia con warfarin iniziata o continuata. In alcuni pazienti le conseguenze hanno portato ad amputazione delle parti lese e/o a morte (Warkentin et al., 1997).
Negli Stati Uniti per il trattamento della trombocitopenia indotta dall’eparina sono approvati l’argatroban e la lepirudina, due inibitori diretti della trombina; la bivalirudina è approvata per l’uso in pazienti che devono essere sottoposti ad interventi coronarici percutanei (Dager et al., 2007).
Interazioni: dato che l’effetto del warfarin è influenzato da numerosi farmaci normalmente impiegati nella pratica clinica, si consiglia di aumentare la frequenza delle determinazioni periodiche dei valori PT/INR in caso di terapie concomitanti a quella anticoagulante.
Disfunzioni epatiche: evitare la somministrazione di anticoagulanti orali nell'epatopatia grave, in particolare se il tempo di protrombina è già aumentato.
Insufficienza renale: evitare l’uso di anticoagulanti orali nell’insufficienza renale grave.
Pazienti in terapia con salicilati, FANS, fenformina: controllare tempo di protrombina ed eventuale sangue occulto nelle feci in caso di contemporanea somministrazione di warfarin con salicilati, FANS, fenformina.
Ipnotici barbiturici, cefalosporine, cloralio idrato, salicilati, dipiridamolo, disopiramide, disulfiram, fenilbutazone, triclofos sodico, contraccettivi orali, glutetimide: si consiglia di evitare l’associazione fra warfarin e questi farmaci.
Nutrizione enterale: in associazione con warfarin impiegare preparazioni nutritive enterali a basso contenuto di potassio.
Pazienti in terpia con clofibrato e destrotiroxina: ridurre le dosi di warfarin del 25-30% in caso di somministrazione contemporanea con clofibrato e destrotiroxina.
Leucemia trattata con 6-mercaptopurina: aumentare i dosaggi di warfarin (sino al doppio della dose abituale).
Pazienti anziani o defedati: ridurre le dosi di warfarin, in quanto questi pazienti potrebbero presentare un’aumentata risposta agli effetti anticoagulanti del warfarin.
Pazienti pediatrici: la sicurezza e l’efficacia del warfarin in pazienti pediatrici al di sotto dei 18 anni di età non sono state stabilite in studi clinici controllati randomizzati. Tuttavia, l’uso del warfarin in pazienti pediatrici per la prevenzione e il trattamento di eventi tromboembolici è ben documentato. A causa della difficoltà di raggiungere e mantenere valori di INR adeguati nei bambini, sono raccomandati maggiori controlli in questa categoria di pazienti.
Discrasie ematiche, febbre alta, ipertiroidismo, disordini epatici, carenze nutrizionali, diarrea, malattie vascolari del collagene, cancro, steatorrea, deficienza di vitamina k: queste patologie, da sole o in combinazione, possono causare un aumento dei valori di PT/INR.
Edema, resistenza ereditaria alla cumarina, iperlipemia, ipotiroidismo, sindrome nefrosica: queste patologie, da sole o in combinazione, possono essere responsabili di una diminuzione dei valori di PT/INR.
Obesità: dati preliminari indicano un aumento del rischio di sanguinamento grave nei pazienti obesi trattati con warfarin. In uno studio clinico osservazionale della durata di un anno, in cui i pazienti normopeso, sovrappeso e obesi sono stati trattati con warfarin, i pazienti obesi (BMI > 30) hanno evidenziato un aumento dell’84% del rischio di emorragie gravi, tali da richiedere il ricovero ospedaliero, rispetto ai pazienti normopeso (Ogunsua et al., 2015).
Demenza: in uno studio condotto su oltre 10000 pazienti sottoposti a trattamento prolungato con il warfarin, a 7 anni dall’inizio del trattamento è stato osservato un aumento del rischio di demenza tra i pazienti in terapia per la fibrillazione atriale, rispetto ai pazienti che non soffrono di questa aritmia, ma che assumono il warfarin per valvulopatie o malattie tromboemboliche. Indipendentemente però dall’indicazione per cui il warfarin era somministrato, in entrambi i gruppi di trattamento i tassi di demenza risultavo più elevati nei pazienti con INR ridotto o instabile (l’indice INR, International Normalized Ratio, è un indice di coagulabilità del sangue). Ciò è probabilmente dovuto all’azione anticoagulante di warfarin, che può portare allo sviluppo di emorragie cerebrali, influendo sulle funzioni cognitive. Nello studio clinico i pazienti più a rischio sono risultati quelli con fibrillazione atriale, età inferiore ai 70 anni e indice INR instabile. Gli autori dello studio, pertanto, suggeriscono di assumere il warfarin a lungo termine solo se è indispensabile il ricorso a questa terapia (Heart Rhythm Society, 2016).
Gravidanza: il warfarin è controindicato nelle donne in gravidanza o che potrebbero iniziare una gravidanza poichè il farmaco attraversa la barriera placentare e può causare emorragie fatali del feto in utero.
Allattamento: il warfarin non viene escreto nel latte e può dunque essere somministrato con sicurezza durante l’allattamento (Clark et al., 2000).
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