La venlafaxina è un farmaco ad azione antidepressiva appartenente alla classe terapeutica degli inibitori la ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI); è un derivato biciclico feniletilamminico. Viene utilizzata nel trattamento dei disturbi depressivi e d'ansia, in particolare nelle forme resistenti ad altri farmaci.
La venlafaxina inibisce il reuptake presinaptico di serotonina, noradrenalina, e, in maniera più debole, di dopamina, prolungandone l'interazione con i siti del recettore postsinaptico. L'azione inibente della venlafaxina verso serotonina e noradrenalina non è equipotente: a basso dosaggio il farmaco mostra una maggior selettività verso il sistema serotoninergico che viene persa a dosaggi più elevati (Preskorn, 1997). Da un punto di vista clinico, questo comportamento si traduce in un maggior effetto del farmaco a dosaggi elevati sul sistema cardiovascolare (stimolazione dei recettori adrenergici per l'inibizione del reuptake della noradrenalina).
Sebbene la venlafaxina non agisca sui recettori muscarinici, la sua somministrazione comporta ridotta salivazione (30% con la dose di 75 mg e 32% con la dose di 150 mg): la xerostomia rappresenta uno degli effetti collaterali più frequenti associati al trattamento farmacologico. E' probabile che la ridotta salivazione dipenda da una diminuzione dell'attività neuronale cerebrale parasimpatica per stimolazione noradrenergica conseguente al blocco del reuptake della noradrenalina (Abdelmawla et al., 1999).
La venlafaxina non inibisce le monoaminossidasi e non ha affinità per i recettori istaminici, alfa e beta adrenergici (Muth et al., 1986).
La molecola di venlafaxina possiede un atomo di carbonio asimmetrico presentando quindi due stereoisomeri: in vitro la (-) venlafaxina inibisce il reuptake sinaptosomiale di noradrenalina e di serotonina mentre l'enantiomero (+) agisce in prevalenza inibendo solo il reuptake di serotonina.
Sono stati isolati tre metaboliti del farmaco. Il metabolita più importante, l' O-demetilvenlafaxina, risulta equipotente rispetto a venlafaxina nell'inibire il reuptake della serotonina e della noradrenalina; è meno attivo nell'inibire il reuptake della dopamina. Gli altri due metaboliti, l' N-demetil-venlafaxina e l' N,O-didemetilvenlafaxina, sono meno efficaci nell'inibire il reuptake di questi tre neurotrasmettitori (Muth et al., 1991).
A livello del sistema nervoso centrale la venlafaxina migliora l'attenzione, la concentrazione, la memoria, l'attività motoria fine, il tempo di reazione e la veglia (Saletu et al., 1992). Una dose singola di venlafaxina ha un'effetto minimo sui processi di informazione cognitiva dell'uomo.
La somministrazione contemporanea di alcool o barbiturici non altera l'attività del farmaco.
A livello del sistema cardiovascolare la venlafaxina causa un leggero incremento della pressione sanguigna (Fabre, Putman, 1987). In pazienti depressi l'incremento della pressione diastolica del sangue è di circa 5-6 mm Hg rispetto ai valori di riferimento dopo 6 mesi di trattamento (375 mg/die di venlafaxina) (Schweizer et al., 1991). Il farmaco aumenta anche il ritmo cardiaco (da 1,1 a 4,5 battiti/min) (Cunningham et al., 1994).
Gli antidepressivi che inibiscono la ricaptazione della serotonina sono stati associati ad un aumento del rischio di sanguinamento. La serotonina possiede attività vasocostrittrice e antiaggregante piastrinica. Le piastrine, che non sono capaci di sintetizzare il neurotrasmettitore, lo assorbono dal sangue attraverso una proteina che funge da “trasportatore” di serotonina. All'interno della piastrina la serotonina è accumulata in granuli per essere poi rilasciata nuovamente nel torrente circolatorio quando la piastrina è attivata nel processo di emostasi. L'inibizione del reupake della serotonina blocca non solo il trasportatore di serotonina a livello neuronale ma anche quello piastrinico. E' stato osservato che il trattamento con gli antidepressivi che inibiscono il reuptake della serotonina aumenta il rischio di sanguinamento uterino, il rischio di sanguinamento associato ad intervento chirurgico ortopedico nei pazienti anziani e il rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore (Movig et al., 2003; van Walraven et al., 2001).
In uno studio di coorte relativo a pazienti trattati per 3 mesi con antidepressivi, il ricovero per sanguinamento gastrointestinale superiore era pari ad un aumento di 3,1 episodi per 1000 trattamenti/anno per i pazienti trattati con antidepressivi che inibivano la ricaptazione della serotonina rispetto a quelli che non la inibivano (la venlafaxina è considerato un farmaco con capacità intermedia di inibire il reuptake della serotonina) (Dalton et al., 2003). L'aggiunta di FANS o acido acetilsalicilico aumentava ulteriormente il rischio. Il rischio di sanguinamento inoltre non sembrava dipendere dalla durata della terapia (nessuna differenza dopo 1 mese, 2 o 6 mesi) (Layton et al., 2001).
In trattamenti a breve termine, la venlafaxina risulta essere attiva quanto clorimipramina, imipramina, trazodone, fluoxetina. Presenta minori effetti collaterali sia sul sistema anticolinergico che sul sistema nervoso centrale (Schweizer et al., 1991).
Disturbo depressivo maggiore
In uno studio che ha preso in considerazione 12 revisioni sistematiche relative all'impiego di SSRI, mirtazapina, venlafaxina, duloxetina, milnacipran, bupropione e reboxetina nel trattamento in acuto della depressione maggiore è emerso che, da un punto di vista dell'accetabilità (uno dei parametri considerati insieme all'efficacia terapeutica), la venlafaxina è risultato al terzo posto come efficacia terapeutica (dopo mirtazapina e escitalopram) ma all'ottavo posto come accettabilità (dopo escitalopram, sertralina, bupropione, citalopram, milnacipran e mirtazapina) (Lancet, 2009).
In pazienti con depressione e sintomi d'ansia, la venlafaxina a rilascio prolungato è stata confrontata con placebo e fluoxetina. Lo studio è durato 12 settimane. Gli indicatori di esito hanno compreso la scala Hamilton per la depressione (HAM-D) e per l'ansia (HAM-A) e la scala CGI (Clinical Global Impression). I due farmaci attivi sono risultati superiori al placebo a partire già dalla seconda settimana di trattamento per la depressione, ma la fluvoxamina è risultata più efficace della fluoxetina per il controllo dei sintomi ansiosi. Al termine dello studio, la risposta clinica, secondo la scala HAM-D, è risultata pari al 43% vs 67% vs 62% rispettivamente per il placebo, la venlafaxina e la fluoxetina. Il grado di remissione secondo la scala HAM-D è risultato significativamente più alto con venlafaxina, rispetto al placebo, alla 3a, 4a, 6a, 8a e 12a settimana; più alto con fluoxetina, rispetto al placebo, all'8a e 12a settimana. La percentuale di pazienti che ha interrotto la terapia per gli effetti collaterali è stata pari al 10% con venlafaxina, al 7% con fluoxetina e al 5% con placebo (Silverstone, Ravindra, 1999).
Nei pazienti ambulatoriali che non rispondono al trattamento con SSRI oppure che non mantengono l'efficacia nel tempo, la somministrazione di venlafaxina, a rilascio immediato o prolungato, ha determinato risposta terapeutica pari al 94,2% (responder secondo la scala HAM-D25 oppur PGI-21) e pari al 91,3% (responder secondo entrambe le scale di riferimento). La remissione della patologia è stata raggiunta nell'87% e nell'85,5% dei pazienti, rispettivamente sulla base dei criteri HAM-D25 e PGI-21. La dose di venlafaxina è stata compresa fra 50 e 400 mg/die e la durata dello studio è stata di 6 settimane o più. Sono stati considerati responsivi alla terapia i pazienti che totalizzavano un punteggio minore od uguale a 10 sulla scala HAM-D25 (Hamilton Depression Scale) oppure un punteggio maggiore o uguale a 5 sulla scala PGI-21 (Patient Global Impression). Sono stati considerati in remissione i pazienti con punteggio </= 8 sulla scala HMA-D25 oppure con punteggio >/= 7 sulla scala PGI-21 (Kaplan, 2002).
Nei pazienti con disturbo depressivo maggiore persistente, la combinazione di venlafaxina e mirtazapina ha determinato risposta clinica (miglioramento del punteggio CGI pari a 2 o inferiore) nel 44% dei pazienti a 4 e 8 settimane, nel 50% dei pazienti a 12 settimane e nel 56% dopo 6 mesi di terapia. I pazienti avevano precedentemente ricevuto una media di 2,5 trattamenti antidepressivi. Le dosi di venlafaxina associate a mirtazapina erano comprese fra 75 e 300 mg, mentre quelle di mirtazapina fra 15 e 45 mg. Dopo 6 mesi, l'83% e il 77% dei pazienti ricevevano, rispettivamente, dosi di venlafaxina uguali o maggiori a 225 mg/die e dosi di mirtazapina uguali o maggiori a 30 mg/die. Il 44% dei pazienti è andato incontro ad almeno un effetto collaterali, fra cui i più frequenti sono stati sedazione (19% dei pazienti) e aumento ponderale (19% dei pazienti) (Hannan et al., 2007).
La venlafaxina è stata confrontata anche con reboxetina nel trattamento del disturbo depressivo maggiore misto ad ansia. Lo studio, in aperto, durato 10 settimane ha arruolato pazienti di età compresa fra 18 e 65 anni. La venlafaxina è risultata generalmente più efficace della reboxetina sia secondo il punteggio HAM-D sia HAM-A. La reboxetina ha mostrato efficacia maggiore solo alla settima settimana secondo la scala Hamilton per l'ansia. L'incidenza degli effetti collaterali è stata più elevata con reboxetina, ma soltanto un paziente per ciascun gruppo ha interrotto il trattamento per gli eventi avversi (Akkaya et al., 2006).
Disturbo d'ansia generalizzato (GAD)
Nel trattamento del disturbo d'ansia generalizzato (GAD) la venlafaxina è risultata superiore a placebo: la risposta clinica (riduzione del punteggio della scala Hamilton per l'ansia, HAM-A, >/= 50%) e la remissione clinica (punteggio HAM-A </= 7) sono ottenute in percentuali pari, rispettivamente, al 66% e al 43% con l'SNRI e pari al 39% e al 19% con il placebo, indipendentemente dal livello di ansia definito al basale. Con venlafaxina il 61% circa dei pazienti in risposta clinica ma non in remissione dopo 8 settimane, sono risultati in remissione clinica dopo 6 mesi di terapia; con placebo questa percentuale era pari al 39%. I pazienti che hanno recidivato sono risultati quasi il doppio con il placebo (6% vs 15%) (Montgomery et al., 2002).
La venlafaxina, somministrata a dosi comprese fra 75 e 225 mg/die (formulazione a lento rilascio) è risultata più efficace del placebo e del farmaco di confronto buspirone (30 mg/die) sia negli studi a breve termine (8 settimane) sia in quelli a lungo termine (6 mesi) (Davidson et al., 1999). In quest'ultimo studio, la risposta clinica fra la sesta e la 28esima settimana di trattamento è stata uguale o maggiore del 69% per il gruppo trattato con venlafaxina e compresa fra il 42-46% per il gruppo placebo (indicatori di esito clinico: punteggio totale della scala HAM-A – Hamilton Rating Scale for Anxiety –, punteggio per il fattore ansia psichia di HAM-A e punteggio totale CGI – Clinical Global Impression) (Gelemberg et al., 2000).
La venlafaxina ha evidenziato un profilo di tollerabilità meno favorevole del pregabalin nel trattamento del disturbo d'ansia generalizzato. I due farmaci sono stati somministrati alla dose di 75 mg/die per venlafaxina e di 400-600 mg/die per il pregabalin; lo studio clinico prevedeva anche un terzo braccio di trattamento con placebo. La durata del trial è stata di 6 settimane, l'esito clinico primario consisteva nella variazione del punteggio della scala di Hamilton per l'ansia (HAM-A), mentre gli esiti secondari erano relativi alle variazioni di punteggio della stessa scala per i sintomi psichici e somatici. Entrambi i frmaci sono risultati più efficaci del placebo. Il pregabalin alla dose di 400 mg/die ha indotto un miglioramento significativo sia per l'esito primario che per quelli secondari; con entrambe le dosi, il miglioramento clinico era già evidente dopo la prima settimana di terapia. I benefici clinici con venlafaxina sono comparsi dopo la seconda settimana di trattamento. La venlafaxina ha evidenziato un profilo di tollerabilità meno favorevole rispetto al pregabalin considerando le percentuali di pazienti che hanno interrotto precocemente la terapia a causa degli eventi avversi (20,4% vs 6,2% vs 13,6% vs 9,9% rispettivamente con venlafaxina, pregabalin 400 mg/die, pregabalin 600 mg/die, placebo) (Montgomery et al., 2006).
Altri disturbi d'ansia
La venlafaxina ha mostrato efficacia terapeutica in caso di disturbo da panico-agarofobia (10 responder su 13 pazienti trattati, durata dello studio di 10 settimane e dose media di farmaco somministrata pari a 47 mg/die) (Papp et al., 1998); disturbo da fobia sociale (in uno studio in aperto hanno risposto al trattamento 8 su 9 pazienti trattati; in un altro trial condotto su 12 pazienti non responsivi agli SSRI, la somministrazione di dosi comprese fra 112,5 e 187,5 mg/die di venlafaxina sono risulatete efficaci nel ridurre il punteggio della scala di valutazione (P < 0,05) Liebowitz Social Anxiety Scale) (Kelsey, 1995; Altamura et al., 1999), l'efficacia del farmaco è stata poi confermata in altri studi della durata di 12 settimane fino a 6 mesi (dosi impiegate: 75-225 mg/die); disturbo post-traumatico da stress, disturbo di personalità borderline, in particolare in pazienti con risposte non soddisfacenti agli SSRI (fluoxetina, sertralina) (Markovitz, Wagner, 1995).
Trattamento dei sintomi vasomotori associati a menopausa
La venlafaxina ha evidenziato effetti positivi nel trattamento dei sintomi vasomotori associati alla menopausa in trial clinici di breve durata, benefici clinici che non sono stati confermati in uno studio della durata di 12 settimane condotto in donne sane in menopausa. Durante la prima settimana di terapia, le pazienti hanno ricevuto la dose di 37,5 mg/die di farmaco per passare, con la seconda settimana alla dose di 75 mg/die. Sebbene sulla base dei questionari individuali, il trattamento farmacologico sia stato giudicato efficace nel migliorare l'impatto dei sintomi vasomotori sulla quotidianità, la differenza di punteggio assegnata alla gravità della sintomatologia non ha raggiunto la significatività statistica. Nelle pazienti trattate sono risultati più frequenti secchezza delle fauci, sonnolenza e riduzione dell'appetito; meno frequenti, vertigini, tremori, ansietà, diarrea, e rash cutanei (Evans et al., 2005).
In pazienti con controindicazione all'uso di una terapia ormonale (per carcinoma mammario o a rischio per tale carcinoma), la somministrazione di venlafaxina a rilascio prolungato (37,5 mg, 75 mg, 150 mg) è stata associata ad un modesto miglioramento della sintomatologia vasomotoria caratteristica della menopausa (riduzione dei punteggi delle vampate pari al 37%, al 61% e al 61% con i tre diversi dosaggi sperimentati vs il 27% del placebo). La durata del trattamento è stata di 4 settimane. Nel gruppo di pazienti trattate con venlafaxina 75 e 150 mg, l'incidenza di xerostomia, nausea, costipazione e riduzione dell'appetito è risulatata significativamente più elevata rispetto al gruppo placebo (Loprinzi et al., 2000).
La venlafaxina è stata confrontata con medrossiprogesterone acetato nel trattamento delle vampate di calore. La venlafaxina è stata somministrata alla dose di 37,5 mg/die per la prima settimana e alla dose di 75 mg/die per le restanti settimane; il medrossiprogesterone acetato è stato somministrato in dose singola di 400 mg per via intramuscolare. Lo studio è durato 6 settimane. I sintomi vasomotori (la valutazione ha tenuto conto della frequenza e dell'intensità delle vampate di calore) sono diminuiti del 55% nel gruppo venlafaxina e del 79% nel gruppo medrossiprogesterone (P < 0,0001). Il 46% vs 74% delle pazienti, rispettivamente trattate con l'antidepressivo e il medrossiprogesterone presentavano una riduzione delle vampate di calore superiore al 50% rispetto al basale (Loprinzi et al., 2006).