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Tamsulosin

Omnic, Antunes e altri

Farmacologia - Come agisce Tamsulosin?

Il tamsulosin (INN: Tamsulosin) è un antagonista degli adrenorecettori alfa1, in particolare per il sottotipo alfa1A e alfa1D. Gli adrenorecettori alfa1 presentano 3 diversi sottotipi recettoriali: alfa1A, alfa1D e alfa1B. Gli alfa1A costituiscono la sottofamiglia predominante nella prostata umana insieme al sottogruppo alfa1D (Price et al., 1993; Michel et al., 1996). A livello di vescica predominano gli alfa1D (60-70% di tutti i recettori alfa presenti); gli alfa1B sono invece presenti (85%) nel tessuto miocardico.

Chimicamente il tamsulosin è un sulfamoilfenetilamino derivato, dotato di stereoselettività: l’R (-) isomero presenta una maggiore affinità per il recettore alfa1A rispetto all’S (+) isomero (Chapple, 1996).

A differenza degli altri antagonisti degli adrenorecettori alfa1 (alfuzosin, prazosin, doxazosin, terazosin), il tamsulosin presenta una maggiore affinità per i recettori localizzati a livello del tessuto muscolare liscio della prostata rispetto a quelli localizzati a livello vasale. L’affinità per i sottotipi recettoriali alfa1, per il tamsulosin, è infatti la seguente alfa1A>/=alfa1D>>alfa1B (Yamada et al., 1994). Ne consegue che il trattamento con tamsulosin è accompagnato da una minore incidenza di effetti collaterali cardiovascolari, in particolare effetti ipotensivi, rispetto agli altri alfa1 antagonisti.

L’interazione con i recettori alfa1A determina contrazione della muscolatura liscia della prostata e dell’uretra, con riduzione conseguente della tensione (Chapple, 1996a; Hatano et al., 1994). L’interazione con i recettori alfa1D, a livello vescicale, provoca la riduzione dell’ipertrofia del detrusore e contribuisce a dare all’organo una maggiore elasticità. L’azione sul detrusore è importante, perché l’incremento dello spessore del detrusore, che accompagna l’ostruzione prostatica non trattata o non adeguatamente trattata, nel tempo provoca danni irreversibili, non risolvibili neppure per via chirurgica.

Il tamsulosin, a differenza degli altri alfa-antagonisti non selettivi, non richiede l’incremento graduale del dosaggio (dose titration), poiché non modifica in modo significativo la pressione sanguigna.

Il tamsulosin è impiegato in clinica per il trattamento dei sintomi delle basse vie urinarie (LUTS); è impiegato “off label“ nella calcolosi ureterale, nel trattamento di sintomatologia riferibile alle basse vie urinarie nelle donne (Pummangura et al., 2007); nel trattamento di disturbi dell’eiaculazione e nell’ostruzione primitiva del collo vescicale (Cisternino et al., 2006). E’ stato utilizzato in studi clinici anche in caso di prostatiti (Nickel, 2008) e dei disturbi minzionali neurogeni causati da lesioni sopraspinali (Abrams et al., 2003).

Trattamento dei sintomi delle basse vie urinarie in caso di ipertrofia prostatica benigna
Il tamsulosin è risultato efficace nel trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna in quanto determina l’incremento del valore di Qmax (maximum urinary flow rate) e di Qave (average urinary flow rate), e quindi la riduzione del volume urinario residuo con miglioramento dei sintomi associati alla patologia (difficoltà ad iniziare la minzione, sensazione di incompleto svuotamento della vescica, urgenza minzionale, minzione frequente, nicturia, disuria) (Chapple et al., 1996).

Nei trial clinici le condizioni cliniche dei pazienti sono migliorate dopo due settimane di trattamento (l’alfuzosin richiede tempi di 2-6 settimane) e si sono mantenute nel tempo (60 settimane) (Schulmann et al., 1996).

Dall’analisi dei dati di letteratura, sembrerebbe emergere un rischio di re-trattamento non marginale nei pazienti in terapia con antagonisti alfa adrenergici per l’ipertrofia prostatica benigna e tale rischio risulterebbe maggiore in presenza di una sintomatologia grave. Dopo un follow up di 3-5 anni, la percentuale di pazienti che è ricorsa ad un trattamento successivo con tamsulosin è stata pari al 27% (37% con alfuzosin e 49% con terazosin). In particolare, in caso di flusso urinario > di 10 ml o < di 10 ml, la percentuale di pazienti che ha richiesto un trattamento successivo è stata pari, rispettivamente, al 47% e al 58%; in caso di volume della prostata > 40 ml o < 40 ml, le percentuali sono state, rispettivamente, del 72% e del 48%; in caso di presenza o assenza di ostruzione urinaria, la percentuale di re-trattamento è stata pari al 59% e al 49% (de la Rosette, 2002).

Da una metanalisi di 14 studi clinici che hanno analizzato l’efficacia terapeutica degli antagonisti alfa adrenergici nel trattamento dei sintomi funzionali delle basse vie urinarie associati a ipertrofia prostatica benigna, il tamsulosin non è risultato superiore rispetto agli altri farmaci della stessa classe. I pazienti arruolati nei trial clinci avevano un’età media di 64 anni, la durata dei trattamenti oscillava fra le 4 e le 26 settimane e la durata massima, per i trial vs placebo, non superava le 13 settimane. I dati emersi hanno evidenziato l’equivalenza sia terapeutica sia di tollerabilità del tamsulosin con gli altri farmaci della stessa classe. L’incidenza degli eventi avversi è risultata correlata, per tamsulosin, alla dose somministrata, aumentando con l’aumentare della dose (75% dei pazienti alla dose di 0,8 mg) così come la sospensione della terapia per gli effetti collaterali (16% dei pazienti alla dose di 0,8 mg) (Wilt et al., 2003).

Il tamsulosin ha evidenziato un’efficacia terapeutica sovrapponibile a naftopidil nel trattamento dei sintomi LUTS (Lower Urinary Tract Symptoms), ad eccezione della nicturia (necessità di urinare frequentemente durante le ore di riposo notturno) che è risultata controllata meglio dal naftopidil. Pur essendo entrambi i farmaci antagonisti del recettore alfa adrenergico, il tamsulosin è selettivo per il sottogruppo alfa1A, mentre il naftopidil per il sottogruppo alfa1D (Nishino et al., 2006).

In pazienti con LUTS da iperplasia prostatica benigna, l’associazione di tamsulosin (0,4 mg/die) e dutasteride (0,5 mg/die) è risultata superiore alla monoterapia con tamsulosin, ma non a quella con dutasteride, nel ridurre il rischio relativo di ritenzione urinaria acuta o intervento chirurgico; la combinazione terapeutica è risultata superiore ad entrambi i farmaci in monoterapia nel ridurre il rischio relativo di progressione dell’iperplasia prostatica (Roehrborn et al., 2010). La dutasteride è un inibitore della 5 alfa reduttasi, enzima che converte il testosterone in diidrotestosterone, ed è indicata nel trattamento dei sintomi (moderati/gravi) associati a iperplasia prostatica benigna, nella riduzione del rischio di ritenzione urinaria acuta e di intervento chirurgico.

La Serenoa repens è impiegata, in monoterapia o in associazione, per alleviare i sintomi urinari in caso di iperplasia prostatica benigna. In uno studio clinico che ha confrontato Serenoa repens (320 mg/die) vs tamsulosin (0,4 mg/die) vs l’associazione dei due farmaci, non sono emerse differenze statisticamente significative fra i tre schemi terapeutici riguardo a incremento del picco massimo di flusso urinario (Qmax) e riduzione del punteggio I-PSS (International Prostate Symptom Score) (p> 0,05) (Hizli, Uygur, 2007).

Sindrome dell’iride a bandiera
Il tamsulosin è stato associato a “sindrome dell’iride a bandiera”, variante della sindrome della pupilla stretta. In vivo sia il tamsulosin sia gli altri antagonisti del recettore alfa1 adrenergico, alfuzosin, doxazosin, naftopidil, prazosin e terazosin hanno evidenziato un effetto midriatico sulla pupilla trattata con fenilefrina, alla stessa dose a cui antagonizzano l’incremento pressorio uretrale fenilefrina-indotto, e un effetto miotico in assenza della fenilefrina a dosi più elevate (30-100 volte più elevate). L’azione miotica è risultata reversibile dopo 8 ore. Poiché tutte le molecole analizzate hanno evidenziato la capacità di modificare la dilatazione della pupilla è stato ipotizzato un effetto di classe che però non è stato ulteriormente confermato (Michel et al., 2006).

Calcolosi ureterale
La calcolosi ureterale, presenza di calcoli a livello dell’uretere, è causata dalla migrazione di calcoli formatisi in sede renale e solo in rari casi da calcoli originatisi direttamente nell’uretere (calcolosi ureterale primaria). Il tratto distale dell’uretere presenta un diametro più piccolo rispetto alla parte prossimale, vicina al rene, per cui i calcoli tendono ad incastrarsi in sede distale più facilmente, creando un tappo che, impedendo il fluire dell’urina, provoca prima la dilatazione dell’uretere e poi quella del rene con il rischio di gravi infezioni. La sintomatologia è caratterizzata da forte dolore, simile a quello della colica renale, causato dallo spasmo dell’uretere. Il trattamento prevede la somministrazione di farmaci antispastici ed elevate quantità di liquidi (risoluzione spontanea del calcolo). In genere la risoluzione spontanea della calcolosi urinaria si verifica quando i calcoli non superano i 5-6 mm di diametro e può richiedere un tempo di espulsione del calcolo di diversi giorni, gravato da spasmi dolorosi. Se la calcolosi non si risolve si interviene con procedure di frantumazione e rimozione del calcolo (es. litotrissia extracorporea a onda d’urto) e solo in ultima istanza con l’intervento chirurgico di asportazione.

La presenza di recettori adrenergici nell’uretere con prevalenza del tipo alfa sottotipo 1D ha indirizzato la ricerca farmacologica per altre possibili opzioni terapeutiche verso i farmaci antagonisti del recettore adrenergico alfa1. Questi farmaci, riducendo la resistenza uretrale (miorilassamento), inducono un aumento del gradiente di pressione che favorisce la rimozione del calcolo dall’uretere verso la vescica: aumentano infatti la quantità di urina che fluisce nell’uretere, a monte del calcolo, e ne riducono la peristalsi a valle.

La somministrazione di tamsulosin a pazienti con calcolosi ureterale sintomatica è risultata efficace nel favorire l’espulsione spontanea del calcolo e nel controllore la sintomatologia dolorosa. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere tamsulosin (0,4 mg/die) oppure floroglucina-trimetossibenzene (3 volte/die); tutti i pazienti sono stati trattati anche con deflazacort (30 mg/die per 10 giorni) e cotrimossazolo (2 volte/die per 8 giorni) e diclofenac (75 mg ev su richiesta). La percentuale di espulsione del calcolo è stata pari al 100% vs 70% rispettivamente con tamsulosin e fluoroglucina-trimetossibenzene; nel primo gruppo la dimensione media del calcolo era di 6,7 mm, nel secondo gruppo di 5,8 mm. Il tempo di espulsione è stato pari a 65,7 vs 111,1 ore, rispettivamente con tamsulosin e floroglucina-trimetossibenzene e il numero medio di iniezioni di diclofenac è risultato di 0,13 con l’antagonista alfa1 e di 2,83 nel gruppo di confronto. Il ricovero ha interessato 10 pazienti del gruppo trattato con floroglucina-trimetossibenzene e di questi, 9 sono stati sottoposti a ureteroscopia; nel gruppo in terapia con tamsulosin nessun paziente è stato ricoverato (Dellabella et al., 2003).

In caso di calcoli di piccole dimensioni può essere adottata la procedura di litotrissia extracorporea a onda d’urto (ESWL) che permette di frantumare il calcolo facilitandone la rimozione. La somministrazione di tamsulosin (0,4 mg/die per un massimo di 12 settimane) a pazienti che si sono sottoposti ad una singola sessione di ESWL (diametro dei calcoli: 4-20 mm) ha favorito la scomparsa dei calcoli nel 78,5 % dei pazienti vs 60% dei controlli (p=0,037). Il farmaco è risultato particolarmente efficace nei pazienti con calcoli di dimensioni superiori a 10 mm (p=0,028). L’incidenza di coliche renoureterali è stata pari al 26,1% con tamsulosin e al 76,9% nel gruppo di confronto (p< 0,001) e il consumo di analgesico (diclofenac) è risultato rispettivamente pari a 375 mg vs 675 mg (dose cumulativa per paziente) (p < 0,001) (Gravina et al., 2005).

In un altro studio, il trattamento con tamsulosin (0,4 mg/die) per 4 settimane o fino ad eliminazione dei calcoli, associato a diclofenac al bisogno, è stato confrontato con la sola somministrazione di diclofenac al bisogno, in pazienti sottoposti a litotrissia a onda d’urto. Il follow up è durato 3 mesi. I controlli sono stati effettuati dopo 2 settimane e a 1, 2 e 3 mesi. La differenza fra i trattamenti nell’eliminazione dei calcoli è risultata significativa dopo 1, 2 e 3 mesi (p=0,02, 0,01 e 0,008), non dopo le prime due settimane (p=0,52). Dopo 3 mesi, la percentuale di eliminazione dei calcoli è risultata del 73% vs 55% con e senza tamsulosin. Nel gruppo in terapia con tamsulosin l’incidenza di disfunzione eiaculatoria è stata del 13,4% (Hussein, 2010).

In caso di singolo calcolo renale o ureterale, la somministrazione di tamsulosin (0,4 mg/die) fino ad un massimo di 30 giorni, dopo litotrissia a onda d’urto, è risultata efficace in più del 95% dei pazienti (percentuale di espulsione del calcolo: 96,6% vs 79,3% (p=0,04) con tamsulosin e placebo) in particolare per calcoli di calibro pari a 11-24 mm (p=0,03) rispetto a calcoli più piccoli, compresi fra 6 e 10 mm (p=0,35). Il consumo di analgesici è stato inferiore con tamsulosin, ma senza raggiungere una differenza statisticamente significativa (Bhagat et al., 2007).

Il tamsulosin è risultato efficace nella calcolosi ureterale anche a dosi inferiori a quelle standard (0,2 mg anzichè 0,4 mg): percentuale di espulsione del calcolo pari a 40% vs 68% e tempo medio di espulsione di 9,30 e 10,76 giorni, rispettivamente con la dose dimezzata e la dose piena (Lojanapiwat et al., 2008).

In un altro studio, l’aggiunta di tamsulosin (0,4 mg/die) per 4 settimane al regime terapeutico che prevedeva diclofenac su richiesta (100 mg) più levofloxacina (250 mg/die) per la prima settimana più idratazione del paziente, ha determinato una percentuale di espulsione spontanea dei calcoli pari all’88,9% vs 51,1% e una riduzione del tempo medio necessario di 4-5 giorni (7,32 +/- 0,78 vs 12,53 +/- 2,12 giorni) Anche il consumo di analgesici è stato inferiore nei pazienti che avevano ricevuto il tamsulosin in linea con quanto osservato negli studi precedenti (0,14 +/- 0,5 vs 2,78 +/-2,7 iniezioni) (Sayed et al., 2008).

Nei trial di confronto fra tamsulosin e alfuzosin nel trattamento della calcolosi ureterale, non sono emerse differenze di efficacia tra i due farmaci. In caso di calcoli di dimensione leggermente superiore ai 6 mm, la percentale di espulsione spontanea dei calcoli è stata pari a 82,3% vs 70,5% vs 35,2% rispettivamente con tamsulosin (0,4 mg/die), alfuzosin (10 mg/die) e placebo con un tempo medio di espulsione, rispettivamente di 12,3 vs 14,5 vs 24,5 giorni (Agrawal et al., 2009). In caso di calcoli leggermente più piccoli (circa 5 mm), le percentuali di espulsione sono state di 86,2% vs 76,6% vs 50% con un tempo medio di espulsione di 7,52 (+/-7,06) vs 8,26 (+/-7,34) vs 13,90 (+/- 6,99) giorni rispettivamente con tamsulosin, alfuzosin e placebo (Ahmed, Al-Sayed, 2010).

Trattamento di sintomi delle basse vie urinarie (LUTS) nella donna
Sintomi a carico delle basse vie urinarie simili a quelli riscontrati nell’uomo affetto da ipertrofia prostatica benigna (difficoltà nella minzione, flusso urinario debole e a intermittenza, urgenza nella minzione, senso di svuotamento incompleto, pollachiuria, nicturia) sono stati osservati anche in pazienti di sesso femminile. Questa condizione nella donna viene indicata con l’acronimo FLUTS (Female Lower Urinary Tract Symptoms). L’impiego degli alfa bloccanti, farmaci di riferimento per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, per il trattamento dei LUTS nella donna sarebbe giustificata dalla presenza di recettori alfa adrenergici nella muscolatura del trigono vescicale, responsabili della minor attività del muscolo detrusore con conseguente svuotamento incompleto della vescica.

I dati di letteratura disponibili sono limitati e l’esito clinico principale considerato è il punteggio della scala sintomatologica di patologia prostatica IPSS (International Prostate Symptom Score) che però non è stato validato nella donna.

Nell’unico studio controllato, pubblicato, in doppio cieco relativo all’impiego del tamsulosin (altri due studi sono stati condotti con il terazosin), il farmaco è stato somministrato per un mese (dosaggio non indicato) a donne di età compresa fra 27 e 69 anni affette da LUTS. La riduzione del punteggio IPSS rispetto al basale nel gruppo trattato con tamsulosin è stato di -5,6 e nel gruppo placebo di -2,6 (p=0,008); la variazione del flusso urinario medio rispetto al basale è stato di 0,7 vs -0,5 ml/secondo rispettivamente con il farmaco e il placebo (p=0,013); la variazione del flusso urinario massimo rispetto al basale non ha raggiunto una differenza statisticamente significativa tra tamsulosin e placebo (p=0,506).

Disturbi dell’eiaculazione
La gravità dei sintomi delle basse vie urinarie (LUTS) è strettamente connessa a disfunzione dell’erezione e dell’eiaculazione, condizioni che possono presentarsi anche come effetti collaterali dei farmaci indicati per il trattamento del LUTS.

Il tamsulosin non ha evidenziato efficacia terapeutica nel trattamento dell’eiaculazione dolorosa. Dopo 6 settimane di terapia, il dolore è scomparso nel 16% dei pazienti trattati con il farmaco (0,4 mg/die) e nel 13% del gruppo placebo. Il punteggio assegnato con la scala VAS (Visual Analog Scale) per la valutazione del dolore è sceso da 5,7 a 5,1 con tamsulosin e da 5,8 a 5,5 con il placebo; il numero medio di rapporti sessuali è passato da 1,8 a 1,9 con il farmaco e da 1,6 a 1,7 con il placebo (Safarinejad, 2006).

Nei pazienti con disfunzione dell’eiaculazione (eiaculazione retrograda, ridotto volume o assenza di volume eiaculatorio), la somministrazione di tamsulosin (0,4 mg) a giorni alterni è risultata efficace nel normalizzare l’eiaculazione (63,3%), meno efficace nel migliorare il volume di eiaculato (per questo parametro non è stata raggiunta una significatività statistica) (Goktas et al., 2006).

In caso di pazienti con dolore associato all’orgasmo (dolore che può interessare il pene (72%) e meno frequentemente testicoli, retto e addome), il tamsulosin (0,4 mg/die) sembrerebbe efficace nell’attenuare l’intensità della sensazione dolorosa. In uno studio prospettico, non controllato con placebo, il 77% dei pazienti che avevano ricevuto il tamsulosin ha registrato una riduzione uguale o superiore a 2 punti della scala di valutazione analogica del dolore (International Index of Erectile Function IIEF) e il 12% risoluzione completa del dolore (Barnas et al., 2005).