La simvastatina appartiene alla classe delle statine, farmaci che inibiscono l’HMG-CoA reduttasi. Alla stessa classe appartengono lovastatina, pravastatina, fluvastatina e atorvastatina e rosuvastatina. La simvastatina è un analogo della lovastatina e insieme a questa e a pravastatina forma il gruppo delle statine di origine naturale (ottenute a partire da un prodotto della fermentazione dell’Aspergillus terreus), mentre fluvastatina, atorvastatina e rosuvastatina sono molecole di sintesi. La simvastatina è un profarmaco: è un lattone inattivo che viene idrolizzato in vivo con formazione di un derivato beta idrossiacido, farmacologicamente attivo.
La simvastatina agisce come inibitore competitivo della HMG-CoA reduttasi, enzima che catalizza la conversione del HMG-CoA (3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A) in acido mevalonico, precursore del colesterolo. A dosi terapeutiche la simvastatina non inibisce completamente l’enzima, rendendo disponibili quantità biologicamente necessarie di mevalonato.
L’inibizione dell’HMG-CoA reduttasi comporta una riduzione della sintesi di colesterolo LDL tramite: 1) riduzione del colesterolo VLDL – queste lipoproteine rappresentano i precursori delle LDL; 2) incremento dei recettori cellulari per le LDL con conseguente aumento dell' uptake tissutale delle LDL e della loro degradazione, soprattutto a livello epatico; 3) riduzione della concentrazione di lipoproteine LDL circolanti conseguente alla diminuzione della concentrazione di apolipoproteina B – questa apolipoproteina si trova soprattutto nelle LDL, in numero di una molecola per ogni particella di LDL.
In pazienti con ipercolesterolemia familiare il meccanismo predominante del farmaco appare l’incremento del catabolismo delle LDL; in pazienti con ipercolesterolemia non familiare invece appare più importante la riduzione della sintesi di colesterolo LDL.
Benché attiva sulla sintesi del colesterolo, la simvastatina non risulta modificare la steroidogenesi a livello testicolare e adrenocorticale: l’escrezione di cortisolo, di 17-idrossisteroidi e di 17-chetosteroidi non appare alterata durante la terapia con simvastatina.
L’aterosclerosi è considerata una risposta infiammatoria/immune dell’intima vasale verso un danno tissutale. Durante le fasi iniziali della lesione aterosclerotica si verifica un aumento dell’adesività dei monociti circolanti alle pareti del vaso. I monociti si trasformano in macrofagi che iniziano a inglobare elevate quantità di lipidi circolanti, in particolare lipoproteine LDL, trasformandosi in cellule schiumose (foam cells). Contemporaneamente si verifica il rilascio di fattori di crescita, sostanze citotossiche e procoagulanti che attivano l’endotelio, aumentando l’adesività per gli elementi figurati del sangue. A questo punto si verifica proliferazione delle cellule muscolari lisce e formazione della capsula, il cuore lipidico della lesione evolve verso lo stadio di placca, con la vascolarizzazione, l’erosione dell’endotelio e la sua rottura che porta alla sindrome coronarica acuta o all’evento trombotico. E’ stato osservato inoltre che la componente lipidica della placca è in stretto rapporto con quella dei lipidi plasmatici.
Nel sangue, la frazione lipoproteica si può suddividere, grosso modo, in lipoproteine ad elevata densità (HDL), densità intermedia (IDL), bassa densità (LDL), bassissima densità (VLDL) e trigliceridi. Le lipoproteine LDL, giocano un ruolo strategico nella formazione della placca ateromatosa e pertanto la loro riduzione costituisce il target d’elezione nel trattamento dell’ipercolesterolemia. Rappresentano la forma principale con cui il colesterolo è trasportato nel sangue. Le lipoproteine HDL si formano nel fegato e nell’intestino tenue e rappresentano le lipoproteine più dense presenti nel plasma. Contengono fosfolipidi, proteine e, in minor quantità, trigliceridi e colesterolo (25% del colesterolo circolante). Il colesterolo libero rilasciato nel sangue è inglobato nelle HDL dove viene convertito in estere. Sotto forma di estere, il colesterolo viaggia soprattutto nelle lipoproteine a bassa (LDL) o bassissima (VLDL) densità. La funzione più importante delle HDL è quella di rimuovere il colesterolo dai tessuti periferici e portarlo verso il fegato. Le HDL possiedono anche altre funzioni fra cui la capacità di antagonizzare l’ossidazione delle LDL e inibire l’adesione dei monociti alla parete vasale. I trigliceridi sono reperibili nel sangue sottoforma di chilomicroni e come lipoproteine VLDL e IDL.
Sulla base dei maggiori trial clinici condotti per definire il rapporto fra colesterolemia e cardiopatia coronarica, è emerso come elevati livelli plasmatici di colesterolo totale (CT), di colesterolo LDL e di trigliceridi siano associati ad un aumento del rischio di malattia coronarica (infarto miocardico, angina stabile e instabile, angioplastica coronarica percutanea trasluminale multivasale (Ptca), bypass coronarico multivasale). In particolare, fra CT e rischio di cardiopatia coronarica esiste una correlazione che aumenta per valori di CT > 181 mg/dL (studio MRFIT, Martin et al., 1986), mentre per ogni incremento dell’1% del CT, il rischio di cardiopatia aumenta del 2-3% (studio FRAMINGHAM, castelli et al., 1992). Il colesterolo totale correla in modo lineare con la mortalità da cardiopatia coronarica: per incrementi di 20 mg/dl di CT, il rischio di mortalità cardiovascolare aumenta del 12% (studio SEVEN COUNTRIES, Verschuren et al., 1995). Anche fra incidenza di eventi coronarici maggiori e livelli di colesterolo-LDL esiste una relazione lineare (studio UKPDS; una riduzione delle LDL pari a 18 mg/dL, mantenuta per 5-6 anni, riduce di circa 1/4 il rischio di coronaropatia), così come i trigliceridi rappresentano un fattore di rischio indipendente per tali eventi (studio PROCAM, Assmann et al., 1998). Elevati livelli di HDL sono invece correlati ad un effetto positivo, di prevenzione, verso il rischio coronarico; in particolare il rischio di cardiopatia coronarica aumenta, per qualsiasi valore di colesterolemia, con il crescere del rapporto colesterolo totale/colesterolo-HDL. In condizioni di LDL e colesterolemia totale nella norma, ridotti valori di HDL rappresentano un fattore di rischio per la malattia coronarica.
I valori di riferimento per il colesterolo, in un adulto sano, sono i seguenti:
Colesterolo totale: 120-200 mg/dL;
Colesterolo HDL: 40-80 mg/dL (malattia coronarica documentata, raccomandato: 70 mg/dL);
Colesterolo LDL: 70-180 mg/dL (malattia coronarica documentata, =115 mg/dL secondo le linee guida europee; = 110 mg/dL secondo le linee guida americane)
Trigliceridi = 150 mg/dL
Rapporto CT/HDL = 5 per gli uomini; = 4,5 per le donne.
La simvastatina è efficace nel ridurre i livelli di colesterolo circolanti: in caso di ipercolesterolemia primaria diminuisce del 30-35% il colesterolo totale; del 35-45% il colesterolo LDL; del 20-40% i trigliceridi totali; del 20-50% il rapporto fra colesterolo LDL e HDL (Buckley et al., 1990). Gli effetti sul profilo lipidico plasmatico sono dose dipendenti. La somministrazione di simvastatina alla dose di 40 e 80 mg/die (massima dose raccomandata nell’uomo) è risultata diminuire rispettivamente del 38% e del 46% la frazione delle LDL dopo 24 settimane di trattamento. L’incremento del dosaggio non è stato associato ad una perdita di tollerabilità del farmaco (Stein et al., 1998).
Per quanto riguarda la frazione lipoproteica della HDL, la simvastatina è risultata aumentarne i livelli sierici, in particolare nei pazienti con valori di HDL inferiori a 35 mg/dL. In aggiunta a fenofibrato (simvastatina 40 mg più fenofibrato 200 mg), l’aumento della frazione HDL dei lipidi plasmatici è stato pari a circa il 20%. Gli effetti della simvastatina sulla frazione delle lipoproteine ad alta densità sono direttamente proporzionali al dosaggio della statina (Am. J. Cardiol., 1998).
Gli effetti della simvastatina sulla frazione HDL e sui livelli di apolipoproteina A1 sono risultati maggiori rispetto a quelli associati ad atorvastatina. Alla dose massima di 80 mg, in pazienti con ipercolesterolemia, l’incremento del colesterolo-HDL è stato di +8,9 m/dL vs +3,6 mg/dL, rispettivamente con simvastatina e atorvastatina, l’incremento di apolipoproteina A1 è stato di +4,9 mg/dL vs –0,9 mg/dL. Entrambi i farmaci hanno diminuito la concentrazione di LDL (45,4 mg/dL vs 53,5 mg/dL) e di trigliceridi (25,8 mg/dL vs 34,1 mg/dL). La simvastatina ha determinato incrementi di ALT > 3 volte UlN in minor percentuale rispetto all’atorvastatina e la differenza è risultata più spiccata fra le pazienti di sesso femminile.
La riduzione del colesterolo LDL indotto dalla simvastatina è stato messo in relazione ad un miglioramento della permeabilità capillare all’albumina in pazienti con ipercolesterolemia e aterosclerosi. L’aumento della permeabilità dell’endotelio capillare al passaggio di molecole di grosse dimensioni, come l’albumina, è uno dei fattori che concorrono alla formazione della placca ateromatosa (Dell’omo et al., 2000).
La simvastatina, come le altre molecole della stessa classe, modifica la struttura della placca già formata, aumentando la componente ‘collagene’ a scapito di quella ‘lipidica’. Questo rende la placca più fibrosa, quindi più resistente e meno soggetta a rottura (evento trombotico acuto). E’ stato osservato infatti che le statine non modificano tanto la dimensione della placca quanto la sua composizione e ed è quest’ultima che rappresenta un fattore critico per l’evento clinico acuto. Il trattamento con le statine riduce il rischio di cardiopatia coronarica pur non variando la dimensione delle placche (questo dato era emerso già con il primo grande trial dedicato alla simvastatina, il 4S).
La simvastatina risulta efficace nel ridurre il contenuto di apolipoproteine B delle LDL in caso di ipercolesterolemia familiare, non familiare, diabetica (riduzione del 25-30%, dopo un mese di terapia) (Erkelens et al., 1988); di apolipoproteine CIII ed E. Dato che l’apolipoproteina B è contenuta soprattutto nelle LDL (rappresenta la proteina strutturale anche delle VLDL e IDL), la simvastatina non solo possiede un effetto ipocolesterolemizzante, ma sembra anche capace di diminuire il numero di LDL circolanti.
Polimorfismi a carico delle apolipoproteine inducono iperlipoproteinemia con caratteristiche diverse. L’iperlipoproteinemia di tipo III, causata da polimorfismo per l’apolipoproteina E, è caratterizzata da ridotto catabolismo e conseguente accumulo di chilomicroni e proteine a bassissima densità, le VLDL. La somministrazione di simvastatina in pazienti con iperlipoproteinemia di tipo III è risultata più efficace del gemfibrozil nel ridurre il colesterolo LDL, mentre il gemfibrozil ha diminuito i livelli dei trigliceridi totali e delle VLDL più efficacemente della statina. La riduzione dei livelli di lipoproteine IDL e apolipoproteina E è risultata simile per entrambi i farmaci (Civeira et al., 1999).
La simvastatina sembra ridurre anche la saturazione biliare di colesterolo: in associazione con acido ursodesossicolico, ha indotto risposta terapeutica completa nel trattamento dei calcoli biliari (Bateson, 1990).
In vitro ed in vivo, la simvastatina è risultata porfirinogenica. Nei roditori ha evidenziato marcati effetti osteogenici (in comune con lovastatina) (Mundy et al., 1999).
Gli effetti terapeutici della simvastatina si manifestano dopo due settimane di trattamento; il picco di risposta terapeutica si ottiene dopo 4-8 settimane; gli effetti sulla mortalità e sulla morbidità cardiovascolare sono evidenti già dopo il primo anno di terapia.
Nel trattamento dell’ipercolesterolemia primaria, la simvastatina risulta più efficace del probucolo nel ridurre il colesterolo totale (26-33% vs 12%), il colesterolo LDL (33-43% vs 10%), i trigliceridi totali (33-50% vs 4%); mentre la simvastatina aumenta il colesterolo HDL (11%) e riduce il rapporto colesterolo LDL/HDL (33-50%), il probucolo diminuisce il primo (27%) ed aumenta il secondo (30%) (Buckley et al., 1989).
E’ più efficace del colestipolo (40-45 vs 22-28%) e della colestiramina (30-45 vs 20-30%) nel ridurre il colesterolo totale e LDL. A differenza della colestiramina che aumenta i trigliceridi plasmatici (55-65%), la simvastatina li riduce (15-20%) (Molgaard et al., 1989).
E’ più efficace di benzafibrato, fenofibrato e gemfibrozil nel ridurre il colesterolo totale e LDL (30-45 vs 15-25%), ma meno nell’abbassare i trigliceridi e nell’aumentare il colesterolo HDL (5-10 vs 15-20%).
Possiede attività simile a atorvastatina nel ridurre colesterolo totale (rispettivamente –24% vs –26%), e trigliceridi (rispettivamente – 20% vs – 24%) e nell’incrementare la frazione HDL (rispettivamente, 10% vs 8%) (Brown et al., 1998). Rispetto all’atorvastatina, l’effetto della simvastatina sulla frazione HDL è dose-proporzionale (incremento lineare), mentre all’aumentare la dose di atorvastatina, si evidenza un effetto deprimente sulle HDL (negativizzazione al crescere della dose).
In pazienti con disbetalipoproteinemia familiare, la simvastatina riduce sia il colesterolo totale (41%) che LDL (32%) e VLDL (51%); sia i trigliceridi totali (39%).
In pazienti con ipercolesterolemia familiare, la simvastatina incrementa anche l’attività dell’enzima lecitina-colesterolo-aciltransferasi (del 124% dopo 12 settimane di terapia), contribuendo così alla mobilizzazione del colesterolo dai tessuti periferici e favorendone la degradazione epatica (Weisweiler, 1988).
In caso di sindrome nefrotica, la simvastatina è risultata efficace nel ridurre il colesterolo totale, il colesterolo LDL e la trigliceridemia; il suo utilizzo sembrerebbe correlato inoltre con una riduzione parziale della sindrome stessa (Thomas, Moorhead, 1990). E’ risultata più attiva della colestiramina nel ridurre il colesterolo totale (36 vs 8%), LDL (39 vs 19%) e i trigliceridi (39 vs 21%) (Rabelink et al., 1988).
Nel trattamento della ipercolesterolemia associata a diabete mellito, il farmaco determina riduzione del colesterolo totale (22%), soprattutto sottoforma di colesterolo LDL (21%), e dei trigliceridi (29%), soprattutto come trigliceridi VLDL (35%).
In pazienti con diabete mellito di tipo 2 e arteriopatia periferica, la somministrazione di statine è stata associata ad un più basso rischio di amputazione degli arti inferiori (HR aggiustato: 0,75, IC95% 0,62-0,90) e di mortalità cardiovascolare intraospedaliera (HR aggiustato: 0,78, IC95% 0,69-0,87) rispetto a chi non utilizzava questa classe di farmaci. I dati sono stati estrapolati da un database nazionale (Taiwan) e riferiti a più di 69mila pazienti, in un arco di tempo di circa 10 anni (2000-2011). La coorte di pazienti presentava ipertensione (73,6%), coronaropatia (44,9%), malattia cerebrovascolare (30,8%), nefropatia cronica (19%) e insufficienza cardiaca (14,6%). La durata media del follow up è stata di 5,6 anni (Hsu et al., 2017).
La somministrazione di simvastatina a lungo termine in pazienti con iperlipoproteinemia, non obesi e non ipertesi, tende a normalizzare la risposta piastrinica alla vasopressina, dipendentemente dalla riduzione di colesterolo LDL. L’effetto della simvastatina si esplicherebbe soprattutto in caso di stress (attivazione piastrinica, vasospasmo) (Bidlingmeyer et al., 1994).
Nei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco, la terapia precoce con simvastatina (entro 4 giorni dal trapianto) ha migliorato il tasso di sopravvivenza e ridotto l’incidenza della vasculopatia da trapianto rispetto ad un trattamento ritardato (dopo 4 anni dal trapianto). Dopo 8 anni la sopravvivenza risultava pari all’88,6% vs 59,5% rispettivamente nei pazienti trapiantati che avevano ricevuto subito simvastatina e quelli che avevano ricevuto il farmaco dopo 4 anni; l’incidenza di vasculopatia è stata, rispettivamente, 24,4% vs 54,7%. Non sono state segnalate differenze sulle cause di morte o sulla funzione d’organo, né per quanto riguarda gli effetti avversi gravi (Circulation, 2002).
La simvastatina non possiede attività terapeutica nel trattamento della ipertrigliceridemia quando questa rappresenta la patologia di maggior rilievo.
Studio 4S – Scandinavian survival simvastatin study
Lo studio 4S è il primo trial di grandi dimensioni (più di 4000 pazienti trattati per circa 5 anni) che ha evidenziato il ruolo della simvastatina nella prevenzione secondaria degli eventi cardiovascolari. I pazienti arruolati presentavano coronaropatia stabilizzata, un’età media di 59 anni, una colesterolemia totale di 212-309 mg/dL e livelli di trigliceridi < 221 mg/dL. Il trattamento con simvastatina (10-40 mg/die) veniva individualizzato per ottenere una concentrazione di colesterolo totale di 116-200 mg/dL (Lancet, 1994).
La simvastatina ha determinato un riduzione significativa della mortalità per tutte le cause (end point principale) pari al 30%. La riduzione della mortalità coronarica, rispetto al placebo, è stata pari al 42% mentre quella per cause non cardiovascolari è stata del 6%. La riduzione degli infarti (fatali e non) è stata del 31%, dell’angina pectoris (peggioramento o nuova insorgenza) del 22%, del ricorso all’angioplastica o al bypass del 34%. Il beneficio clinico osservato – riduzione del rischio di eventi cardiovascolari – era presente anche per quei pazienti che presentavano livelli di colesterolemia più bassi (212-241 mg/dL). A livello cerebrovascolare, la simvastatina è risultata efficace nel ridurre gli eventi acuti (rischio di TIA, ictus: -28% all’analisi post-hoc) e nel migliorare la circolazione sanguigna (-48% il numero dei soffi carotidei rispetto al placebo). Il farmaco ha evidenziato un’azione positiva anche verso l’insufficienza cardiaca (circa la metà dei pazienti con infarto sviluppano insufficienza cardiaca): il numero di nuovi casi di insufficienza cardiaca è diminuito del 19% rispetto al placebo e i decessi per tale patologia del 37%.
Gli effetti del farmaco sull’aterosclerosi sono risultati evidenti anche per la circolazione periferica: i pazienti trattati hanno visto ridursi il numero di nuove diagnosi di claudicatio intermittens o l’evoluzione verso un peggioramento della patologia rispetto al placebo (-38%) con benefici clinici osservabili già dopo 6 mesi di terapia, indipendentemente dal sesso e dall’età fino ai 75 anni (estensione dei benefici clinici cardiovascolari, ottenuti tramite la riduzione della colesterolemia, anche alle donne e agli anziani).
I benefici clinici in termini di mortalità osservati dopo il follow up di 5,4 anni , cioè fino a quando non si è raggiunto il numero statisticamente significativo di 440 decessi (4444 pazienti arruolati), sono continuati fino al follow up protratto di 8,2 anni (Circulation, 1998).
Nei pazienti trattati con simvastatina, l’incidenza di eventi coronarici maggiori è risultata aumentare in rapporto diretto con la riduzione della concentrazione di HDL, sebbene le variazioni delle LDL risultino il fattore di impatto sul rischio più importante.
Considerando il profilo di tollerabilità della simvastatina, nello studio 4S l’incidenza di rabdomiolisi, aumento della creatinfosfochinasi = 10 volte il limite superiore normale (ULN) e incremento dell’aminotransferasi = 3 volte il valore ULN è risultata sovrapponibile nel gruppo trattato e nel gruppo placebo, così come la percentuale di pazienti che ha interrotto precocemente il trattamento per eventi avversi (6%).
Studio MAAS – Multicenter anti-atheroma study
Questo studio ha valutato la monoterapia con simvastatina (20 mg/die) sulla progressione dell’aterosclerosi coronarica in pazienti ipercolesterolemici (colesterolo totale: 213-310 mg/dL – valor medio per LDL pari a 169 mg/dL – trigliceridemia media < 354 mg/dL) con coronaropatia. Dopo 4 anni di follow up, la colesterolemia totale era diminuita del 23%, le LDL del 31%, la trigliceridemia del 18% e le HDL erano aumentate del 9%. Sebbene l’incidenza di eventi cardiovascolari fra il gruppo trattato e quello placebo abbia evidenziato differenze minime, l’analisi con coronarografia dello stato dei vasi ha permesso di osservare un rallentamento significativo del processo aterosclerotico (Lancet, 1994a).
Studio FHRS – Familia hypercholesterolemia regression study
L’ipercolesterolemia famigliare eterozigote è la forma genetica che comporta il rischio più elevato di lesioni precoci alle coronarie. Il trattamento con simvastatina in associazione a colestipolo è stato confrontato con la combinazione delle stessa simvastatina all’aferesi delle LDL 2 volte alla settimana. Al termine dello studio, il trattamento meccanico è risultato più efficace nel ridurre la concentrazione plasmatica di LDL e di apolipoproteina A, ma quello esclusivamente farmacologico è risultato più efficace verso la coronaropatia aterosclerotica (Thompson et al., 1995).
Studio RIKS-HIA – Register of information and knowledge about swedish heart intensive care admission
E’ uno studio prospettico di coorte basato sui dati del Registro svedese di terapia intensiva cardiaca che ha considerato tutti i pazienti ricoverati in unità coronarica fra il 1995 e il 1998. I dati raccolti sono stati confrontati con quelli del Registro nazionale delle cause di mortalità. Sono stati confrontati i dati degli infartuati (5528 pazienti) che avevano ricevuto prima della dismissione o alla dismissione un trattamento con statine (il 74% era stato trattato con simvastatina) con quelli che non avevano ricevuto questo tipo di trattamento (14071 pazienti). E’ emerso che la mortalità ad un anno (esito di studio principale) era pari al 4% nei pazienti trattati con statine rispetto al 9,3% nei pazienti non trattati con statine (in termini numerici, 219 decessi vs 1307 decessi nei non trattati). Dopo l’analisi di regressione, corretta per i fattori di confondimento, la differenza percentuale fra pazienti infartuati trattati e non trattati con statine è stata pari al 3,7% vs 5% (JAMA, 2001).
Studio CARE – Cholesterol and recurrent events
Lo studio CARE è uno studio in doppio cieco che ha arruolato più di 4000 pazienti con infarto miocardico e colesterolemia totale di 209 mg/dl. Lo studio ha evidenziato l’efficacia della simvastatina e della pravastatina nel ridurre, in modo significativo, il rischio di morte per evento coronarico, il rischio di intervento di bypass e di stroke (Sacks et al., 1996). In seguito a questo trial, è stata autorizzata la prescrivibilità della simvastatina in pazienti con infarto miocardico ed età inferiore a 75 anni che, dopo 3 mesi di regime dietetico opportuno, mostravano ancora valori di colesterolemia totale superiore a 210 mg/dL o colesterolo LDL superiore a 130 mg/dL.
Studio GOALLS – Getting to appropriate LDL-C levels with simvastatin
In questo studio sono stati arruolati pazienti coronaropatici (192 pazienti) e con frazione LDL > 115 mg/dL. Il trattamento prevedeva la somministrazione di una dose di simvastatina pari a 20 mg/die da incrementare a seconda della risposta individuale. Il 60% dei pazienti era iperteso e il 10% diabetico; l’età media era di 58 anni. Al termine del trial, il 72% dei pazienti aveva raggiunto livelli di colesterolo LDL di 110 mg/dL (obiettivo prefissato dello studio) con la dose iniziale di farmaco e il 93% livelli di 115 mg/dL (Garmendia et al., 2000).
Studio LISTRAMI – Lipid intervention strategies in acute myocardial infarction
Lo studio LISTRAMI ha preso in considerazione pazienti ospedalizzati in seguito ad infarto miocardico e trattati con simvastatina (40 mg/die) oppure dieta dopo la dismissione. Il 92% dei pazienti in terapia farmacologica, dopo 3 mesi, aveva ottenuto livelli di LDL = 115 mg/dL (livello prefissato). I pazienti in solo regime dietetico, dopo 3 tre mesi, avevano raggiunto il livello prefissato di LDL solo per il 7%; i pazienti di questo gruppo con livelli di LDL > 115 mg/dL sono stati quindi avviati a ricevere simvastatina per i successivi 3 mesi (Pedersen et al., 2000).
Studio HPS – Heart protection study
L’Heart Protection Study ha confermato la capacità della simvastatina di ridurre l’incidenza di eventi maggiori a carico dell’intero albero vascolare (cuore, cervello, periferia) sia in pazienti con coronaropatia sia in pazienti senza coronaropatia ma ad alto rischio (colesterolemia totale = 135 mg/dL). Si tratta di uno studio di ampie dimensioni (numero totale di pazienti: 20.536, con età compresa fra 40 e 80 anni, di cui 1/4 di sesso femminile) che ha incluso pazienti con infarto miocardico pregresso (8510), con anamnesi positiva per angina, bypass, angioplastica (4876), con pregresso TIA, ictus o intervento di chirurgia carotidea (3280), con arteriopatia periferica (6748), con diabete conclamato di entrambi i tipi (5963), con ipertensione (8457), con livelli di LDL < 130 mg/dL (6793) e con trigliceridemia < 5 mmoli/L (4072) (Collins et al., 2002).
I pazienti sono stati trattati con simvastatina (40 mg/die) per 5 anni in aggiunta alle terapie già consolidate (antiaggregante, antipertensiva e antianginosa). Lo studio prevedeva anche la somministrazione di vitamine antiossidanti (600 mg di vitamina E, 250 mg di vitamina C e 20 mg di beta-carotene) che sono risultate inefficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare. Dopo 5 anni di follow up, la riduzione della colesterolemia totale,con simvastatina, è stata di 1,2 mmoli/L e quella di colesterolemia LDL di 1 mmole/L indipendentemente dai valori al basale. I risultati globali hanno evidenziato una riduzione del rischio della mortalità per tutte le cause pari al 12% (mortalità: 12,9% vs 14,6% vs 14,1% rispettivamente con simvastatina, placebo e antiossidanti), della mortalità vascolare del 17%; degli eventi vascolari maggiori del 24% (eventi vascolari: 19,9% vs 25,4%) e dell’incidenza di ictus del 27% (ictus: 4,4% vs 6%) nei pazienti trattati con simvastatina.
Analizzando i vari sottogruppi di pazienti, i benefici clinici legati al trattamento con la statina sono stati osservati sia nei pazienti che presentavano coronaropatia sia in quelli con malattia vascolare periferica o diabete (numero di eventi vascolari maggiori, simvastatina vs placebo: 1007 vs 1255, pazienti infartuati; 452 vs 597, pazienti con coronaropatie diverse dall’infarto; 182 vs 215, pazienti senza sintomi di coronaropatia; 332 vs 427, pazienti con malattia vascolare periferica; 279 vs 369, diabetici con una riduzione del rischio relativo del 28%); nelle donne e nei pazienti anziani (numero eventi vascolari maggiori, simvastatina vs placebo: 1676 vs 2148, maschi; 366 vs 458 donne; 838 vs 1093, età < 65 anni: 516 vs 677, età 64-69 anni; 550 vs 628, età 70-74 anni; 138 vs 208 età > 75 anni).
In particolare, nei pazienti del grippo dei diabetici il 90% aveva diabete di tipo 2, livelli di colesterolo LDL al basale pari a 130 mg/dL e, per i 2/3, non presentava coronaropatia. La somministrazione di simvastatina ha ridotto il colesterolo LDL di 38 mg/dL (vs placebo) e l’incidenza di un primo evento cardiovascolare maggiore dal 13,5% al 9,3%, indipendentemente dai livelli di colesterolo.
Considerando la tollerabilità della simvastatina, il rischio annuale di miopatia è stato dello 0,01% e l’incidenza di aumenti rilevanti delle transaminasi (= 3 volte ULN) è risultata sovrapponibile al placebo.
Studio A to Z – Aggrastat to Zocor
Studio randomizzato dedicato all’impiego della simvastatina nella prevenzione secondaria in pazienti con coronaropatia. I pazienti, età media 61 anni, sesso femminile 24%, sono stati trattati con simvastatina a dose elevata (40 mg/die per un mese, quindi 80 mg/die) oppure a dose bassa (placebo per 4 mesi, quindi 20 mg/die). Dopo una mediana di 2 anni circa, non sono emerse differenze fra i due schemi posologici per l’end point primario composito per mortalità cardiovascolare, infarto del miocardio e ricoveri per sindrome coronarica o ictus (14,4% vs 16,7% rispettivamente con simvastatina a dosaggio elevato e basso) (de Lemos et al., 2004).
Studio IDEAL – Incremental decrease in end points through agressive lipid lowering
In questo studio la simvastatina è stata confrontata con atorvastatina in pazienti con anamnesi positiva per infarto miocardico. I pazienti, età media di 62 anni, sono stati randomizzati a ricevere atorvastatina 80 mg/die oppure simvastatina a dosaggio basso, 20 mg/die; la quota di pazienti di sesso femminile ammontava al 19%. I due farmaci non hanno mostrato differenze nell’end point principale composito per mortalità coronarica, infarto miocardico e arresto cardiaco con rianimazione (9,3% vs 10,4% rispettivamente con atorvastatina a dosaggio elevato e simvastatina a dosaggio basso). I pazienti trattati con la statina a dosaggio maggiore hanno manifestato un’incidenza di effetti collaterali più elevata che ha determinato l’interruzione precoce della terapia rispettivamente nel 9,6% vs 4,2% di pazienti (Pedersen et al., 2005).
Studio SEARCH – Study of the effectiveness of additional reductions in cholesterol and homocysteine
L’obiettivo di questo studio era quello di verificare l’impatto di una terapia con statine ad alto dosaggio sulla riduzione del colesterolo LDL rispetto alla terapia standard di 20 mg/die in pazienti infartuati (pazienti arruolati > 12.000). Dopo un follow up di 6,7 anni, nel gruppo trattato con il dosaggio più alto di simvastatina, la riduzione del colesterolo LDL superava quella dell’altro gruppo di 0,35 mmoli/L corrispondenti a 14 mg/dL. La riduzione ulteriore del colesterolo LDL si traduceva in una diminuzione del rischio di un evento cardiovascolare (attacco cardiaco, ictus, procedure di rivascolarizzazione) pari al 6%, in concordanza con i dati già disponibili in letteratura (Bowman et al., 2007; Am, Heart Ass. Meet., 2008).
Con questo studio clinico si è voluto verificare anche gli effetti sulla mortalità per ogni causa e sulla mortalità cardiovascolare dell’omocisteina. In diversi studi epidemiologici, infatti, livelli elevati di omocisteina nel sangue risultavano correlati ad un aumento degli eventi di occlusione venosa. I pazienti arruolati nello studio SEARCH sono stati quindi trattati anche con vitamina B12 (1g) e con acido folico (2 mg) per ridurre i livelli di omocisteina. Un terzo di questi pazienti presentava più di 70 anni. Nessun beneficio clinico aggiuntivo, a livello cardiovascolare, è stato osservato nei pazienti trattati con i supplementi vitaminici (la supplementazione vitaminica non ha avuto valore protettivo nei confronti di un eventuale attacco ischemico a livello cardiaco o cerebrovascolare)
Per quanto riguarda la tossicità muscolare associata a simvastatina, l’incidenza di miopatia è stata di 53 segnalazioni sui circa 6000 pazienti trattati con 80 mg/die (1 per 1000 pazienti/anno) e di 3 segnalazioni sui 6000 trattati con 20 mg/die (<1 per 10.000 pazienti/anno), come atteso secondo i dati di letteratura.
Studio COURAGE – Clinical outcomes utilizing revascularization and aggressive drug evaluation
Il trial clinico COURAGE è stato disegnato per verificare, sul lungo periodo, gli effetti del trattamento angioplastico rispetto al trattamento farmacologico intensivo in pazienti con attacco cardiaco, angina pectoris o ischemia miocardica. I pazienti arruolati sono stati più di 3200, randomizzati a a ricevere solo terapia farmacologica oppure questa in associazione a PCI. La terapia farmacologica prevedeva la somministrazione di un antiaggregante piastrinico (aspirina oppure clopidogrel oppure aspirina più clopidogrel nel gruppo trattato con PCI), di metoprololo, amlodipina o isosorbide mononitrato in monoterapia o in associazione; di lisinopril o losartan; terapia ipolipemizzante idonea a ridurre il colesterolo LDL di 60-85 mg/dL. Al termine dello studio, la riduzione media di colesterolo è stata di 71 mg/dL; nessuna differenza è stata osservata fra i due bracci di trattamento per l’end point principale composito per morte per ogni causa e infarto miocardico non fatale (19% vs 18,5% rispettivamente con PCI o terapia farmacologica) e per gli end point secondari: morte più infarto miocardico più ictus (20% vs 19,5%); ospedalizzazione per sindrome acuta coronarica (12,4% vs 11,8%). Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative per i singoli eventi cardiovascolari: morte (7,6% vs 8,3% rispettivamente con PCI e terapia medica), infarto miocardico non fatale (13,2% vs 12,3%) e ictus (2,1% vs 1,8%). L’angina è diminuita in entrambi i gruppi in modo similare (pazienti liberi da angina a 5 anni: 74% vs 72% rispettivamente con PCI e terapia farmacologica) (Boden et al., 2007).
Studio UK-HARP I e II – UK heart and renal protection study
Lo studio UK-HARP I ha valutato l’efficacia e sicurezza della simvastatina alla dose di 20 mg/die in pazienti con insufficienza renale cronica in pre-dialisi o dopo trapianto di rene. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere simvastatina 20 mg/die vs placebo o aspirina a rilascio continuato 100 mg/die vs placebo (studio fattoriale 2x2). Dopo 12 mesi di terapia, la simvastatina ha diminuito il colesterolo totale e quello LDL rispettivamente del 18% e del 24% rispetto al placebo e i trigliceridi del 13%, ma a fronte di un incremento del 2% del colesterolo HDL (statisticamente non significativo). Nei pazienti trattati con simvastatina non sono stata riportati effetti collaterali a carico del fegato (test epatici anomali, aumento delle transaminasi) e del tessuto muscolare (incremento della creatinchinasi).I pazienti trattati con acido acetilsalicilico non hanno evidenziato un peggioramento della funzionalità renale e l’incidenza di sanguinamenti è aumentata esclusivamente in caso di emorragie minori (sanguinamenti minori: 15% vs 5% rispettivamente con il salicilato e il placebo; sanguinamenti maggiori: 2% vs 3%) (Baigent et al., 2005).
Lo studio UK-HARP II ha valutato l’aggiunta di ezetimibe alla terapia con simvastatina in pazienti con insufficienza renale cronica in predialisi (livelli di creatinina = 1,7 mg/dL), in dialisi peritoneale o in emodialisi. Dopo 6 mesi di terapia con simvastatina 20 mg/die più ezetimibe 10 mg/die, la riduzione del colesterolo LDL ha subito una riduzione ulteriore, rispetto alla monoterapia con la statina, di 18 mg/dL (0,47 mmoli/L), corrispondente ad una riduzione aggiuntiva del 21%. Il profilo di tollerabilità dell’associazione simvastatina più ezetimibe, in questa classe di pazienti, è risultata sovrapponibile a quella della simvastatina in monoterapia (Landray et al., 2006).
Studio SEAS – Simvastatin and ezetimibe in aortic stenosis
Poiché l’ipelipidemia si ritiene sia un fattore di rischio per la stenosi valvolare aortica, si è voluto valutare gli eventuali effetti di una terapia ipolipemizzante con simvastatina ed ezetimibe in pazienti con stenosi aortica asintomatica. I pazienti arruolati (1873) sono stati trattati con simvastatina 40 mg/die più ezetimibe 10 mg/die vs placebo. L’end point principale dello studio era rappresentato dall’incidenza di eventi cardiovascolari (morte cardiovascolare, sostituzione valvolare aortica, infarto miocardico non fatale, ospedalizzazione per angina instabile, insufficienza cardiaca, bypass aortocoronarico, PCI, ictus non emorragico). Gli end point secondari erano rappresentati dagli eventi relativi a stenosi aortica e da eventi cardiovascolari ischemici. Dopo un follow up medio di 52,2 mesi, l’incidenza dell’end point principale risultava pari a 35,3% vs 38,2% rispettivamente nel gruppo trattato con simvastatina più ezetimibe e nel gruppo placebo. La sostituzione della valvola aortica ha interessato il 28,3% vs 29,9% dei pazienti nei due bracci di trattamento. Una percentuale minore di pazienti nel gruppo simvastatina-ezetimibe è andata incontro ad eventi ischemici cardiovascolari (148 pazienti vs 187 pazienti), soprattutto per il minor numero di bypass aorto-coronarici. Lo studio ha evidenziato come la terapia con statina abbia ridotto l’incidenza di eventi ischemici cardiovascolari nei pazienti con stenosi aortica, ma non gli eventi correlati alla stenosi stessa (Rossebo et al., 2008).
Simvastatina più niacina
Sulla base di due ampi studi clinici (AIM-HIGH – Atherothrombosis intervention in metabolic syndrome with low HDL cholesterol/high triglyceride and impact on global health outcomes e HPS2-THRIVE – Heart protection study 2-treatment of HDL to reduce the incidence of vascular events), la FDA, l’Agenzia americana che si occupa di farmaci, nel 2016 ha eliminato l’indicazione, precedentemente approvata, che autorizzava l’associazione della niacina a rilascio modificato in combinazione con simvastatina, o lovastatina, nel trattamento dell’iperlipidemia primaria e della dislipidemia mista. Conseguentemente alla fine dello stesso anno la casa produttrice che commercializzava la combinazione a dosi fisse di niacina più simvastatina ha ritirato la specialità medicinale su base volontaria (Federal Register, 2016).
Simvastatina più ezetimibe
In due studi della durata di 12 settimane, l’aggiunta di ezetimibe, a dose fissa di 10 mg/die, ha ridotto ulteriormente il colesterolo LDL rispetto alla sola simvastatina alla dose di 10 mg/die, 20 mg/die, 40 mg/die e 80 mg/die: 44-46% vs 27-31%; 45-51% vs 35-36%; 53-55% vs 36-42%; 57-61% vs 44-46% (Davidson et al., 2002; Goldberg et al., 2004).
Questi dati sono stati confermati in un altro studio di durata superiore. In associazione a ezetimibe (10/ mg/die), la simvastatina (10, 20 e 40 mg/die) è risultata più efficace della sola simvastatina (40 mg/die) nel ridurre il colesterolo LDL in pazienti con livelli basali 130 mg/dL. Dopo 5 settimane, la percentuale di pazienti che ha raggiunto il target di colesterolo LDL < 100 mg/dL è stato di 46% vs 75%, 83% e 87% rispettivamente con simvastatina in monoterapia e simvastatina in combinazione a ezetimibe. Dopo 23 settimane, la riduzione del colesterolo LDL è stata pari al 40% con simvastatina in monoterapia e al 45%, 50% e 54% con simvastatina e ezetimibe (Feldman et al., 2004). L’associazione simvastatina (10 mg e 20 mg) più ezetimibe (10 mg) è stata confrontata con atorvastatina 10 mg in pazienti con ipercolesterolemia (LDL > 130 mg/dL). Durante il trial la dose delle statine veniva raddoppiata ogni 6 settimane (durata complessiva: 24 settimane). Dopo le prime 6 settimane, la riduzione del colesterolo LDL era del 46% e 50% con simvastatina 10 mg e 20 mg in associazione rispetto al 37% con atorvastatina 10 mg. Dopo 24 settimane, la diminuzione del colesterolo LDL aumentava al 59,4 per simvastatina 80 mg più ezetimibe e al 52,4% con atorvastatina 80 mg (differenza statisticamente significativa) (Ballantyne et al., 2004).
La maggior efficacia dell’associazione simvastatina più ezetimibe rispetto alla sola simvastatina, nel ridurre il colesterolo LDL, è stata evidenziata anche in pazienti con ipercolesterolemia famigliare eterozigote (-58 vs 41%). Indipendentemente se in associazione o meno, la dose di simvastatina somministrata era pari a 80 mg/die. Nessuna differenza statisticamente significativa è stata invece osservata, fra i due gruppi di trattamento, per quanto riguardava l’impatto sull’incremento dello spessore dell’intima di entrambi le carotidi, valutato a 6, 12, 18 e 24 mesi (end point surrogato) (+0,0111 mm vs 0,0058 mm rispettivamente con o senza ezetimibe) e l’incidenza degli eventi cardiovascolari (0,6% vs 0,3% per mortalità cardiovascolare, 0,8% vs 0,6% per infarto miocardico non fatale, 0,3% vs 0,3% per ictus, 1,7% vs 1,4% per procedure di rivascolarizzazione) (studio ENHANCE, Kastelein et al., 2008)
In pazienti con colesterolemia famigliare omozigote, l’aggiunta di ezetimibe (10 mg/die) alla statina in monoterapia (simvastatina o atorvastatina al dosaggio massimo di 80 mg/die) ha determinato un’ulteriore riduzione del colesterolo LDL (Gagné et al., 2002).
Gli effetti di ezetimibe in associazione a simvastatina nell’indurre una ulteriore riduzione del colesterolo LDL sono stati confermati in uno studio randomizzato di ampie dimensioni presentato al congresso 2014 dell’American Heart Association. Lo studio, denominato IMPROVE IT (Improve reduction of outcomes: Vytorin efficacy international trial), è stato disegnato per rispondere
fondamentalmente a tre quesiti: cosa significasse l’aggiunta di ezetimibe a simvastatina in termini di riduzione del rischio cardiovascolare, quale fosse il valore clinico di un’ulteriore riduzione del colesterolo LDL in pazienti con concentrazioni già basse e quale fosse il profilo di sicurezza dell’ezetimibe (American Heart Association’s Scientific Sessions 2014). Lo studio ha arruolato più di 18.000 pazienti con sindrome coronarica acuta recente (nei 10 giorni precedenti all’arruolamento) seguiti in media per 6 anni. Oltre a presentare infarto miocardico o angina instabile, i pazienti costituivano una popolazione ad alto rischio cardiovascolare per eventi pregressi: precedente infarto, diabete, arteriopatia obliterante agli arti inferiori, vasculopatia cerebrale, coronaropatia su più vasi o precedente intervento di by-pass. I pazienti, con valori iniziali di colesterolo LDL inferiori a 125 mg/dL oppure a 100 mg/dL se erano già in terapia con una statina, sono stati randomizzati a ricevere simvastatina da sola (40 mg) oppure simvastatina (40 mg) più ezetimibe (10 mg). L’esito clinico principale dello studio era rappresentato dall’incidenza composita di mortalità cardiovascolare, infarto, ospedalizzazione per angina instabile, intervento di rivascolarizzazione coronarica (dopo almeno un mese dalla randomizzazione), ictus. Al termine dello studio i pazienti trattati con simvastatina più ezetimibe hanno evidenziato una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari del 6,4% (HR 0,936, IC 0,887-0,988, p=0,016) rispetto al gruppo di controllo, trattato con la sola statina. Considerando i singoli eventi, nel gruppo trattato con l’associazione farmacologica la riduzione del rischio è stata pari al 13% (p=0,002) per l’infarto, al 14% (p=0,052) per l’ictus e al 21% (p=0,008) per l’ictus ischemico. La mortalità cardiovascolare è risultata sovrapponibile nei due gruppi di pazienti. Lo studio ha messo in evidenza che per evitare un evento cardiovascolare è necessario trattare 50 pazienti per 7 anni (NNT, number need to treat). Lo studio ha confermato l’efficacia dell’associazione farmacologica nel ridurre i livelli di colesterolo rispetto alla sola statina (i due farmaci possiedono meccanismo d’azione complementare), l’importanza di tale riduzione in termini di rischio cardiovascolare e la tollerabilità di ezetimibe.
Studio di fattibilità per la sostituzione della simvastatina con atorvastatina
In Inghilterra è stato condotto uno studio di fattibilità per valutare l’impatto economico della sostituzione dell’atorvastatina con la simvastatina, giudicata la statina con il miglior profilo costo-efficacia (in Gran Bretagna, simvastatina e atorvastatina rappresentano l’85% delle prescrizioni di statine). La simvastatina è disponibili attualmente come farmaco generico, mentre l’atorvastatina è coperta da brevetto fino al 2011. Lo studio ha arruolato 122 pazienti in terapia con atorvastatina 10 o 20 mg/die. Sono stati esclusi i pazienti con colesterolemia > 195 mg/dL nonostante l’assunzione di atorvastatina 10 mg/die e con colesterolemia > 180 mg/dL nonostante l’assunzione di atorvastatina 20 mg/die; pazienti con trapianto d’organo, pazienti con anamnesi positiva per ipertrigliceridemia o insufficienza renale cronica, pazienti in terapia anche con amiodarone o warfarin. I pazienti in terapia con atorvastatina 20 mg/die o 10 mg/die sono passati rispettivamente a simvastatina 40 e 20 mg/die. Dopo 4 mesi, i valori di colesterolemia non mostravano variazioni significative e solo 1 paziente su 70 era tornato al trattamento con atorvastatina per minor tollerabilità della simvastatina (comparsa di sintomi visivi notturni). Considerando l’impatto economico relativo al tempo dedicato da parte del farmacista, medico di base, visite, controlli ambulatoriali, il risparmio netto è stato valutato in 12.700 sterline (corrispondenti approssimativamente a circa 14.000 euro) (Usher-Smith et al., 2007).