Il simeprevir viene assunto per via orale e assorbito durante il tragitto gastro-intestinale. È stato osservato che la presenza di cibo induce un ritardo nell’assorbimento, ma migliora l’esposizione al simeprevir di più del 60%, perciò si raccomanda di assumere la dose a stomaco pieno.
L’esposizione, inoltre, è 2-3 volte più elevata nei pazienti infetti da virus dell’epatite C (HCV), rispetto ai soggetti sani.
Quando è in circolo il simeprevir si trova legato alle proteine plasmatiche (>99,9%) e il picco di concentrazione plasmatica viene raggiunto dopo 4-6 ore dall’assunzione. Dopo 7 giorni di assunzione continuata si instaura lo stato stazionario.
Il simeprevir viene biotrasformato nel fegato, da parte del citocromo CYP3A4 e, con molta probabilità, anche CYP2C8 e CYP2C19, che lo sottopongono a reazioni ossidative. Tuttavia solo una piccola parte è biotrasformata, perché la quantità maggiore di simeprevir è presente nel sangue immodificato.
L’emivita è compresa tra 10 e 13 ore nei soggetti sani e 41 ore nei pazienti di epatite C. Il simeprevir è eliminato attraverso la bile e, in minima parte, per escrezione renale.
Il simeprevir è substrato della glicoproteina-P e delle proteine di trasporto degli anioni organici OATP. È, inoltre, inibitore di OATP1B1 e della glicoproteina-P.
Poiché il simeprevir è scarsamente eliminato per via renale, la presenza di disfunzione renale non influisce significativamente sula farmacocinetica dell’antivirale. È stato osservato che le concentrazioni plasmatiche sono lievemente più elevate nei soggetti con compromissione renale grave (Ouwerkerk-Mahadevan et al., 2015).
Nei pazienti con compromissione epatica l’epsosizione plasmatica al simeprevir risulta da 2,4 a 5,2 volte più elevata, in relazione alla gravità della disfunzione (Stine et al., 2015).
È stato, inoltre, osservato, che l’esposizione è più elevata nei pazienti di etnia asiatica, rispetto ai non asiatici.