La rosuvastatina è un farmaco ipolipidemizzante, appartenente alla classe degli inibitori della HMG CoA reduttasi (statine).
Gli inibitori dell’enzima HMG CoA reduttasi bloccano la conversione del substrato HMG CoA (3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A) in acido mevalonico, precursore del colesterolo. L’inibizione della sintesi endogena del colesterolo comporta la diminuzione delle scorte di colesterolo intracellulare con conseguente aumento dei recettori di membrana per le lipoproteine a bassa densità e l’aumento della clearance plasmatica del colesterolo LDL attraverso la captazione da parte del fegato.
Nel sangue la frazione lipoproteica si suddivide in lipoproteine ad elevata densità (HDL), lipoproteine a densità intermedia (IDL), lipoproteine a bassa densità (LDL), lipoproteine a bassissima densità (VLDL) e trigliceridi. Le HDL si formano nel fegato e nell’intestino tenue, inglobano il colesterolo libero rilasciato nel sangue e lo convertono in estere. Le HDL contengono circa il 25% del colesterolo circolante. Sotto forma di estere, il colesterolo nel sangue è trasportato nelle lipoproteine LDL e VLDL. Le lipoproteine LDL giocano un ruolo fondamentale nella formazione della placca ateromatosa. I trigliceridi nel sangue sono presenti sotto forma di chilomicroni e nelle lipoproteine VLDL e IDL.
Le statine riducono il colesterolo LDL e i trigliceridi ed aumentano il colesterolo HDL. La riduzione del colesterolo LDL rappresenta il target principale della terapia ipocolesterolemica, per la prevenzione della malattia coronarica.
In vitro, la rosuvastatina inibisce marcatamente l’attività enzimatica dell’HMG CoA reduttasi; il valore IC50 (concentrazione che inibisce del 50% l’attività enzimatica) è risultato pari a 0,16 vs2,74 vs3,78 vs6,93 nmol/L, rispettivamente per rosuvastatina, simvastatina, fluvastatina e pravastatina (McTaggart et al., 2001). Determina un incremento dell’mRNA per la sintesi del recettore epatico delle LDL maggiore di quello osservato con pravastatina (Watanabe et al., 1997). La rosuvastatina mostra una maggior selettività verso il tessuto epatico rispetto ad altri tessuti periferici nell’inibire la sintesi del colesterolo e la sua selettività è maggiore di quella evidenziata per simvastatina o pravastatina. La ricaptazione del farmaco da parte dell’epatocita è circa 100 volte più elevata rispetto a quella della cellula fibroblastica.
In vivo, la rosuvastatina ha mostrato efficacia nel ridurre la concentrazione di colesterolo in modelli animali normocolesterolemici (22-26% vs18-19% rispettivamente con rosuvastatina e pravastatina) (Watanabe et al., 1997) e nel diminuire la concentrazione delle VLDL in caso di diabete mellito indotto da streptozocina (Cameron et al., 2000).
La rosuvastatina è risultata inibire la migrazione dei leucociti attraverso le venule mesenteriche indotta dalla trombina (tramite inibizione dell’espressione, sulla superficie della cellula endoteliale, della selectina-P) e aumentare la produzione basale di ossido nitrico nel tratto aortico (dopo somministrazione intraperitoneale) (Stalker et al., 2001).
In pazienti con iperlipidemia combinata la rosuvastatina (40 mg/die per 8 settimane) ha incrementato la fluidità lipidica di LDL, VLDl1, VLDL2 e particelle intermedie (Prass et al., 2002). L’azione antilipemica della rosuvastatina è risultata dose-dipendente per la riduzione del colesterolo LDL, colesterolo totale e Apo B (proteina principale presente nelle LDL); dose-indipendente per la riduzione dei trigliceridi (riduzione massima fino al 40%) e l’aumento del colesterolo HDL (fino al 14%).
Sulla base dei maggiori trial clinici condotti per definire il rapporto fra colesterolemia e cardiopatia coronarica, è emerso come elevati livelli plasmatici di colesterolo totale (CT), di colesterolo LDL e di trigliceridi siano associati ad un aumento del rischio di malattia coronarica (infarto miocardico, angina stabile e instabile, angioplastica coronarica percutanea transluminale multivasale (Ptca), bypass coronarico multivasale). In particolare, fra colesterolo totale e rischio di cardiopatia coronarica esiste una correlazione che aumenta per valori di CT >181 mg/dL (studio MRFIT, Martin et al., 1986), mentre per ogni incremento dell'1% del CT, il rischio di cardiopatia aumenta del 2-3% (studio FRAMINGHAM, Castelli et al., 1992). Il colesterolo totale correla in modo lineare con la mortalità da cardiopatia coronarica: per incrementi di 20 mg/dL di CT, il rischio di mortalità cardiovascolare aumenta del 12% (studio SEVEN COUNTRIES, Verschuren et al., 1995). Anche fra incidenza di eventi coronarici maggiori e livelli di colesterolo LDL esiste una relazione lineare (studio UKPDS; una riduzione delle LDL pari a 18 mg/dL, mantenuta per 5-6 anni, riduce di circa 1/4 il rischio di coronaropatia), così come i trigliceridi rappresentano un fattore di rischio indipendente per tali eventi (studio PROCAM, Assmann et al., 1998). Elevati livelli di HDL sono invece correlati ad un effetto positivo, di prevenzione, verso il rischio coronarico; in particolare il rischio di cardiopatia coronarica aumenta, per qualsiasi valore di colesterolemia, con il crescere del rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL. In condizioni di LDL e colesterolemia totale nella norma, ridotti valori di HDL rappresentano un fattore di rischio per la malattia coronarica.
I valori di riferimento per il colesterolo, in un adulto sano, sono i seguenti:
Colesterolo totale: 120-200 mg/dL;
Colesterolo HDL: 40-80 mg/dL (malattia coronarica documentata, raccomandato: 70 mg/dL);
Colesterolo LDL: 70-180 mg/dL (malattia coronarica documentata, <=115 mg/dL secondo le linee guida europee; <= 110 mg/dL secondo le linee guida americane);
Trigliceridi <= 150 mg/dL;
Rapporto CT/HDL <= 5 per gli uomini; <= 4,5 per le donne.
Il limite massimo per colesterolo totale, colesterolo LDL e HDL e trigliceridi varia a seconda della presenza di uno o più fattori di rischio cardiovascolare. Sono considerati fattori di rischio cardiovascolare, in aggiunta all'ipercolesterolemia: fumo di sigaretta, ipertensione (pressione arteriosa =/>140/90 mmHg o in terapia antipertensiva), valori bassi per HDL (<40 mg/dL), storia famigliare per malattia coronarica prematura, età (uomini >/=45 anni, donne >/=55 anni). Il fattore di rischio per malattia coronarica è equiparato a malattia aterosclerotica non coronarica, cioè malattia arteriosa periferica, aneurisma aortico addominale, malattia dell'arteria carotide, oppure a diabete.
Limite massimo per il colesterolo LDL dipendentemente dalla categoria di rischio cardiovascolare (secondo le linee guida del NCEP ATP III - US National Cholesterol Educational Program Adult Treatment Panel III):
Rischio basso (0-1 fattori di rischio): <160 mg/dL
Rischio moderato (2+ fattori di rischio, rischio a 10 anni <10%): <130 mg/dL
Rischio moderatamente alto (2+ fattori di rischio, rischio a 10 anni tra 10 e 20%): <130 mg/dL
Rischio alto (malattia coronarica o equivalenti, rischio a 10 anni >20%): <100 mg/dL (goal opzionale <70 mg/dL).
L’impiego degli inibitori HMG CoA reduttasi è stato associato ad una riduzione della mortalità complessiva sia nella prevenzione primaria che secondaria della malattia cardiovascolare e ad una diminuzione dell’incidenza della malattia coronarica pari al 25-60% (Shepherd et al., 1995; NEJM, 1998; Knopp, 1999).
Per il suo profilo farmacodinamico, la rosuvastatina è stata candidata per l’impiego, come terapia aggiuntiva, in caso di insufficienza cardiaca (studio GISSI HF). La statina infatti associa all’azione antilipemica, il cui effetto positivo sulla malattia coronarica potrebbe aiutare a prevenire la progressione dell’insufficienza cardiaca, una maggiore efficacia rispetto alle altre statine nel raggiungere i livelli LDL definiti ottimali e un’attività di stimolo sulla funzione endoteliale, compromessa nell’insufficienza cardiaca stessa.
L’uso delle statine è stato associate ad una riduzione del tasso di amputazione degli arti inferiori in pazienti diabetici con arteriopatia periferica. Nello studio clinico di riferimento, i dati considerati erano relativi ad un database nazionale (Taiwan), inerenti a più di 69mila pazienti con diabete e malattia arteriosa periferica, in un arco di tempo di 10 anni (2000-2011). La coorte di pazienti presentava ipertensione (73,6%), coronaropatia (44,9%), malattia cerebrovascolare (30,8%), nefropatia cronica (19%) e insufficienza cardiaca (14,6%). La durata media del follow up è stata di 5,6 anni. I pazienti in terapia con statine hanno evidenziato una riduzione dell’incidenza di amputazione degli arti inferiori (esito clinico principale), rispetto ai non utilizzatori di statine, del 25% (HR aggiustato: 0,75, IC95% 0,62-0,90) e una riduzione dell’incidenza di mortalità ospedaliera per cause cardiovascolari del 22% (HR aggiustato: 0,78, IC95% 0,69-0,87) (Hsu et al., 2017).
Ipercolesterolemia
La rosuvastatina è risultata più efficace del placebo nel ridurre la concentrazione di colesterolo LDL in pazienti ipercolesterolemici (colesterolo LDL: =/>160 < 250 mg/dl): dopo 2 settimane di terapia, il 90% dei pazienti presentava valori di colesterolo LDL ridotti e dopo 6 settimane, tali riduzioni raggiungevano il 65% del valore basale, contestualmente erano diminuiti anche colesterolo totale e apo B, in misura maggiore rispetto a placebo (Olsson et al., 2001).
Analoghi risultati sono stati ottenuti in pazienti giapponesi con ipercolesterolemia in terapia con rosuvastatina (1-40 mg/die), nei quali la riduzione di colesterolo LDL rispetto a placebo è stata pari a 36-66% vs 3,2%, la riduzione di colesterolo totale pari a 25,5-45,1 vs2% e quella di apo B pari a 32-58% vs1,9% (Saito et al., 2002).
La rosuvastatina (5-80 mg/die) ha mostrato un’efficacia maggiore di atorvastatina (10-80 mg/die) nel ridurre il colesterolo LDL (46,6-61,9% vs38,2-53,5% dipendentemente dalla dose somministrata) e nell’aumentare il colesterolo HDL (rosuvastatina 40 e 80 mg) e la frazione di apolipoproteine A1 (rosuvastatina 80 mg). La riduzione del colesterolo totale (-4,9%), del colesterolo non-HDL (-7%) e della frazione di lipoproteine B (-6,3%) ottenuta con rosuvastatina è risultata indipendente dalla dose somministrata e maggiore rispetto a quello ottenuto con atorvastatina (per tutti i parametri, p<0,001) (Schneck et al., 2003).
In pazienti con ipercolesterolemia famigliare omozigote, la rosuvastatina ha ridotto la concentrazione del colesterolo LDL del 21% (Marais et al., 2002).
In caso di ipercolesterolemia famigliare eterozigote (colesterolo LDL compreso fra 5,69 e 12,93 mmoli/L) l’efficacia terapeutica di rosuvastatina è risultata maggiore rispetto a quella di atorvastatina (dose iniziale per entrambi i farmaci pari a 20 mg/die, raddoppiata ogni 6 settimane fino ad un massimo di 80 mg/die) nel diminuire colesterolo LDL (58% vs 50%), colesterolo totale (46% vs 42%) e apolipoproteina B (50% vs 44%). La superiorità di rosuvastatina rispetto ad atorvastatina è stata evidenziata anche considerando gli incrementi relativi a colesterolo HDL (12% vs 3%) e all’apolipoproteina A1 (6% vs –2%). La riduzione dei trigliceridi invece è stata simile nei due gruppi di trattamento (circa 30%) (Stein et al., 2001).
La maggiore efficacia di rosuvastatina rispetto ad atorvastatina nel migliorare il profilo lipidico plasmatico è stato confermato in un trial che ha confrontato le due statine (rosuvastatina 5 e 10 mg/die e atorvastatina 10 mg/die) con placebo. La riduzione del colesterolo LDL, endpoint primario (40% vs43% vs35% vs0%, rispettivamente con rosuvastatina 5 e 10 mg, atorvastatina 10 mg e placebo) e l’incremento del colesterolo HDL (13% vs12% vs8% rispettivamente con le due dosi di rosuvastatina e atorvastatina) sono stati statisticamente maggiori con rosuvastatina rispetto ad atorvastatina. Anche la riduzione del colesterolo totale e della apolipoproteina B (principale proteina presente nelle LDL) e l’aumento della apolipoproteina A1 (principale proteina presente nelle HDL) è risultata maggiore con rosuvastatina, mentre gli effetti delle due statine sui trigliceridi sono risultati sovrapponibili (Davidson et al., 2002).
In termini di percentuale di pazienti che raggiungono l’obiettivo prefissato della terapia ipocolesterolemica, con rosuvastatina tali percentuali raggiungono l’88% e il 98%, rispettivamente con 9,3 mg/die e 13,4 mg/die, mentre con atorvastatina la percentuale non supera l’87%. Le differenze fra le due statine risultano più marcate nei pazienti con un elevato profilo di rischio cardiovascolare (malattia coronarica evidente, malattia vascolare periferica, diabete mellito): la riduzione del colesterolo LDL secondo quanto stabilito dalla US National Cholesterol Education Program(NCEP) è stata ottenuta rispettivamente, nel 65% vs97% vs61% con rosuvastatina 9,3 mg/die e 13,4 mg/die e atorvastatina 20,8 mg/die (Olsson et al., 2001).
Rosuvastatina ha mostrato maggiore efficacia (statisticamente rilevante) di pravastatina e simvastatina nel ridurre il colesterolo LDL (42% vs49% vs28% vs37%, rispettivamente con rosuvastatina 5 e 10 mg/die, pravastatina 20 mg/die e simvastatina 20 mg/die, 12 settimane di terapia), il colesterolo totale e la apolipoproteina B (Paoletti et al., 2001).
Dopo 52 settimane di terapia, le differenze di efficacia fra le 3 statine erano ancora rilevabili, ma la differenza fra rosuvastatina 9,3 mg/die e simvastatina 36,3 mg/die non possedeva più significatività statistica. La percentuale di pazienti che ha raggiunto i valori di colesterolo prefissati dal NCEP è stata pari a 88% vs60% vs 73%, rispettivamente con rosuvastatina, pravastatina e simvastatina al termine dello studio clinico; considerando i pazienti a rischio cardiovascolare, tali percentuali diventano, rispettivamente, 84% (rosuvastatina 9,5 mg/die) vs71% (rosuvastatina 13,8 mg/die) vs6% (pravastatina 32,6 mg/die) vs 30% (simvastatina 36,3 mg/die) (Brown et al., 2001). La riduzione della concentrazione dei trigliceridi plasmatici è risultata maggiore con rosuvastatina (-22%) rispetto a pravastatina (-11%) e simvastatina (-10%) dopo 12 settimane; dopo 52 settimane manteneva significatività statistica la differenza fra rosuvastatina e pravastatina, ma non quella fra rosuvastatina e simvastatina (Brown et al., 2001).
In pazienti in postmenopausa, in trattamento con terapia ormonale sostitutiva con ipercolesterolemia, rosuvastatina (5 e 10 mg/die) ha mostrato efficacia terapeutica maggiore del placebo nel ridurre colesterolo LDL, colesterolo totale, trigliceridi, apolipoproteina B e nell’aumentare il colesterolo HDL (11% vs 8% vs -0,5% rispettivamente con rosuvastatina 5 mg e 10 mg e placebo, p<0,001) e la frazione apolipoproteina A1 (p<0,05) (Shepherd et al., 2004).
Ipertrigliceridemia
In caso di pazienti con ipertrigliceridemia (classificazione di Fredrickson: tipo IIb o IV), di cui il 10% affetto da diabete mellito, la somministrazione di rosuvastatina 5, 10, 20, 40, 80 mg/die ha determinato una riduzione dei livelli dei trigliceridi plasmatici, rispettivamente, compresa fra il 18% e il 40%, a fronte di un incremento del 3% nel gruppo di pazienti trattati con placebo. Inoltre, la statina è risultata più efficace del placebo nell’incrementare il colesterolo HDL, a dosi uguali o maggiori a 10 mg/die, e nel migliorare il profilo plasmatico relativo a colesterolo totale, colesterolo HDL, colesterolo non-HDL, colesterolo VLDL, apolipoproteine B e C-III (Hunninghake et al., 2004).
In pazienti con ipertrigliceridemia (trigliceridi sierici =/> 7,76, e < 20,69 mmoli/L) e diabete mellito, la co-somministrazione rosuvastatina (5 e 10 mg/die) e fenofibrato (dose iniziale di 67 mg/die aumentata progressivamente fino a 201 mg/die) è risultata più efficace della monoterapia con rosuvastatina (dose iniziale pari a 10 mg/die, aumentata progressivamente fino a 40 mg/die) oppure con fenofibrato nel ridurre i livelli di trigliceridi plasmatici (-47% vs -30% vs -34%) (Durrington et al., 2001).
Da un confronto fra le diverse statine, la rosuvastatina (10 mg/die) è risultata efficace quanto atorvastatina (10 mg/die) nel ridurre l’ipertrigliceridemia (19% vs 18%); più efficace di simvastatina (20 mg/die) e pravastatina (20 mg/die) (20% vs 12% vs 12%) (Blasetto et al., 2003).
Dislipidemie miste
In presenza di dislipidemie miste, la rosuvastatina ha mostrato maggior efficacia terapeutica quando somministrata alla dose di 40 mg/die (monoterapia) rispetto alla combinazione con niacina a lento rilascio (rosuvastatina 10 mg/die più niacina 2 g/die), nel diminuire il colesterolo LDL (-48% vs -36%, dopo 24 settimane di terapia) (Morgan et al., 2001).
L’associazione terapeutica rosuvastatina più niacina è risultata invece più efficace nell’incrementare il colesterolo HDL rispetto alla monoterapia con rosuvastatina (40 mg/die), con niacina (2 g/die) oppure rosuvastatina (40 mg/die) più niacina a lento rilascio (1 g/die) (incremento colesterolo, rispettivamente con i 4 schemi terapeutici: 24% vs 11% vs 12% vs 17%) (Capuzzi et al., 2003).
Rosuvastatina (5, 10 mg/die) è risultata più efficace di atorvastatina (10 mg/die), pravastatina (20 mg/die), simvastatina (20 mg/die) nel diminuire il colesterolo non-HDL e le lipoproteine apo B in pazienti con dislipidemia di tipo IIa (ipercolesterolemia) o IIb (ipercolesterolemia più ipertrigliceridemia) (Hassman et al., 2002).
Nei pazienti con diabete di tipo 2, la somministrazione di statine, inclusa l'atorvastatina, in prevenzione primaria, ha determinato una riduzione relativa del rischio di eventi cardiovascolari maggiori (mortalità per cardiopatia, infarto miocardico non fatale, rivascolarizzazione) simile a quella osservata nei pazienti non diabetici (Costa et al., 2006).
Studio STELLAR – Statin Therapies for Elevated Lipid Levels compared Across doses to Rosuvastatin
Lo studio STELLAR ha confrontato l’efficacia della rosuvastatina a quella della atorvastatina, pravastatina e simvastatina nei pazienti con ipercolesterolemia nel ridurre il colesterolo LDL dopo 6 settimane di trattamento.
Considerando i diversi livelli di colesterolo che rappresentano gli obiettivi da raggiungere nella terapia ipocolesterolemica, la percentuale di pazienti che ha ottenuto valori di colesterolo LDL inferiori a 100 mg/dl è stata pari a 53-80% vs18-70% vs8-53% vs1-8%, rispettivamente con rosuvastatina (10-80 mg/die), atorvastatina (10-80 mg/die), simvastatina (10-80 mg/die) e pravastatina (10-40 mg/die).
Nel sottogruppo di pazienti ad elevato rischio cardiovascolare, confrontando rosuvastatina verso atorvastatina, simvastatina e pravastatina considerate insieme (farmaci competitor), le percentuali di pazienti che hanno raggiunto valori di colesterolo LDL minori di 100 mg/dl sono stati 55-77% vs0-64%; valori di colesterolo LDL minori di 116 mg/dl, 76-94 vs6-81%; valori di colesterolo LDL minori di 97 mg/dl, 47-69% vs0-53%.
Inoltre, i pazienti con concentrazione di trigliceridi plasmatici =/>200 mg/dl che raggiungono valori di colesterolo LDL e non-HDL secondo il National Cholesterol Educational Program Adult Treatment Panel (ATP) IIIsono stati, nel trial clinico, pari a 80-84% vs15-84%, rispettivamente, con rosuvastatina o farmaci competitor; i pazienti che hanno ottenuto valori di colesterolo minori di 2,5 e di 5 mmoli/L (Canadian LDL-C) hanno raggiunto le percentuali di 85-91% con rosuvastatina vs44-86% con i farmaci competitor; i pazienti che sono riusciti a combinare valori di colesterolo secondo il Canadian LDL-C, valori di trigliceridi minori di 266 e 177 mg/dl e un rapporto fra colesterolo totale e colesterolo HDL minore di 4 e di 7, sono stati 70-83% vs35-79%, rispettivamente con rosuvastatina e farmaci competitor (McKenny et al., 2003).
Studio MERCURY I - Measuring Effective Reductions in Cholesterol Using Rosuvastatin Therapy.
In pazienti con alto rischio cardiovascolare (aterosclerosi, malattia coronarica, diabete) già in terapia con statine (atorvastatina, simvastatina, pravastatina), il passaggio a rosuvastatina a basso dosaggio ha comportato un incremento della percentuale di pazienti che ha raggiunto il livello stabilito di colesterolo inferiore a 116 mg/dL (86% vs80 %, pazienti passati a rosuvastatina 10 mg e pazienti che mantengono la terapia con atorvastatina 10 mg; 86% vs72 %, pazienti passati a rosuvastatina 10 mg e pazienti che mantengono la terapia con simvastatina 20 mg; 88% vs66 %, pazienti passati a rosuvastatina e pazienti che mantengono la terapia con pravastatina 40 mg) (Schuster et al., 2004).
Studio COMETS – A Comparative study with rosuvastatin in subjects with METabolic Syndrome)
Nello studio COMETS la rosuvastatina è stata confrontata con atorvastatina e placebo in pazienti affetti da sindrome metabolica. L’obiettivo dello studio, durato 12 settimane, era quello di verificare l’efficacia delle due statine a parità di dosaggio nella riduzione del colesterolo LDL.
I pazienti sono stati randomizzati a ricevere rosuvastatina, atorvastatina o placebo (10 mg/die per le prime 6 settimane, successivamente 20 mg/die). I soggetti presentavano livelli di colesterolo pari a 130 mg/dL e rischio di malattia coronarica (> 10% in 10 anni ). Dopo 6 settimane di trattamento con dosaggio pari a 10 mg/die, si è evidenziato una riduzione del colesterolo LDL (41,7% vs 35,7% rispettivamente con rosuvastatina e atorvastatina). Nei pazienti trattati successivamente con dosaggio pari a 20 mg/die, sono state riscontrate significative riduzioni del colesterolo LDL (48,9% vs 42,5% rispettivamente con rosuvastatina e atorvastatina). A dosi equivalenti, la rosuvastatina si è dimostrata maggiormente efficace rispetto all’atorvastatina nella riduzione del colesterolo LDL (Stalenhoef et al., 2005).
Studio ASTEROID – A Study To evaluate the Effect of Rosuvastatin On Intravascular ultrasound – Derived coronary atheroma burden
Lo studio ASTEROID ha valutato, in pazienti con evidenza di ostruzione vascolare misurata tramite ultrasonografia intravascolare (IVUS), l’impatto della rosuvastatina (40 mg/die) sul processo dell’aterogenesi.
I soggetti coinvolti nello studio sono stati sottoposti, all’inizio del trattamento, ad ultrasonografia intravascolare (IVUS) per valutare la percentuale del volume dell’ateroma (PAV), il volume totale dell’ateroma (TAV) e il volume dell’ateroma con spessore > 10 mm. Dopo 24 settimane di terapia, è stata riscontrata una riduzione media del colesterolo LDL (53,2%) e un aumento del colesterolo HDL (14,7%).
L’analisi con IVUS ha evidenziato una variazione media del PAV paria a -0,98%, del volume dell’ateroma (spessore > 10 mm) pari a -6.1 mm e una riduzione del volume totale dell’ateroma (TAV) pari al 6,8%.
La somministrazione di rosuvastatina (40 mg/die) dopo due anni di trattamento si è dimostrata efficace nella regressione della placca ateromatosica a livello coronarico (Nissen et al., 2006).
Studio PULSAR - Prospective study to evaluate the Utility of Low doses of the Statins Atorvastatin and Rosuvastatin
Altro studio di confronto fra rosuvastatina (10 mg/die) e atorvastatina (20 mg/die) con esiti analoghi a quelli dello studio POLARIS. Dopo 6 settimane, i pazienti trattati con rosuvastatina evidenziavano livelli di colesterolo LDL inferiori rispetto ad atorvastatina (44,6% vs 42,7%) e un aumento dei valori di colesterolo HDL (6,4% vs 3,1%). Il trattamento con le due statine è stato ben tollerato dai pazienti con un’incidenza di eventi avversi pari a 27,5% vs 26,1%, rispettivamente con rosuvastatina e atorvastatina (Clearfiel et al., 2006).
Studio CORONA - COntrolled ROsuvastatin multi NAtional trial in heart failure
Lo studio CORONA ha valutato l’efficacia di rosuvastatina in pazienti con scompenso cardiaco nella riduzione di eventi cardiovascolari. I pazienti arruolati (5011) per lo studio sono stati randomizzati a ricevere rosuvastatina (10 mg/die) o placebo per 2,7 anni. I soggetti presentavano un’età > 60 anni, insufficienza cardiaca (classe NYHA II-III-IV) ed erano in cura con terapia standard. La rosuvastatina è risultata più efficace del placebo nella riduzione del colesterolo LDL (differenza tra i due gruppi del 45%) e della proteina C-reattiva (differenza tra i due gruppi del 37%). L’endpoint principale, combinato, era rappresentato dalla mortalità cardiovascolare, dagli eventi coronarici e dagli ictus fatali e non fatali. Al termine dello studio è stata riscontrata una riduzione degli ictus e degli infarti pari al 16%, mentre la mortalità causata da eventi cardiovascolari non ha subito variazioni. Lo studio ha messo in evidenza, come l’utilizzo della statina abbia significativamente ridotto il numero di ricoveri per tutte le cause (3694 vs 4074 pazienti rispettivamente trattati con rosuvastatina e placebo), per scompenso cardiaco (1109 vs 1299, rispettivamente con rosuvastatina e placebo) e per cause cardiovascolari (2193 vs 2564 rispettivamente con rosuvastatina e placebo). Il trattamento con rosuvastatina (10 mg/die) non ha permesso il raggiungimento dell’end-point prefissato nei pazienti anziani con scompenso cardiaco già in terapia con i farmaci standard. Tuttavia la statina si è dimostrata efficace nella riduzione del colesterolo LDL, della proteina C-reattiva e dei ricoveri ospedalieri (Kjekshus et al., 2007).
Studio EXPLORER - Examination of Potential Lipid-modifying effects Of Rosuvastatin in combination with Ezetimibe versus Rosuvastatin alone
In questo studio, della durata di 6 settimane, è stata valutata l’efficacia e la sicurezza della rosuvastatina in monoterapia (40 mg/die) o in aggiunta con ezetimibe (10mg/die) in pazienti a rischio di malattia coronarica. Il livello target di LDL stabilito dalle linee guida NCEP ATP III (LDL < 100 mg/dL) è stato raggiunto dal 94% vs 79%, rispettivamente con rosuvastatina più ezetimibe e rosuvastatina in monoterapia. Valori di colesterolo LDL < 70 mg/dL, sono stati raggiunti dal 79,6% vs 35% dei pazienti, rispettivamente trattati con rosuvastatina in associazione e rosuvastatina in monoterapia. La combinazione di rosuvastatina ed ezetimibe ha portato ad una riduzione significativa del colesterolo LDL rispetto alla sola rosuvastatina (-69,8% vs -57,1%). Nei gruppi trattati con l'associazione farmacologica, i pazienti che hanno raggiunto valori di colesterolo LDL < 100 mg/dL e < 70 mg/dL sono risultati più numerosi rispetto ai pazienti trattati con rosuvastatina in monoterapia (Ballantyne et al., 2007).
Studio METEOR - Measuring Effects on intima media Thickness: an Evaluation Of Rosuvastatin
Questo studio ha evidenziato l’efficacia della rosuvastatina rispetto al placebo nel ridurre la progressione dell’aterosclerosi a livello carotideo in una popolazione a basso rischio cardiovascolare (rischio a 10 anni < 10 % secondo il Framingham score). Per il trial sono stati arruolati 984 soggetti con età media di 57 anni, con spessore dell’intima-media carotidea compreso tra 1,2 mm e 3,5 mm e colesterolo LDL medio di 154 mg/dL. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere rosuvastatina (40 mg/die) o placebo per 2 anni. Al termine dello studio, il gruppo randomizzato con rosuvastatina mostrava una riduzione media dei livelli di colesterolo LDL del 49% e dei livelli di trigliceridi del 16%, con un incremento del 8% dei valori di colesterolo HDL. La misurazione dell’intima media della carotide in 12 punti differenti ha rilevato un rallentamento nella progressione dello spessore della parete vasale, contrariamente al gruppo placebo ove è stato riscontrato un aumento dello spessore dell’intima media statisticamente rilevante. La rosuvastatina è risultata efficace nel rallentare l’ispessimento dell’intima media ma non nella regressione dell’aterosclerosi a livello carotideo (Crouse et al., 2007; Bots et al., 2009).
Studio POLARIS - Prospective Optimisation of Lipids by Atorvastatin or Rosuvastatin Investigated in high-risks Subjects with Hypercholesterolaemia
La rosuvastatina (40 mg/die) e l’atorvastatina (80 mg/die) sono state confrontate per verificare, in pazienti con ipercolesterolemia e rischio di malattia coronarica (> 20% a 10 anni), la riduzione del colesterolo LDL dopo 8 e 26 settimane dall’inizio della terapia.
Dopo 8 settimane di trattamento, la rosuvastatina si è dimostrata maggiormente efficace rispetto all’atorvastatina nella riduzione del colesterolo LDL (- 56% vs -52%). Il livello target di LDL stabilito dalle linee guida NCEP ATP III (LDL < 100 mg/dL) è stato raggiunto dall’80% vs 72% dei pazienti, rispettivamente con rosuvastatina e atorvastatina. Inoltre la terapia con le statine ha determinato un innalzamento dei valori di colesterolo HDL (9,6% vs 4,4% rispettivamente con rosuvastatina e atorvastatina). Al termine dello studio (26esima settimana) i risultati ottenuti erano similari a quelli riscontrati dopo 8 settimane di terapia (Leiter et al., 2007).
Studio JUPITER – Justification for the Use of statins in Primary prevention: an Intervention Trial Evaluating Rosuvastatin
Nello studio JUPITER, è stata valutata l’efficacia di rosuvastatina nella riduzione degli eventi cardiovascolari in prevenzione primaria. Per lo studio sono stati arruolati 17.802 pazienti, con livelli di proteina C-reattiva > 2 mg/L e livelli di colesterolo HDL nella norma (< 130 mg/dL). I pazienti sono stati randomizzati a ricevere rosuvastatina (20 mg/die) o placebo. La somministrazione della rosuvastatina ha comportato una riduzione del 37% dei livelli di proteina C-reattiva, rispetto ai valori basali. Al termine dello studio, interrotto precocemente a causa dell’evidente efficacia della rosuvastatina, è stata osservata una riduzione dell’end-point primario combinato (ricovero per angina instabile, ictus e infarto del miocardio non fatale e morte per cause cardiovascolari) del 44% nel braccio trattato con rosuvastatina rispetto al placebo. Inoltre, nel braccio trattato con rosuvastatina è stata evidenziata una significativa riduzione del rischio di ictus (48%), dell’infarto miocardico non fatale (55%) e morte per cause cardiovascolari (47%) (Ridker et al., 2008).
Alcuni autori hanno sollevato dei dubbi inerenti ai dati presentati nello studio JUPITER. Il dibattito della comunità scientifica in merito allo studio ha riguardato soprattutto il conflitto di interessi (studio finanziato dalla casa farmaceutica produttrice della rosuvastatina) e la sovrastima dei benefici dovuti all’interruzione anticipata dello studio clinico (de Lorgeril et al., 2010).
Studio PLUTO - Pediatric Lipid-redUction Trial of rOsuvastatin
Nello studio PLUTO, è stata valutata la sicurezza e l’efficacia di rosuvastatina in pazienti pediatrici (10-17 anni) affetti da ipercolesterolemia famigliare con livelli basali medi di LDL pari a 232 mg/dl. I pazienti sono stati randomizzati, in doppio cieco per le prime 12 settimane, a ricevere rosuvastatina (5-10-20 mg/die) oppure placebo, mentre per le successive 40 settimane lo studio è proseguito in aperto. Al termine dello studio, il 38%, il 45% e il 50% dei pazienti, trattati rispettivamente con rosuvastatina 5 mg/die, 10 mg/die e 20 mg/die, presentava una diminuzione del colesterolo LDL. L’endpoint primario, rappresentato dal raggiungimento di livelli di colesterolo LDL inferiori a 110 mg/dl, è stato soddisfatto dal 40% dei pazienti trattati con rosuvastatina (20 mg/die). Il raggiungimento di livelli di colesterolo LDL < 130 mg/dl (endpoint secondario) è stato raggiunto dal 68% dei pazienti in terapia con rosuvastatina alla dose più alta (20 mg/die). La somministrazione di rosuvastatina in pazienti pediatrici è stata ben tollerata, con un’incidenza di eventi avversi statisticamente non rilevante (Avis et al., 2010).
Studio AURORA – A study evaluating the Use of Rosuvastatin in patients requiring Ongoing Renal dialisys: an Assessment of survival and cardiovascular events
Lo studio AURORA ha valutato l’efficacia di rosuvastatina in pazienti con nefropatia terminale richiedenti un’emodialisi di mantenimento. I pazienti arruolati per lo studio sono stati randomizzati a ricevere rosuvastatina (10 mg/die) o placebo per 3,8 anni. I soggetti presentavano un’età compresa tra i 50 e gli 80 anni e colesterolo LDL pari a 100 mg/dL. Sebbene la statina sia risultata efficace nel ridurre il colesterolo LDL (riduzione media del 43% dopo 3 mesi di terapia) non ha diminuito l’endpoint combinato per mortalità cardiovascolare, eventi coronarici e ictus non fatali (9.2 vs 9.5 eventi per 100 pazienti/anno, rispettivamente con rosuvastatina e placebo). Il motivo per cui la terapia con rosuvastatina non sia risultata efficace non è noto. E’ stato ipotizzato dagli autori dello studio che il mancato effetto della statina sia riferibile al fatto che i pazienti nefropatici abbiano un sistema vascolare alterato (severe calcificazioni a livello coronarico) (Fellström et al., 2010).
Studio LUNAR - Limiting Undertreatment of lipids in ACS with rosuvastatin
Nello studio LUNAR, l’efficacia di rosuvastatina è stata confrontata con quella di atorvastatina nei pazienti con sindrome coronarica acuta nel ridurre il colesterolo LDL (46,8% vs 42,7% rispettivamente con rosuvastatina 40 mg/die e atorvastatina 80 mg/die, mentre rosuvastatina 20 mg/die è risultata avere efficacia similare ad atorvastatina) e nell’aumentare i livelli di colesterolo HDL (11,9% vs 9,7% vs 5,6% rispettivamente con rosuvastatina 20-40 mg/die e atorvastatina 80 mg/die) (Pitt et al., 2012).
Studio LODESTAR – Rosuvastatina versus atorvastatin treatment in adults with coronary artery disease: secondary analysis of the randomised LODESTAR trial
Lo studio LODESTAR (Low-Density Lipoprotein Cholesterol-Targeting Statin Therapy Versus Intensity-Based Statin Therapy in Patients With Coronary Artery Disease) è uno studio prospettico, multicentrico, open label, con un protocollo di randomizzazione 2x2, sulla gestione della dislipidemia in pazienti adulti con malattia coronarica. In questa classe di pazienti una riduzione significativa del colesterolo LDL si associa alla riduzione del rischio di eventi cardiovascolari aterosclerotici. La classe di farmaci di riferimento sono le statine, ma benchè il meccanismo d’azione di questi farmaci sia condiviso, ogni molecola presenta caratteristiche farmacologiche proprie. Nello studio LODESTAR la somministrazione di atorvastatina (dose media: 36 mg/die) e rosuvastatina (dose media: 17,1 mg/die) per tre anni non ha rilevato differenze tra i due farmaci per l’esito clinico primario, rischio composito di morte per tutte le cause, infarto miocardico, ictus, intervento di rivascolarizzazione coronarica (8,2% vs 8,7% rispettivamente per atorvastatina e rosuvastatina, p =0,58). La Rosuvastatina è stata associata a livelli inferiori di colesterolo LDL rispetto all’atorvastatina, ma ad una maggior incidenza di diabete mellito di nuova insorgenza, che ha richiesto terapia antidiabetica (7,2% vs 5,3%; hazard ratio 1,39, p=0,03) e intervento di cataratta (2,5& vs 1,5%; hazard ratio 1,66, p=0,02) (Lee et al., 2023).