Sovradosaggio: nei casi di sovradosaggio riportati in letteratura (1400-1960 mg di rivaroxaban) non sono stati osservati sanguinamenti importanti nei pazienti al momento del ricovero ospedaliero. L’eliminazione del rivaroxaban e la normalizzazione della coagulabilità del sangue sono stati raggiunti in 22-48 ore. La terapia di supporto si è basata sulla somministrazione del concentrato di complesso protrombinico (insieme di più fattori della coagulazione), eventualmente associato a carbone attivo, per ridurre l’assorbimento intestinale dell’anticogulante, o ad acido tranexamico (Bandali et al., 2014; Lehmann et al., 2014; Linkons, Moffat, 2014; Pfeiffer et al., 2016). La scelta di come intervenire in caso di sovradosaggio, non essendo disponibile un antidoto mirato per il rivaroxaban, dipende dal quadro clinico del paziente e da eventuali altri farmaci ingeriti insieme all’anticoagulante.
Cancerogenicità: gli studi di cancerogenicità del rivaroxaban hanno dato esito negativo.
Tossicità cronica: negli studi di tossicitò cronica nel topo sono stati osservati diminuzione della conta leucocitaria, comparsa di aree di necrosi epatica e aumento del peso del fegato.
Tossicità riproduttiva: non è stata verificata l’efficacia e la sicurezza del rivaroxaban nelle donne in gravidanza. I dati di letteratura indicano il passaggio del rivaroxaban attraverso la placenta con un potenziale rischio emorragico e, quindi, riproduttivo. Negli animali il farmaco è stato associato a tossicità fetale (perdita post-impianto, ossificazione ritardata/progredita, macchie epatiche multiple chiare), aumentata incidenza di malformazioni comuni e alterazioni della placenta.
Non sono disponibili studi su eventuali effetti del rivaroxaban sulla fertilità.