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Rivaroxaban

Xarelto, Mirebax e altri

Farmacologia - Come agisce Rivaroxaban?

Il rivaroxaban fa parte della classe dei Nuovi Anticoagulanti Orali (NOACs, non-vitamin K oral anticoagulants). Agisce inibendo direttamente, in maniera selettiva e dose-dipendente il fattore X attivato (Xa) della coagulazione (Perzbom et al., 2005). A differenza degli inibitori indiretti del fattore Xa (come il fondaparinux), il rivaroxaban non ha bisogno di nessuna molecola aggiuntiva (cofattore) per svolgere la sua funzione di anticoagulante (Samama, 2011).

L’inibizione del fattore Xa ad opera del rivaroxaban causa il blocco della via intrinseca ed estrinseca della cascata di eventi che porta alla coagulazione del sangue. Questo blocco provoca l’inibizione della formazione di trombina e quindi dei trombi. La formazione di trombina viene inibita completamente per concentrazioni di rivaroxaban di 80-100 nanomoli (Gerotziafas et al., 2007). Il rivaroxaban non inibisce l’attività di molecole di trombina pre-esistenti (Kubitza et al., 2005).

Il rivaroxaban non agisce sull’aggregazione piastrinica (Mismetti, Laporte, 2008).

Non sono disponibili attualmente specifici antidoti al rivaroxaban. La sospensione del farmaco normalizza l’attività di coagulazione del sangue in circa 24 ore nei pazienti con funzionalità renale nella norma. Studi in volontari sani hanno evidenziato come l’azione anticoagulante del rivaroxaban possa essere antagonizzata utilizzando concentrati di fattori della coagulazione del plasma umano (PCC, complesso protrombinico concentrato a tre o a quattro fattori) (Eerenberg et al., 2011; Levi et al., 2013).

Il rivaroxaban è approvato nella prevenzione secondaria di eventi aterotrombotici dopo sindrome coronarica acuta, in associazione ad acido acetilsalicilico, eventualmente in triplice terapia con clopidogrel o ticlopidina; nella prevenzione di eventi aterotrombotici in pazienti affetti da malattia coronarica o arteriopatia periferica sintomatica in associazione con acido acetilsalilico; nella prevenzione del tromboembolismo venoso dopo intervento per l’inserimento di protesi all’anca o al ginocchio; nella prevenzione di ictus ed embolia in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare con uno o più fattori di rischio; nel trattamento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare e nella prevenzione delle loro recidive.

L’approvazione del rivaroxaban per la prevenzione di eventi aterotrombotici in pazienti con cardiopatia o arteriopatia periferica sintomatica è l’ultima in ordine di tempo (settembre 2018). Nello studio di riferimento (Cardiovascular Outcomes for People Using Anticoagulation Strtegies, COMPASS trial), la somministrazione di rivaroxaban (2,5 mg due volte al giorno) più acido acetilsalicilico (100 mg/die) è stata associata ad una riduzione del rischio dell’esito clinico principale (esito composito per morte cardiovascolare, ictus, infarto miocardico) del 24% e della mortalità del 23% rispetto al trattamento con il solo acido acetilsalicilico, a fronte di un aumento dell’incidenza di emorragie maggiori, soprattutto di origine gastrointestinale (l’incidenza di emorragie fatali o intracraniche non ha presentato differenze nei due gruppi di trattamento) (Connolly et al., 2018; Eikelboom et al., 2017). I pazienti arruolati nello studio controllato, randomizzato e multicentrico dovevano presentare, per quanto riguarda la malattia coronarica: infarto miocardico nei precedenti 20 anni, malattia coronarica multi-vascolare, angina stabile o instabile pregressa, precedente intervento coronarico percutaneo multi-vascolare o precedente bypass coronarico multivascolare (Connolly et al., 2018); per quanto riguarda l’arteriopatia periferica: precedente intervento chirurgico di bypass periferico o angioplastica, amputazione dell’arto o del piede, claudicatio intermittente con evidenza oggettiva di malattia delle arterie periferiche, precedente rivascolarizzazione dell’arteria carotide o stenosi asintomatica della carotide di almeno il 50%, malattia coronarica con indice ABI (indice caviglia/braccio o indice di Winsor) inferiore a 0,90 (soglia di rischio cardiovascolare per una possibile stenosi o occlusione periferica) (Anand et al., 2018).

Il rivaroxaban è stato valutato anche come potenziale terapia anticoagulante in pazienti sottoposti con successo ad impianto di valvola aortica transcatetere (TAVI). Lo studio di riferimento, studio clinico di fase III, randomizzato, in aperto, con controllo attivo (acido acetilsalicilico, 75-100 mg) è stato interrotto prima del previsto a causa di un aumento della mortalità per tutte le cause nel gruppo di pazienti trattati con rivaroxaban. L’esito clinico principale, in termini di efficacia, era rappresentato dall’incidenza di mortalità per tutte le cause, ictus, embolia sistemica, infarto miocardico, embolia polmonare, trombosi venosa profonda e trombosi valvolare sintomatica. In termini di sicurezza, l’esito clinico era costituito dall’incidenza di eventi pericolosi per la vita oppure causa di disabilità e dall’incidenza di emorragia maggiore. Nel gruppo trattato con rivaroxaban, l’analisi preliminare dei dati ha indicato un aumento dell’incidenza della mortalità o di primi eventi tromboembolici (11,4% vs 8,8%), di mortalità per tutte le cause (6,8% vs 3,3%) e di sanguinamento maggiore (4,2% vs 2,4%). Sulla base dei risultati dello studio, il rivaroxaban non deve essere utilizzato per la tromboprofilassi in pazienti sottoposti a sostituzione delle valvole cardiache, inclusi i pazienti sottoposti a TAVI (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2018; Windecker et al., 2017).