Il rivaroxaban dopo somministrazione orale è assorbito a livello del tratto gastrointestinale (Kubitza et al., 2005).
La concentrazione massima (picco plasmatico) di rivaroxaban viene raggiunta dopo 2-4 ore dall’assunzione del farmaco.
La disponibilità orale è elevata, pari a circa l’80-100%, per dosi di rivaroxaban di 10 mg assunte indipendentemente dal cibo e per dosi di 15-20 mg assunte a stomaco pieno (Mueck et al., 2014). L’assunzione infatti di dosi di 20 mg a digiuno riduce la biodisponibilità orale al 66% (Mueck et al., 2014). Il tipo di cibo (se ricco o meno in grassi o in carboidrati) non sembra influenzare la biodisponibilità orale del rivaroxaban. Quando somministrato con il cibo, l’esposizione sistemica del rivaroxaban (area sotto la curva concentrazione-tempo, AUC, e picco plasmatico) non cambia se la compressa è somministrata intera o frantumata (dose di 20 mg), mentre se la compressa è somministrata frantumata con acqua e data tramite sondino nasogastrico, seguita da cibo liquido, il picco plasmatico risulta ridotto del 18% (il valore di AUC rimane simile) (Janssen Pharmaceuticals, 2013).
La variabilità dei parametri farmacocinetici del rivaroxaban è moderata (30-40%) e il profilo farmacocinetico è coerente tra volontari sani e le diverse categorie di pazienti in cui il farmaco è stato valutato.
Il rivaroxaban si lega alle proteine plasmatiche (92-95%), soprattutto con l’albumina, con legame reversibile. Poiché il legame con le proteine plasmatiche è elevato, il rivaroxaban non è eliminabile tramite dialisi.
Il volume di distribuzione del rivaroxaban allo stato stazionario è pari a 50 litri (0,62 L/kg), valore che suggerisce un’affinità medio-bassa per i tessuti diversi dal sangue.
Il rivaroxaban è metabolizzato a livello epatico da enzimi citocromiali (CYP3A4 e CYP2J2) e tramite vie metaboliche citocromo-indipendenti. Il contributo di ciascuno dei due enzimi microsomiali al metabolismo del rivaroxaban è pari al 18% per il CYP3A4 e al 14% per il CYP2J2, mentre il contributo della via citocromo-indipendente è pari al 14% (Mueck et al., 2013).
L’emivita del rivaroxaban varia dalle 7 alle 11 ore.
Il rivaroxaban è eliminato dall’organismo sia come farmaco tal quale sia sotto forma di metaboliti. Circa un terzo (36%) della dose somministrata è eliminata come farmaco immodificato attraverso le urine (circa il 30% per secrezione attiva e circa il 6% per filtrazione glomerulare). I due terzi della dose sono eliminati sotto forma di metaboliti, attraverso i reni e le feci (Mueck et al., 2014).
Il peso corporeo e il sesso influenzano la farmacocinetica del rivaroxaban così come l’etnia (le variazioni rientrano nell’intervallo di varibilità tra individui). La differenza maggiore in termini di esposizione sistemica al farmaco è stata osservata fra caucasici e giapponesi in parte dovuta ad un minor peso corporeo dei secondi (nei giapponesi è stato osservato un aumento lieve-moderato dell’esposisione sistemica, pari al 20-40%).
Nei pazienti anziani, l’esposizione sistemica al rivaroxaban aumenta (AUC: +41% in pazienti con più di 75 anni), ma l’effetto è dovuto non all’età quanto alla funzionalità renale. Nei pazienti anziani infatti spesso i reni funzionano meno bene rispetto ai giovani adulti (18-45 anni). Poiché il rivaroxaban è escreto attraverso i reni sia come farmaco tal quale sia sottoforma di metaboliti, una riduzione della capacità filtrante dei reni comporta una riduzione della quantità di rivaroxaban eliminata (diminuisce la clearance renale del rivaroxaban). La minor quantità di farmaco eliminabile dai rani determina a sua volta un aumento della concentrazione plasmatica. In genere comunque, non è necessario aggiustare la dose di rivaroxaban nei pazienti con insufficienza renale lieve (Clcr: 50-80 ml/min) e moderata (30-49 ml/min) ad eccezione dei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare che assumono l’anticoagulante per la prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica e dei pazienti che assumono il farmaco per il trattamento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare e per la profilassi delle recidive (Mueck et al., 2014; Agenzia del Farmaco – AIFA, 2016). Nei pazienti con clerance della creatinina inferiore a 15 ml/min, il rivaroxaban è controindicato.
Anche l’insufficienza epatica influenza l’esposizione sistemica del rivaroxaban. Nei pazienti con insufficienza epatica lieve (classe Child Pugh A), l’AUC (area sotto la curva concentrazione-tempo) aumenta di circa 1,2 volte rispetto al gruppo di controllo e in chi soffre di insufficienza epatica moderata (classe Child Pugh B) l’aumento dell’AUC è pari a 2,3 volte (la concentrazione plasmatica massima aumenta di 1,3 volte). Inoltre l’emivita del farmaco (tempo necessario a ridurre del 50% la concentrazione plasmatica) aumenta di 2 ore. Nei pazienti con insufficienza epatica, l’aumento dell’esposizione sistemica è in parte dovuto anche ad una riduzione della clearance renale, indipendente dalla funzionalità renale misurata tramite la clearance della creatinina. Il rivaroxaban è controindicato nei pazienti con malattie epatiche associate a problemi di coagulabilità del sangue e a rischio emorragico (Mueck et al., 2014).