La rifaximina (INN: rifaximin) è un farmaco ad azione antibatterica, approvata in Italia per la prima volta nel 1985 e attualmente disponibile in 33 paesi.
La rifaximina possiede struttura simile alla rifampicina. Non è assorbita nel tratto gastrointestinale e quindi rappresenta un farmaco di scelta in caso di infezioni batteriche in tale sede.
La rifaximina possiede attività battericida verso batteri Gram-positivi e Gram-negativi, aerobi e anaerobi; l’attività battericida risulta maggiore verso i microrganismi Gram-positivi.
L’attività antibatterica della rifaximina è legata alla capacità del farmaco di inibire la sintesi dell’RNA batterico agendo sulla subunità b della polimerasi ribonucleica DNA-dipendente.
La concentrazione più bassa in grado di bloccare la crescita di un ceppo batterico è definita concentrazione minima inibente o, secondo l’acronimo inglese, MIC (Minimal Inhibitory Concentration). In base ai valori di MIC, il ceppo batterico è definito sensibile o resistente verso un determinato antibiotico.
In vitro sono stati considerati sensibili alla rifaximina i ceppi batterici con MCI inferiore o uguale a 1 mg/L, moderatamente sensibili ceppi con MCI inferiore o uguale a 2 mg/L, resistenti ceppi con MCI maggiore o uguale a 4 mg/L.
Patogeni Gram-positivi
La rifaximina è risultata efficace verso:
• Staphylococcus aureus (MCI inferiore o uguale a 0,015-0,03 mg/L per ceppi sensibili alla oxacillina; MCI: 0,015-8 mg/L per ceppi resistenti alla oxacillina)
• Staphylococcus ceppi coagulasi-negativi (MCI90 inferiore o uguale a 0,015 mg/L)
• S. epidermidis (MCI90 inferiore o uguale a 0,015 mg/L)
• S. Haemolyticus (MCI90 inferiore o uguale a 0,015 mg/L)
• Streptococcus A, B, C, F, G (MCI inferiore o uguale a 0,03-0,5 mg/L)
• S. pneumoniae (MCI inferiore o uguale a 0,03 mg/L oppure maggiore di 4 mg/L; resistenti: 3%)
• Enterococcus spp. (MCI inferiore o uguale a 0,15 mg/L oppure maggiore di 4 mg/L; resistenti: 10%. A concentrazioni di rifaximina pari o maggiori di 4 mg/L il 29% dei ceppi di E. faecalis e il 45% di ceppi di E. faecium sono resistenti)
• Clostridium difficile (MCI90: 0,8 mg/L)
• Moraxella catarrhalis (MCI inferiore o uguale a 2 mg/L)
• Haemophilus influenzae (MCI inferiore o uguale a 2 mg/L)
• Bacillus cereus (MCI inferiore o uguale a 2 mg/L)
• Eubacterium spp. (MCI inferiore o uguale a 2 mg/L).
Risultano resistenti alla rifaximina i seguenti microrganismi gram positivi:
• Bifidobacterium spp. (MCI90: 6,2 mg/L)
• Propionibacterium spp. (MCI90: 12,5 mg/L)
• Peptostreptococcus spp. (MCI90: 25 mg/L).
Patogeni gram-negativi
Sono risultati sensibili alla rifaximina (MIC uguale o inferiore a 4 mg/L) alcuni ceppi di:
• Bacteroides fragilis
• B. eggerthii
• B. melaninogenicus
• B. oralis
• B. ruminicola
• B. uniformis
• Acinetobacter (MCI: 0,06-4 mg/L, 70% di resistenza).
Diarrea del viaggiatore
La rifaximina migliora la sintomatologia associata a diarrea quale dolore addominale, nausea, cefalea; l’efficacia del farmaco non risulta dose dipendente (dosi di 600, 800, 1200 mg risultano equivalenti) (Drugs, 1995). La rifaximina (400-800 mg/die) è risultata di efficacia simile a neomicina (1000-1500 mg/die) (Alvisi et al., 1984); a ciprofloxacina.
In uno studio clinico che ha confrontato loperamide e rifaximina nel trattamento della diarrea del viaggiatore, il tempo intercorso fra l’inizio della terapia farmacologica e l’ultima scarica diarroica è risultato di 69 ore con loperamide vs 32,5 ore con rifaximina vs 27,3 ore con rifaximina più loperamide. Inoltre il numero medio di scariche con feci non formate è risultato più basso con rifaximina più loperamide (3,99) rispetto alla sola rifaximina (6,23, p=0,004) o alla sola loperamide (6,72, p=0,002) (Dupont et al., 2007).
In uno studio che ha valutato l’azione della rifaximina nel prevenire la diarrea del viaggiatore, l’antibiotico ha evidenziato un’efficacia pari al 48%, con un effetto di “protezione” più alto nelle prime tre settimane di trattamento (numero di soggetti da trattare per evitare un singolo caso di diarrea del viaggiatore: 5,7). Lo studio, che ha preso in considerazione 258 persone adulte, trattate con rifaximina 200 mg due volte al giorno per tutta la durata del viaggio (6-28 giorni a seconda dei casi), ha evidenziato un tasso di “protezione” dell’antibiotico inferiore a quello osservato in studi condotti in Messico. Secondo i ricercatori questo è probabilmente dovuto ad una maggior presenza in Asia di Campylobacter, Salmonella e Shigella, batteri verso cui la rifaximina è poco o non efficace (Zanger et al., 2013).
In caso di pazienti affetti da diverticolosi sintomatica non complicata e da diverticolite acuta, la rifaximina (800 mg/die) è stata efficace nel ridurre il dolore addominale, la diarrea e la nausea. In associazione con glucomannano, il miglioramento della sintomatologia è stato maggiore rispetto alla terapia con solo glucomannano (Papi et al., 1992). Sembra inoltre che l’antibiotico possa ridurre l’incidenza delle complicanze connesse con la patologia diverticolare.
Profilassi antibatterica pre e post chirurgica
La rifaximina possiede attività profilattica in caso di interventi chirurgici. L’antibiotico (800 mg/die) è risultato efficace quanto paromomicina (1000 mg/die); in associazione con gentamicina è risultata più efficace della monoterapia con rifaximina o gentamicina (21 vs 29 vs 28%) (Gruttadauria et al., 1987). In associazione con azitreonam la rifaximina ha mostrato attività terapeutica analoga a clindamicina più tobramicina (Berta et al. 1993).
Infezione ricorrente da Clostridium difficile
La rifaximina ha evidenziato efficacia nel trattamento dell’infezione ricorrente da Clostridium difficile. I farmaci di prima linea nel trattamento di questo tipo di infezione sono il metronidazolo e la vancomicina che però non escludono il rischio di recidiva dell’infezione. Per questo sono stati presi in considerazione altre possibili opzioni terapeutiche, come ad esempio l’immunoterapia e il trapianto di microbiota fecale, o altri antibiotici come la fidaxomicina, approvata dalla Food and Drug Administration americana nel 2011 e la rifaximina. Quest’ultima è risultata più efficace del placebo nel trattamento dell’infezione ricorrente da C. difficile quando somministrata subito dopo la vancomicina o il metronidazolo (Garey et al., 2011). Analoghi risultati sono stati osservati in un altro studio clinico. In pazienti con età media di 58 anni (19-88 anni) che avevano sviluppato un infezione da C. difficile durante o dopo trattamento antibiotico, la somministrazione di rifaximina (400 mg die volte al giorno per 2 settimane) subito dopo un trattamento con vancomicina e/o metronidazolo (farmaci di prima linea nel trattamento dell’infezione da C. difficile) è stata associata ad assenza di recidive, dopo 12 settimane, nel 53% dei pazienti (17 su 32). A seconda del tipo di ceppo batterico di C. difficile, più o meno sensibile alla rifaximina, la risposta all’antibiotico è risultata più o meno elevata (75% dei pazienti con ceppo batterico più sensibile e 42% dei pazienti con ceppo batterico meno sensibile alla rifaximina, differenza non statisticamente significativa). Nessuno dei pazienti che aveva risposto alla rifaximina ha recidivato nell’anno successivo al trattamento. Secondo gli autori, la rifaximina ha contribuito all’eradicazione dell’infezione, anche se il nucleo centrale del trattamento rimangono la vancomicina e il metronidazolo (Mattila et al., 2013).
Iperammoniemia ed encefalopatia epatica
L’aumento della concentrazione di ammoniaca nel sangue (iperammoniemia) rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di encefalopatia epatica. L’encefalopatia epatica è una condizione patologica caratterizzata da confusione mentale, alterato livello di coscienza, sonnolenza, disorientamento spaziale e temporale fino al coma conseguenti ad un’insufficienza epatica grave. Le sostanze tossiche che non vengono smaltite in maniera efficace dal fegato a causa dell’insufficienza epatica, si accumulano nel sangue e raggiungono il cervello provocando i sintomi neurologici caratteristici dell’encefalopatia.
Parte dell’ammonio presente nel sangue è prodotto dai batteri intestinali per degradazione dell’urea. L’uso di antibiotici e di lattulosio rappresentano i due cardini della terapia dell’encefalopatia epatica: con gli antibiotici si riducono i batteri che producono l’ammonio, con il lattulosio, che modifica il pH del lume intestinale, si riduce l’assorbimento dell’ammonio.
In pazienti affetti da encefalopatia epatica, la rifaximina (1200 mg/die per 15 giorni/mese per 3 mesi) è risultata indurre un miglioramento clinico maggiore rispetto a quello associato alla somministrazione di lattulosio (120 ml/die per 15 giorni/mese per 3 mesi) (Fera et al., 1993) o associato alla neomicina (3000 mg/die per 21 giorni) (Pedretti et al., 1991). Rispetto al lattulosio e alla neomicina, la rifaximina è risultata indurre minori effetti collaterali.
In pazienti con cirrosi epatica ed almeno due episodi di encefalopatia epatica nei sei mesi precedenti, la rifaximina (1100 mg/die) è risultata più efficace del placebo nel ridurre l’incidenza di recidiva (22,1% vs 45,9% rispettivamente con rifaximina e placebo). Inoltre una percentuale di pazienti trattati con il farmaco ha richiesto il ricovero ospedaliero per encefalopatia epatica (13,6% vs 22,6%). Nello studio clinico, più del 90% dei pazienti era in terapia anche con lattulosio (Bass et al., 2010).
La rifaximina ha mostrato (1200 mg/die per 5-15 giorni) attività terapeutica simile a quella di paromomicina (1500 mg/die per 5-15 giorni) (Parini et al., 1992).
Sindrome da malassorbimento cronico
La rifaximina ha evidenziato efficacia terapeutica nel trattamento della sindrome da malassorbimento cronico causato da una eccessiva proliferazione di batteri anaerobi nel lume dell’intestino tenue. Questa condizione, più propriamente chiamata “sovracrescita batterica intestinale” o secondo l’acronimo inglese SIBO (Small Intestinal Bacterial Overgrowth), caratterizzata da diarrea, meteorismo e dolore addominale cronico e ricorrente, presenta elevata variabilità individuale. Da forme asintomatiche si arriva a condizioni di malassorbimento intestinale che possono portare a carenze di vitamine (in particolare la vitamina B12) e anemia. La rifaximina (1200 mg/die) è risultata efficace nel risolvere la SIBO associata a sindrome dell’intestino irritabile (91% dei pazienti) e associata all’uso di farmaci inibitori di pompa protonica (87% dei pazienti) dopo due settimane di terapia (Lombardo et al., 2010). La somministrazione di rifaximina per terapie di durata inferiore alle due settimane è stata associata a tassi di eradicazione batterica più bassi, pari a circa il 60% dei pazienti (Lauritano et al., 2005; Esposito et al., 2007). La rifaximina è risultata più efficace rispetto ad altri antibiotici: tetracicline (tasso di eradicazione: 30%), neomicina (tasso di eradicazione: 20%), amoxicillina-acido clavulanico (tasso di eradicazione: 60%). Esiti clinici sovrapponibili a quelli ottenuti con rifaximina sono stati osservati con norfloxacina (tasso di eradicazione: 90% (Attar et al., 1999; Di Stefano et al., 2000).
Sindrome dell’intestino irritabile
L’impiego di antibiotici nel trattamento della sindrome dell’intestino irritabile vede il suo razionale nel fatto che una eccessiva proliferazione della flora batterica intestinale potrebbe rappresentare una delle possibili cause della malattia (circa la metà dei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile presenta anche SIBO) (Saadi et al., 2013).
Diversi studi clinici di fase II e fase III hanno evidenziato un efficacia moderata della rifaximina nel trattamento sintomatico in pazienti con sindrome dell’intestino irritabile senza stipsi. La rifaximina è risultata più efficace del placebo nel migliorare la sintomatologia generale e il gonfiore addominale con un tasso di risposta più alto nelle donne e nei pazienti anziani (Menees et al., 2012). Nei due studi di fase III un sollievo adeguato dei sintomi è stato ottenuti dal 40,8% dei pazienti trattati con il farmaco vs 31,2% del gruppo placebo nello studio TARGET 1 e dal 40,6% vs 32,2% nello studio TARGET 2 (Pimentel M et al., 2011). L’analisi dei dati di tollerabilità ha evidenziato una sostanziale sovrapposizione della rifaximina rispetto al placebo in termini di incidenza di effetti collaterali (12,1% vs 10,7% rispettivamente con rifaximina e placebo), di effetti collaterali gravi (1,5% vs 2,2%), di sospensione del trattamento a causa degli effetti collaterali (0,8% vs 0,8%), di effetti collaterali gastrointestinali (12,2% vs 12,2%) e correlati ad infezioni (8,5% vs 9,5%). In nessuno degli studi clinici considerati sono stati segnalati casi di colite o morte da infezione dovuta a Clostridium difficile (Schoenfeld et al., 2014).
In un terzo studio più recente è stato valutato il trattamento per la sindrome dell’intestino irritabile con diarrea con rifaximina a cicli ripetuti (due cicli di 14 giorni), con un intervallo di 10 settimane. Sono stati coinvolti 636 pazienti con recidiva, dei quali il maggior numero che ha riportato miglioramento nella consistenza delle feci e nel dolore addominale era stato trattato con il rifaximina (Agenzia Italiana del Farmaco - AIFA, 2015).
Nonostante la sua efficacia nel trattamento della sindrome dell’intestino irritabile (efficacia modesta rispetto al placebo e comunque sovrapponibile a quella di altri trattamenti), un eventuale uso più intenso della rifaximina in questo ambito presenta il limite, importante, della resistenza batterica (gli studi clinici sul l’uso prolungato della rifaximina nella sindrome dell’intestino irritabile sono limitati). Un incremento infatti della resistenza batterica verso la classe delle rifamicine potrebbe avere importanti conseguenze per l’efficacia terapeutica di questi antibiotici in caso di altre infezioni, molto gravi, quali tubercolosi, malattie da meningococco, infezioni da S. aureus meticillino-resistente e da C. difficile (Farrell, 2013).
Resistenza
La resistenza alla rifaximina è causata da modificazioni cromosomiche della RNA polimerasi DNA-dipendente.
Sono risultati resistenti alla rifaximina i seguenti microrganismi:
Gram-positivi
• Bifido-bacterium spp. (MCI90: 6,2 mg/L),
• Propionibacterium spp. (MCI90: 12,5 mg/L)
• Peptostreptococcus spp. (MCI90: 25 mg/L).
Gram negativi
• Citrobacter, Klebsiella, Yersinia (tutti con MCI90: maggiore di 8 mg/L)
• Proteus, Enterobacter, Salmonella, Shigella spp. (MCI90: 4-8 mg/L)
• alcuni ceppi di Escherichia coli (MCI: 3-12,5 mg/L)
• Pseudomonas aeruginosa (MCI: 6-12 mg/L)
• alcuni ceppi di Bacteroides spp. (MCI90 compresa fra 12,5 e 50 mg/L)
• Fusobacterium spp. (MCI90: 50 mg/L)
• Acinetobacter spp. (MCI: 0,06-4 mg/L, 70% di resistenza), Helicobacter pylori (MCI90: 16 mg/L)
• Campylobacter jejuni (MCI90: 100 mg/L).
La resistenza alla rifaximina può svilupparsi abbastanza facilmente: circa il 30-90% dei ceppi di Enterococcus, Bacteroides, Clostridium e cocci anaerobici sono stati riscontrati resistenti all’antibiotico in pazienti in terapia con 800 mg/die di farmaco per 5 giorni.
Dopo la sospensione dell’antibiotico, il grado di resistenza di tali ceppi di patogeni risulta diminuito (dopo 1-2 settimane la resistenza alla rifaximina è scesa al 20% con l’eccezione dei ceppi di Bacteroides, per i quali è rimasta a valori pari al 50%).