Il paracetamolo (noto anche come acetaminofene) è un farmaco con attività antalgica e antipiretica; non possiede attività antiinfiammatoria (inibizione selettiva della sintesi prostaglandinica). Chimicamente è un derivato para-aminofenolo.
Il paracetamolo è impiegato in medicina, come antipiretico, dal 1893.
Viene somministrato per via orale o rettale per ridurre dolore e febbre. Rappresenta una valida alternativa ai salicilati o altri FANS nel caso in cui questi ultimi risultino controindicati: asma, ulcera peptica, pazienti con età inferiore ai 12 anni (nei bambini con meno di 12 anni la somministrazione di salicilati può indurre la sindrome di Rey).
La mancanza di attività antiflogistica alle dosi terapeutiche è dovuta all’inibizione selettiva della sintesi delle prostaglandine.
L’azione analgesica del paracetamolo è dovuta a: 1) inibizione della cicloossigenasi delle terminazioni nervose periferiche che blocca l’insorgenza dell’impulso dolorifico; 2) riduzione delle interconnessioni neuronali dello stimolo nocicettivo con conseguente interferenza nella trasmissione midollo spinale-corteccia, 3) attivazione delle vie discendenti serotoninergiche di modulazione sulle afferenze primarie nocicettive. Il paracetamolo risulta efficace come analgesico nelle forme di dolore che non presentano componente infiammatoria come l’emicrania, cefalea, dismenorrea, dolore osteoarticolare. Somministrato per via parenterale, il farmaco è impegato nel trattamento del dolore post-operatorio e per il controllo della febbre in terapia intensiva.
Lombalgia
Il paracetamolo è utilizzato frequentemente nel trattamento della lombalgia acuta e alcune linee guida (Europa, USA) lo annoverano fra i farmaci di prima scelta (Linee Guida Siot, 2011; van Tulder et al., 2006; Chou et al., 2007). Alcuni dati di letteratura però non sosterrebbero l’uso del farmaco nel trattamento del mal di schiena in fase acuta. Le linee guida per il trattamento del mal di schiena, finanziate dal Ministero della Sanità con la partecipazione di diverse Società scientifiche italiane, hanno inserito il paracetamolo, in base alle prove di efficacia, fra gli “interventi di utilità non determinata” nel trattamento della lombalgia (Percorsi diagnostici terapeutici per l’assistenza ai pazienti con mal di schiena, 2006). Utilizzando diversi database (Medline, Embase e CINAHL), alcuni ricercatori hanno proceduto a selezionare gli studi clinici randomizzati che confrontavano il paracetamolo verso “nessun trattamento”, verso placebo o verso “altro trattamento”. La selezione ha portato ad individuare 7 studi clinici per un totale di 676 pazienti. Gli studi clinici, di piccole dimensioni (solo uno aveva più di 25 pazienti per gruppo) e giudicati di bassa qualità metodologica, non hanno evidenziato un’efficacia statisticamente significativa del paracetamolo nel trattamento della lombalgia (Davies et al., 2008). Un risultato analogo è stato osservato in uno studio clinico più recente, di ampie dimensioni, randomizzato, in doppio cieco e multicentrico, che ha reclutato più di 1600 pazienti con lombalgia acuta, trattati fino a 4 settimane con paracetamolo tre volte al giorno (3990 mg/die), oppure con paracetamolo “al bisogno” (dose massima giornaliera di 4 g) oppure con placebo. L’esito clinico primario dello studio era rappresentato dal tempo necessario al recupero del dolore lombare, dove per “recupero” si intende la riduzione del punteggio del dolore a valori di 0 o 1 (scala di valutazione del dolore 0-10) mantenuta per una settimana. Al termine dello studio nessuna differenza è stata osservata fra i tre gruppi di trattamento in termini di tempo di recupero (17 giorni vs 17 giorni vs 16 giorni rispettivamente uso quotidiano di paracetamolo, uso “al bisogno” di paracetamolo e placebo) e di effetti collaterali (rispettivamente 18,5% vs 18,7% vs 18,5%) (Williams et al, 2014). Secondo alcuni ricercatori che hanno partecipato al trial è possibile che l’assenza di efficacia analgesica del paracetamolo nel trattamento della lombalgia sia da ricondurre al fatto che il mal di schiena possa seguire meccanismi diversi da altre condizioni dolorose verso cui il paracetamolo è risultato invece efficace come analgesico, ad esempio il mal di denti e il dolore postoperatorio.
Osteoartrite
Il paracetamolo è indicato per il trattamento analgesico dell’osteoartrite all’anca e ginocchio e raccomandato, insieme ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), dalle linee guida EULAR 2003 e 2005 e linee guida NICE aggiornate al 2014 (Jordan et al., 2003; Zhang et al., 2005; Linee guida NICE, 2014). Tuttavia una metanalisi condotta sui dati ottenuti da 74 diversi studi clinici ha messo in luce come il paracetamolo, alle dosi di 2 o 3 g/die, non abbia un effetto analgesico superiore a quello di una sostanza placebo e come, rispetto al paracetamolo, sia meglio somministrare gli antinfiammatori diclofenac, etoricoxib o rofecoxib (da Costa et al., 2016).
Paracetamolo vs ibuprofene
La febbre è un aumento della temperatura corporea causato da un rialzo del valore di riferimento a livello del centro ipotalamico termoregolatore. Si differenzia dall’ipertermia perchè quest’ultima comporta un aumeno non controllato della temperatura corporea senza modificare lo status del centro termoregolatore ipotalamico. L’ipertemia deriva da un’eccessiva produzione di calore e/o da un’incapacità dell’organismo a disperdere il calore prodotto. Mentre nell’ipertermia, la temperatura corporea può aumentare notevolmente e in maniera improvvisa, nella febbre l’aumento sembra regolato fisiologicamente e non supera, in genere, i 41°C. La febbre rappresenta un meccanismo omeostatico di difesa dell’organismo nella risposta immunologica all’aggressione di patogeni.
La temperatura corporea varia nell’arco della giornata con oscillazioni di 0,5°C. Si definisce febbre una temperatura uguale o superiore a 37,5°C se misurata a livello ascellare o superiore a 38°C oppure superiore alla normale fluttuazione giornaliera del singolo individuo.
Nel trattamento degli stati febbrili nei pazienti pediatrici il paracetamolo è risultato sovrapponibile a ibuprofene. In una revisione sistematica che ha preso in considerazione 11 studi clinici (totale bambini: 1982) non è stato possibile elaborare delle conclusioni perchè gli studi clinici erano di piccole dimensioni e i farmaci erano stati somministrati a dosaggi variabili (Goldman et al., 2004). Nella seconda revisione sistematica, sono stati valutati solo studi clinici randomizzati controllati in cieco (dei 10 studi considerati, 8 facevano parte anche della precedente revisione sistematica, per un totale di 1078 bambini). Dalla metanalisi è emerso che l’ibuprofene (5-10 mg/kg) è leggermente più efficace del paracetamolo (10-15 mg/die) (un bambino in più ogni 7 trattati con ibuprofene aveva una riduzione delle febbre a 4 e a 6 ore rispetto al paracetamolo) (Perrot et al., 2004). E’ stato osservato che la somministrazione di dosi di paracetamolo pari a 12,5-15 mg/kg/dose induce una riduzione della temperatura simile a quella osservata con ibuprofene alla dose di 7,5-10 mg/kg/dose (rispettivamente –1,6°C vs –1,8°C)
L’associazione del paracetamolo con ibuprofene o l’impiego dei due farmaci in modo alternato non ha comportato benefici clinici evidenti, tali da giustificarne l’uso abituale. Nel caso dell’associazione terapeutica, quand’anche uno dei parametri presi in esame negli studi clinici - riduzione della temperatura corporea ad 1 ora dalla somministrazione del farmaco oppure riduzione della durata del periodo febbrile - sia risultato più favorevole con la combinazione di paracetamolo più ibuprofene rispetto ai singoli farmaci, di fatto il “vantaggio” osservato non si è tradotto in un beneficio clinico significativo (Lal et al., 2000; Erlewyn-Lajeunesse et al., 2006; Hay et al., 2008).
In uno dei due studi clinici che hanno valutato l’impiego alternato di paracetamolo o ibuprofene, è stata segnalata una riduzione della temperatura corporea di 1°C in un numero maggiore di pazienti pediatrici nei tre giorni di trattamento con la somministrazione alternata rispetto ai singoli farmaci (p<0,001) (Sarrell et al., 2006). Nell’altro studio, la percentuale di bambini con temperatura corporea normale dopo 6 ore (endpoint primario) era maggiore nel gruppo trattato con ibuprofene e paracetamolo dopo 4 ore rispetto al gruppo trattato con ibuprofene e placebo dopo 4 ore (83,3% vs 57,6) (Nabulsi et al., 2006).
L’associazione dei due farmaci, paracetamolo e ibuprofene, è risultata più efficace rispetto all’uso dei singoli farmaci nel trattamento del dolore acuto post-operatorio negli adulti e nei ragazzi (chirurgia dentale) (Atkinson et al., 2015; Derry et al., 2013; Sniezek et al., 2011; Mehlisch et al., 2010). Nei bambini sottoposti a tonsillectomia, la combinazione dei due farmaci non è risultata superiore in termini di analgesia rispetto all’uso dei farmaci in monoterapia (Merry et al., 2013).
Paracetamolo più tramadolo
L’associazione del paracetamolo con tramadolo è risultata indurre un effetto analgesico additivo. La combinazione terapeutica è risultata equivalente all’associazione paracetamolo/idrocodone nel ridurre il dolore da estrazione dentale dopo 4 e 8 ore (650/75 mg di paracetamolo/tramadolo equivalente a 650/10 mg di paracetamolo/idrocodone) (Frickie et al., 2002). Nel trattamento del dolore post-operatorio in chirurgia addominale ed ortopedica, l’associazione paracetamolo più tramadolo (dose media pari a 1300 mg/die di paracetamolo più 150 mg/die di tramadolo per 6 giorni) è risultata sovrapponibile a paracetamolo più codeina (dose media di 1290 mg/die di paracetamolo più 129 mg/die di codeina) (Smith et al., 2004).
L’associazione terapeutica paracetamolo/tramadolo ha evidenziato un effetto analgesico efficace, superiore a placebo, nel trattamento del dolore cronico riacutizzato: mal di schiena moderato, artrosi di anca o ginocchio, artrite reumatoide in trattamento con DMARD e con dolore non adeguatamente controllato con FANS (Ruoff et al., 2003; Peloso et al., 2004; Silverfield et al., 2002; Lee et al., 2006).
Nel trattamento della lombalgia, la somministrazione di paracetamolo più tramadolo (dose media giornaliera pari a 1462,5 mg/168,75 mg) non ha evidenziato differenze rispetto alla monoterapia con tramadolo (dose media giornaliera di 225 mg) nel ridurre la sintomatologia dolorosa. Dopo 10 giorni, più dell’80% dei pazienti, in ciascun gruppo, ha raggiunto un controllo soddisfacente del dolore (Perrot et al., 2006).
Considerando il profilo di tollerabilità dell’associazione paracetamolo/tramadolo, gli effetti indesiderati più frequenti (incidenza >/= 10%) sono stati cefalea, vertigini e sonnolenza. Negli studi di comparazione, la combinazione con tramadolo è stata associata ad un’incidenza inferiore per stitichezza e vomito rispetto alla combinazione del paracetamolo con la codeina, ma ad una maggiore frequenza di cefalea. La somministrazione di paracetamolo/tramadolo (325/37,5 mg) ha evidenziato una minor influenza per i tempi di reazione a stimoli visivi e nell’indurre sonnolenza rispetto all’associazione paracetamolo/codeina (500/30 mg) (sonnolenza: 4% vs 50%) (Pickering et al., 2005).
Paracetamolo e asma
Alcuni studi epidemiologici suggerirebbero un incremento del rischio di asma in pazienti pediatrici e adulti esposti a paracetamolo, ma il dato necessita ulteriori studi di approfondimento. L’analisi di studi trasversali (13), di coorte (4) e di caso-controllo (2), per un totale di più di 425.000 pazienti, ha indicato un odds ratio aggregato (OR) per l’asma pari a 1,63 (IC 95% 1,46-1,77) in pazienti che fanno uso di paracetamolo. Il rischio di asma nei bambini che avevano assunto paracetamolo nell’anno precedente alla diagnosi di asma ed entro il primo anno di vita corrispondeva ad un valore di OR, rispettivamente a 1,60 (IC 95%: 1,48-1,74) e a 1,47 (IC 95%: 1,36-1,56). In un solo studio l’odds ratio è risultato indicare una correlazione importante fra asma e paracetamolo (OR pari a 3,23 IC 95%: 2,9-3,6). Il rischio relativo di asma e sibili respiratori in caso di esposizione pre-natale al paracetamolo era espresso da un valore di OR pari a 1,28 (IC 95%: 1,16-1,41) pr l’asma e pari a 1,50 (IC 95%: 1,10-2,05) per i sibili (Etminan et al., 2009).