Il paliperidone è un farmaco antipsicotico appartenente al gruppo dei farmaci antipsicotici atipici.
Da un punto di vista chimico, il paliperidone è una miscela racemica degli enantiomeri (+) e (-) (gli enantiomeri sono molecole identiche con stesse proprietà fisiche e potere rotatorio di segno opposto). L’attività farmacologica dei due enantiomeri è qualitativamente e quantitativamente simile.
Il paliperidone condivide con il risperidone e altri antipsicotici atipici le caratteristiche di legame recettoriale ai recettori serotoninergici 5-HT2 e dopaminergici D2. Studi comportamentali negli animali con paliperidone hanno indicato un antagonismo serotoninergico e dopaminergico, che conferma il profilo di affinità recettoriale sopra descritto. Il paliperidone si lega anche ai recettori adrenergici alfa1, e con più bassa affinità ai recettori H1 istaminergici e adrenergici alfa 2. Il paliperidone non si lega ai recettori colinergici.
In uno studio PET (Tomografia ad Emissioni di Positroni) condotto su volontari sani con una dose singola orale di paliperidone (6 mg), l'occupazione media dei recettori D2 è risultata compresa tra il 53% e il 64% dopo 22 e 46 ore. L’occupazione media dei recettori 5-HT2A era del 65%, 4,5 ore dopo la somministrazione del farmaco. Inoltre, uno studio PET condotto su pazienti schizofrenici ha dimostrato una occupazione media dei recettori striatali D2 del 58% a 3 mg, del 77% a 9 mg e dell’80% a 15 mg dopo 2-6 settimane di terapia con paliperidone orale a rilascio modificato. I risultati sono consistenti con gli studi di altri antipsicotici che evidenziano una soglia di occupazione dei recettori D2 del 65% come necessaria per un'attività antipsicotica, e che un’occupazione recettoriale superiore all’80% provoca in genere sintomi extrapiramidali.
Schizofrenia
Nei tre studi pivotali a supporto dell’efficacia del paliperidone, il farmaco è risultato efficace nel ridurre il punteggio PANSS (punteggio minimo 30, punteggio massimo 120), relativo alla valutazione dei sintomi positivi, negativi e generali del paziente schizofrenico. I pazienti arruolati nei tre studi clinici presentavano un punteggio PANSS iniziale compreso fra 70 e 120. e sono stati trattati con dosaggi fissi differenti: 6, 9, 12 mg/die nel primo studio; 6 e 12 mg/die nel secondo studio; 3, 9 e 15 mg/die nel terzo studio (Kate et al., 2007; Marder et al., 2007; Davidson et al., 2007). I tre studi, in doppio cieco erano randomizzati contro placebo, ma prevedevano anche olanzapina come confronto attivo (il protocollo degli studi non consentiva comunque un confronto diretto fra i due antipsicotici). La durata degli studi è stata di 6 settimane.
Al termine del primo studio la riduzione media del punteggio PANSS era risultata pari a -17,9 (p<0,001) con paliperidone 6 mg/die, a -17,2 (p<0,001) con paliperidone 9 mg/die, a -23,3 (p<0,001) con paliperidone 12 mg/die, a -19,9 con olanzapina 10 mg/die, a -4,1 con placebo. Il tasso di risposta (miglioramento di almeno il 30% del punteggio PANSS al termine delle 6 settimane) è risultato pari al 56% vs 51% vs 61% vs 52% vs 30% rispettivamente con paliperidone ai tre dosaggi (p<0,001), con olanzapina e placebo. La percentuale di pazienti che ha interrotto il trattamento per eventi avversi correlati è risultata pari al 7% vs 3% vs 6% vs 7% vs 7% rispettivamente con paliperidone ai tre dosaggi, olanzapina e placebo (Kate et al., 2007).
Analoghi risultati sono stati osservati nel secondo studio clinico per riduzione media del punteggio PANSS (-15,7 (p<0,01) vs -17,5 (P<0,001) vs -18,4 vs -8 con paliperidone 6 e 12 mg/die, olanzapina e placebo); percentuale di risposte (50% (p<0,05) vs 51% (p<0,05) vs 46% vs 34% rispettivamente con paliperidone 6e 12 mg/die, olanzapina e placebo); tasso di abbandono dello studio per eventi avversi correlati al trattamento (7% vs 5% vs 7% vs 5% rispettivamente con paliperidone 6 e 12 mg/die, olanzapina e placebo) (Marder et al., 2007).
Nel terzo studio clinico la riduzione media del punteggio PANSS è stata pari a -15,0 (p<0,001), a -16,3 (p<0,001), a -19,9 (p<0,001), a -18,1 e a -2,8 con paliperidone 3, 9 e 15 mg/die, olanzapina e placebo. La percentuale di risposte terapeutiche è risultata pari al 40%, al 46% e al 53% con paliperidone 3, 9, 15 mg/die e al 18% con placebo e il tasso di pazienti che anno interrotto il trattamento è risultato sovrapponibile nei 4 gruppi di trattamento (Davidson et al., 2007).
Il paliperidone ha confermato la sua efficacia anche nei pazienti con schizofrenia grave (punteggio PANSS =/> 105) e nel trattamento dell’insonnia (Wang et al., 2012). In quest’ultimo caso, la somministrazione di paliperidone 6 mg/die è risultato efficace nel migliorare la durata complessiva delle ore di sonno e nel ridurre la fase di addormentamento, senza risvolti negativi sulle ore di veglia diurna (Luthringer et al., 2007).
Il paliperidone è risultato efficace anche nel ridurre il tasso di ricadute. In uno studio clinico che prevedeva una prima fase in aperto della durata di 14 settimane, una seconda fase in doppio cieco, randomizzata e un’ulteriore fase, opzionale, sempre in aperto, della durata di 52 settimane, il paliperidone è stato associato ad un tempo medio di ricaduta significativamente inferiore al placebo (analisi intermedia) per cui lo studio, secondo protocollo, è stato interrotto. L’analisi intermedia era prevista dopo 43 episodi di ricaduta, definita come ricovero ospedaliero psichiatrico, aumento del punteggio PANSS superiore al 25% per due giorni di seguito, peggioramento del punteggio CGI-s (Clinical Global Impression-Severity), comportamento aggressivo, autolesionismo, tendenza al suicidio o all’omicidio. All’analisi intermedia il tempo medio di ricaduta è risultato di 83 giorni per paliperidone e di 23 giorni per il placebo e la percentuale di pazienti in ricaduta è risultata del 25% (14/56) con l’antipsicotico e del 53% (29/55) con il placebo (Kramer et al., 2007).
Nel trattamento della schizofrenia in età evolutiva (12-17 anni), il paliperidone è risultato efficace nel migliorare il punteggio totale PANSS alla dose di 3, 6 e 12 mg/die (studio clinico randomizzato, in doppio cieco, della durata di 6 settimane, a dosaggio fisso definito in base al peso corporeo in un intervallo di dosi comprese fra 1,5 e 12 mg/die) (Singh et al., 2011).
Disturbo schizoaffettivo
Negli studi clinici condotti con pazienti affetti da disturbo schizoaffettivo, il paliperidone (3-15 mg/die) è risultato efficace nel migliorare il punteggio PANSS (esito clinico primario) e il punteggio delle scale di valutazione GCI-s per il disturbo schizoaffettivo, YMRS (Young Mania Rating Scale) e HAM-D-21 (Hamilton rating Scale a 21 voci) (esiti clinici secondari).
La somministrazione orale di paliperidone per 6 settimane, al dosaggio di 6 mg/die e di 12 mg/die) (erano permessi aggiustamenti del dosaggio nelle prime due settimane dello studio), è stato associata ad una riduzione del punteggio PANSS, che solo con la dose più alta, è stata statisticamente significativa (-32,4 p=0,003 con paliperidone a dose maggiore; -27,7 p=0,187 con paliperidone a dose minore). Gli effetti collaterali più comuni sono stati cefalea (16,8% vs 13,9% vs 13,3% rispettivamente con placebo, paliperidone a dose più bassa e più alta) e tremore (3,7% vs 12,0% vs 11,2% rispettivamente). Una maggior percentuale di pazienti trattati con paliperidone è manifestati aumenti della concentrazione plasmatica di prolattina e del peso corporeo (Canuso et al., 2010). Analoghi risultati sono stati osservati in un altro studio clinico, in cui i pazienti hanno ricevuto dosi variabili di paliperidone (3 e 12 mg/die). Dopo 6 settimane, il punteggio totale PANSS era diminuito in media di 20 punti con il paliperidone e di 10,8 punti con placebo. I pazienti con predominanza di sintomi maniacali o depressivi ha evidenziato un miglioramento maggiore con il farmaco rispetto al placebo (Canuso et al., 2010).
Disturbo bipolare
Il paliperidone (3-12 mg/die) è risultato più efficace del placebo nel trattamento acuto di pazienti con disturbo bipolare (punteggio YMRS, Young Mania Rating Scale, =/> 20) e “non inferiore“ a quetiapina (400-800 mg/die) come terapia di mantenimento. Lo studio clinico prevedeva due fasi, la prima della durata di 3 settimane, in cui i pazienti sono stati randomizzati al trattamento con paliperidone, quetiapina e placebo (esito clinico primario: riduzione del punteggio YMRS paliperidone vs placebo), la seconda, della durata di 9 settimane, in cui i pazienti precedentemente trattati con placebo venivano “passati“ al gruppo paliperidone, senza rientrare nella analisi di efficacia. Dopo le prime tre settimane, la riduzione del punteggio YMRS è stata di 13,2 con paliperidone e -7,4 con placebo (p<0,001). Durante le 12 settimane complessive dello studio la dose media di paliperidone è stata di 9 mg/die, mentre quella di quetiapina di 600 mg/die. Gli effetti collaterali più comuni sono stati cefalea (16%), sonnolenza (10%) e acatisia (impossibilità a stare fermi o seduti) (10%) per il paliperidone; sonnolenza (21%), sedazione (17%), secchezza della bocca (17%), cefalea (14%) e capogiri (13%) per quetiapina. Al termine dello studio, inoltre, una percentuale più alta di pazienti in cura con paliperidone hanno “virato“ verso la depressione rispetto al gruppo in cura con quetiapina (13,9% vs 7,5%) (Vieta et al., 2010).
Antipsicotici e tumore al seno
L’aumento dei livelli di prolattina potrebbe essere coinvolto nel meccanismo sottostante l’associazione emersa in tre studi clinici osservazionali nazionali tra uso di antipsicotici e aumento del rischio di tumore al seno. Se l’uso di antipsicotici sia associato o no ad un aumento del rischio di tumore al seno è un aspetto dibattuto da diverso tempo, con dati sperimentali non risolutivi. La questione rimane aperta. Nello studio di coorte retrospettivo osservazionale condotto in Corea del Sud, l’esposizione agli antipsicotici di seconda generazione è risultata associata ad un aumento, limitato ma statisticamente significativo,del rischio di tumore al seno dell’8%. Tutti gli antipsicotici testati, indipendentemente dal sottogruppo di appartenenza in base agli effetti sulla prolattina, hanno evidenziato un aumento statisticamente significativo del rischio di tumore. Il rischio è risultato aumentare per tempi di esposizione uguali o superiori ai 6 anni (+24%) e con l’aumentare della dose cumulativa di farmaco, espressa in dose equivalente di olanzapina (il rischio maggiore,+29%, è stato riportato per dosi cumulative uguali o superiori a 10.000 mg). Lo studio, che ha utilizzato il database delle assicurazioni sanitarie, presenta però alcuni limiti tra cui l’assenza di informazioni sui fattori confondenti che aumentano il rischio di tumore al seno come fumo, consumo di alcol, diabete mellito, obesità, non aver mai allattato al seno, non aver avuto figli, anamnesi familiare per lo stesso tutmore (Joo et al., 2022). Nello studio di coorte condotto in Finlandia, è stato oservato un aumento del rischio di tumore al seno con gli antipsicotici che aumentano i livelli di prolattina, come paliperidone, per un’esposizione di almeno 5 anni (Taipale et al., 2021). Nel terzo studio di coorte condotto in Danimarca un aumento del rischio di tumore è stato riportato per dosi cumulative di antipsicotico superiori a 50.000 mg (mg equivalenti di olanapina) (OR 1,27) o per un uso prolungato del farmaco (definito come un’esposizione cumulativa uguale o maggiore a 10.000 mg di olanzapina). In questo studio clinico l’aumento del rischo di tumore è stato osservato per antispicotici di prima e seconda generazione (ORs 1,17 vs 1,11) e per gli antispicotici senza effetti sulla prolattina (OR 1,17) (Pottegard et al., 2018).