Il metilfenidato è un farmaco con azione stimolante sul sistema nervoso centrale (SNC), appartenente alla classe degli psicostimolanti e nootropi.
Chimicamente è un derivato della piperidina (metil-a-fenil-2-piperidina). Poiché il metilfenidato è un’amina secondaria con due atomi di carbonio asimmetrici, può esistere in quattro forme isomeriche, di cui solo due attive e presenti nelle forme medicinali. Le preparazioni in commercio sono miscele racemiche 1:1 di D-metilfenidato e L-metilfenidato.
Il metilfenidato è il medicinale di scelta per pazienti pediatrici (6-12 anni) ed adolescenti con disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (DDAI o secondo l’acronimo inglese, più noto, adhd). Il trattamento con metilfenidato è focalizzato nel migliorare il comportamento dei pazienti con adhd aumentando la capacità di attenzione e riducendo impulsività, iperattività, labilità emotiva in modo da migliorare le relazione interpersonali (genitori, insegnanti, compagni di scuola).
La decisione di prescrivere il metilfenidato si deve basare su una valutazione globale, clinica e psicologica, del paziente, in quanto il farmaco non è indicato per tutti i casi di adhd. La dose del metilfenidato deve inoltre essere individualizzata dipendentemente dal quadro clinico e dalla risposta terapeutica. La terapia con metilfenidato deve rientrare in un programma di trattamento che comprenda misure terapeutiche di tipo psicologico, educativo e sociale.
L’ADHD è un disordine neuropsichico dovuto ad alterazioni funzionali di aree specifiche del sistema nervoso centrale (SNC), in particolare dei circuiti cerebrali che sono alla base dei comportamenti di inibizione e dell’autocontrollo (corteccia prefrontale e gangli basali).
Farmacodinamica
Il metilfenidato si lega ai trasportatori sinaptici per la dopamina (DAT) e, in minor misura, per la noradrenalina, inibendo in questo modo la ricaptazione (reuptake) presinaptica della dopamina e facendone aumentare i livelli extracellulari nel nucleo striato (Swanson, Volkow, 2003).
Nei pazienti affetti da adhd (o DDAI) la concentrazione di dopamina nel punto di contatto tra due neuroni (spazio sinaptico) risulta minore di quella osservata nei soggetti normali, con conseguente sottostimolazione dei neuroni postsinaptici.
Di fatto il metilfenidato agisce modulando i livelli di dopamina e, in misura minore, di noradrenalina presenti nello spazio sinaptico. Questa azione modifica la trasmissione dei segnali tra due neuroni, potenziando la trasmissione dopaminergica deficitaria e attenuando lo stato di iperattività dopaminergica. Fisiologicamente il rilascio di dopamina nello spazio sinaptico avviene sia durante l’impulso nervoso sia durante l’intervallo tra impulsi nervosi (Fortinguerra et al., 2011).
I livelli extracellulari di dopamina sono regolati dalla ricaptazione della dopamina mediante il DAT e dai recettori presinaptici (autorecettori) che, quando stimolati, bloccano l’ulteriore rilascio di dopamina nello spazio sinaptico. L’aumento dei livelli di dopamina extracellulari correlato all’impulso nervoso viene normalmente compensato attraverso tre meccanismi fisiologici:
a) rapida diffusione della dopamina dallo spazio sinaptico (e successiva degradazione da parte di monoamminossidasi e catecol-O-metiltrasferasi extra neuronali);
b) ricaptazione della dopamina da parte del DAT situato sulla membrana presinaptica;
c) inibizione dell’ulteriore rilascio dovuto all’azione della dopamina sull’autorecettore.
Durante il rilascio impulso-dipendente, la persistenza di livelli elevati di dopamina dovuti al blocco del DAT da parte di metilfenidato fa sì che si attivino gli autorecettori presinaptici, impedendo un ulteriore rilascio di neurotrasmettitore.
L’aumentato rilascio della dopamina ed il blocco dell'inattivazione a livello sinaptico sembrano strettamente correlati con il meccanismo con il quale il metilfenidato produce gli effetti psichici e comportamentali nei bambini. Il meccanismo d'azione del farmaco nell'uomo, tuttavia, non è ancora completamente noto e non sono disponibili evidenze conclusive che correlino tali effetti con il sistema nervoso centrale.
Sulla base dei dati di neuroimaging raccolti nell’ultima decina di anni è stato possibile individuare e definire gli aspetti anatomici e funzionali delle vie neuronali coinvolte nei processi dell’attenzione. Tali vie neuronali possono essere distinte in tre sottogruppi: di allerta, di orientamento e di controllo esecutivo. I neurotrasmettitori coinvolti in questi sistemi sono le catecolamine (Panei et al., 2009). La capacità dei farmaci psicostimolanti di attivare e inibire sistemi catecolaminergici che, rispettivamente, risultino ipo o iperfunzionanti, potrebbe spiegare gli effetti clinici positivi di tali farmaci nei bambini con disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (Panei et. al, 2009).
Clinica
Studi clinici hanno dimostrato l’efficacia del metilfenidato in circa il 70% dei pazienti trattati con metilfenidato, rispetto al gruppo di controllo (National Institute for Health and Clinical Excellence, 2007; Swanson et al., 1993; Pitchard, 2006). Dopo la prima settimana di terapia si osservano miglioramenti nell’ambito scolastico, quali aumento dell’attenzione, capacità di portare a termine i compiti assegnati e riduzione degli atteggiamenti conflittuali interpersonali. Riguardo gli studi di efficacia di metilfenidato ci sono ancora molti limiti che interessano principalmente il numero dei pazienti coinvolti, l’eterogeneità dei sottogruppi, le differenze nei metodi di valutazione. Si ritiene che possibili fattori limitanti l’efficacia del farmaco siano la prevalenza di ansia e depressione nel quadro sintomatologico, concomitanti lesioni organiche e neuroevolutive e precarie condizioni sociali ed economiche.
Gli effetti del trattamento a lungo termine di metilfenidato sono ancora poco conosciuti (MTA Cooperative Group, 1999). Gli esiti degli studi clinici randomizzati controllati non hanno evidenziato un miglioramento dell’attenzione e/o delle relazioni interperonali dei bambini e ragazzi con adhd dopo trattamento prolungato con metilfenidato (MTA Cooperative Group, 2004). Sulla base quindi delle evidenze disponibili l’uso del metilfenidato è indicato solo per un periodo di breve durata in associazione ad una terapia cognitivo comportamentale (Agenzia Italiana del Farmaco, 2007).
Tollerabilità
Gli effetti collaterali più frequenti del metilfenidato, comuni a tutti i farmaci psicostimolanti, comprendono riduzione dell’appetito, ansia, insonnia e forti dolori allo stomaco. Tali effetti sono in genere di grado lieve. L’insonnia si può risolvere evitando la somministrazione serale, lo scarso appetito e i dolori gastrointestinali somministrando il metilfenidato dopo i pasti.
La terapia con metilfenidato deve essere sospesa se si manifestano forti dolori addominali, cefalea, perdita di peso e ritardo nell’accrescimento. Il ritardo della crescita di solito si manifesta come temporaneo.
Il metilfenidato agisce sul sistema cardiovascolare: può indurre palpitazioni, aritmie, cianosi, tachicardia. È sempre più accreditata l’ipotesi che il metilfenidato, in quanto psicostimolante, possa favorire effetti cardiovascolari quali ictus, infarto miocardico e morte improvvisa (Westover, Halm, 2012). Nonostante si osservino raramente patologie cardiovascolari nei bambini, uno studio clinico controllato ha riportato stime di prevalenza più alte per disordini cardiovascolari pre-esistenti nei pazienti trattati con metilfenidato rispetto al gruppo di controllo, soprattutto riguardo a patologie cardiache congenite e aritmie potenzialmente letali (Kraut et al., 2013). La prescrizione degli psicostimolanti dovrebbe sempre essere preceduta da un’attenta anamnesi familiare di patologie cardiovascolari o episodi sincopali durante esercizio fisico. L’ECG deve essere eseguito prima dell’inizio della terapia farmacologica per escludere alterazioni del tracciato clinicamente silenti.
Potenziale d’abuso
Nei bambini l’abuso e la dipendenza sono praticamente inesistenti (Panei, 2009). Da un confronto tra gli effetti di metilfenidato e cocaina si è osservato che il metilfenidato, alle dosi e con modalità terapeutiche (somministrazione orale), mostra minore o nessuna capacità di indurre euforia, con un potenziale d’abuso significativamente inferiore (Volkow et al., 2003). I risultati di una metanalisi (Wilens et al., 2003) indicano che la somministrazione precoce di metilfenidato a bambini con disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (adhd) tende a prevenire, piuttosto che favorire, l’abuso di sostanze stimolanti il sistema nervoso centrale in età successiva (adolescenza, età adulta). L’azione preventiva del metilfenidato verso l’abuso è probabilmente correlato al miglioramento clinico del quadro sintomatologico associato all’ADHD, al miglioramento del rendimento scolastico e delle relazioni sociali, ad una possibile riduzione della evoluzione verso il disturbo di condotta e successivamente verso il disturbo antisociale di personalità. Tuttavia, i dati di un appropriato monitoraggio nel tempo sono scarsi, inducendo un'ampia variabilità anche nelle interpretazioni (Charach et al., 2011).