La metformina è una biguanide sintetica con effetto ipoglicemico. E’ indicata nel trattamento del diabete di tipo 2 (insulino-indipendente) in monoterapia e in associazione alle sulfoniluree e/o ad altri farmaci secretagoghi, ai tiazolidinedioni e all’insulina.
La metformina è il farmaco di prima linea nel trattamento del diabete di tipo 2 sia nel paziente sovrappeso che normopeso. Nei pazienti diabetici che non riescono a controllare la glicemia modificado il proprio stile di vita (alimentazione ed esercizio fisico), la metformina rappresenta il cardine della cura anche quando è indicato un trattamento combinato con più farmaci antidiabetici (Società italiana di diabetologia, 2010).
La metformina riduce la glicemia in presenza di uno stato iperglicemico, senza stimolare il rilascio di insulina dalle isole pancreatiche di Langherans. Stimola l’assorbimento (ricaptazione) periferico del glucosio. Sopprime una eccessiva produzione epatica di glucosio per inibizione del processo di sintesi dello zucchero (gluconeogenesi) e/o del rilascio dello zucchero dal glicogeno (glicogenolisi). Rallenta l’assorbimento gastrointestinale di glucosio, anche se quest’ultimo effetto sembrerebbe non significativo alle dosi terapeutiche (Dunn, Peters, 1995).
La metformina potenzia l’attività dell’insulina a livello epatico e periferico intervenendo a livello della resistenza verso l’insulina. La metformina agisce in modo sinergico con l’insulina sia a livello intracellulare, ampliando le risposte biochimiche della cellula all’insulina (per esempio: incremento della velocità di fosforilazione/defosforilazione delle proteine; aumento del numero o dell’attività di alcuni enzimi), sia interferendo con reazioni che risultano complementari a quelle indotte dall’insulina stessa. Tale sinergia sarebbe evidenziabile anche con quantità minime di ormone. La metformina inoltre incrementa la frazione di insulina attiva a livello plasmatico tramite aumento della quota libera, non legata alle proteine sieriche, e modificazioni del rapporto proinsulina/insulina e induce un effetto insulinomimetico in cellule non sensibili all’insulina, ma attivate dallo stato iperglicemico (eritrociti).
La metformina non risulta efficace in assenza di insulina.
L’azione farmacodinamica della metformina si presenta complessa e comprende:
•effetti esplicati a livello di utilizzazione del glucosio e metabolismo glucidico;
•effetti sui livelli plasmatici di insulina e sui suoi recettori tissutali;
•effetti sulla produzione di glucosio epatico;
•effetti sul trasporto intracellulare di glucosio;
•effetti sul metabolismo lipidico e ipertensione.
Effetti esplicati a livello di utilizzazione del glucosio e metabolismo glucidico
In pazienti con diabete di tipo 2, la metformina incrementa l’impiego basale di glucosio (del 53% a dosi di 1,5 g/die) (McIntyre et al., 1991); l’uptake del glucosio insulino-dipendente (del 18-29% a dosi di 0,5-3 g/die) (Prager et al., 1986); riduce la resistenza tissutale all’insulina (diminuiti livelli sierici di acidi grassi liberi; di peptide C e di insulina a digiuno) (Althoff et al., 1991).
La migliorata utilizzazione del glucosio sembrerebbe indotta dalla stimolazione, da parte della metformina, del metabolismo non ossidativo dello zucchero. La metformina infatti, secondo alcuni studi, risulta in grado di stimolare la formazione di glicogeno, la conversione di glucosio in lattato e l’incorporazione del glucosio nei trigliceridi (Riccio et al., 1991).
A livello intestinale la metformina determina un’elevata produzione di lattato a partire da glucosio; parte del lattato viene ritrasformato in glucosio nel fegato. Sebbene quest’ultimo evento possa ridurre l’effetto ipoglicemico della metformina, risulta funzionale nell’evitare un eccessivo abbassamento della glicemia (Bailey, 1995).
La capacità della metformina di stimolare il metabolismo anaerobico intestinale del glucosio potrebbe essere dovuta alle elevate concentrazioni di farmaco che si vengono ad avere a livello della mucosa intestinale. Infatti in altri tessuti, quali fegato e muscolo scheletrico, dove la concentrazione del farmaco, alle dosi terapeutiche, è simile a quella plasmatica, non si verifica un significativo aumento nella produzione di lattato.
In vitro, la metformina risulta favorire la ricaptazione di glucosio e la deposizione di glicogeno negli eritrociti (azione insulino-indipendente).
Effetti sui livelli plasmatici di insulina e sui suoi recettori tissutali
La metformina riduce, in pazienti con diabete di tipo 2, i livelli sierici dei precursori dell’insulina indipendentemente dalla riduzione dell’indice corporeo, dalla glicemia e dall’insulinemia a digiuno (Nagi et al., 1994).
In alcuni trial, la somministrazione di metformina ha provocato diminuzione della concentrazione plasmatica di peptide C e di insulina a digiuno (rispettivamente del 18 e 36% del valore basale) in pazienti non obesi e ipertesi (Landin et al., 1991); in pazienti non diabetici (riduzione pari a 35,9 vs 23,7 mmoli/L, rispettivamente con metformina e placebo) (Rudnichi et al., 1994).
In vitro, la metformina incrementa la frazione circolante di insulina libera, modificando il rapporto fra insulina libera e legata alle proteine plasmatiche; aumenta quindi la disponibilità di insulina attiva a livello plasmatico.
Benché la metformina sia risultata capace di incrementare il numero di recettori per l’insulina a livello eritrocitario e monocitico, non è stata evidenziata correlazione diretta fra questo effetto e miglioramento clinico. È probabile che la metformina esplichi un’azione diretta a livello intracellulare successiva all’interazione recettoriale (Klip, Leiter, 1990).
Effetti sulla produzione di glucosio epatico
La somministrazione di metformina può essere associata ad una riduzione nella sintesi del glucosio da parte del fegato (riduzione pari al 9-30% rispetto ai valori basali o al placebo). Poichè si ritiene che una elevata produzione di glucosio epatico possa costituire un fattore primario nell’eziologia del diabete mellito non insulino-dipendente, l’azione della metformina a questo livello potrebbe rappresentare uno dei meccanismi principali per la riduzione della iperglicemia in questa classe di pazienti.
Effetti sul trasporto intracellulare di glucosio
Il glucosio attraversa la membrana cellulare tramite un sistema fosfolipidico specifico; sono stati identificati due differenti carrier: uno localizzato sulle membrane intracellulari (GLUT1), l’altro sulla membrana plasmatica (GLUT4). La metformina sembra potenziare l’insulina nell’indurre la migrazione di questi sistemi di trasporto verso la membrana plasmatica della cellula e nell’aumentare l’attività intrinseca dei sistemi stessi (Sarabia et al., 1992). Sembra inoltre incrementare l’espressione del gene codificante per il carrier GLUT1 (Hamann et al., 1993).
Effetti sul metabolismo lipidico e ipertensione
La somministrazione di metformina è associata ad un miglioramento del profilo dei lipidi plasmatici (Dunn, Peters, 1995); riduzione dei trigliceridi (del 45%), soprattutto VLDL; del colesterolo totale, effetto secondario ad una diminuzione delle LDL o VLDL; diminuzione del rapporto LDL/HDL; degli acidi grassi liberi, tramite riduzione del loro turnover e della loro ossidazione (è possibile che esista una correlazione fra riduzione del metabolismo ossidativo degli acidi grassi liberi, riduzione della produzione di glucosio epatico e miglioramento della ridistribuzione del glucosio indotti da metformina). L’influenza della metformina sul profilo plasmatico lipidico risulta decisamente più marcato in caso di iperlipidemia rispetto a pazienti con lipidemia normale o vicina ai valori fisiologici.
La metformina inoltre ha determinato riduzione della pressione sistolica e diastolica e questo effetto sembrerebbe associato a riduzione della resistenza all’insulina (Grant, 1995). La metformina quindi sembrerebbe svolgere, accanto all’azione antiperglicemica, anche un ruolo terapeutico verso le complicanze vascolari, quali ipertensione e coronaropatia, correlabili a insulino-resistenza e iperinsulinemia, ed evidenziate sia in pazienti con diabete conclamato sia affetti da sindrome metabolica.
Questo ruolo della metformina sembrerebbe avvalorato anche dall’evidenza di un miglioramento della fibrinolisi, tramite aumento dell’attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA), riduzione dell’inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1) (Landin et al., 1991); di una riduzione della densità e aggregabilità piastrinica (Collier et al., 1989); una riduzione di beta-tromboglobulina e trombossano B2.
Diabete
Nei pazienti con diabete di tipo 2 (diabete non insulino-dipendente) la metformina riduce la glicemia a digiuno (22-26%) e i livelli di emoglobina glicosilata (HbA1c) (12-17%) e non provoca aumento ponderale.
Nei pazienti con diabete di tipo 1 (diabete insulino-dipendente) l’aggiunta di metformina alla terapia insulinica consente di diminuire la dose di insulina, e di migliorare i livelli di emoglobina glicosilata senza aumentare il peso corporeo (Hamilton et al., 2003).
Nel trattamento del diabete di tipo 2, la metformina è risultata attiva quanto clorpropamide, glibenclamide, gliclazide nel controllare la glicemia in pazienti in cui il solo regime dietetico risultava non sufficiente; è risultata più attiva di glipizide e della gomma guar.
La metformina è risultata efficace quanto glitazoni, repaglinide, inibitori dell’enzima dipeptidi peptidasi-4 (DPP-4) (sitagliptin, vildagliptin, linagliptin) e analoghi del GLP-1 (exenatide) nel ridurre l’emoglobina glicosilata, ma non rispetto all’insulina.
La metformina influenza o riduce lievemente il peso corporeo a differenza delle sulfoniluree in monoterapia o in associazione a insulina (glibenclamide più insulina), che provocano invece aumento ponderale.
Nel trattamento del diabete senile non associato ad obesità e di recente insorgenza, la metformina ha mostrato efficacia terapeutica analoga a clorpropamide.
La metformina può migliorare il controllo della glicemia a digiuno quando sulfoniluree o insulina, associate al regime dietetico, non sono risultate adeguate (Shlossberg, 1993).
L’efficacia della metformina nel trattamento del diabete è stata confermata nello studio UKPDS (United Kingdom Prospective Diabetes Study) il trial clinico di maggiori dimensioni realizzato su pazienti diabetici. Lo studio ha evidenziato come la riduzione dell’emoglobina glicata si associ ad una riduzione significativa del rischio di complicanze microvascolari (retinopatia e nefropatia) e macrovascolari (malattie cardiovascolari quali infarto e ictus). Nei pazienti sovrappeso trattati con metformina (trattamento intensivo volto ad ottenere valori di glicemia a digiuno inferiori a 6 mmoli/L) è stata osservata una riduzione del 32% del rischio degli endpoints connessi al diabete, una riduzione del 39% del rischio di infarto miocardico, una riduzione del 41% del rischio di ictus, una riduzione del 42% del rischio di morte collegata al diabete e del 36% del rischio di morte per tutte le cause (Lancet, 1998).
I dati emersi da uno studio collaterale dell’UKPDS avevano suggerito un possibile aumento del rischio di morte correlata a diabete nei pazienti trattati precocemente con metformina e sulfonilurea rispetto al solo trattamento con sulfonilurea. Questa osservazione non ha trovato riscontro nell’analisi epidemiologica effettuata su più di 4000 pazienti con diabete trattati con metformina più sulfonilurea per i quali, invece, è stata riscontrata una riduzione di morte correlata al diabete del 5% (Lancet, 1998). In uno studio retrospettivo condotto su più di 9000 pazienti con diabete di tipo 2 il trattamento con metformina da sola o in associazione ha evidenziato una riduzione della mortalità totale e cardiovascolare del 40% rispetto a quanto osservato nei pazienti in terapia con solo sulfoniluree (Johnson et al., 2005). A supporto del ruolo della metformina nella prevenzione di malattie correlata al diabete, il monitoraggio per più di 10 anni dei pazienti arruolati nello studio UKPDS ha evidenziato nei pazienti sovrapeso trattati con metformina una riduzione persistente per qualsiasi endpoint correlato al diabete (21%, p=0,01), per l’infarto miocardico (33%, p=0,005) e per morte per qualsiasi causa (27%, p=0,002) (Holman et al., 2008).
In caso di pazienti diabetici obesi non adeguatamente controllati con terapia insulinica, la metformina può ottimizzare tale controllo e provocare una riduzione del dosaggio di ormone richiesto tra il 20 e il 30% (Golay et al., 1995).
I dati di uno studio osservazionale retrospettivo, riguardanti il trattamento a lungo termine in soggetti con diabete di tipo 2 non obesi, indicano come la metformina sia in grado di controllare in modo efficace la glicemia non solo nei soggetti obesi, ma anche nei soggetti normopeso e in quelli sovrappeso (Ong et al., 2006).
In ambito pediatrico (età compresa tra 10 e 16 anni), l’uso di metformina (2 g/die per 4 mesi) ha determinato un miglioramento del controllo glicemico e dell’emoglobina glicosilata con effetti collaterali minimi (Jones et al., 2002).
L’aderenza alla terapia antidiabetica è cruciale per ottenere e mantenere i benefici clinici sul lungo periodo per il paziente e ridurre i costi sanitari dovuti a ospedalizzazione, ricorso al Pronto Soccorso e mortalità totale (Hansen et al., 2010). Maggiore è l’aderenza alla terapia, maggiore è la probabilità di mantenere bassi i livelli di emoglobina glicata HbA1c (il goal standard della terapia è rappresentata da valori di emoglobina glicata stabilmente inferiori al 7%) (Rhee et al., 2005). E’ stato evidenziato in trial clinici che per ogni aumento del 10% di aderenza alla terapia, i valori di emoglobina glicata diminuiscono dello 0,16% (Schectman et al., 2002).
Policistosi ovarica
La somministrazione di metformina alle pazienti affette da policistosi ovarica (PCOS), è risultata ridurre la concentrazioni di ormoni androgeni ovarici e surrenalici, migliorare il ciclo ovulatorio e le possibilità di gravidanza. Dati preliminari suggeriscono che nelle donne magre o sovrappeso, con PCOS, la metformina (1.500 – 1.700 mg/die) possa ridurre la resistenza insulinica (Moghetti et al., 2000); quando viene impiegata in associazione ad una dieta ipocalorica nelle donne obese può anche ridurre il peso corporeo e l’irsutismo (Pasquali et al. 2000).
Il meccanismo d’azione della metformina in questa condizione non è chiaro ma si suppone che riduca il livello di androgeni aumentando la sensibilità all’insulina.
La somministrazione di metformina (1,275 mg) e di flutamide (125 mg) in pazienti adolescenti (pazienti arruolate: 30; età: 13,6-18,6 anni) non obese affette da policistosi ovarica ha prodotto dopo 3 mesi di trattamento una marcata diminuzione dell’irsutismo e di androgeni nel sangue, una diminuzione del 50% di sensibilità all’insulina e una riduzione del profilo lipidico aterogenico con successiva riduzione del grasso addominale (Ibanez et al., 2003).
Metformina e alzheimer
Trial clinici hanno evidenziano come la metformina sia in grado di aumentare i livelli di peptidi legati alla patogenesi dell’Alzheimer. La sua somministrazione quindi, in pazienti con Alzheimar, potrebbe rappresentare un fattore negativo sulla progressione della malattia (Chen et al. 2009).
Metformina e cancro al seno
Il cancro al seno è risultato associato a diversi fattori metabolici: resistenza all’insulina, elevati livelli di insulina, elevati livelli di testosterone, sindrome metabolica. Quest’ultima condizione è risultata associata ad un aumento di due volte del rischio di sviluppare il cancro al seno. Sulla base di queste considerazioni e dell’osservazione per cui donne diabetiche trattate con metformina rispondevano meglio, in termini di sopravvivenza, alla chemioterapia dopo asportazione del seno, la metformina è attualmente in studio come possibile opzione terapeutica nella prevenzione del carcinoma al seno in donne con sindrome metabolica (studio Tevere) e in altri tipi di tumore.
Gli effetti antitumorali della metformina sembrano legati alla capacità del farmaco di riprogrammare le cellule tumorali spostando il metabolismo cellulare da anaerobico, tipico della cellula tumorale, a catabolico, tipico della cellula normale. La correzione del metabolismo determinerebbe una maggiore sensibilità della cellula tumorale alla chemioterapia. In vitro la metformina è risultata indurre la sintesi di un micro RNA (miR-33a) in grado di “spegnere” un oncogene particolare (c-myc) coinvolto nelle alterazioni del metabolismo cellulare (gli oncogeni sono geni modificati responsabili delle trasformazioni neoplastiche della cellula) (Blandino et al., 2012).