Il losartan (INN: Losartan) è un antiipertensivo appartenente alla classe di farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina. E' un antagonista competitivo, non peptidico, dell'angiotensina II; è caratterizzato da elevata selettività e specificità verso il sottotipo recettoriale AT1 (coinvolto nella maggior parte degli effetti dell'angiotensina II), non possiede attività di agonista parziale (Wong et al., 1991).
In vivo, il losartan è risultato efficace nel normalizzare i valori pressori in modelli animali affetti da ipertensione spontanea o ipertensione renale, mentre non ha influenzato tali valori in caso di animali normotensivi (ad eccezione di quelli con squilibrio elettrolitico o sistema renina-angiotensina attivato). L'attività antiipertensiva del losartan è risultata dipendere dalla funzionalità del sistema renina-angiotensina e dai valori basali di renina (Krichbaum et al., 1994).
La somministrazione e.v. di losartan provoca una inibizione bifasica della risposta pressoria all'angiotensina II (Wong et al., 1990a). L'effetto bifasico è stato attribuito a un metabolita del losartan (E3174), un acido carbossilico circa 30 volte più potente del losartan stesso che esplica un'azione antagonista non competitiva verso l'angiotensina II (riduce del 30-40% la risposta contrattile massima indotta dall'angiotensina II) (Wong et al., 1990b).
Il metabolita E3174 è ottenuto dal losartan per opera dell’enzima citocromiale CYP2C9.
In vivo, il losartan blocca selettivamente gli effetti emodinamici mediati dall'angiotensina II: non inibisce infatti la risposta pressoria mediata da norepinefrina e vasopressina. Blocca la secrezione di aldosterone e catecolamine mediata dall'angiotensina II; inibisce l'effetto sul centro della sete e sulla pressione arteriosa indotta dall'angiotensina II dopo somministrazione a livello cerebrale; influenza il metabolismo della bradichinina, interazione responsabile della tosse secca che caratterizza, invece, l'impiego terapeutico degli inibitori dell'enzima convertente (Wong et al., 1991).
In volontari sani, il losartan è risultato efficace nell'inibire la risposta vasocostrittrice mediata sia dall'angiotensina I che dall'angiotensina II a differenza dell'enalapril, che è in grado di bloccare esclusivamente quella mediata dall'angiotensina I (Beltz et al., 1993).
Il losartan è risultato attivo nel controllare la pressione arteriosa in caso di pazienti normotensivi con sistema renina-angiotensina attivato, in caso di pazienti con insufficienza renale, pazienti con ipertensione essenziale.
L'azione antiipertensiva del losartan è dose-dipendente e permane per più di 24 ore dopo singola somministrazione; determina un incremento della renina plasmatica (ARP) per effetto compensatorio (Christen et al., 1991).
Il losartan non induce tachicardia riflessa né tolleranza all'effetto antiipertensivo; aumenta l'escrezione di acido urico (marker di malattia cardiovascolare e fattore di rischio indipendente) più degli ACE-inibitori; tende ad aumentare bassi livelli di potassiemia e a ridurre la proteinuria (Gausevoort et al., 1994).
Diversamente dall'enalapril, il losartan è risultato aumentare l'escrezione renale di acqua e cloruro di sodio contribuendo all'abbassamento della pressione arteriosa.
Nei trial clinici in cui il losartan è stato somministrato in monoterapia, l'effetto antipertensivo, in pazienti con ipertensione lieve/moderata, è stato ottenuto con dosi comprese fra 50 e 100 mg/die (pazienti responders, DBP <90 mmHg oppure >/=90 mmHg ma con una riduzione >/=10 mmHg: 41-54% vs 10% rispettivamente losartan e placebo) (Weber et al., 1995).
In pazienti con ipertensione severa, il target pressorio è stato raggiunto associando al sartano diuretici con o senza altri farmaci antipertensivi. Con idroclorotiazide, i pazienti responder rappresentano circa un terzo di quelli trattati, gli altri devono ricorrere a farmaci aggiuntivi, quali calcio-antagonisti diidropiridinici e/o atenololo.
In uno studio che ha arruolato 179 pazienti con ipertensione severa, circa il 20% ha risposto al trattamento con il solo losartan, il 30% con losartan più idroclorotiazide e il 46% con losartan più diuretico più altro antipertensivo (Dunlay et al., 1995).
Rispetto alle altre classi di farmaci antipertensivi, il losartan e i sartani in generale presentato un'azione antipertensiva sovrapponibile a quella degli ACE-inibitori, dei beta-bloccanti e dei calcio-antagonisti, a fronte di un profilo di tollerabilità favorevole, soprattutto considerando alcuni effetti collaterali dose-dipendenti quali tosse (8,8 vs 3,1% rispettivamente con ACE-inibitori e losartan), edema (14 vs 1,7% rispettivamente con felodipina ER e losartan) e sensazione di fatica (5,9 vs 6,7 vs 5,5 vs 3,8% rispettivamente con atenololo, ACE-inibitori, idroclorotiazide e losartan) (Goldberg et al.,1995).
Il losartan ha evidenziato attività antipertensiva sovrapponibile a mibefradil quando somministrati alla dose di 50 mg, nel trattamento dell'ipertensione lieve/moderata; attività antipertensiva meno potente rispetto a mibefradil quando la dose è aumentata a 100 mg (Chung et al., 2000).
La risposta pressoria al losartan non dipende dall'età del paziente, risultando sovrapponibile per pazienti con età < 65 anni rispetto a a quelli con età = 65 anni (Dahlof et al., 1995).
In un trial non randomizzato, di piccole dimensioni il losartan (50-100 mg/die) è stato associato ad un miglioramento della disfunzione sessuale in pazienti ipertesi (miglioramento in almeno un'area della sfera sessuale nell'88% dei pazienti). La percentuale di pazienti che ha riportato una totale soddisfazione sessuale è passato da 7,3 al 58,5%, la percentuale relativa ad un'elevata frequenza di attività sessuale (almeno una volta/settimana) è passata dal 40,5 al 62,3% e una migliore qualità di vita è stata riportata nel 73,7% dei pazienti con disfunzione sessuale trattati con losartan. Nel gruppo controllo, pazienti con ipertensione ma senza disfunzione sessuale, l'antipertensivo non ha influenzato attività o soddisfazione sessuale (Llisterri et al., 2001).
Gli antagonisti dei recettori dell'angiotensina II potrebbero essere utilizzati nel trattamento della steatoepatite non alcolica.
In 7 pazienti affetti da tale patologia ed ipertesi, la somministrazione di losartan (50 mg/die per 48 settimane) ha ridotto significativamente i marcatori ematici di fibrosi epatica, i livelli del fattore di crescita TGF-beta1 nel plasma, la concentrazione serica di ferritina ed ha migliorato i livelli serici di aminotransferasi. Analisi istologiche hanno mostrato un miglioramento della necroinfiammazione epatica in 5 pazienti, riduzione della fibrosi epatica in 4 e scomparsa della deposizione di ferro in 2 (Yokohama et al., 2004).
In pazienti affetti da nefrite da IgA, alte dosi di losartan (200 mg/die) sono risultate più efficaci nel ridurre la proteinuria (p < 0.005) e nel preservare la funzionalità renale (p < 0.0005) rispetto a normali dosi di losartan (100 mg/die), normali (20 mg/die) o basse (10 mg/die) dosi di ACE inibitori (Woo et al., 2009).
La precoce somministrazione di farmaci che bloccano il sistema renina-angiotensina in pazienti con diabete di tipo I, è in grado di rallentare la progressione della retinopatia ma non quella della nefropatia.
Nei 5 anni di follow up successivi alla somministrazione di losartan (100 mg/die), enalapril (20 mg/die) o placebo a 285 pazienti normotesi con diabete di tipo I e normoalbuminuria, le variazioni della frazione di volume glomerulare occupata dal mesangio e di altre variabili della struttura renale nei pazienti trattati con i farmaci non sono risultate significativamente differenti da quelle riscontrate nel braccio placebo. I due farmaci, enalapril e losartan, hanno però ridotto la progressione della retinopatia, in confronto al placebo, rispettivamente del 65 e 70% (Mauer et al., 2009).
In un modello animale, il losartan ha ridotto la nefrotossicità indotta dal cisplatino riportando alla normalità i livelli di creatinina sierici e di azoto ureico nel sangue, contrastando la perossidazione lipidica e la deplezione di glutatione indotte dall'antitumorale, senza alterare l'uptake del cisplatino da parte del rene (Saleh et al., 2009).
Studio LIFE (Losartan Intervention For Endpoint reduction)
In questo trial il losartan è stato confrontato con il betabloccante atenololo nella prevenzione dei principali esiti cardiovascolari in una popolazione (pazienti arruolati: 9193; età: 55-80 anni) di pazienti ipertesi (160-200/95-115 mmHg) e con ipertrofia ventricolare sinistra accertata. Il calo pressorio è risultato equivalente per i due gruppi di trattamento, 30,2/16,6 mmHg con losartan e 29,1/16,8 mmHg con atenololo. Il sartano però ha evidenziato un beneficio statisticamente significativo in termini di riduzione del rischio per l'endpoint composito (ictus più infarto più mortalità cardiovascolare) (13%) e specificatamente per l'ictus (25%), ma non per la mortalità in generale che è risultata sovrapponibile per i due gruppi di trattamento, così come per l'infarto miocardio (4,29 vs 4,09 rispettivamente losartan e atenololo) (Dahlof et al., 2002).
Alcuni dei benefici terapeutici del sartano sono correlati a meccanismi diversi dalla riduzione pressoria e si rifanno alla capacità del losartan di ridurre la concentrazione ematica di acido urico, favorendone l'escrezione renale, e di bloccare l'aggregazione piastrinica indotta dal trombossano A2: a livello di cuore, riduzione dell'ipertrofia ventricolare sinistra, a livello di rene, riduzione della proteinuria e a livello dei vasi, riduzione dell'ipertrofia carotidea.
La riduzione dell'ipertrofia ventricolare sinistra è un dato molto positivo considerando che è un fattore di eventi cerebrovascolari indipendenti dalla pressione arteriosa.
Differenze dell'incidenza di mortalità fra losartan e atenololo sono state osservate in sottogruppi di pazienti.
Nel sottogruppo di pazienti diabetici, il losartan è stato associato ad una diminuzione del rischio degli endpoint combinati del 24%, la riduzione della mortalità totale è stata del 39% e quella della mortalità cardiovascolare del 37%.
Dallo studio è emerso anche un aspetto relativo al rapporto fra diabete e ipertensione: il numero di nuovi casi di diabete è risultato inferiore nel gruppo trattato con losartan rispetto a atenololo, con una differenza del 25%. Questo fatto è riconducibile all'effetto del farmaco sull'insulino-sensibilità che tende a migliorare con il sartano e a peggiorare con l'atenololo. E' stato ipotizzato per il losartan un effetto positivo sul microcircolo, mentre per l'atenololo un effetto di riduzione della perfusione tissutale del muscolo scheletrico, dove si instaura l'insulino-resistenza.
Nel sottogruppo di pazienti con ipertensione sistolica isolata il losartan è stato associato ad una riduzione del rischio di ictus, fatale e non, del 40% ad una incidenza di mortalità cardiovascolare pari a 8,7 vs 16,9 eventi per 1000 anni-pazienti (RR 0,54) e di mortalità totale pari 21,2 vs 30,2 eventi per 1000 anni-pazienti rispetto all'atenololo (J. Am. Med. Association, 2002).
Nel sottogruppo di pazienti con fibrillazione atriale, la riduzione del rischio di ictus ottenuta con losartan è stata pari al 49% rispetto all'atenololo. Inoltre, nel gruppo trattato con il sartano si è riscontrata una diminuzione del rischio nello sviluppare fibrillazione atriale nei pazienti che al momento dell'arruolamento non presentavano questo tipo di aritmia. Quest'effetto potrebbe essere in parte giustificato con il fatto che il losartan possiede proprietà antiaritmiche superoriori a quelle dell'atenololo.
Nel sottogruppo di pazienti con sola ipertrofia ventricolare sinistra e nessun altro segno di malattia coronarica (popolazione con il rischio più basso), la riduzione del rischio relativo per l'endpoint composito è stata pari al 20% e quella per il rischio di ictus pari al 34%.
Nel sottogruppo di pazienti di razza nera trattati con losartan, il rischio per l'endpoint composito (ictus più infarto più mortalità cardiovascolare) e in particolare per l’ictus è risultato maggiore rispetto ai pazienti di razza nera in terapia con atenololo.
Metanalisi di Colin
In questa metanalisi, relativa a 43 trial clinici randomizzati controllati (pazienti arruolati: 11.281) in cui gli antagonisti del recettore AT1 sono stati confrontati fra di loro, oppure con placebo oppure con antipertensivi appartenenti ad altre classi, è emersa una sostanziale equivalenza nella riduzione dei valori pressori fra losartan, valsartan, candesartan e irbesartan.
Studio ELITE I e II (Evaluation of Losartan in the Elderly)
Il losartan è stato somministrato a pazienti anziani (pazienti arruolati 722) con scompenso cardiaco e frazione di eiezione inferiore al 40% per 48 settimane. Al termine del trial, l'endpoint combinato di mortalità e ospedalizzazione per aggravamento dello scompenso è risultato pari al 9,4% nel gruppo trattato con losartan e al 13,2% nel gruppo trattato con captopril.
Considerando separatamente mortalità e ricovero, la prima è stata pari a 8,7 vs 4,8%, rispettivamente con losartan e captopril, la seconda sovrapponibile per i due farmaci (Pitt et al., 1997).
Per verificare il dato di mortalità, lo studio ELITE infatti non era stato disegnato per valutare la differente incidenza di decessi, è stato proposto un secondo studio, l'ELITE II, in cui più di 3.000 pazienti sono stati seguiti per 18 mesi. In questo studio la mortalità nel gruppo trattato con losartan non risultava statisticamente differente rispetto a quella del gruppo in terapia con captopril (17,7 vs 15,9% rispettivamente con losartan e captopril), indicando che il losartan non era più efficace del farmaco di confronto nel migliorare la sopravvivenza in pazienti anziani con scompenso cardiaco (Pitt et al., 2000).
Studio OPTIMAAL (Optimal Trial in Myocardial Infarction with Angiotensin II Antagonist Losartan)
Lo studio OPTIMAAL (5477 pazienti) è stato definito per indagare la riduzione di morbilità e mortalità cardiovascolare in pazienti ad elevato rischio di eventi cardiovascolari dopo IMA, trattati con losartan. I pazienti con disfunzione ventricolare sinistra o insufficienza miocardica dopo IMA sono stati randomizzati a ricevere losartan (50 mg/die) oppure capropril (50 mg t.i.d.).
L'endpoint primario era rappresentato dalla mortalità per tutte le cause: nessuna differenza è stata riscontrata fra i due gruppi di trattamento. La mortalità per tutte le cause è stata pari al 18 vs 16% rispettivamente con losartan e captopril, l'incidenza di morte improvvisa o di arresto cardiaco non fatale è stato pari al 9 vs 7%, il reinfarto fatale o non fatale pari al 14% in entrambi i gruppi di trattamento e l'ospedalizzazione per tutte le cause pari al 66 e 65%. In base alla parcentuale di pazienti che hanno interrotto la terapia per eventi avversi (17 vs 23%), il losartan ha presentato un profilo di tollerabilità migliore rispetto al captopril (Dickstein et al., 2002).
Una delle osservazioni scaturite da questo studio è stata quella che ha individuato come causa più frequente di morte post-IMA in pazienti con disfunzione ventricolare/insufficienza miocardica l'infarto ricorrente. Infatti al termine del follow up (2,7 anni), il 57% (102/180 morti) delle morti è risultato causato dall'infarto all'autopsia; in base ai soli dati clinici i casi di morte attribuiti all'infarto erano risultati 29 (Orn et al., 2005).
Fra le cause di morte, il 55% di quelle assegnate all'aritmia sono risultate, dopo l'autopsia, causate da infarto così come l'81% di quelle assegnate a morte per progressione dell'insufficienza cardiaca. In questo trial, l'incidenza di IMA nel gruppo di morte improvvisa è risultato indipendente dal tempo intercorso dal primo infarto, mentre nei pazienti non classificati nel gruppo delle morti improvvise, l'incidenza di reinfarto è diminuita dal 78%, nei primi 30 giorni, al 30% al termine del follow up (Orn et al., 2005). I pazienti con fibrillazione atriale al momento della randomizzazione o che hanno sviluppato quest'aritmia durante il follow up hanno evidenziato un maggior rischio di morte e di ictus.
Studio RENAAL (Reduction of Endpoints in Non-insulin dependent diabetes mellitus with the Angiotensin II Antagonist Losartan)
Nei pazienti diabetici l'incidenza di malattia renale interessa un paziente su due e la progressione della nefropatia si presenta come un dato inesorabile. A parità di proteinuria, la progressione della malattia renale legata al diabete è molto più rapida e difficile da influenzare rispetto a quando la malattia renale non dipende dal diabete.
In pazienti (1513) con diabete di tipo 2, proteinuria e ipertensione lieve, trattati con antipertensivi per mantenere i valori pressori al di sotto dei valori target di 140/90 mmHg, il losartan (50-100 mg/die in monosomministrazione) ha evidenziato un'effetto di protezione specifico della funzione renale indipendente dalla sua azione sulla pressione arteriosa (Brenner et al., 2001).
Dopo 3-4 anni, l'esito clinico principale (endpoint combinato), rappresentato dal peggioramento (raddoppio del valore) della creatinina sierica (marker di riduzione di oltre il 50% della funzione renale) più nefropatia allo stadio terminale più morte, era diminuito nel gruppo di pazienti trattati con losartan rispetto al gruppo placebo (43,5 vs 47,1%). Il losartan è risultato efficace nel ridurre del 16% l'endpoint primario, del 28% il rischio di progressione della malattia renale (endpoint secondario) fino a dialisi o trapianto d'organo, del 35% la proteinuria (endpoint secondario) e del 32% i ricoveri per scompenso cardiaco.
In questo studio, l'incidenza di infarto fra pazienti trattati con il sartano o il placebo non è risultata statisticamente significativa (6,65 vs 8,92%, rispettivamente con losartan e placebo).
Pazienti pediatrici
Il losartan è risultato efficace nel ridurre, in modo dose-dipendente la pressione arteriosa nei pazienti pediatrici ipertesi. In uno studio clinico che ha arruolato bambini e adolescenti di età compresa fra 6 e 16 anni, i pazienti, stratificati in base al peso corporeo ( >/= 50 kg, < 50 kg) sono stati randomizzati a ricevere dosi basse (2,5-5 mg), medie (25/50 mg) e alte (50/100 mg) di losartan per 3 settimane (fase 1 dello studio), quindi a continuare il trattamento oppure a passare al placebo per un periodo di ulteriori 2 settimane (fase 2 dello studio). Al termine della fase 1 la riduzione della pressione arteriosa diastolica è stata pari a -6,0 mmHg vs -11,7 mm Hg vs -12,2 mmHg rispettivamenye con la dose bassa, media e alta di losartan. Al termine della fase 2, i pazienti che erano in terapia con dosi medie o alte di losartan, passati al placebo, hanno visto aumentare la loro pressione, mentre i pazienti in terapia con dosi basse non hanno osservato variazioni pressorie quando sono passati al placebo (in questo gruppo di paienti la pressione si è mantenuta sostanzialmente invariata). Sulla base dei dati di questo studio, la somministrazione di dosi di 0,75 mg/kg (fino ad un massimo di 50 mg/die) è risultata efficace nel ridurre la pressione già dopo 3 settimane di terapia e aumenti del dosaggio fino a 100 mg/die sono risultati avere una buona tollerabilità in pazienti di età inferiore ai 18 anni (Shahinfar et al., 2005).
Gli effetti del losartan sulla proteinuria (rapporto proteine urinarie/creatinina >/= 0,3 g/g) in ambito pediatrico sono stati valutati in uno studio che ha coinvolto bambini e ragazzi di età compresa fra 6 e 17 anni. I pazienti ipertesi sono stati randomizzati a ricevere losartan (0,7-1,4 mg/kg/die) o amlodipina (0,1-0,2 mg/kg/die, incrementabile fino a 5 mg/die), mentre i pazienti normotesi hanno ricevuto losartan oppure placebo. Dopo 12 settimane, il losartan è risultato più efficace nel ridurre la proteinuria rispetto all’amlodipina e al placebo (-35% vs +1,4%, p </= 0,001). La differenza fra i due trattamenti ha mantenuto la sua significatività anche dopo aver corretto i valori in base alle differenze pressorie. Nei pazienti normotesi la proteinuria è diminuita del 34,4% con losartan ed è aumentata del 2,6% con il placebo; nei pazienti con ipertensione, la proteinuria è diminuita, del 41,5% ed è aumenata del 2,4% rispettivamente con losartan e amlodipina (Webb et al., 2010).
Studio COMPARE
Lo studio COMPARE ha evidenziato un rallentamento della dilatazione aortica nei pazienti con sindrome di Marfan trattati con losartan. La sindrome di Marfan è una malattia genetica del tessuto connettivo e pertanto può interessare molti organi: scheletro, occhi, cuore, vasi sanguigni, polmoni, membrane fibrose che rivestono cervello e colonna vertebrale (Groenink et al., 2013).
Uno dei sintomi della sindrome di Marfan a carico del cuore è la dilatazione della parte iniziale dell’aorta che può causare aneurisma, dissecazione dell’aorta fino a morte del paziente.
I pazienti trattati con losartan per 3 anni hanno evidenziato una dilatazione della parte iniziale dell’aorta statisticamente inferiore rispetto a quella osservata nel gruppo placebo (0,77 mm vs 1,35 mm, p=0,014). Il losartan è risultato efficace anche nel sottogruppo di pazienti (un terzo dei pazienti totali) in cui la parte di aorta ammalata era stata sostituita chirurgicamente (dilatazione dopo 3 anni: 0,50 mm vs 1,01, p=0,033).