Sovradosaggio: il litio possiede un basso indice terapeutico, cioè la differenza fra dosi terapeutiche (0,5-1,2 mEq/L) e tossiche è piccola. Gli effetti tossici del litio si manifestano a concentrazioni plasmatiche uguali o superiori 1,5 mmoli/L, ma in alcuni pazienti effetti tossici sono stati osservati anche a dosi più basse, pari a 1 mmoli/L, generalmente comprese all’interno dell’intervallo terapeutico. Sebbene possano intervenire fattori esterni (malattie infettive, gastroenterite, disidratazione, iponatriemia da alimentazione errata, anoressia) in grado di alterare la concentrazione plasmatica del litio (litiemia), è la diminuzione della clearance renale del farmaco a giocare un ruolo essenziale (Lovaste et al., 1984).
Molti casi di intossicazione si verificano durante la terapia di mantenimento quando la dose giornaliera di litio rimane costante per mesi o anni: i sintomi insorgono gradualmente, spesso possono progredire nonostante la sospensione della terapia e nel 75% dei casi implicano alterazioni della funzionalità renale.
In caso di sovradosaggio si possono manifestare i seguenti sintomi: rallentamento dei riflessi, apatia, accompagnate da rigidità muscolare, fascicolazione ed atassia. Tali sintomi peggiorano gradualmente con alterazione dello stato di coscienza e comparsa di tremori irregolari; nella forma più grave di intossicazione si instaura una condizione di stupore o “coma o “coma vigile”, con contrazioni convulsive agli arti, movimenti irregolari del capo e del tronco simili spesso a crisi di agitazione o epilettiche.
Il litio può provocare mielinolisi pontina centrale (Khan et al., 1997) e grave atrofia cerebellare dei granuli interni e delle cellule di Purkinje (Mangano et al., 1997).
Accanto ai sintomi neurologici compaiono nausea, vomito, diarrea e, con elevata frequenza, alterata funzionalità renale con modificazioni morfologiche del tubulo. In particolare si verifica una perdita della capacità di concentrare le urine di origine nefrologica con comparsa di lesioni al tubulo distale e al dotto collettore con sviluppo di fibrosi e cisti che possono estendersi a tutto il nefrone (Hansen, 1981).
In caso di sovradosaggio interrompere immediatamente la somministrazione di litio e procedere a un trattamento sintomatico. Somministrare sali di NaCl poiché il sodio compete con il litio per il riassorbimento nel tratto prossimale del tubulo (Steele et al., 1975). Quantità troppo elevate di NaCl possono però generare ipernatriemia vista l’alterata funzionalità renale nell’intossicato. Indurre diuresi forzata con diuretici osmotici (acetazolamide o aminofillina) qualora la funzionalità renale non sia gravemente compromessa. In casi gravi procedere a emodialisi: in questo modo la concentrazione di litio decade rapidamente, ma una volta sospesa la dialisi si instaura un nuovo equilibrio tra il litio plasmatico e quello intracellulare, quindi il trattamento deve essere protratto per 10-12 ore. È comunque il procedimento più efficace (Sharman et al., 1997).
Tossicità riproduttiva: studi effettuati su animali da laboratorio hanno evidenziato che il litio, in gravidanza, può provocare danni al sistema cardiovascolare, exitus cellulare del neuroepitelio, con possibile insorgenza di difetti del tubo neurale nel neonato quando somministrato a dosi elevate; a dosi corrispondenti alla dose terapeutica nell’uomo non sono state osservate effetti embriofetali (Giles et al., 1997; Giles, Bannigan, 2006).
Nell’uomo l’esposizione al litio in gravidanza è associata a diversi effetti tossici, con particolare rilevanza per quelli cardiaci. Sulla base di segnalazioni di singoli casi, il litio è stato associato a difetti congeniti cardiovascolari fra cui si evidenzia l’anomalia di Ebstein (anomalia a carico della valvola tricuspide). Dai dati di letteratura disponibili, il rischio assoluto per l’anomalia di Ebstein risulta inferiore all’1%. Mentre attraverso la segnalazione di casi e studi retrospettivi (fra cui i dati tratti dal Lithium Baby Register danese che fa riferimento all’esposizione al litio in gravidanza fra gli anni 1968-1983) il rischio dell’anomalia di Ebstain è risultata compresa fra il 2 e il 5% (sovrastima), negli studi caso-controllo nessun bambino con anomalia di Ebstain è risultato esposto a litio (Yacobi, Ornoy, 2008). Negli studi prospettici inoltre non è stato rilevato un aumento del tasso di anomalie congenite associato al litio (Yacobi, Ornoy, 2008). In due studi di coorte, l’incidenza di malformazioni congenite per esposizione al litio durante il 1° trimestre di gravidanza è risultata simile a quella dei controlli (2,8% vs 2,4%) in un caso (Jacobson et al., 1992); superiore nell’altro (11,9% vs 3,9% (Kallen, Tandberg, 1983). In quest’ultimo studio l’esposizione o non esposizione a farmaci per il trattamento del disturbo bipolare era registrata in occasione delle visite prenatali. L’incidenza di morte perinatale e/o di malformazione congenita era risultata maggiore nelle donne esposte a litio i cui bambini presentavano soprattutto malformazioni cardiache. Lo studio presentava comunque il limite della dimensione del campione (studio di piccola entità) e non evidenziava una differenza statisticamente significativa fra litio e gli altri farmaci psicotropi assunti.
Altri effetti tossici neonatali correlabili al litio comprendono depressione del SNC (ipotonia/letargia), cianosi, cadiomegalia, alterazioni del ritmo cardiaco, ipotiroidismo, diabete, ipoglicemia, emorragia gastrointestinale, epatomegalia e polidramnios; tali effetti tendono a regredire nell’arco di 7-14 giorni. L’esposizione a livelli di litio superiori a 0,64 mEq/L durante il travaglio comporta un minor punteggio di Apgar, una prolungata permanenza in ospedale e un’incidenza maggiore di complicanze neuromuscolari e neurologiche nel neonato. La sospensione della terapia con litio 1-2 giorni prima del travaglio riduce significativamente la concentrazione di litio nel sangue materno (0,28 mEq/L) riducendo l’esposizione neonatale e la tossicità correlata (Newport et al., 2005).
In gravidanza la somministrazione simultanea di natriuretici e di diete povere di sodio può contribuire all’intossicazione da litio della madre e del neonato; durante la diuresi post-partum può verificarsi, da parte della madre, una ritenzione di litio potenzialmente tossica.
L’esposizione in utero al litio non risulta avere riflessi negativi sullo sviluppo neurologico, cognitivo e comportamentale del bambino (van der Lugt et al., 2011).
DL50
Dopo somministrazione orale (litio carbonato): 710 g/kg (ratto); 525 mg/kg (topo).
Dopo somministrazione intraperitoneale: 236 mg/kg (topo).