Contraccezione d’emergenza: per prevenire il concepimento è necessario adottare metodi contraccettivi; nel caso in cui tali metodi fallissero (es. per rottura del preservativo, spostamento del diaframma anticoncezionale, espulsione del diaframma intrauterino) o non venissero applicati, per ridurre il rischio di gravidanza indesiderata è possibile ricorrere, occasionalmente, al contraccettivo di emergenza a base di levonorgestrel. Esso deve essere assunto alla minor distanza di tempo possibile dal rapporto non protetto e comunque entro 72 ore, in quanto oltre tale periodo di tempo non è più garantita la massima efficacia.
In accordo con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), i produttori delle specialità medicinali contenenti levonorgestrel con indicazione per la contraccezione d’emergenza raccomandano nelle donne che assumono farmaci che stimolano l’enzima citocromiale CYP3A4, di raddoppiare la dose di levonorgestrel da 1,5 a 3 mg per compensare l’eventuale perdita di efficacia del progestinico causata dall’induzione enzimatica (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2017). Nella stessa nota si riporta che, benchè non sia previsto un aumento degli effetti collaterali con l’assunzione di una dose doppia di levonorgestrel, tuttavia, non essendo stata oggetto di studio l’associazione tra dose doppia e uso concomitante di un induttore enzimatico, si raccomanda di segnalare qualsiasi effetto indesiderato. Inoltre, nelle donne che assumono farmaci induttori enzimatici si raccomanda , in alternativa al levonorgestrel, come contraccezione d’emergenza i dispositivi intrauterini in rame fino a 5 giorni dopo il rapporto non protetto (Cu-IUD) (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2017).
Legislazione: la vendita del contraccettivo d’emergenza contenente levonorgestrel, comunemente chiamato “pillola del giorno dopo” è subordinata alla presentazione di ricetta medica non ripetibile redatta da un medico generico o da un ginecologo nel caso la paziente sia minorenne (età inferiore a 18 anni), mentre non richiede ricetta medica (farmaco SOP) nel caso la paziente abbia raggiunto la maggiore età (età =/> 18 anni) (Gazzetta Ufficiale, 2015, 2016 e 2016a).
Medici e farmacisti possono tuttavia rifiutarsi di prescrivere e dispensare il farmaco avvalendosi dell’obiezione di coscienza qualora fossero contrari all’aborto e considerassero la contraccezione d’emergenza un metodo abortivo.
La pillola del giorno dopo può essere o meno considerata un farmaco abortivo in base al momento in cui si ritiene che abbia inizio la gravidanza (al momento della fecondazione o al momento dell’impianto dell’ovulo).
La paziente che richiede la contraccezione d’emergenza ha comunque il diritto di ottenerla, pertanto i consultori devono essere sempre in grado di fornire la prestazione attivando sanitari non obiettori di coscienza.
Modalità di inizio del trattamento contraccettivo orale: il levonorgestrel in associazione a etinilestradiolo (pillola combinata) è impiegato come contraccettivo orale. Il contraccettivo orale viene somministrato secondo cicli di 21 giorni seguiti da una settimana di sospensione, nella quale in genere si verifica la perdita ematica (mestruo). L’assunzione della prima pillola deve avvenire all’inizio del ciclo mestruale (1° giorno delle mestruazioni); in caso di ritardo, cioè di assunzione tra il secondo e il quinto giorno del ciclo, si raccomanda di impiegare un metodo di contraccezione a barriera (es. preservativo, diaframma) nei successivi 7 giorni.
Nel caso di passaggio da un trattamento contraccettivo estroprogestinico ad un altro, la prima pillola della nuova associazione deve essere assunta preferibilmente il giorno successivo all’ultima compressa attiva o al massimo il giorno dopo la settimana di sospensione della pillola o il giorno dopo l’ultima compressa non attiva (placebo) del precedente prodotto.
Nel caso di passaggio dalla minipillola (solo progestinico) alla pillola combinata (progestinico più estrogeno), il nuovo contraccettivo può essere iniziato in qualsiasi momento.
Nel caso di passaggio da un impianto intrauterino al contraccettivo orale estroprogestinico, l’assunzione della compressa combinata deve avvenire in concomitanza con la rimozione dell’impianto o, nel caso di un contraccettivo iniettabile, nel giorno in cui dovrebbe essere effettuata la successiva iniezione. In tutti questi casi, è necessario utilizzare un metodo contraccettivo non ormonale per la prima settimana di assunzione del nuovo contraccettivo.
Dopo un aborto verificatosi entro il terzo mese di gravidanza si può iniziare subito l’assunzione della pillola combinata e non vi è la necessità di adottare misure contraccettive di supporto.
Dopo un parto o un aborto al secondo trimestre, è meglio aspettare 3-4 settimane prima di assumere contraccettivi orali combinati perchè nel periodo immediatamente successivo al parto vi è un maggior rischio di fenomeni tromboembolici; è raccomandato l’impiego di un ulteriore metodo contraccettivo nella prima settimana di assunzione della pillola. Tuttavia, se nelle 3-4 settimane successive al parto si fossero avuti rapporti sessuali non protetti, occorre verificare se è in corso una gravidanza o aspettare l’arrivo del ciclo prima di iniziare effettivamente l’assunzione del contraccettivo orale combinato.
Esami preliminari: la somministrazione di ormoni deve essere preceduta da un’attenta analisi della storia clinica del paziente e da un esame fisico (con particolare attenzione alla pressione arteriosa, al seno, all’addome e alle pelvi), da ripetersi successivamente con una frequenza almeno annuale. Tali esami sono importanti in quanto permettono l’individuazione di controindicazioni al trattamento o di fattori di rischio per la salute, che possono manifestarsi per la prima volta durante la terapia ormonale.
Condizioni che richiedono stretto controllo medico: il trattamento estroprogestinico può peggiorare o determinare la ricomparsa di leiomioma (tumore benigno uterino), endometriosi (crescita di tessuto endometriale in sedi anomale), ipertensione, malattie epatiche, diabete, calcolosi biliare, emicrania o cefalea (grave), lupus eritematoso sistemico, anamnesi di iperplasia endometriale, epilessia, asma, otosclerosi (difetto del labirinto osseo che può portare a sordità). L’uso di contraccettivi orali estroprogestinici richiede cautela in presenza di fattori di rischio per malattie tromboemboliche o per tumori estrogeno-dipendenti.
Assunzione irregolare del contraccettivo orale: l’assunzione non continuativa del contraccettivo aumenta il rischio di gravidanza. Tale rischio aumenta all’aumentare del numero di pillole dimenticate (non interrompere l’assunzione della pillola per più di 7 giorni) ed è maggiore se la mancata assunzione della pillola si è verificata nei primi giorni del ciclo o in prossimità della settimana di sospensione della pillola, se il tempo intercorso tra l’assunzione di 2 pillole consecutive supera le 12 ore.
La mancata comparsa dell’emorragia da sospensione dopo un impiego non regolare della pillola può essere segno di gravidanza in corso.
A seconda della settimana di trattamento in cui si è verificata la dimenticanza, si raccomandano i seguenti comportamenti per ridurre il rischio di gravidanza:
- prima settimana: assumere l’ultima compressa scordata non appena ci si accorge della dimenticanza, anche se questo determina l’assunzione concomitante di due compresse; assumere le successive compresse normalmente e nella settimana successiva alla dimenticanza impiegare un metodo contraccettivo non ormonale di supporto. Se nei 7 giorni precedenti alla mancata assunzione della pillola, si sono avuti rapporti sessuali, si deve considerare l’eventualità di una gravidanza in corso.
- seconda settimana: assumere l’ultima compressa scordata non appena ci si accorge della dimenticanza, anche se ciò comporta l’assunzione concomitante di due compresse; assumere le successive compresse normalmente; non è necessario l’utilizzo di un metodo contraccettivo aggiuntivo per 7 giorni come nel caso precedente, se nella settimana precedente la prima compressa dimenticata, il contraccettivo è stato assunto regolarmente; lo è invece in caso contrario o se le compresse dimenticate sono più di una.
- terza settimana: assumere l’ultima compressa scordata non appena ci si accorge della dimenticanza, anche se ciò comporta l’assunzione concomitante di due compresse; assumere le successive compresse normalmente e una volta terminata la confezione in corso iniziarne immediatamente una nuova senza sospendere l’assunzione della pillola per una settimana come al solito; l’emorragia da sospensione si verificherà alla fine della seconda confezione, tuttavia, nel frattempo, potrebbero verificarsi perdite ematiche (spotting o emorragia da rottura). Oppure, interrompere l’assunzione delle compresse della confezione in uso per 1 settimana al termine della quale iniziare una nuova confezione.
In entrambi i casi non è necessario l’impiego di ulteriori metodi contraccettivi se nella settimana precedente alla dimenticanza il contraccettivo è stato assunto regolarmente; altrimenti, occorre seguire la prima delle due opzioni proposte ed impiegare contraccettivi alterntivi, in aggiunta, per una settimana.
Interruzione del trattamento ormonale: interrompere l’assunzione dei preparati ormonali estroprogestinici in caso di ittero (colorazione giallastra di cute e mucose per l’accumulo di pigmenti biliari nel sangue), alterazioni della funzionalità epatica, ipertensione, inusuali attacchi emicranici o gravidanza.
Irregolarità mestruali: l’assunzione dei contraccettivi orali estroprogestinici, specie nei primi mesi di trattamento, è spesso associata a perdite ematiche vaginali anomale (spotting, emorragia da rottura); se questi sanguinamenti non scompaiono nel giro di qualche mese o ricompaiono all’improvviso, è necessario approfondirne le cause.
In alcune donne, nonostante un uso corretto del contraccettivo orale combinato, può non verificarsi l’emorragia da sospensione durante la settimana in cui viene interrotta l’assunzione della pillola. Quando non c’è perdita ematica (mestruo) nella settimana di sospensione e l’assunzione del contraccettivo per quel mese non è stato continuativo, prendere sempre in considerazione la possibilità di una gravidanza. Nel dubbio, eseguire sempre un test di gravidanza prima di iniziare un nuovo ciclo di contraccezione.
Generalmente l’assunzione di levonorgestrel ad alte dosi (contraccezione d’emergenza) non altera significativamente il ciclo mestruale; potrebbe però indurre gravi disturbi del ciclo se venisse assunto ripetutamente all’interno di uno stesso ciclo.
Circa 1/5 delle donne che impiegano il dispositivo intrauterino rilasciante levonorgestrel vanno incontro progressivamente ad oligomenorrea (mestruazioni distanziate) e/o amenorrea (assenza delle mestruazioni); una distanza di 6 settimane tra una mestruazione e la successiva può essere indicativa di gravidanza in corso, mentre, l’amenorrea non è in genere associata a stato interessante.
La maggior parte delle donne che utilizzano il dispositivo intrauterino in corso di estrogenoterapia sostitutiva continua, diventano amenorreiche entro un anno dall’inserimento del dispositivo.
Rischio cardiovascolare: la somministrazione prolungata di levonorgestrel determina un aumento del potenziale di ipercoagulazione (Singh et al., 1989); i contraccettivi orali estroprogestinici aumentano il rischio di eventi tromboembolici (occlusione dei vasi sanguigni determinata da trombi o emboli). Il rischio di eventi tromboembolici associato all’impiego del contraccettivo orale è circa doppio o triplo rispetto al non uso del contraccettivo, ma comunque più basso (810 eventi ogni 10.000 anni-donna) rispetto a quello comportato da una gravidanza o dal periodo post-partum (Heit et al., 2005).
Il rischio di tromboembolia associato ai contraccettivi combinati è più elevato nel primo anno di trattamento e alla ripresa dello stesso dopo una sospensione di durata uguale o superiore alle 4 settimane.
Tra i diversi contraccettivi estroprogestinici, quelli contenenti desogestrel, in alcuni studi osservazionali, sono risultati associati a tassi di tromboembolismo venoso leggermente superiori rispetto a quelli contenenti levonorgestrel (van Hylckama Vlieg et al., 2009; Lidegaard et al., 2009). Una revisione condotta a livello europeo nel 2014 sul rischio di tromboembolia associata ai contraccettivi orminali combinati ha concluso che tale rischio è più basso per quelli che contengono levonorgestrel, noretisterone e norgestimato (incidenza stimata di tromboemobolismo venoso (TEV) pari 5-7 per 10mila donne/anno di utilizzo; per le donne non in gravidanza che non utilizzano contraccettivi estroprogestinici, il rischio è pari a 2). Il rischio aumenta per gestedone, desogestrel e drospirenone (rischio relativo verso levonorgestrel, preso come riferimento: 1,5-2,0; incidenza stimata di TEV: 9-12 per 10mila donne/anno di utilizzo); etonogestrel e norelgestromina (rischio relativo verso levonorgestrel: 1,0-2,0; incidenza stimata di TEV: 6-12 per 10mila donne/anno di utilizzo). Il rschio di TEV per clormadinone, dienogest, nomegestrolo acetato non è noto (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2018).
Il rischio di fenomeni tromboembolici aumenta con l’età, nelle donne fumatrici, obese (BMI > 30 Kg/m2), con familiari che hanno già sofferto di tromboembolismo, che presentano alterazioni del metabolismo lipidico (dislipoproteinemia) o patologie cardiovascolari (ipertensione, difetti delle valvole cardiache, fibrillazione atriale), con stati trombofilici accertati (ipercoagulabilità), affette da lupus eritematoso sistemico, mentre non è chiaro se le vene varicose aumentino l’incidenza di fenomeni tromboembolici.
Altre fattori di rischio per eventi avversi di tipo circolatorio sono rappresentati da: diabete mellito, sindrome uremico-emolitica (patologia caratterizzata da anemia, trombocitopenia ed insufficienza renale acuta), morbo di Crohn e colite ulcerosa (malattie infiammatorie croniche dell’intestino), anemia falciforme.
La resistenza alla Proteina C Attivata (proteina che favorisce la dissoluzione dei coaguli), l’iperomocisteinemia (elevati livelli plasmatici di omocisteina, aminoacido dannoso per l’endotelio vascolare), il deficit di antitrombina III, proteina C ed S (proteine coinvolte nel processo di coagulazione), la presenza di anticorpi antifosfolipidici (aumentano la tendenza alla coagulazione) costituiscono anch’essi fattori predisponenti allo sviluppo di trombosi.
Poichè il rischio di eventi tromboembolici può risultare momentaneamente innalzato anche in caso di immobilizzazione di lunga durata per traumi o gravi interventi chirurgici, in caso di immobilizzazione prolungata è opportuno interrompere l’assunzione di estroprogestinici fino a quando la paziente non sarà nuovamente in grado di muoversi (in caso di intervento ortopedico concordato, la sospensione della pillola deve avvenire qualche settimana prima).
Se si verifica un incidente tromboembolico durante la terapia ormonale, interrompere il trattamento.
Segni e/o sintomi di trombosi in atto sono rappresentati da: dolore e/o gonfiore unilaterale agli arti inferiori, forte dolore improvviso al petto che si propaga o meno al braccio sinistro, difficoltà respiratoria improvvisa, tosse improvvisa, cefalea inusuale, grave o prolungata, improvvisa perdita completa o parziale della vista, visione doppia, difficoltà nel parlare, vertigine, collasso con o senza crisi epilettiche, debolezza o notevole insensibilità improvvisa di una parte o lato del corpo, disturbi motori, addome acuto (condizione clinica caratterizzata da intenso dolore e tensione addominale, nausea, vomito, alterata peristalsi, pallore, tachicardia).
I contraccettivi orali aumentano inoltre di 3 volte il rischio relativo di ictus ischemico nelle donne giovani che ne fanno uso; tuttavia, essendo il rischio assoluto di ictus in tale categoria di pazienti, in assenza di altri fattori di rischio, molto basso, l’aumento del rischio indotto dai contraccettivi non risulta significativo. Non ci sono al momento evidenze scientifiche che indichino differenze tra le varie associazioni estroprogestiniche a basso dosaggio (etinilestradiolo < 50 microgrammi) riguardo al rischio di tromboembolia arteriosa (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2018).
Poiché il profilo di rischio per tromboembolia può variare nel tempo, le donne che assumo controccettivi combinati dovrebbero essere rivalutate periodicamente in merito al proprio profilo di rischio.
Rischio di sviluppare tumori: l’uso cronico di contraccettivi orali può determinare un leggero aumento del rischio di tumore al seno, alla cervice uterina e al fegato (Burkman et al., 2004).
La terapia ormonale sostitutiva è stata associata ad un aumentato rischio di cancro alle ovaie (Zhou et al., 2008).
Infezione da HIV: i contraccettivi orali non sono efficaci nella prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale (come AIDS, sifilide, gonorrea, herpes genitale).
Diminuzione dell’efficacia: l’efficacia contraccettiva dei preparati estroprogestinici può risultare diminuita a causa di un ridotto assorbimento degli stessi che si può verificare in presenza di una grave sindrome di malassorbimento (es. morbo di Crohn) o in caso di insorgenza di vomito e/o diarrea a distanza di poche ore dall’assunzione.
Iperplasia endometriale: la somministrazione di estrogeni in monoterapia per lunghi periodi di tempo aumenta il rischio di iperplasia e di tumore endometriale; tale rischio risulta minore con la concomitante somministrazione di un progestinico come levonorgestrel per almeno 12 giorni per ciclo.
Folatemia: i contraccettivi orali combinati possono diminuire la folatemia (livelli sierici dei folati); ciò potrebbe costituire un problema se la donna rimane incinta poco tempo dopo la sospensione del trattamento contraccettivo, essendo i bassi livelli sierici di folati associati ad un aumentato rischio di difetti del tubo neurale (es. spina bifida) nel nascituro.
Fumo di sigaretta: le donne fumatrici, in particolare quelle che hanno più di 35 anni e che fumano 15 o più sigarette al giorno, risultano maggiormente esposte al rischio di eventi cardiovascolari derivanti dall’impiego dei preparati estroprogestinici
Cloasma: la terapia contraccettiva orale può determinare un disturbo estetico, detto cloasma, caratterizzato da macchie di colore giallo-bruno sulla pelle, in particolare del viso, causate dall’eccessiva produzione e deposito di melanina nella cute.
Tale disturbo, che si ritiene associato all’aumento degli estrogeni e del progesterone, è più probabile che si verifichi nelle donne con precedenti di cloasma gravidico. Alle donne con predisposizione al cloasma si raccomanda di non esporsi alla luce solare o ai raggi ultravioletti durante il trattamento contraccettivo.
Funzionalità epatica: in caso di comparsa di danni epatici acuti o cronici, può essere necessario sospendere l’assunzione del trattamento contraccettivo orale almeno fino a che non si è ristabilita la normale funzionalità epatica. In caso di ricomparsa di ittero colestatico, già verificatosi in gravidanza o durante un precedente trattamento ormonale, occorre interrompere l’assunzione della pillola combinata.
Cefalea: in caso di comparsa o aggravamento di episodi emicranici o sviluppo di frequenti, prolungati e gravi episodi di cefalea, interrompere l’assunzione della pillola combinata ed approfondire la causa dei disturbi.
Effetti sul metabolismo dei lipidi e dei carboidrati: i contraccettivi orali combinati possono aumentare la resistenza periferica all’insulina e diminuire la tolleranza al glucosio. Si raccomanda pertanto di monitorare eventuali segni di iperglicemia in caso di assunzione di contraccettivi orali da parte di pazienti diabetiche. In genere l’uso dei contraccettivi orali non richiede un aggiustamento della terapia antidiabetica.
Le donne con ipertrigliceridemia o storia familiare per questa condizione risultano maggiormente esposte al rischio di pancreatite associato all’impiego di contraccettivi orali.
Ritenzione dei liquidi: i contraccettivi orali combinati possono determinare ritenzione di liquidi e devono perciò essere impiegati con cautela nelle donne in cui tale effetto collaterale può determinare il peggioramento di condizioni mediche preesistenti.
Pressione sanguigna: l’uso di contraccettivi orali estroprogestinici può indurre un lieve aumento della pressione sanguigna, in media di 5 mmHg della pressione sistolica e di 3 mmHg della pressione diastolica (Weir, 1994); raramente tale aumento è clinicamente significativo e solo nell’1% delle donne si instaura ipertensione grave (Lubianca et al., 2003). In caso di ipertensione sintomatica è necessario interrompere l’assunzione del farmaco e trattare l’ipertensione. Nella maggior parte delle pazienti, la sospensione del trattamento contraccettivo orale determina la normalizzazione dei valori pressori (Lubianca et al., 2005); in alcuni casi questo può richiedere un lungo periodo di tempo (anche più di un anno). Se la pressione non si abbassa anche dopo un congruo periodo di tempo dalla fine del trattamento, è probabile che l’ipertensione non fosse determinata dagli ormoni sessuali.
I contraccettivi orali a base di solo progestinico sembrano non influire sulla pressione arteriosa (Adverse Drug Reaction Bullettin, 2006).
Disturbi della sfera emotiva: se durante l’assunzione dei contraccettivi orali combinati la donna diventa significativamente depressa, è necessario interrompere il trattamento ed impiegare un altro metodo contraccettivo non ormonale per determinare se tale sintomo è associato agli estroprogestinici. Le donne con storia di depressione devono essere tenute sotto stretto controllo e devono sospendere l’assunzione della pillola in caso di depressione grave.
Terapia ormonale sostitutiva (TOS): la somministrazione di preparati estroprogestinici per sopperire alla carente produzione di estrogeni del periodo menopausale deve essere limitata ai casi in cui sono presenti sintomi che influenzano negativamente la qualità di vita della paziente, deve avvenire al più basso dosaggio efficace e per il minor tempo possibile (solo finchè i benefici risultano maggiori dei rischi).
Le donne con amenorrea che non fanno uso di TOS o quelle che provengono da una TOS combinata continua (cioè che prevede la somministrazione giornaliera sia di estrogeni che di progestinici senza interruzione) con un’altra specialità, possono iniziare un nuovo trattamento ormonale sostitutivo in qualsiasi momento. Le donne che fanno uso di TOS sequenziali (cioè che prevedono la somministrazione di estrogeni e successivamente di estrogeni più progestinici), devono iniziare il trattamento con un nuovo prodotto subito dopo la fine dell’emorragia da sospensione.
Somministrazione transdermica: applicare il cerotto transdermico contenente levonorgestrel in una zona del corpo priva di pieghe (come glutei o fianchi, mai sul seno o vicino ad esso) e non sottoposta allo sfregamento dei vestiti, su pelle asciutta e pulita (in cui non vi siano stati applicati prodotti oleosi come creme o lozioni), integra (priva di irritazioni o escoriazioni). Cambiare per ogni cerotto la zona di applicazione.
Per garantire la massima aderenza, durante l’applicazione esercitare una pressione sul cerotto, in particolare sui bordi, per circa mezzo minuto; non è necessario rimuovere il cerotto durante l’igiene personale (bagno o doccia), mentre è consigliabile evitare di esporlo alla luce solare.
L’eccessiva sudorazione, derivante ad esempio da un’intensa attività fisica, e lo sfregamento dei vestiti possono favorire il distacco del cerotto prima del tempo: in tal caso, rimuoverlo e sostituirlo con un altro, da cambiare successivamente il giorno già precedentemente fissato; comportarsi allo stesso modo in caso ci si dimentichi dell’applicazione di un cerotto.
Al momento della rimozione, staccare il cerotto dalla pelle con cautela per evitare indesiderate irritazioni cutanee; usare prodotti oleosi (es. crema o lozione) per rimuovere le parti di adesivo eventualmente rimaste.
Somministrazione intrauterina: prima di inserire il sistema intrauterino a rilascio di levonorgestrel effettuare una visita ginecologica completa; escludere la presenza di gravidanza, di malattie sessualmente trasmesse, di patologie endometriali; determinare la posizione dell’utero e le dimensioni della cavità uterina. Il corretto inserimento del dispositivo garantisce la massima efficacia del sistema e minimizza il rischio di espulsione. Una volta inserito il dispositivo effettuare una seconda visita ginecologica a distanza di 1-3 mesi, da ripetere con cadenza annuale, in assenza di complicazioni.
Nelle donne in età fertile l’inserimento del dispositivo deve avvenire entro 7 giorni dall’inizio delle mestruazioni, mentre la sostituzione dello stesso può avere luogo in qualsiasi giorno del ciclo; nelle donne che hanno abortito entro il primo trimestre il dispositivo può essere inserito subito, mentre in quelle che hanno partorito dopo almeno 6 settimane.
Nelle pazienti in terapia estrogenica sostitutiva, l’inserimento del dispositivo intrauterino a rilascio di levonorgestrel può avvenire in qualsiasi momento in caso di amenorrea oppure negli ultimi giorni di perdita ematica (mestruazione o emorragia da sospensione).
Nei primi mesi successivi all’applicazione del dispositivo è abbastanza comune che si verifichino perdite ematiche irregolari (spotting); tuttavia, se tali sanguinamenti, si verificano a distanza di tempo dall’inserimento, è necessario approfondirne le cause.
Il dispositivo intrauterino a base di levonorgestrel non è raccomandato come primo approccio nelle donne che non hanno mai partorito (nullipare) e nelle donna in postmenopausa che presentino atrofia uterina in stadio avanzato.
Il dispositivo intrauterino a base di levonorgestrel deve essere rimosso in caso di emicrania, sintomi riconducibili ad ischemia cerebrale transitoria (es. emicrania focale con perdita asimmetrica della vista), cefalea particolarmente intensa, ittero, intenso innalzamento della pressione arteriosa, tumore ormono-dipendente noto o sospetto, gravi patologie cardiovascolari (es. stroke o infarto del miocardio).
Il dispositivo può essere rimosso tirando delicatamente i filamenti con una pinza da medicazione, nel caso in cui essi siano visibili; in caso contrario con una pinza ad anelli (può essere necessario dilatare il canale cervicale).
Il dispositivo intrauterino a rilascio di levonorgestrel può causare perforazione dell’utero. Nello studio di coorte prospettico, comparativo non interventistico EURAS-IUD (European Active Surveillance Study for Intrauterine Devices), il tasso di perforazione per i dispositivi a base di levonorgestrel è stato pari a 14 ogni 1000 inserimenti (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2018; Heinemann et al., 2015).
Il dispositivo ha una durata massima di 5 anni, al termine di questo periodo deve essere tolto e può essere sostituito subito con uno nuovo. Nelle donne fertili, la rimozione del dispositivo durante la mestruazione evita il rischio di gravidanze indesiderate, mentre la rimozione a metà del ciclo, se non seguita dall’inserimento di un nuovo dispositivo, non garantisce un’efficace azione contraccettiva nel caso in cui la donna abbia avuto rapporti sessuali nella settimana precedente.
L’inserimento e la rimozione del dispositivo intrauterino possono essere associati a dolore e sanguinamento, più raramente a episodi di svenimento (dovuti ad una reazione vaso-vagale) e a convulsioni (in pazienti epilettiche).
Se il dispositivo intrauterino non è stato posizionato correttamente, deve essere tolto e sostituito con uno nuovo; può essere utile verificare il posizionamento tramite ecografia o radiografia.
Il dispositivo intrauterino presenta dei filamenti che servono per la sua rimozione; questi filamenti possono essere usati anche per controllarne il posizionamento. Al controllo visivo, la scomparsa dei filamenti nella cervice deve indurre a sospettare una gravidanza. In alcuni casi i filamenti possono essere trascinati all’interno dell’utero o del canale cervicale per poi ritornare nella posizione corretta durante il successivo periodo mestruale.
Se non si riesce ad individuare i filamenti, anche per via strumentale, è probabile che il dispositivo intrauterino sia stato già espulso. In alcuni casi, l’espulsione spontanea del dispositivo può risultare asintomatica, in altri casi è associata a dolore e sanguinamento. Poiché inoltre il dispositivo intrauterino a base di levonorgestrel provoca una diminuzione del flusso mestruale, il suo aumento può essere considerato un segnale di espulsione.
Se l’inserimento del dispositivo intrauterino a rilascio di levonorgestrel è difficoltoso e compaiono sintomi quali dolore o sanguinamento eccessivo durante o dopo l’inserimento, le linee guida italiane sulla contraccezione intrauterina raccomandano di eseguire un esame fisico e una ecografia per escludere il rischio di perforazione dell’utero (Arisi et al., 2014).
Patologie cardiache: nelle pazienti affette da malattie cardiache congenite o patologie delle valvole cardiache a rischio di endocardite infettiva, prima dell’inserimento e della rimozione del dispositivo intrauterino deve essere attuata una terapia antibiotica profilattica.
Infezioni pelviche: in caso di frequenti episodi di endometrite o infezioni pelviche o infezioni acute che non si risolvono in breve, è necessario rimuovere il dispositivo intrauterino a base di levonorgestrel; in caso di sintomatologia discontinua indicativa di infezione in corso eseguire un esame batteriologico e monitorare la paziente.
Perforazioni uterine: seppur raramente, il dispositivo intrauterino può determinare, in particolare durante l’inserimento, perforazione o penetrazione del corpo dell’utero o della cervice.
Il periodo successivo al parto è associato ad un maggiore rischio di perforazione uterina, pertanto nelle donne che hanno appena partorito si raccomanda di rimandare l’applicazione del dispositivo di 6-12 settimane. In caso di perforazione, rimuovere il dispositivo.
Gravidanze ectopiche: il rischio di sviluppare una gravidanza ectopica (gravidanza in cui l’impianto dell’embrione avviene al di fuori dell’utero, spesso nelle tube) associato all’impiego del dispositivo intrauterino è maggiore in quelle pazienti che in passato sono state sottoposte a chirurgia tubarica, oppure che hanno sofferto di infezioni pelviche o che hanno già avuto gravidanze extrauterine. L’insorgenza di dolori al basso ventre, in particolare se associata alla scomparsa delle mestruazioni o alla comparsa di sanguinamenti uterini in donne precedentemente amenorreiche, può essere un segnale di gravidanza ectopica.
Ritardata atresia follicolare: occasionalmente il dispositivo intrauterino a rilascio di levonorgestrel può determinare un ingrossamento dei follicoli ovarici ritardandone la degenerazione. Questi follicoli ingrossati, simili alle cisti ovariche, sono presenti in circa il 12% delle pazienti che usano il dispositivo; nella maggior parte dei casi non danno sintomi, più raramente provocano dolore nella regione pelvica o dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia). Se la sintomatologia dolorosa non scompare spontaneamente entro pochi mesi, effettuare controlli ecografici e se necessario adottare idonei provvedimenti (fino all’intervento chirurgico).
Interazioni farmacologiche: le associazioni estroprogestiniche orali possono dare interazione farmacologiche con diversi farmaci. Valutare volta per volta l’eventualità di aggiustare la dose di contraccettivo orale o di adottare metodi contraccettivi alternativi (una concentrazione ematica di estroprogestinico insufficiente può vanificare l’effetto contraccettivo).
Gli ormoni somministrati per via transdermica risultano meno soggetti ad interazioni in quanto non subiscono l’effetto di primo passaggio epatico come quelli somministrati per via orale.
Non è noto se l’efficacia del dispositivo intrauterino rilasciante levonorgestrel possa venire influenzata dalla concomitante somministrazione di altri farmaci ma lo si ritiene poco probabile dato l’effetto prevalentemente locale di tale sistema.
Gravidanza: il levonorgestrel è controindicato in gravidanza, in quanto risulta inefficace nell’interrompere una gravidanza in atto e può provocare danni al feto (specialmente virilizzazione).
Il dispositivo intrauterino aumenta inoltre il rischio di aborto spontaneo, di parto prematuro, di gravidanza extrauterina, pertanto deve essere rimosso non appena la donna si accorge di essere incinta; se ciò non è possibile, interrompere la gravidanza oppure tenere sotto osservazione la donna per la precoce individuazione di complicazioni gravidiche.
Allattamento: il levonorgestrel viene escreto nel latte materno. Per ridurre al minimo l’esposizione del lattante, evitare di allattare nelle 8 ore successive all’assunzione del farmaco (Gainer et al., 2007). Sembra comunque che la somministrazione di contraccettivi progestinici in donne che allattano a partire dalla sesta settimana successiva al parto, non influenzi negativamente nè la salute del lattante nè la qualità e la quantità del latte materno, a differenza dei contraccettivi orali combinati che invece ne possono ridurre la quantità e alterare la composizione e devono quindi essere evitati durante l’allattamento.
Lattosio: le forme farmaceutiche di levonorgestrel contenenti lattosio fra gli eccipienti sono controindicate per i pazienti con intolleranza su base ereditaria al galattosio, con deficit della Lapp lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio.
Nota:
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