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Gemfibrozil

Lopid, Genlip e altri

Farmacologia - Come agisce Gemfibrozil?

Il gemfibrozil è un farmaco antilipemico, appartenente alla classe dei fibrati. E’ stato introdotto sul mercato negli anni 80.

Da un puno di vista chimico, il gemfibrozil è un derivato dell’acido fenossi-butirrico; tra l’ossigeno fenossilico (legato all’anello aromatico) e il gruppo isobutirrico [-C(COOH)(CH3)2] è presente una catena di tre atomi di carbonio (catena n-propilica) che, in associazione ai due gruppi metilici (-CH3) presenti sull’anello aromatico, conferisce alla molecola un’elevata lipofilia. Lo studio della relazione struttura chimica-attività farmacologica evidenzia che il gruppo isobutirrico è essenziale per l’attività farmacologica.

Prima di procedere ad analizzare l’attività ipolipemizzante del gemfibrozil e il suo meccanismo d’azione riportiamo alcuni brevi cenni sul metabolismo delle lipoproteine plasmatiche per una più agevole comprensione della trattazione.

Le lipoproteine plasmatiche
Le lipoproteine sono delle strutture complesse, più o meno sferiche, che servono per trasportare i grassi o lipidi nel sangue. Sono formate da una parte centrale (core) di trigliceridi ed esteri del colesterolo, circondati da fosfolipidi, colesterolo non esterificato e da proteine (apolipoproteine). Le apolipoproteine servono per attivare specifici enzimi e consentire il legame delle lipoproteine con i recettori di membrana delle cellule.

Le lipoproteine sono classificate in:
a) chilomicroni
b) lipoproteine a densità molto bassa (Very Low Density Lipoproteine o VLDL)
c) lipoproteine a densità intermedia (Intermediate Density Lipoprotein o IDL)
d) lipoproteine a bassa densità (Low Density Lipoprotein o LDL)
e) lipoproteine ad alta densità (High Density Lipoprotein o HDL)

Ogni classe di lipoproteine comprende a sua volta una famiglia di particelle che variano leggermente in densità, dimensioni, composizione proteica. La densità di una lipoproteina è determinata dalla quantità di lipidi e proteine presenti. Le HDL sono le lipoproteine più piccole e più dense, mentre le VLDL e i chilomicroni sono quelle più grandi e meno dense.

I chilomicroni si formano nell’intestino tenue e raccolgono i trigliceridi e il colesterolo introdotti con la dieta. Secreti nei vasi linfatici (chilomicroni nascenti), raggiungono la circolazione sanguigna (chilomicroni maturi) e i tessuti periferici, muscolare e adiposo, a cui cedono parte del loro contenuto in trigliceridi. I chilomicroni, divenuti così più piccoli, cedono poi colesterolo libero e fosfolipidi presenti sulla loro superficie alle lipoproteine HDL. Le particelle risultanti (chilomicroni “remnants”), ricche in esteri del colesterolo, arrivano al fegato dove sono catabolizzate tramite un processo che richiede l’intervento della componente proteica dei chilomicroni, la lipoproteina B-48 (ApoB-48).
Le VLDL sono sintetizzate nel fegato. Assomigliano ai chilomicroni nella composizione proteica, ma hanno un rapporto colesterolo/trigliceridi più alto (1:5). I trigliceridi in questo caso derivano principalmente dall’esterificazione epatica degli acidi grassi a lunga catena con il glicerolo. Rilasciate nel sangue, le VLDL immature inglobano ApoE e ApoC dalle HDL trasformandosi in VLDL mature. Queste ultime cedono poi parte del loro contenuto in trigliceridi al tessuto muscolare e adiposo. Le VLDL “remnants” si riducono progressivamente di grandezza e si trasformano in IDL, caratterizzate da un rapporto colesterolo/trigliceridi di 1:1. Le IDL e le VLDL “remnants” sono captate dal fegato che provvede a rimuoverne circa il 40-60%.
Le IDL non rimosse dal fegato, dopo aver ceduto il proprio contenuto in trigliceridi alle cellule epatiche e l’ApoE ad una HDL nascente, si trasformano in LDL. Le LDL trasportano verso i tessuti periferici circa il 70% del colesterolo plasmatico. Le LDL sono poi rimosse dal fegato per endocitosi.

Tutte le cellule sono in grado di sintetizzare colesterolo, ma solo le cellule del fegato possono metabolizzare ed eliminare il colesterolo dal corpo con la bile. L’equilibrio quindi dei livelli di colesterolo nella cellula (omeostasi) è mantenuto dal trasporto inverso del colesterolo, con il quale il colesterolo viene portato dai tessuti periferici al fegato dove viene in parte eliminato. Le lipoproteine coinvolte nel trasporto inverso del colesterolo sono le HDL.

Le HDL nascenti (pre-beta-HDL) sono sintetizzate nel fegato e nell’intestino e contengono apolipoproteina A1 e piccole quantità di colesterolo (10%) e fosfolipidi (lecitina). Rapidamente acquisiscono colesterolo non esterificato e fosfolipidi dai tessuti periferici tramite l’interazione tra ApoA1 e la proteina di membrana ABCA1 (ATP-binding cassette protein A1). ABCA1 è una proteina che funziona da trasportatore: localizzata sulla superficie cellulare e sulle membrane intracellulari del Golgi, trasporta i lipidi dalle membrane del Golgi alla superficie cellulare e da qui alle lipoproteine. Il colesterolo una volta incorporato nelle pre-beta-HDL viene esterificato, per impedirne la re-diffusione, tramite l’azione dell’enzima LCAT (lecitina-colesterolo aciltransferasi). L’ApoA1 stimola sia l’attività di ABCA1 sia quella di LCAT. Il passaggio di proteine e lipidi dai chilomicroni e dalle VLDL alle HDL trasforma queste ultime dalla forma immatura (pre-beta-HDL) alla forma mature (alfa-HDL).

Le HDL mature possono prendere diverse strade. Possono cedere colesterolo esterificato e ricevere trigliceridi dalle LDL e VLDL, le quali poi verranno rimosse dal sangue per endocitosi epatica, oppure interagire con il recettore SR-B1 presente sulla superficie cellulare ed espresso soprattutto nel fegato e nei tessuti steroidogenici (ovaio e surrene). Nel primo caso, le HDL arricchite in trigliceridi dopo lo scambio con leVLDL/LDL, diventano substrato della lipasi epatica che, idrolizzando trigliceridi e fosfolipidi, genera HDL di dimesioni ridotte, favorendo la dissociazione dell’ApoA1 dalle HDL. Le ApoA1 libere possono accettare nuovi lipidi dando origine a nuove pre-beta-HDL oppure possono essere eliminate per via renale. Nel secondo caso, il recettore SR-B1 rimuove selettivamente gli esteri del colesterolo dalla HDL mature senza degradare la porzione proteica, ApoA1, che può essere riciclata per generare nuove HDL immature. Il recettore SR-B1 gioca quindi un ruolo chiave nel mediare la captazione del colesterolo HDL nel fegato, controllando in questo modo i livelli di colesterolo nel sangue e il suo trasporto dal fegato alla bile. Le HDL possono anche essere internalizzate nei lisosomi delle cellule epatiche e dei tessuti steroidogenici (ovaio e surrene), quindi essere degradate o nuovamente secrete dopo essere state arricchite con colesterolo (retroendocitosi).

Attività ipolipemizzante
Il gemfibrozil è particolarmente efficace nel ridurre i trigliceridi mentre l’azione sul colesterolo è molto meno marcata, inferiore a quella dei sequestranti gli acidi biliari e delle statine nel ridurre il colesterolo totale, e degli altri fibrati nel ridurre il colesterolo-LDL nell’ipercolesterolemia primaria (Zimetbaum et al., 1991).

Durante la terapia con fibrati si osserva di norma un aumento significativo del colesterolo HDL (Olsson et al., 1976). Sebbene le linee guida sulla gestione del colesterolo redatte dall’American College of Cardiology sostengano che i farmaci ipolipemizzanti diversi dalle statine (tra cui i derivati dell’acido fibrico) non forniscano una riduzione del rischio accettabile rispetto ai loro potenziali effetti negativi nella prevenzione routinaria delle malattie aterosclerotiche cardiovascolari (ASCVD), il gemfibrozil è stato utilizzato con una discreta percentuale di successo come farmaco di seconda scelta, quando l’impiego di una statina era controindicato o non tollerato, nell’iperlipidemia mista, nell’ipercolesterolemia primaria e nel trattamento dell’ipertrigliceridemia grave con o senza bassi livelli di colesterolo HDL (Stone et al. 2014).

Nella pratica clinica, il gemfibrozil è usato per l’ipertrigliceridemia, l’iperlipidemia combinata familiare e la disbetalipoproteinemia (IIb, III, IV e V, secondo la classificazione di Fedrickson) nei pazienti a rischio pancreatite e che non reagiscono a provvedimenti dietetici oppure in individui con disturbi coronarici che non abbiano tratto profitto dalla perdita di peso, da misure dietetiche o da altri trattamenti farmacologici. Il gemfibrozil, come anche gli altri fibrati, possono essere utilizzati da soli o in associazione con niacina, sequestranti degli acidi biliari (in questo caso assumere 4-6 ore dopo o 1 ora prima il sequestrante), ma non con le statine.

Studi clinici
Lo studio più importante relativo al gemfibrozil è l’Helsinki HEART study, un trial clinico randomizzato della durata di cinque anni, eseguito in doppio-cieco. L’esito clinico primario dello studio era verificare la correlazione tra gli effetti del gemfibrozil sul quadro lipoproteico e l’incidenza di malattia coronarica in pazienti affetti da dislipidemia ma asintomatici a malattia cardiovascolare. I pazienti, oltre 4000 uomini di età compresa tra i 40 e i 55 anni, sono stati suddivisi in due gruppi: uno trattato con una dieta appropriata e gemfibrozil (600 mg due volte al giorno), l’altro, di controllo, trattato con dieta e placebo. Il gruppo in trattamento attivo, già a distanza di sei mesi, mostrava una riduzione del colesterolo totale del 10%, del colesterolo LDL dell’11%, dei trigliceridi plasmatici del 35% e un incremento del colesterolo HDL dell’11%. Lo studio ha evidenziato che le variazioni del profilo lipoproteico nei pazienti in terapia con gemfibrozil erano associate a una riduzione del 34% (IC95%: 8,2-52,6; P<0,02) dell’incidenza di malattie coronariche, in particolare nei tipi IIb (caratterizzate da elevati livelli di lipoproteine LDL e VLDL in base alla classificazione di Friedrickson), IV (caratterizzato da elevati livelli di VLDL) e nei pazienti con bassi livelli di partenza di colesterolo LDL (Manninen et al., 1988; Frick et al., 1987). Le indicazioni al trattamento farmacologico con fibrati infatti comprendono soprattutto gli stati ipertrigliceridemici o, comunque, le iperlipidemie dovute ad metabolismo difettoso delle VLDL (tipi IIb e IV).

La sperimentazione clinica su pazienti iperlipidemici ha confermato che il gemfibrozil riduce sensibilmente le VLDL e i trigliceridi, aumenta moderatamente le HDL e ha effetti variabili sulle LDL (Eisalo, Mannien, 1976; Weisweiler, 1988). Sembra infatti che tenda ad aumentare queste ultime nei pazienti con ipertrigliceridemia (ma non a livelli eccessivi) e a ridurle nei pazienti con livelli di trigliceridi nella norma; nei pazienti con ipertrigliceridemia e livelli di colesterolo LDL particolarmente elevati, la sola terapia con gemfibrozil può non essere sufficiente a normalizzare il quadro lipidico (Vega, Grundy, 1985). L’analisi di tre casi clinici ha mostrato che nei pazienti affetti da iperlipidemia di tipo V (caratterizzata da alti livelli di chilomicroni e VLDL secondo la classificazione di Friedrickson) il gemfibrozil è in grado di ridurre sia i trigliceridi sia il colesterolo (Varthakavi et al., 1990; Leaf et al., 1989).

Gli effetti del gemfibrozil nel ridurre i trigliceridi e nell’aumentare il colesterolo HDL sono risultati più pronunciati nei pazienti con i livelli di trigliceridi a digiuno più elevati (Barter, Eye, 2008).

Uno studio comparativo tra clofibrato e gemfibrozil ha mostrato una riduzione dei trigliceridi totali rispettivamente del 32% e 51%, una riduzione dei trigliceridi VLDL del 38% e 57% e un aumento del colesterolo HDL, solo per il gemfibrozil, del 31% (Kesaniemi, Grundy, 1984). In altri due studi comparativi sempre tra gli stessi farmaci, il confronto a livello clinico ha evidenziato un’efficacia terapeutica sovrapponibile nel trattamento dell’iperlipidemia di tipo IIb, IV e V (Howard, Ghosh, 1976; Rabkin et al., 1988).

In pazienti con iperlipoproteinemia di tipo II il gemfibrozil ha ridotto i livelli di trigliceridi e di colesterolo VLDL e aumentato il colesterolo HDL. E’ risultato ridurre anche il colesterolo LDL e il rapporto colesterolo LDL/colesterolo HDL, ma solo nei pazienti con iperlipoproteinemia di tipo IIa (con trigliceridi normali ma elavato colesterolo LDL), non nei pazienti con iperlipoproteinemia tipo IIb (caratterizzata da livelli elevati di colesterolo LDL, VLDL e trigliceridi). Secondo gli autori questa differenza era dovuta all’accelerato catabolismo delle lipoproteine VLDL in LDL nei pazienti con iperlipoproteinemia IIb. In entrambi i gruppi di pazienti, comunque, il gemfibrozil ha abbassato livelli delle ApoB e ha indotto marcato aumento delle concentrazioni di ApoA1 e ApoA2, parte proteica delle HDL, spesso ridotta nei pazienti con ipertrigliceridemia (Lupien et al., 1991; Kashyap et al., 1991). La normalizzazione delle apolipoproteine è un importante fattore protettivo contro l’aterosclerosi.

Ulteriori conferme di efficacia clinica del gemfibrozil nell’iperlipoproteinemia di tipo IIa, IIb e IV (elevati livelli di VLDL) sono state riportate in due studi clinici, uno condotto in pazienti con ipercolesterolemia primaria e l’altro in pazienti di sesso maschile che avevano avuto un infarto miocardico. In entrambi gli studi il gemfibrozil è risultato efficace nel ridurre i trigliceridi, il colesterolo totale, il colesterolo LDL e l’ApoB e nell’incrementare i valori delle HDL e dell’ApoA1 (Kaukola et al., 1981; Nash, 1980).

Anche nell’iperlipoproteinemia di tipo III (caratterizzata da aumento delle IDL), il gemfibrozil ha evidenziato efficacia terapeutica (Civeira et al., 1999; Hoogwerf et al., 1984; Vessby et al., 1976). 

Una revisione sistematica Cochrane di sei studi clinici ha evidenziato come l’utilizzo del gemfibrozil, e dei fibrati in generale, in prevenzione primaria, riduce anche se di poco (riduzione del rischio assoluto <1%) il rischio per eventi coronarici e cardiovascolari rispetto al placebo (endpoint primari: morte, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale; risk ratio (RR)=0,84, IC95%: 0,74-0,96; 16135 partecipanti) ma non la mortalità totale o la mortalità non-cardiovascolare.  Evidenze – sebbene di bassa qualità - hanno mostrato, inoltre, come i fibrati non siano associati ad un aumento di effetti collaterali (Jakob et al., 2016).

Nei pazienti con grave iperlipidemia, una strategia utile può essere l’associazione tra gemfibrozil e sequestranti degli acidi biliari (Nash, 1983). Nei pazienti con iperlipidemia grave e nefrosica, la combinazione colestiramina-gemfibrozil permette un abbassamento della saturazione di colesterolo nella bile (Odman et al., 1991). Anche una terapia con gemfibrozil e colestipolo provoca un drastico abbassamento dei lipidi. Nei pazienti anziani con ipertrigliceridemia il trattatamento con gemfibrozil ha portato a miglioramenti del flusso ematico cerebrale e dei processi cognitivi (Rogers et al., 1989).

Una considerazione specifica richiede l’impiego del gemfibrozil nel paziente diabetico. Nei pazienti diabetici in genere si osserva un aumento di trigliceridi, una riduzione di colesterolo HDL e valori più o meno stabili di colesterolo LDL (aumentano le particelle LDL di piccole dimensioni e dense che sono associate ad un incremento del rischio di malattia coronarica). Nonostante sia più efficace delle statine nel ridurre i trigliceridi nei diabetici, il gemfibrozil non rappresenta un farmaco di scelta nel trattamento delle dislipidemie in questa classe di pazienti perché può indurre un aumento delle LDL (Kreisberg, 1998). È stato dimostrato che dosaggi di 400-800 mg/die di gemfibrozil hanno un’efficacia inferiore nell’abbassare i trigliceridi plasmatici quando somministrati ai pazienti diabetici rispetto ai pazienti non diabetici (de Salcedo et al., 1976).

Meccanismo d’azione
Il meccanismo d’azione del gemfibrozil non è stato ancora definito completamente. Molti dei suoi effetti farmacologici sui lipidi plasmatici sono mediati dall’interazione con i recettori alfa della proliferazione perossisomiale (Peroxisome Proliferator Activated Receptor alpha o PPAR alpha) e in minor misura con quelli delle sottoclassi beta/delta e gamma.

I PPAR appartengono alla superfamiglia dei recettori nucleari come i recettori per i glucocorticoidi, per la vitamina D, per l’acido retinoico etc. In vivo i PPAR si legano al recettore X dei retinoidi formando un complesso stabile che nel nucleo si lega con elevata affinità a molecole proteiche che ne impediscono l’interazione con il DNA (co-repressori). Quando i PPAR si trovano a contatto con un potenziale ligando, modificano la propria struttura tridimensionale con perdita di affinità per i co-repressori proteici, che quindi si staccano. I PPAR, complessati con il recettore X dei retinoidi e il proprio ligando, sono in grado di interagire con il DNA e attivare alcuni dei geni coinvolti nel controllo della crescita, della proliferazione e del metabolismo cellulare (Michalic, Wahli, 2006).

I PPAR sono distinti in alfa, beta/delta e gamma. Gli alfa sono coinvolti principalmente nel controllo del metabolismo lipidico e lipoproteico (Barter, Rye, 2008; Berger et al., 2005). I ligandi naturali di questo tipo di recettori sono rappresentati da vari acidi grassi, soprattutto insaturi (acido oleico, linoleico, linolenico, arachidonico, palmitico, decosaesanoico e idrossi-eicosatetranoico o HETE) e dal leucotriene B4. I PPARalfa si trovano prevalentemente nelle cellule del fegato e del tessuto adiposo bruno, in misura inferiore nelle cellule dei muscoli e del cuore (tessuto muscolare striato) e nelle cellule della parete delle arterie (endotelio, tessuto muscolare lischio e macrofagi) dove contribuiscono a controllare la sintesi della componente proteica delle lipoproteine.

I fibrati, incluso il gemfibrozil, agiscono come agonisti dei recettori PPARalfa modulando la trascrizione di numerosi geni. Nello specifico l’interazione fibrati-PPARalfa determina (Barter, Rye, 2008):
a) riduzione della concentrazione di trigliceridi (fino al 40%) per inibizione della sintesi endogena;
b) aumento dell’espressione del gene per la lipasi lipoproteica (LPL) e inibizione della sintesi dell’apolipoproteina-C3. La lipasi lipoproteica è l’enzima responsabile dell’idrolisi dei trigliceridi e dei fosfolipidi nelle lipoproteine plasmatiche ricche in trigliceridi. L’apolipoproteina-C3 è una proteina che inibisce la lipasi lipoproteica e ritarda pertanto il catabolismo delle lipoproteine ricche in trigliceridi. L’effetto netto è quello di un aumento dell’utilizzazione (lipolisi) dei trigliceridi a livello periferico e un conseguente aumento delle lipoproteine pre-beta-HDL, iniziali accettori del colesterolo libero proveniente dalle cellule (Rossi, Cuomo, Riccardi, 2005).

I fibrati inoltre agiscono sulla concentrazione del colesterolo presente nelle lipoproteine ad elevata densità (HDL) con meccanismi non ancora del tutto chiariti (Barter, Rye, 2008):
a) aumentano l’espressione dei geni che codificano per le apolipoproteine-A1 (ApoA1) (+13-20%, alcuni studi riportano il 2-4%) e A2 (ApoA2) (+30%) con conseguente aumento dei livelli plasmatici di HDL fino al 10%. ApoA1 e ApoA2 sono le due principali proteine contenute nelle lipoproteine HDL;
b) aumentano l’espressione di una proteina, trasportatore di membrana, chiamata ATP-binding cassette A1 o ABCA1. Questa proteina favorisce l’efflusso di colesterolo in eccesso dalle cellule dei tessuti alle lipoproteine HDL immature. In particolare ABCA1 media il passaggio di colesterolo e fosfolipidi alla ApoA1 e all’ApoE che produrranno le HDL mature.

I fibrati sono risultati inibire la produzione di alcuni mediatori dell’infiammazione e di molecole coinvolte a vario titolo nel processo di aterogenesi: interleuchina-6, fibrinogeno, inibitore-1 dell’attivatore del plasminogeno (Plasminogen Activator Inhibitor-1) e endotelina-1.

Il gemfibrozil, come tutti i fibrati, accelera di fatto il turnover e la rimozione del colesterolo dal fegato nella bile, favorendone l’eliminazione per via fecale.