L’eparina (INN: Heparin) è un farmaco di origine naturale ottenuto per estrazione dai mastociti dei tessuti animali. È costituita da polisaccaridi anionici a catena lineare di peso molecolare compreso fra 7000 e 14000; i monomeri sono formati da glucosamina solfato e acido iduronico oppure acido glicuronico.
L’eparina è un anticoagulante diretto, esercita la sua azione anche in vitro.
È fortemente acida per la presenza di gruppi carbossilici e solfati uniti con legami covalenti.
Iniettata nel circolo sanguigno, mostra due effetti importanti: interviene nell’emostasi inibendo la formazione di trombina e svolge un’azione antilipemica attivando le lipasi.
L’effetto anticoagulante è il più evidente e si esplica in presenza di un cofattore plasmatico: l’antitrombina III (a-globulina) al cui radicale lisinico l’eparina si lega, formando un complesso in grado di accelerare le reazioni di neutralizzazione di diversi fattori quali: XIIa, XIa, IXa, Xa, IIa, XIIIa, callicreina: ciò impedisce la formazione di trombina e quindi di fibrina.
La somministrazione di eparina può ridurre l’attività dell’antitrombina III a valori di circa un terzo rispetto a quelli normali; ciò può aumentare la tendenza trombo-embolica (effetto paradosso); l’effetto paradosso proaggregante sembra essere inversamente proporzionale all’affinità dell’eparina per l’antitrombina III.
A livello delle cellule endoteliali, dove avviene l’inattivazione dei fattori attivi della coagulazione, l’eparina sembra legarsi a recettori con un legame ad elevata affinità; aumentando la dose di farmaco si saturano i recettori endoteliali e aumentano i livelli plasmatici.
La somministrazione sottocutanea di eparina è stata proposta quale alternativa a quella ev. nel trattamento della fase acuta della malattia tromboembolica, in particolare nel trattamento delle trombosi venose profonde.
Nel trattamento delle trombosi venose profonde, la somministrazione di eparina sottocutanea presenterebbe rispetto a quella di eparina endovena (Hommes et al, 1992):
1) efficacia analoga o superiore (efficacia definita come prevenzione dell’estensione del trombo e delle recidive dell’evento tromboembolico);
2) analogie di sicurezza (riduzione assoluta pari all’1,1% di eventi emorragici maggiori nei pazienti trattati per via sottocutanea rispetto a quelli trattati per via endovena);
3) mobilizzazione precoce del paziente (con il trattamento per via sottocutanea).
La somministrazione sottocutanea è stata inoltre proposta quale alternativa agli anticoagulanti orali per la profilassi delle recidive dopo l’episodio acuto di malattia tromboembolica venosa.
Rispetto agli anticoagulanti orali, l’eparina sottocutanea presenterebbe:
1) analoga efficacia terapeutica;
2) minore incidenza di rischio emorragico.
Sarebbe da preferire agli anticoagulanti orali in caso di gravidanza (non permea la barriera placentare) e di pazienti che non possono sottoporsi regolarmente alla determinazione del tempo di Quick.
Riguardo al suo effetto sui lipidi plasmatici, l’eparina provoca il rilascio delle lipasi lipoproteiche associate all’endotelio vascolare che idrolizzano i trigliceridi e le VLDL in acidi grassi e gliceridi.
Ulteriori proprietà dell’eparina sembrano essere (Jaques, 1982):
1) riduzione della secrezione di aldosterone;
2) aumento della concentrazione plasmatica di tiroxina;
3) riduzione dell’immunità cellulo-mediata;
4) soppressione delle reazioni di rigetto;
5) ritardo della cicatrizzazione delle ferite.
Nel trattamento del tromboembolismo venoso, il rischio di eventi tromboembolici recidivanti, embolia polmonare, sanguinamenti maggiori o minori e trombocitopenia associato all’eparina non frazionata non è significativamente differente da quello determinato dalle eparine a basso peso molecolare; la mortalità totale, invece, è risultata significativamente inferiore con l’impiego delle eparine a basso peso molecolare (Dolovich et al., 2000).
In pazienti con sindromi coronariche acute (angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST), l’eparina non frazionata e le eparine a basso peso molecolare diminuiscono la mortalità e la ricorrenza di fenomeni di angina, e determinano sanguinamenti minori o maggiori in modo comparabile; le eparine a basso peso molecolare, tuttavia, diminuiscono il rischio di infarto e la necessità di ricorrere ad interventi di rivascolarizzazione più efficacemente dell’eparina non frazionata e risultano associate ad un minor rischio di trombocitopenia (Magee et al., 2003).
In pazienti con ictus ischemico acuto, la somministrazione di eparina (5000 UI o 12500 UI per via sottocutanea 2 volte/die entro 48 ore dall’inizio dei sintomi, per 14 giorni) non apporta nessun beneficio clinico: non diminuisce significativamente la mortalità precoce (entro 14 giorni) o tardiva (dopo 6 mesi) e non migliora il grado di autosufficienza a distanza di 6 mesi dall’evento; diminuisce le recidive precoci di ictus ischemico ma aumenta in pari misura il numero di ictus emorragici (International Stroke Trial Collaborative Group, 1997).
Nel trattamento dell’angina instabile e dell’infarto miocardico non Q, la somministrazione di tirofiban (antagonista non peptidico del recettore piastrinico della glicoproteina IIb/IIIa, coinvolto nell'aggregazione piastrinica), in associazione alla terapia standard (aspirina più eparina), riduce il rischio combinato di nuovo episodio ischemico e morte ed il rischio combinato di decesso, nuovo episodio ischemico e ischemia refrattaria dopo una settimana rispetto al trattamento con aspirina ed eparina da sole (N. Engl. J. Med., 1998).
In pazienti in terapia con streptochinasi e aspirina per infarto miocardico acuto, la somministrazione di hirulog a basse (0.125 mg/kg in bolo seguiti da 0.25 mg/Kg/h per 12 ore poi 0.125 mg/Kg/h) o ad alte dosi (0.25 mg/kg in bolo seguiti da 0.5 mg/Kg/h per 12 ore poi 0.25 mg/Kg/h) si è rivelata più efficace del trattamento eparinico (5000 Unità in bolo seguite da 1000-1200 U/h) nel produrre una precoce riperfusione dell’arteria infartuata senza incrementare il rischio di emorragie.
Infatti, la trombolisi nell’arteria infartuata è stata del 35% con eparina, del 46% con basse dosi di hirulog, del 48% con alte dosi di hirulog; gravi emorragie si sono verificate nel 28% dei pazineti trattati con eparina, nel 14% dei pazienti in terapia con hirulog a basse dosi e nel 19% dei pazienti che hanno assunto hirulog ad alte dosi; invece, la percentuale di pazienti in cui si è verificata riocclusione entro 24 ore ed il numero di pazienti andati incontro a morte, shock cardiaco o reinfarto dopo 35 giorni non differiva significativamente in base al trattamento ricevuto (White et al., 1997).
In pazienti in attesa di intervento coronarico percutaneo, pretrattati con clopidrogel ed aspirina, l’uso della bivalirudina è associato ad una minore incidenza di eventi emorragici e di complicazioni ischemiche e ad un miglior risultato clinico netto, tenuto conto dell’efficacia (complicazioni ischemiche) e della sicurezza (complicazioni emorragiche), rispetto alla terapia eparinica.
Infatti, l’incidenza di gravi emorragie è stata dello 0,5% (0,9% dopo 30 giorni) nei pazienti randomizzati a ricevere bivalirudina e del 2,1% (2,8% dopo 30 giorni) nei pazienti trattati con eparina; il tasso di decessi, infarti, e di rivascolarizzazione del vaso bersaglio è stato del 2,8% vs 3,3% ed il tasso di risultato clinico netto è stato del 6,4% vs 7,8% rispettivamente con bivalirudina ed eparina (Parodi et al., 2010).
L’argatroban, inibitore diretto della trombina, viene sempre più spesso usato in alternativa all’eparina per mantenere un’adeguata anticoagulazione durante interventi non cardiaci in pazienti con trombosi. Tuttavia, in caso di by pass cardiovascolare, il suo impiego deve essere limitato ai casi in cui sono controindicati l’eparina o gli altri inibitori della trombina perchè potrebbe indurre la formazione di coaguli nel circuito extracorporeo ed una prolungata anticoagulazione che persiste anche dopo l’interruzione della somministrazione (Follis et al., 2010); in caso di trombocitopenia eparino-indotta, riduce l’incidenza di trombosi e di decessi causati da trombosi (Lewis et al., 2003).
Sono stati riportati 2 casi di coagulazione intravascolare disseminata trattati con successo con la combinazione di dipiridamolo (20 mg/die in infusione endovena continua) e basse dosi di eparina (250 microg/kg/ora o 25 IU/kg/ora) (Gomes O.M., Gomes E.S., 2010).
In pazienti con ustioni di secondo o terzo grado sul 10-30% della superficie corporea (n=58, età 18-55 anni), la somministrazione topica di eparina (4200 UI ogni 1% di superficie corporea ustionata) è stata associata ad una minor richiesta di farmaci analgesici, a minor dolore e febbre e a maggior sanguinamento rispetto alla terapia convenzionale a base di sulfadiazina d’argento; nessuna differenza tra i due trattamenti per quanto riguarda l’incidenza di infezioni locali e di setticemia (Barretto et al., 2010).
L’applicazione topica di eparina si è rivelata efficace anche in 3 giovani pazienti immunosoppressi con dermatite perineale o ustioni di secondo grado in cui ha evitato il ricorso alla chiusura secondaria delle ferite; in particolare, il controllo del dolore, fondamentale per i pazienti pediatrici, è stato raggiunto entro 24 ore dall’inizio del trattamento (Ferreira Chacon et al., 2010).
L’iniezione intramuscolare giornaliera di un complesso di arginina-eparina per 5 giorni prima della somministrazione di un metabolita diabetogeno, l’allossano, non ha causato l’insorgenza di diabete insulino-dipendente negli animali per 3 settimane (Ul'ianov et al., 2010).