Il daclatasvir è un farmaco antivirale ad azione diretta contro la replicazione del virus dell’epatite C (HCV). In particolare esercita un’azione inibitrice della proteina non strutturale 5A, codificata dal gene NS5A, di cui non si conosce l’esatta funzione, ma che è importante per la replicazione dell’RNA virale e per la successiva composizione delle particelle virali.
Il trattamento standard per l’epatite C prevede la somministrazione di interferone alfa più ribavirina. Dal 2011 sono stati resi disponibili i primi antivirali ad azione diretta, che hanno come target proteine specifiche del virus dell’epatite C.
Daclatasvir è approvato in combinazione con sofosbuvir per il trattamento del virus HCV di genotipi 1,3 e 4 e in combinazione con peginterferone alfa e ribavirina per il trattamento del virus HCV di genotipo 4.
Sono stati condotti dei saggi in vitro di valutazione dell’attività del daclatasvir: quando incubato con cellule in coltura contenenti repliconi virali, ha mostrato un’elevata potenza inibitoria, con una EC50 (concentrazione di farmaco necessaria per ottenere il 50% dell’effetto massimo) minore di 0,05 nM per i virus HCV di genotipo 1, tra 0-003 e 1,25 nM per i genotipi 3,4,5,6 e 0,02 nM per il genotipo 2. Verso altri virus, diversi da HCV, il daclatsvir non è attivo.
Alla luce di queste considerazioni è possibile affermare che il daclatasvir è selettivo verso il virus HCV e, tra i farmaci ad azione antivirale diretta, è quello con potenza maggiore e con il più ampio spettro d’azione perché si è dimostrato attivo verso il numero più elevato di genotipi del virus HCV. Inoltre il daclatasvir ha manifestato effetti additivi o sinergici con l’interferone, la ribavirina e i farmaci inbitori della proteasi e della polimerasi del virus; ciò lo rende un ottimo farmaco da usare nelle combinazioni terapeutiche (Gao et al., 2010).
Sempre attraverso saggi svolti su colture cellulari è stato possibile identificare mutazioni del gene NS5A che conferiscono resistenza al daclatasvir. Il profilo di mutazioni non si sovrappone a quello degli inibitori della proteasi o della polimerasi del virus HCV, che vengono usati in combinazione con il daclatasvir nella terapia antivirale (Wang et al., 2014).
L’effettiva efficacia clinica del daclatasvir è stata valutata in diversi trial, attraverso la determinazione della risposta virologica sostenuta (SVR), ossia della condizione di assenza del virus HCV in circolo dopo 12 settimane (SVR12) o 24 settimane (SVR24) dalla fine del trattamento.
Nello studio iniziale AI444040 sono stati trattati pazienti infetti da genotipo 1,2 o 3, somministrando il daclatasvir (60 mg/die) in combinazione con il sofosbuvir, con o senza ribavirina. Tra i pazienti con HCV di genotipo 1 il 99% ha ottenuto la SVR12, tra quelli con genotipo 2 il 96% e tra quelli con genotipo 3 l’89% (Sulkowski et al., 2014). L’efficacia della terapia con daclatasvir e sofosbuvir per i pazienti infetti da HCV con genotipo 3 è stata in seguito confermata dallo studio ALLY-3, nel quale i pazienti non cirrotici hanno raggiunto la SVR12 in una percentuale maggiore del 90% (Nelson et al., 2015).
La terapia con daclatasvir, sofosbuvir e ribavirina ha dimostrato di essere efficace anche in pazienti con cirrosi o con recidiva di epatite dopo essersi sottoposti al trapianto di fegato (EASL, 2015).
Lo studio ALLY-2, invece, ha valutato la terapia su pazienti co-infetti da HCV e HIV, confermando l’efficacia intorno al 90% per il trattamento della durata di 12 settimane (Luetkemeyer et al., 2016; Swallow et al., 2016).
Un altro studio clinico, invece, ha confrontato l’efficacia del trattamento tradizionale con peinterferone alfa e ribavirina rispetto al trattamento con peginterferone e ribavirina con l’aggiunta di daclatasvir, nei pazienti con epatite C cronica infetti da HCV di genotipo 4. È stato mostrato come l’aggiunta di daclatasvir sia decisiva per ottenere una risposta migliore, pertanto questa terapia è tra quelle raccomandate per il trattamento dell’infezione da parte del genotipo 4 (Hézode et al., 2015).