Il cortisone è un glucocorticoide naturale isolato dalla corteccia surrenale. È un derivato del ciclopentanoperidrofenantrene e si differenzia da questo per la presenza di un gruppo chetonico in posizione 3 e in posizione 11 e per quella di un doppio legame in posizione 4-5.
L’attività del cortisone è sia di tipo glucocorticoide che di tipo mineralcorticoide e possiede una spiccata azione antiinfiammatoria.
Agisce a livello del metabolismo intermedio aumentando la disponibilità di glucosio e stimolando il catabolismo proteico e la lipolisi; agisce a livello del bilancio idrico ed elettrolitico aumentando il riassorbimento di sodio e l’escrezione di potassio e calcio; del sistema cardiovascolare mantenendo il volume ematico esercitando un’azione vasocostrittrice sui vasi più piccoli.
Inibisce la risposta tissutale agli stimoli infiammatori intervenendo a vari livelli: mantenimento dell’integrità capillare e della motilità dei macrofagi; inibizione della fagocitosi e digestione degli antigeni, inibizione della liberazione degli enzimi idrolitici lisosomiali.
Nel plasma il cortisone si lega ad una proteina globulare, la transcortina, per la quale ha grande affinità, e così veicolato passa attraverso la membrana cellulare. Qui il cortisone si lega ad una glicoproteina, formando un complesso nucleoaffine che, penetrato nel nucleo, stimola la trascrizione dell’mRNA con formazione di enzimi specifici.
Il cortisone (10 mg ogni 6 ore per i primi 4 giorni di infezione) è risultato efficace nel trattamento della meningite batterica acuta (Doctor, 2003). La somministrazione del cortisone 10 minuti prima della terapia antibiotica è stata associata a riduzione dell’edema cerebrale, dello shock settico e delle vasculiti diffuse causati dalle endotossine rilasciate dalla lisi batterica provocata dagli antibiotici
Dati preliminari hanno evidenziato l’efficacia dell’idrocortisone, metabolita attivo del cortisone, somministrato per via endovenosa nel trattamento della cefalea successiva a puntura epidurale. Attualmente si ricorre alla tecnica del blood-patch che consiste nell’iniezione di 15-20 ml di sangue, prelevato dalla paziente da una vena periferica, nello spazio peridurale per chiudere il foro durale e restaurare la normale pressione liquorale; generalmente la cefalea si attenua rapidamente (3-15 min) e scompare entro poche ore quasi sempre definitivamente (Moral Turiel et al., 2002).
Nel trattamento dell’insufficienza surrenalica primaria, la somministrazione di cortisone acetato 3 volte/die (3/6 della dose la mattina, 2/6 dopo pranzo, 1/6 dopo cena) è risultata più efficace dello schema standard che prevede 2 somministrazioni/die (2/3 della dose la mattina, 1/3 della dose il pomeriggio) ed ha comportato un maggior aumento dell’escrezione urinaria di cortisolo e una riduzione dei livelli plasmatici di ACTH (Laureti et al., 2003).
Nei primi 2 mesi di vita di neonati con iperplasia surrenalica congenita e deficienza della 21-idrossilasi (enzima coinvolto nella sintesi di cortisolo e aldosterone, la cui carenza porta all’accumulo di composti intermedi, di cui il principale è il 17-idrossi-progesterone), l’idrocortisone è risultato migliore del cortisone acetato; infatti, nonostante l’impiego di alte dosi di cortisone acetato, i livelli di 17-idrossiprogesterone e corticotropina non vengono completamente soppressi finchè i neonati non raggiungono 40-80 giorni di vita, a differenza di quanto succede con l’idrocortisone. La conversione di cortisone in cortisolo può essere limitata nei primi giorni di vita e ciò potrebbe influire negativamente sul trattamento a base di cortisone acetato (Jinno et al., 2001).
In caso di capsulite adesiva idiopatica, il cortisone è risultato efficace nel ridurre il dolore e nel migliorare la mobilità. La somministrazione intrarticolare ha dato esiti clinici migliori, rispetto alla somministrazione orale, per esame obiettivo della spalla, mobilità dell’articolazione e soddisfazione del paziente (Lorbach et al., 2010).
Sebbene i corticosteroidi siano impiegati in caso di osteoartrosi articolare anche a carico di gradi articolazioni, il loro uso per via intrarticolare non è contemplato in caso di osteoartrosi dell’anca. Dati preliminari (8 studi clinici di cui 4 randomizzati) indicherebbero un effetto analgesico a breve termine tramite iniezione intrarticolare e un possibile utilizzo nei pazienti refrattari ad altri analgesici (Kruse, 2008).
In caso di sindrome lombare vertebrale, in pazienti ospedalizzati, il cortisone non ha evidenziato differenze significative rispetto agli anestetici locali somministrati per via epidurale per grado di disabilità, percezione qualitativa e quantitativa del dolore (Teske et al., 2009).
Dopo intervento di laringectomia totale o ipofaringectomia parziale, il cortisone è risultato più efficace della terapia standard nel ridurre lo sviluppo di fistola faringo-cutanea (p=0.02), nel velocizzare la ripresa dell’alimentazione naturale (p=0.003), nel ridurre i giorni di ospedalizzazione (p=0.001) (Chiril et al., 2008).
Nel trattamento delle sindromi dolorose del tallone, il trattamento cortisonico non preclude il successo di una successiva terapia con onde d’urto. In uno studio clinico, la percentuale di pazienti che ha tratto beneficio dalle onde d’urto è stata del 75% tra i pazienti che in precedenza aveva ricevuto una o più iniezioni di cortisone e del 69% tra i pazienti che non avevano mai assunto corticosteroidi (Ogden et al., 2005).
In caso di epicondilite laterale (gomito del tennista), la somministrazione di corticosteroidi per ionoforesi non è risultata più efficace del placebo (Runeson, Haker, 2002).
In vivo, il fenil estere dell’acido caffeico è risultato più efficace del cortisone nella prevenzione della vitreoretinopatia proliferativa: mentre il primo composto inibisce ha un effetto di inibizione sulla patologia diminuendo i livelli di malondialdeide e di nitriti totali e aumentando quelli di glutatione, mentre il secondo non produce effetti significativi, riducendo solamente i livelli di nitriti rispetto a nessun trattamento (Turkoz et al., 2004).