La clindamicina è un antibiotico appartenente alla classe delle lincosamidi. Si lega esclusivamente alla subunità ribosomiale batterica 50S e, in virtù del suo meccanismo d'azione (inibizione della sintesi proteica), può essere considerata un batteriostatico.
Il sito di legame sul ribosoma batterico della clindamicina è lo di quello di eritromicina e cloramfenicolo; pertanto il legame di uno di questi antibiotici con il ribosoma potrebbe interferire con quello degli altri due (in genere, comunque, questi antibiotici non sono somministrati in associazione).
L'indicazione principale della clindamicina sono le infezioni causate da Bacteroides (batteri anaerobi Gram negativi), ad eccezione delle forme a carico del sistema nervoso centrale (l'antibiotico attraversa con difficoltà la barriera ematoencefalica) e le infezioni da stafilococchi (cocchi Gram positivi). Tra questi ultimi, i ceppi di S. aureus sensibili alla meticillina sono in genere sensibili anche alla clindamicina, mentre quelli resistenti alla meticillina (ceppi MRSA) e gli stafilococchi coagulasi negativi sono spesso resistenti. Il 10-20% dei clostridi (anaerobi Gram positivi), ad eccezione di C. perfrigens, è resistente alla clindamicina. Sono resistenti alla clindamicina quasi tutti i bacilli aerobi gram negativi.
La clindamicina condivide meccanismo e spettro d'azione con i macrolidi. In particolare possiede in vitro attività simile alla eritromicina verso ceppi sensibili di pneumococco (Streptococcus pneumoniae), Streptococcus pyogenes e Streptococcus viridans. Lo Streptococcus pyogenes, streptococco beta-emolitico di gruppo A, è responsabile di infezioni cutanee, ascessi peritonsillari e faringite. In uno studio che ha analizzato l'incidenza di streptococco del gruppo A in tamponi faringei in età pediatrica (dati raccolti tra il 2011 e il 2015 nei bambini con faringite in un contesto di cure primarie a Madison, Wisconsin, Usa), la non suscettibilità verso eritromicina e clindamicina è risultata sovrapponibile, pari al 15% dei campioni batterici isolati (DeMuri et al., 2017).
In associazione a primachina o pirimetamina, la clindamicina è impiegata come terapia di seconda linea nel trattamento della polmonite da Pneumocistis jiroveci e dell'encefalite da Toxoplasma gondii.
Acne volgare
L'acne volgare è un disturbo cronico della pelle che interessa il follicolo pilifero e la ghiandola sebacea e che riconosce diverse cause, tra cui una eccessiva proliferazione di alcune specie di microrganismi comunemente presenti nel microbioma follicolare (Propionibacterium acnes, batterio, e Malassezia spp., fungo; nel complesso pilosebaceo – pelo, follicolo, ghiandola sebacea – P. acnes rappresenta il 90% del microbioma). L'acne volgare è una malattia della pelle molto comune, per frequenza al secondo posto dopo la dermatite (Karimkhani et al., 2017). La proliferazione batterica sostiene il processo infiammatorio a livello follicolare e lo sviluppo delle lesioni acneiche sub-cliniche. Gli altri fattori coinvolti nello sviluppo dell'acne sono l'eccessiva produzione di sebo e una proliferazione e differenziazione anomala dei cheratinociti nel follicolo pilifero (Hu, Li, 2019).
Nel trattamento dell'acne volgare, la clindamicina per uso topico fa parte del gruppo di antibiotici comunemente usati, insieme a tetraciclina, doxiciclina e minociclina orali e all'eritromicina topica. Tra questi antimicrobici, la clindamicina sembra avere un'efficacia superiore sia all'eritromicina che alle tetracicline. L'efficacia a lungo tempo della terapia antibiotica topica può essere ridotta dalla sviluppo di resistenza da parte del batterio principalmente coinvolto, il Propionibacterium acnes. In alcune aree, la resistenza all'eritromicina è superiore al 50% e quella alla clindamicina è passata dal 4% nel 1999 al 90,4% nel 2016 (Sardana et al., 2016; Kurokawa et al., 1999). In più del 50% dei pazienti con acne, almeno un ceppo di P. acnes è stato trovato resistente alla clindamicina. Inoltre, la somministrazione topica di clindamicina per 16 settimane aumenta di 16 volte la quantità di ceppi di P. acnes resistenti all'antibiotico (Cunliffe et al., 2002). Una volta terminata la terapia topica antibiotica, si osserva la presenza sulla cute di ceppi di P. acnes tolleranti per un considerevole periodo di tempo, e la presenza di ceppi resistenti si manifesta come recidiva dell'acne. Inoltre, resistenza crociata tra eritromicina e clindamicina da parte di P. acnes è stata osservata in percentuale variabile tra l'11,6% e il 100% in diversi studi clinici (Hu, Li, 2019). Per ridurre il rischio di sviluppare ceppi batterici resistenti può essere indicato l'uso di trattamenti topici combinati dove l'antibiotico è associato ad un retinoide topico, a benzoil perossido o acido azelaico (Hu, Li, 2019).
Polmoniti da Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA)
Sebbene la clindamicina sia indicata come terapia di seconda linea nel trattamento delle polmoniti da S. aureus resistente alla meticillina (ceppi MRSA), una ricerca sugli studi clinici pubblicati in letteratura sull'uso dell'antibiotico in monoterapia o in associazione per quest'indicazione ha fornito dati limitati. L'uso della clindamicina per la terapia della polmonite da ceppi di S. aureus MRSA dovrebbe sempre essere preceduto dalla conferma della suscettibilità al farmaco del ceppo batterico coinvolto e dall'esclusione dell'esistenza di altre resistenze inducibili (mediante il D-test): solo negli USA, la suscettibilità di S. aureus alla clindamicina si è ridotta, nel tempo, del 40% (Hong et al., 2019).
Uso di antibiotici e artrite reumatoide
In letteratura esiste un numero significativo di dati che indicano come l’impiego di antibiotici, soprattutto nell’infanzia, rappresenti un fattore di rischio principale di aumentata suscettibilità alle infezioni e sviluppo di atopia e di malattie infiammatorie intestinali. Alcuni studi inoltre suggeriscono una correlazione tra uso di antibiotici sistemici e aumento di patologie autoimmuni (diabete di tipo 1, malattia epatica autoimmune, artrite idiopatica giovanile). L'uso di antibiotici sistemici sembra associato anche allo sviluppo di artrite reumatoide. In uno studio clinico che ha preso in considerazione una coorte di pazienti visitati in Medicina Primaria nel Regno Unito, la prescrizione di antibiotici per via sistemica (con l'esclusione quindi di terapie topiche) è stata associata ad un aumento della probabilità (+60%) di sviluppare artrite reumatoide rispetto a pazienti non trattati con questa classe di farmaci. L'associazione è risultata dipendere dalla frequenza delle prescrizioni di antibiotici, con una probabilità più alta in caso di esposizione recente rispetto alla diagnosi di artrite reumatoide (1-2 anni vs 5-10 precedenti la diagnosi). Anche la modalità d'azione degli antibiotici sembra influenzare il rischio di artrite reumatoide: maggiore con i battericidi rispetto ai batteriostatici quando confrontati con la non esposizione agli antibiotici. Tra i vari antibiotici prescritti, la clindamicina è risultata il farmaco con il rapporto di probabilità più alto (dato però il basso numero di prescrizioni nel campione dello studio, 0,27%, l'impatto sull'associazione tra prescrizione di antibiotici e diagnosi di artrite reumatoide può essere considerato minimo). Nello studio, le infezioni delle alte vie respiratorie trattate con antibiotici sono risultate quelle associate maggiormente a sviluppo della malattia autoimmune (Sultan et al., 2019).