L’atorvastatina è un ipoglicemizzante di sintesi, inibitore competitivo dell’enzima HMG-CoA reduttasi (3-idrossi-3- metilglutaril-coenzima A). È un derivato pirrolico chimicamente diverso dalle altre statine. Le statine di differenziano in naturali, derivate cioè da un prodotto naturale di fermentazione, e in sintetiche; appartengono al primo gruppo la simvastatina, lovastatina e pravastatina, e al secondo l’atorvastatina, la cerivastatina, la fluvastatina e la rosuvastatina.
L’enzima HMG-CoA reduttasi catalizza la conversione dell’HMG-CoA in acido mevalonico, rete-limiting step nella sintesi endogena del colesterolo. L’inibizione dell’enzima reduttasi provoca la riduzione delle scorte di colesterolo intracellulare, riduzione che determina un aumento compensatorio dei recettori per le lipoproteine a bassa densità (LDL) e il conseguente incremento della clearance plasmatica del colesterolo-LDL, tramite captazione epatica. A dosi terapeutiche l’atorvastatina non inibisce completamente l’enzima, rendendo disponibili quantità biologicamente necessarie di mevalonato.
L’atorvastatina è risultata capace di ridurre il colesterolo circolante anche tramite un’azione inibitoria verso la sintesi epatica delle lipoproteine a bassissima densità, le VLDL, il cui meccanismo è indipendente da quello che porta alla riduzione del colesterolo LDL.
In vitro, la concentrazione necessaria per inibire del 50% la sintesi del colesterolo (CI50) è risultata pari a 73 nmol/L per l’atorvastina, mentre è risultata essere 43,3 per la fluvastatina, 42,7 per la lovastatina e 2650 per la prevastatina (Shaw et al., 1990).
L’atorvastatina provoca la riduzione dei livelli di trigliceridi. I meccanismi proposti prevedono: 1) inibizione della sintesi endogena del colesterolo con riduzione nell’assemblaggio e nel rilascio delle VLDL. Poiché sono soprattutto con queste lipoproteine che i trigliceridi vengono trasportati nel sangue, una diminuzione della loro concentrazione sierica determina una riduzione nei livelli plasmatici dei trigliceridi (Bakker-Arkema et al., 1996); 2) riduzione dei livelli di colesterolo nell’epatocita, indotta dal farmaco, con conseguente aumento dell’espressione dei recettori per le LDL del tipo B ed E. Poiché tali recettori legano le VLDL e le LDL, il loro aumento porterebbe ad una riduzione dei trigliceridi plasmatici. Inoltre, poiché tali recettori riconoscono le apolipoproteine di tipo B ed E e queste proteine sono contenute nelle VLDL, le VLDL rimanenti mostrerebbero una maggiore affinità verso questi recettori rispetto alle LDL (Bakker-Arkema et al., 1996).
In vitro e in vivo, l’atorvastatina ha mostrato di possedere attività aggiuntive a quella strettamente ipocolesterolemizzante, che contribuiscono all’azione antiaterogenica del farmaco: 1) inibizione della proliferazione e della migrazione delle cellule muscolari lisce vascolari (Lea, McTavish, 1997); 2) riduzione (67%) delle dimensioni delle lesioni aterosclerotiche (lovastatina, pravastatina, simvastatina non mostrano questa proprietà) (Bocan et al., 1994).
L’aterosclerosi è considerata una risposta infiammatoria/immune dell’intima vasale verso un danno tissutale. Durante le fasi iniziali della lesione aterosclerotica si verifica un aumento dell’adesività dei monociti circolanti alle pareti del vaso. I monociti si trasformano in macrofagi che iniziano a inglobare elevate quantità di lipidi circolanti, in particolare lipoproteine LDL, trasformandosi in cellule schiumose (foam cells). Contemporaneamente si verifica il rilascio di fattori di crescita, sostanze citotossiche e procoagulanti che attivano l’endotelio, aumentando l’adesività per gli elementi figurati del sangue. A questo punto si verifica proliferazione delle cellule muscolari lisce e formazione della capsula, il cuore lipidico della lesione evolve verso lo stadio di placca, con la vascolarizzazione, l’erosione dell’endotelio e la sua rottura che porta alla sindrome coronarica acuta o all’evento trombotico. E’ stato osservato inoltre che la componente lipidica della placca è in stretto rapporto con quella dei lipidi plasmatici.
Nel sangue, la frazione lipoproteica si può suddividere, grosso modo, in lipoproteine ad elevata densità (HDL), densità intermedia (IDL), bassa densità (LDL), bassissima densità (VLDL) e trigliceridi. Le lipoproteine LDL, giocano un ruolo strategico nella formazione della placca ateromatosa e pertanto la loro riduzione costituisce il target d’elezione nel trattamento dell’ipercolesterolemia. Rappresentano la forma principale con cui il colesterolo è trasportato nel sangue. Le lipoproteine HDL si formano nel fegato e nell’intestino tenue e rappresentano le lipoproteine più dense presenti nel plasma. Contengono fosfolipidi, proteine e, in minor quantità, trigliceridi e colesterolo (25% del colesterolo circolante). Il colesterolo libero rilasciato nel sangue è inglobato nelle HDL dove viene convertito in estere. Sotto forma di estere, il colesterolo viaggia soprattutto nelle lipoproteine a bassa (LDL) o bassissima (VLDL) densità. La funzione più importante delle HDL è quella di rimuovere il colesterolo dai tessuti periferici e portarlo verso il fegato. Le HDL possiedono anche altre funzioni fra cui la capacità di antagonizzare l’ossidazione delle LDL e inibire l’adesione dei monociti alla parete vasale. I trigliceridi sono reperibili nel sangue sottoforma di chilomicroni e come lipoproteine VLDL e IDL.
Sulla base dei maggiori trial clinici condotti per definire il rapporto fra colesterolemia e cardiopatia coronarica, è emerso come elevati livelli plasmatici di colesterolo totale (CT), di colesterolo LDL e di trigliceridi siano associati ad un aumento del rischio di malattia coronarica (infarto miocardico, angina stabile e instabile, angioplastica coronarica percutanea trasluminale multivasale (Ptca), bypass coronarico multivasale). In particolare, fra CT e rischio di cardiopatia coronarica esiste una correlazione che aumenta per valori di CT > 181 mg/dL (studio MRFIT, Martin et al., 1986), mentre per ogni incremento dell’1% del CT, il rischio di cardipatia aumenta del 2-3% (studio FRAMINGHAM, Castelli et al., 1992). Il colesterolo totale correla in modo lineare con la mortalità da cardiopatia coronarica: per incrementi di 20 mg/dL di CT, il rischio di mortalità cardiovascolare aumenta del 12% (studio SEVEN COUNTRIES, Verschuren et al., 1995). Anche fra incidenza di eventi coronarici maggiori e livelli di colesterolo-LDL esiste una relazione lineare (studio UKPDS; una riduzione delle LDL pari a 18 mg/dL, mantenuta per 5-6 anni, riduce di circa 1/4 il rischio di coronaropatia), così come i trigliceridi rappresentano un fattore di rischio indipendente per tali eventi (studio PROCAM, Assmann et al., 1998). Elevati livelli di HDL sono invece correlati ad un effetto positivo, di prevenzione, verso il rischio coronarico; in particolare il rischio di cardiopatia coronarica aumenta, per qualsiasi valore di colesterolemia, con il crescere del rapporto colesterolo totale/colesterolo-HDL. In condizioni di LDL e colesterolemia totale nella norma, ridotti valori di HDL rappresentano un fattore di rischio per la malattia coronarica.
In un adulto sano, i valori di riferimento per il colesterolo sono:
Colesterolo totale: 120-200 mg/dL;
Colesterolo HDL: 40-80 mg/dL (malattia coronarica documentata, raccomandato: 70 mg/dL);
Colesterolo LDL: 70-180 mg/dL Trigliceridi </= 150 mg/dL
Rapporto CT/HDL </= 5 per gli uomini; </= 4,5 per le donne.
Il limite massimo per colesterolo totale, colesterolo LDL e HDL e trigliceridi varia a seconda della presenza di uno o più fattori di rischio cardiovascolare. Sono considerati fattori di rischio cardiovascolare, oltre all’ipercolesterolemia: fumo di sigaretta, ipertensione (PA >/= 140/90 mmHg o in terapia antipertensiva), valori bassi per HDL (< 40 mg/dL), storia famigliare per malattia coronarica prematura, età (uomini >/= 45 anni, donne >/= 55 anni). Il fattore di rischio per malattia coronarica è equiparato a malattia aterosclerotica non coronarica, cioè malattia arteriosa periferica, aneurisma aortico addominale, malattia dell’arteria carotide, oppure a diabete.
Limite massimo per il colesterolo LDL dipendentemente dalla categoria di rischio cardiovascolare (secondo le linee guida del NCEP ATP III – US National Cholesterol Educational Program Adult Treatment Panel III):
Rischio basso (0-1 fattori di rischio): < 160 mg/dL
Rischio moderato (2+ fattori di rischio, rischio a 10 anni < 10%): < 130 mg/dL
Rischio moderatamente alto (2+ fattori di rischio, rischio a 10 anni tra 10 e 20%): < 130 mg/dL
Rischio alto (malattia coronarica o equivalenti, rischio a 10 anni > 20%): < 100 mg/dL (goal opzionale < 70 mg/dL)
Nei pazienti con ipercolesterolemia, la somministrazione di atorvastatina nel range 10/80 mg/die determina una riduzione del colesterolo LDL del 40-60%; il 90% di questa diminuzione si ottiene nelle prime due settimane di terapia (Nawrocki et al., 1995). La diminuzione del colesterolo-LDL non presenta un andamento lineare dose-dipendente (-ipercolesterolemia primaria- riduzione del 25% con dosi di 2,5 mg; del 29% con dosi di 5 mg; del 35-42% con dosi di 10 mg; del 42-44% con dosi di 20 mg; del 50% con dosi di 40 mg; del 59-61% con dosi di 80 mg) (Lea, McTavish, 1997).
In uno studio di 8 settimane che ha confrontato atorvastatina (10, 20, 40 e 80 mg/die), simvastatina (10, 20 e 40 mg/die), pravastatina (10, 20 e 40 mg/die), lovastatina (20, 40 e 80 mg/die) e fluvastatina (20 e 40 mg/die) in pazienti con colesterolo LDL >/= 160 mg/dL e trigliceridi </= 400 mg/dL, l’atorvastatina è risultata più efficace nel ridurre il colesterolo LDL rispetto alle altre statine, alle dosi equivalenti (espresse in mg) (riduzione con atorvastatina 10, 20 e 40 mg/die pari a –38%, -46% e – 51%). La dose di atorvastatina 10 mg/die è risultata efficace quanto simvastatina alla dose di 10, 20 e 40 mg, pravastatina alla dose di 10, 20 e 40 mg/die, lovastatina alla dose di 20 e 40 mg/die e fluvastatina alla dose di 20 e 40 mg/die. La riduzione del colesterolo totale con atorvastatina 10, 20 e 40 mg è risultata uguale o superiore alle dosi equivalenti (mg) delle altre statine (Jones et al., 1998).
Dagli studi di confronto, che hanno coinvolto tutte le statine attualmente disponibili (atorvastaina, simvastatina, pravastatina, fluvastatina e rosuvastatina), la rosuvastatina si conferma quella con efficacia maggiore nel ridurre colesterolo totale, colesterolo LDL e trigliceridi, seguita da atorvastatina e simvastatina, quindi dalle altre statine in pazienti con ipercolesterolemia (Brown 1998 e 2001; Branchi et al., 1999; Knopp et al., 2002; Davidson et al., 2002); la differenza di efficacia fra atorvastatina e rosuvastatina è risultata più marcata nei pazienti con elevato rischio cardiovascolare (Olsson et al., 2001). Considerando la percentuale di pazienti che, in trattamento con statine, raggiungono i valori di colesterolo prefissati (secondo il NCEP) la rosuvastatina si candiderebbe come la più efficace (Brown et al., 2001; Olsson et al., 2001; McKenny et al., 2003). Nei pazienti con ipertrigliceridemia, l’atorvastatina è risultata efficace quanto la rosuvastatina (Blasetto et al., 2003).
La riduzione del colesterolo LDL indotta dall’atorvastatina si associa ad un’azione negativizzante sulla frazione delle lipoproteine ad elevata densità. Infatti la somministrazione di dosi crescenti di atorvastatina (10, 20, 40 e 80 mg/die) determina una riduzione progressiva delle HDL, a differenza della simvastatina che determina un incremento progressivo delle HDL con l’aumentare della dose (Jones et al., 1998, studio CURVES). La somministrazione di atorvastatina (80 mg/die) a pazienti con ipercolesterolemia famigliare ha determinato, dopo 8 settimane di terapia, una riduzione finale delle HDL del 2% (con simvastatina 80 mg/die, le HDL erano aumentate dell’8%) (Wierzbicki et al., 1999).
L’impatto positivo sul rischio cardiovascolare indotto da una riduzione della colesterolemia totale e in particolare del colesterolo LDL è stato messo in evidenza in diversi studi clinici di ampie dimensioni, inclusa una metanalisi di 14 studi prospettici (fra cui il CARDS, HPS, ALLHAT e ASCOT) per un totale di 90.056 pazienti, relativi a atorvastatina, simvastatina, pravastatina, lovastatina e fluvastatina in cui la riduzione di 1 mmole/L di colesterolo LDL, pari a 39 mg/dL, nell’arco di 5 anni, è stata associata ad una riduzione statisticamente significativa della mortalità per tutte la cause del 12% e ad una riduzione di eventi cardiovascolari importanti (morte coronarica, infarto miocardico, procedure di rivascolarizzazione e ictus) del 21%, proporzionale alla riduzione del colesterolo LDL. La riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori è stata riscontrata anche nel sottogruppo di pazienti con diabete 2, senza malattie vascolari pre-esistenti (Baigent et al., 2005).
Nei pazienti con diabete di tipo 2, la somministrazione di statine, inclusa l’atorvastatina, in prevenzione primaria, ha determinato una riduzione relativa del rischio di eventi cardiovascolari maggiori (mortalità per cardiopatia, infarto miocardico non fatale, rivascolarizzazione) simile a quella osservata nei pazienti non diabetici (Costa et al., 2006).
In caso di ipercolesterolemia familiare eterozigote, la riduzione dei livelli plasmatici di acido mevalonico (indice della sintesi del colesterolo in vivo) è risultata maggiore con atorvastatina (80 mg/die) rispetto a pravastatina (40 mg/die) e simvastatina (40 mg/die) (rispettivamente 59% vs 32% vs 49%) (Naoumova et al., 1996). In pazienti con ipercolesterolemia familiare omozigote, tale riduzione è risultata più duratura con atorvastatina rispetto a simvastatina (dosi equivalenti).
L’atorvastatina (10 mg/die) in associazione a colestipolo (20 mg/die) ha provocato una riduzione maggiore del colesterolo-LDL e minore dei trigliceridi rispetto alla monoterapia con atorvastatina (Heinonen, Black, 1995).
Poichè l’ipercolesterolemia familiare omozigote è caratterizzata da un numero di recettori funzionali per le LDL quasi nullo, l’effetto ipocolesterolemico indotto dalla atorvastatina può essere attributo per la maggior parte alla capacità del farmaco di ridurre la produzione epatica del colesterolo. In associazione all’aferesi delle LDL, l’atorvastatina ne ha aumentato l’efficacia terapeutica. Infatti la somministrazione del farmaco, dose iniziale di 10 mg/die incrementata a 20 e quindi a 40 mg/die, ha determinato una riduzione del 20,6% del colesterolo LDL, rispetto alla sola aferesi in tutti i pazienti con assenza parziale di recettori LDL (4 pazienti) e una riduzione del 15% in uno dei 5 pazienti con assenza completa dei recettori LDL. Nel paziente con assenza completa dei recettori per le LDL, è stata osservata una riduzione anche del colesterolo VLDL e dei trigliceridi VLDL; inoltre, l’incremento del colesterolo HDL è risultato maggiore nel paziente con assenza recettoriale completa rispetto a quelli con assenza recettoriale parziale. E’ probabile che l’atorvastatina esplichi la sua azione ipocolesterolemizzante stimolando l’attività dei recettori per le LDL nei pazienti in cui tali recettori siano presenti, anche se in numero limitato, mentre agisca attraverso la riduzione della sintesi epatica delle VLDL, precursori delle lipoproteine LDL, e del loro rilascio nel torrente circolatorio nei pazienti in cui i recettori per le LDL sono completamente assenti (Yamamoto et al., 2000).
L’attività ipocolesterolemizzante della atorvastatina si manifesta sia in caso di normolipidemia che ipertrigliceridemia. Nel primo caso (atorvastatina 40 mg/die), la riduzione è stata pari al 34% (colesterolo totale), al 48% (colesterolo-LDL), al 37% (colesterolo-VLDL), al 25% (trigliceridi), al 6% (apolipoproteina A-1) e al 34% (apolipoproteina B). Si è avuto un incremento del colesterolo-HDL del 2% (Cilla et al., 1996). Nel secondo caso (atorvastatina 20-80 mg/die), la riduzione è stata del 32-39% (colesterolo totale), del 27-37% (trigliceridi), del 31-38% (apolipoproteine B), del 28-38% (apolipoproteine CII), del 16-23% (apolipoproteine C-III), del 38-41% (apolipoproteine E).
In caso di ipertrigliceridemia, il farmaco (5, 20, 80 mg/die) riduce i trigliceridi (26-46%), il colesterolo-LDL (17-41%), il colesterolo-VLDL (34-58%), il colesterolo totale (20-43%), l'apolipoproteina B (17-42%) (Bakker-Arkema et al., 1996). Alle dosi massime raccomandate, l’atorvastatina e la simvastatina sembrano possedere l’effetto maggiore sulla trigliceridemia.
In pazienti affetti da iperlipidemia, l’atorvastatina ha ridotto la viscosità plasmatica (10%), l’attività del fattore VII (8%), la sedimentazione eritrocitaria (33%), la coagulabilità del sangue indotta dall’acido arachidonico (11%); in vivo, la velocità di deposizione delle piastrine (20%) (Lea, McTavish, 1997).
In pazienti con dislipidemia mista (elevati valori sia per i trigliceridi che per il colesterolo totale), l’atorvastatina (10-20 mg/kg) è risultata più efficace di fenofibrato (300 mg/die) e acido nicotinico (300-3000 mg/die) nel ridurre il colesterolo totale e LDL; è risultata meno efficace nel ridurre i trigliceridi e nell’incrementare il colesterolo-HDL (Ooi et al., 1997). In pazienti con dislipidemia mista associata a diabete non insulino-dipendente, l’atorvastatina (10-20 mg/die) è risultata più efficace di simvastatina (10-20 mg/die) nel ridurre i trigliceridi plasmatici (Lea, McTavish, 1997).
In pazienti con ictus o attacco ischemico transitorio (TIA) recente, entro 6 mesi, in assenza di malattia coronarica, la somministrazione di atorvastatina ad elevato dosaggio (80 mg/kg) è stata associata ad una riduzione del rischio di ictus fatale o non fatale o di TIA, nonostante un aumento dell’incidenza di ictus emorragico (ictus emorragico: 55 vs 33 rispettivamente con atorvastatina e placebo) (Amarenco et al., 2006).
In pazienti con diabete mellito di tipo 2 e arteriopatia periferica degli arti inferiori (PAD, peripheral artery disease), l’uso di statine è risultato ridurre il rischio di amputazione e morte cardiovascolare rispetto ai pazienti che non usavano farmaci appartenenti a questa classe. Lo studio clinico osservazionale ha utilizzato i dati raccolti fra il 2000 e il 2011 in un database nazionale (Taiwan) relativo a pazienti diabetici (Hsu et al., 2017).
Studio AVERT – Atorvastatin versus Revascularisation Treatments
Questo studio clinico è stato disegnato per verificare efficacia e tollerabilità di un trattamento con atorvastatina a dosaggio elevato (80 mg/die) rispetto alla procedura di angioplastica coronarica. I pazienti presentavano malattia coronarica di grado lieve-moderato. Il trattamento con la statina ha determinato livelli medi di colesterolo LDL pari a 77 mg/dL (1,99 mmoli/L), corrispondenti ad una riduzione del rischio di eventi ischemici del 36% (Pitt et al., 1999). L’analisi dei dati di tollerabilità, ha evidenziato un 2,4% dei pazienti con incrementi delle transaminasi >/= 3 volte ULN; in nessun paziente sono stati riscontrati incrementi della creatinfosfochinasi >/= 10 volte ULN (miosite).
Studio MIRACL – Myocardial Ischemia Reduction with Agressive Cholesterol Lowering
Questo studio ha valutato l’impatto di una terapia con atorvastatina a dosaggio elevato (80 mg/die) in pazienti con infarto miocadico non-Q (nei 4 giorni precedenti) o con angina instabile. I pazienti trattati con atorvastatina sono andati incontro ad un’incidenza di eventi ischemici inferiore rispetto al placebo nelle 16 settimane di follow up (risultati non considerati definitivi per l’elevato numero di decessi nel gruppo atorvastatina) (Schwartz et al., 2001).
Studio CHESS – Comparative HDL-C efficacy and Safety Study
Lo studio CHESS conferma quanto già evidenziato in trial precedenti: il minor impatto sulla frazione di colesterolo HDL dell’atorvastatina rispetto alla simvastatina. I pazienti arruolati sono stati suddivisi in due gruppi in modo da avere, per ciascun braccio dello studio, la metà circa di pazienti di sesso femminile e un 30% di pazienti con valori al basale di colesterolo HDL < di 40 mg/dL. Le due statine sono state somministrate alla dose massima raccomandata, vale a dire, 80 mg/die per 24 settimane. Dopo 6 e 12 settimane, la frazione HDL era aumentata del 3,6% vs 8,9% rispettivamente con atorvastatina e simvastatina e la frazione di apo A-1, apolipoproteina correlata alle HDL, era scesa dello 0,9% con atorvastatina ed era aumentata del 4,9% con simvastatina. Dopo 18 e 24 settimane, i livelli di colesterolo HDL risultavano aumentati dell’8,3% vs 4,2% e quelli di Apo Al di +3,7% vs –1,4% rispettivamente con simvastatina e atorvastatina sia nei pazienti con colesterolo HDL < 40 mg/dL sia ≥ 40 mg/dL. La riduzione del colesterolo LDL è risultata pari a 53,5 vs 45,4 mg/dL con atorvastatina e simvastatina e quella dei trigliceridi pari a 34,1 vs 25,8 mg/dL, rispettivamente. Da un punto di vista della tollerabilità, l’atorvastatina ha determinato in una percentuale più elevata di pazienti incrementi consecutivi di ALT > 3 volte ULN) (2,8% vs 0,4% rispettivamente con atorvastatina e simvastatina), in particolare nelle pazienti di sesso femminile (5,3% vs 0,5%) (Ballantyne et al., 2003).
Studio PROVE IT – Pravastatin or Atorvastatin Evaluation and Infection Therapy
In pazienti ospedalizzati per sindrome coronarica acuta, l’atorvastatina alla dose massima raccomandata (80 g/die) è stata confrontata con pravastatina (40 mg/die). L’endpoint primario dello studio era rappresentato dall’incidenza di uno dei seguenti eventi cardiovascolari – mortalità per qualsiasi causa, infarto miocardico, ospedalizzazione per angina instabile, rivascolarizzazione dopo 30 giorni e ictus – come primo evento dopo la randomizzazione. Dopo 2 anni, l’incidenza dell’endpoint combinato era pari al 26,3% nei pazienti in terapia con pravastatina a fronte di un valore mediano di colesterolo LDL di 95 mg/dL e pari al 22,4% con atorvastatina a fronte di un valore mediano di colesterolo LDL di 62 mg/dL. La riduzione del rischio relativo per l’endpoint combinato di morte, infarto miocardico, angina instabile con ospedalizzazione, rivascolarizzazione e ictus, risultava pari al 16%. (Cannon et al., 2004).
Studio REVERSAL – Reversal of Atherosclerosis with Aggressive Lipid Lowering
L’atorvastatina (80 mg/die) e la pravastatina (40 mg/die) sono state confrontate per verificare, in pazienti con evidenza di ostruzione vascolare all’angiografia coronarica, l’impatto sul processo dell’aterogenesi. Al termine dello studio la riduzione del colesterolo LDL era maggiore nei pazienti trattati con atorvastatina (colesterolo LDL: 2,04 mmoli/L vs 2,84 mmoli/L rispettivamente con atorvastatina e pravastatina). L’analisi delle dimensioni dell’ateroma evidenziava una progressione nel braccio trattato con pravastatina (incremento del volume pari al 2,7%), mentre riscontrava una condizione di stabilità nell’altro braccio trattato con atorvastatina (volume dell’ateroma:-0,4%) (Nissen et al., 2004).
Studio ARBITER
Altro studio di confronto fra atorvastatina e pravastatina con esiti analoghi a quelli dello studio REVERSAL. Dopo 12 mesi, i pazienti trattati con atorvastatina evidenziavano livelli di colesterolo LDL inferiori rispetto a pravastatina (76 vs 110 mg/dL) e una maggior regressione dell’aterosclerosi (valutata con la misurazione con ultrasuoni dello spessore della tunica intima-media della carotide) (Taylor et al., 2002).
Studio GREACE – The GREek Atorvastatin and Coronary-heart-disease Evaluation
Questo trial era stato disegnato per valutare sul lungo periodo l’impatto di una terapia con atorvastatina, titolata da 10 a 80 mg/die per ottenere livelli di colesterolo LDL < 100 mg/dL, in pazienti con malattia coronarica rispetto ad un trattamento “convenzionale” (Athyros et al., 2002). Gli endpoint principali erano rappresentati dagli eventi cardiovascolari maggiori, mentre quelli secondari dalle variazioni nel profilo lipidico plasmatico. La dose media somministrata di atorvastatina era risultata pari a 24 mg/die. I pazienti arruolati erano stati 1600. Dopo 3 anni, la differenza percentuale tra i due bracci di trattamento per mortalità totale era stata il 43%; per mortalità coronarica, il 47%; per infarto miocardico non fatale, il 59%; per angina instabile, il 52%; per angioplastica (PTCA, CABG), il 51%; per scompenso cardiaco, il 50% e per ictus, il 47%. Considerando la variazione del profilo lipidico plasmatico, il colesterolo totale, LDL, non HDL, HDL e i trigliceridi erano diminuti con atorvastatina, rispetto al trattamento convenzionale, rispettivamente del 36%, 46%, 44%, 7%, 31%. Il 95% dei pazienti trattati con la statina avevano raggiunto il valore indicato per il colesterolo LDL < 100 mg/dL; nel gruppo trattato con la terapia convenzionale questa percentuale non superava il 3%. Tutti i sottogruppi di pazienti (donne, diabetici, ipertesi, pazienti con 60-75 anni, scompenso cardiaco, angina instabile recente o rivascolarizzazione recente) avevano beneficiato del trattamento con atorvastatina. Quest’ultima inoltre era risultata ben tollerata, come indicato dalla percentuale di pazienti, nei due gruppi, che aveva interrotto la terapia per eventi avversi (0,75% vs 0,4%).
Studio ASCOT-LLA – Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial – Lipid Lowering Arm
Studio di ampie dimensioni che ha arruolato più di 10.000 pazienti ipertesi (40-79 anni), con colesterolo non a digiuno </= 250 mg/dL (livelli di colesterolo normale o moderatamente elevato) e almeno tre fattori addizionali di rischio cardiovascolare ad eccezione della cardiopatia coronarica. Non tutti i pazienti arruolati erano ritenuti ad alto rischio di primo evento cardiovascolare. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere atorvastatina (10 mg/die) o placebo ed erano trattati con amlodipina o atenololo come terapia antipertensiva. Dopo un folow up di 3,3 anni (lo studio è stato interrotto prematuramente per evidenza di beneficio, la durata fissata inizialmente era di 5 anni), la statina è risultata più efficace del placebo nel ridurre l’incidenza dell’endpoint primario combinato per infarto miocardico non fatale più coronaropatia fatale (riduzione pari al 36%, riduzione assoluta del rischio 1,1%) e l’incidenza di ictus fatale e non fatale (riduzione del 27%) (Sever et al., 2003).
I benefici clinici osservati con atorvastatina erano associati a riduzioni importanti della colesterolemia; inoltre l’azione protettiva conferita dal trattamento con la statina risultava già evidente dopo un mese di terapia. Dopo 1 anno di terapia, la riduzione della colesterolemia totale e LDL era di 1,3 e 1,2 mmoli/L rispetto al placebo, corrispondente ad una riduzione relativa rispettivamente del 24% e del 35%. Al termine dello studio, la riduzione relativa di colesterolo totale, colesterolo LDL e trigliceridi era, rispettivamente, del 19%, 29% e 14%. Considerando gli endpoint secondari, la riduzione di ictus fatali e non era del 27%, quella di eventi coronarici totali era del 29% (riduzione rischio assoluto: 1,4%) e degli eventi cardiovascolari totali, incluse le procedure di rivascolarizzazione, del 20% (riduzione rischio assoluto: 1,9%). Fra gli endpoint terziari, il dato più significativo è emerso nei confronti dell’angina stabile cronica: il numero di pazienti con angina stabile al termine dello studio era, infatti, pari a 33 nel gruppo con atorvastatina e 56 nel gruppo placebo, che si traduce in un tasso per 1000 pazienti/anno pari a 2 con atorvastatina e 3,4 con placebo. La mortalità totale e la mortalità cardiovascolare non sono risultate significativamente ridotte. Nei pazienti in terapia con amlodipina l’endpoint primario (cardiopatia coronarica più infarto miocardico non fatale) è risultato significativamente ridotto; questo dato non è stato osservato con atenololo (sulla base dei dati raccolti, l’interazione fra amlodipina e atorvastatina è risultata dubbia).
E’ stato segnalato un numero più alto, nel gruppo trattato con atorvastatina, di nuovi casi di diabete rispetto al gruppo di controllo. Sebbene la differenza non abbia raggiunto significatività statistica (3,0% vs 2,6%), la terapia con atorvastatina potrebbe essere associata ad un peggioramento dell’omeostasi insulinica. E stato infatti osservato che in vivo (ratto), le statine riducono la secrezione insulinica e la risposta endogena all’ormone, probabilmente tramite il blocco dei canali del calcio L-type delle cellule beta pancreatiche (Yada et al., 1999).
Nello studio ASCOT-LLA, pur evidenziandosi un trend positivo, la significatività statistica non è stata raggiunta in 6 sottogruppi di pazienti su 18, tra cui i diabetici e le donne Nel sottogruppo di pazienti diabetici (2532 pazienti) la riduzione dell’end point primario (riduzione assoluta pari a 0,6% e relativa pari al 16%) ottenuta con atorvastatina non ha raggiunto la significatività statistica (analisi statistica non sufficientemente potente). Nel sottogruppo delle donne, non è stato riscontrato un beneficio clinico; inoltre la mortalità totale e la mortalità cardiovascolare sono risultate numericamente superiori (anche se non in misura significativa).
Per quanto riguarda la tossicità epatica, gli incrementi delle transaminasi epatiche >/= 3 volte ULN sono stati riportati con frequenza sovrapponibile nei due gruppi di trattamento.
Studio CARDS – Collaborative Atorvastatin Diabetes Study
In pazienti diabetici con diabete di tipo 2 e livelli di colesterolo LDL </= 160 mg/dL e almeno un altro fattore di rischio (ipertensione, tabagismo, albuminuria, retinopatia), ma senza evidenza clinica di cardiopatia (prevenzione primaria), l’atorvastatina è risultata più efficace del placebo nel ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori (endpoint primario composito per eventi coronarici acuti, rivascolarizzazione, ictus: 5,8% vs 9%, differenza statisticamente significativa). I partecipanti avevano un’età media di 62 anni e il 68% era di sesso maschile. La riduzione relativa del rischio è stata del 37% (eventi coronarici acuti, 36% – rivascolarizzazione miocardica, 31% – ictus, 48%); la mortalità è stata ridotta del 27%. La riduzione dei livelli di colesterolo LDL è stata maggiore con atorvastatina, diminuzione media di 46 mg/dL rispetto al placebo. Lo studio è stato interrotto precocemente (follow up di 3,9 anni) per gli effetti positivi sul rischio cadiovascolare evidenziati dall’atorvastatina. Il beneficio in termini di end point principale si manteneva invariato indipendentemente dai valori al basale di colesterolo LDL, < 116 mg/dL o >/= 116 mg/dL, ad indicare che nei pazienti diabetici non esiste una soglia di colesterolo LDL al di sopra della quale dovrebbe essere iniziato un trattamento con statine (indicazione confermata anche dallo studio Heart Protection Study condotto con simvastatina) (Colhoun et al., 2004).
Studio ALLIANCE – Aggressive Lipid Lowering Initiation Abates New cardiac Events
Nello studio ALLIANCE, il trattamento con atorvastatina a dosaggio elevato è stato confrontato con una terapia convenzionale (qualsiasi trattamento ritenuto idoneo dai medici curanti) in pazienti (2442) con malattia coronarica e valori di colesterolo LDL compresi fra 130 e 250 mg/dL se non trattati o compresi fra 110-200 mg/dL se già in terapia ipocolesterolemizzante. Nel gruppo trattato con atorvastatina, il limite prefissato per il colesterolo LDL era inferiore a 80 mg/dL, da raggiungere con dosi non superiori alla dose massima raccomandata di 80 mg/die. In questo gruppo il limite medio raggiunto di colesterolo LDL è stato di 95 mg/dL, con un 72,4% dei pazienti con livelli < 100 mg/dL (goal previsto dalle linee guida NCEP ATP III) (vs 40% nel gruppo di confronto). La riduzione del rischio relativo di eventi cardiovascolari è stato del 17% a vantaggio dell’atorvastatina, da attribuire in gran parte alla diminuzione di infarti miocardici non fatali (-48%) (Koren et al., 2004).
Studio TNT – Treating to New Targets
Questo studio ha confrontato una terapia a basse dosi con atorvastatina verso una terapia a dosaggio elevato. I pazienti arruolati (15.464 pazienti) con coronaropatia sono stati trattati con atorvastatina 10 mg/die (fase di induzione) per 8 settimane. Successivamente i pazienti con colesterolo LDL > 130 mg/dL oppure con scarsa compliance o intolleranza al farmaco sono stati esclusi; i rimanenti (circa 10.000) sono stati randomizzati a ricevere la stessa dose di statina oppure la dose massima raccomandata, pari a 80 mg/die. Dopo un follow up di 4,9 mesi, l’incidenza dell’endpoint primario composito (mortalità coronarica, infarto miocardico, arresto cardiaco o ictus) era pari a 8,7% vs 10,9% rispettivamente con 80 e 10 mg/die di atorvastatina. Nessuna differenza fra i due bracci è stata riportata per la mortalità totale. La riduzione del rischio per l’esito composito primario è risultata pari al 22%, mentre quella del rischio assoluto al 2,2%. I due regimi terapeutici hanno determinato una riduzione significariva del colesterolo LDL, pari a 77 mg/dL con la dose maggiore e a 101 mg/dL con la dose minore di atorvastatina. Il trattamento con atorvastatina 80 mg/die ha scontato una tollerabilità minore (effetti collaterali: 9,6% vs 4,2% rispettivamente con 80 e 10 mg di farmaco), inclusa l’incidenza di aumenti significativi delle transaminasi (0,2% vs 1,2% rispettivamente con 10 e 80 mg/die) (LaRosa te al., 2005).
Studio IDEAL – Incremental decrease in End Points Through Agressive Lipid Lowering
Nello studio IDEAL l’atorvastatina è stata confrontata con simvastatina in pazienti con anamnesi positiva per infarto miocardico. L’obiettivo era quello di verificare se in presenza di un rischio coronarico elevato, la somministrazione di atorvastatina a dosaggio elevato conferisse un vantaggio su mortalità coronarica, infarto e arresto cardiaco. I pazienti, età media di 62 anni, sono stati randomizzati a ricevere atorvastatina 80 mg/die oppure simvastatina 20 mg/die incrementabile a 40 mg/die; la quota di pazienti di sesso femminile ammontava al 19% e la colesterolemia LDL media era pari a 121 mg/dL. La differenza per l’end point principale composito (mortalità coronarica, infarto miocardico e arresto cardiaco con rianimazione) ottenuta tra i due farmaci non ha raggiunto la significatività statistica (9,3% vs 10,4% rispettivamente con atorvastatina a dosaggio elevato e simvastatina a dosaggio basso). Nel gruppo trattato con atorvastatina, la riduzione di tutti gli eventi cardiovascolari (-16%), inclusa la rivascolarizzazione, e di tutti gli eventi cardiovascolari maggiori (-13%) è risultata statisticamente significativa rispetto a simvastatina. I pazienti trattati con la statina a dosaggio maggiore hanno manifestato un’incidenza di effetti collaterali più elevata che ha determinato l’interruzione precoce della terapia rispettivamente nel 9,6% vs 4,2% di pazienti (Pedersen et al., 2005).
Studio 4D – German Diabetes and Dialysis Study
Lo studio 4D ha valutato l’efficacia dell’atorvastatina (40 mg/die) in pazienti diabetici (tipo 2) con nefropatia richiedente un’emodialisi di mantenimento (gruppo di pazienti con un rischio molto elevato di sviluppare una patologia cardiovascolare). L’età media dei pazienti era di 66 anni, il colesterolo LDL pari a 120 mg/dL e il 54% del campione era di sesso maschile. Sebbene la statina sia risultata efficace nel ridurre il colesterolo LDL (-20 mg/dL rispetto al placebo), non ha diminuito l’endpoint combinato per mortalità cardiovascolare, eventi coronarici non fatali e ictus (37% vs 38% rispettivamente con atorvastatina e placebo) (Wanner et al., 2005). Il motivo per cui la terapia con atorvastatina non sia risultata efficace non è noto, ma è stato ipotizzato dagli autori dello studio che in presenza di una nefropatia terminale il trattamento farmacologico potrebbe essere tardivo per ridurre il rischio cardiovascolare.
Studio ASPEN – Atorvastatin Study for Prevention of coronary haert disease End points in Non-insulin-dependent diabetes mellitus
Questo studio era nato per verificare l’efficacia dell’atorvastatina a basso dosaggio (10 mg/die) in pazienti con diabete di tipo 2 in prevenzione secondaria; successivamente il protocollo è stato modificato e ha incluso anche pazienti in prevenzione primaria con pochi fattori di rischio addizionali, a basso rischio di coronaropatia. Il follow up per i pazienti arruolati in prevenzione secondaria è stato di 4 anni, mentre per quelli in prevenzione primaria di 2 anni. L’atorvastatina non è risultata efficace nel ridurre mortalità cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale, rivascolarizzazione, bypass coronarico, rianimazione per arresto cardiaco, ospedalizzazione di pazienti con angina instabile (10,4% vs 10,8% rispettivamente con atorvastatina e placebo) (Knopp et al., 2006).
Studio SPARCL – Stroke Prevention by Aggressive Reduction in Cholesterol Levels
Lo studio clinico SPARCL è stato definito per verificare l’efficacia di un trattamento con atorvastatina ad elevato dosaggio (80 mg/die) nel ridurre il rischio di ictus o di attacco ischemico transitorio (TIA) in pazienti senza malattia coronarica. I pazienti arruolati (4732) avevano sperimentato un ictus o un TIA nei 6 mesi precedenti l’arruolamento. I livelli di colesterolo fra i due gruppi di pazienti, trattati con la statina o con il placebo, era rispettivamente di 73 mg/dL e di 129 mg/dL. Durante il follow up (durata mediana: 4,9 anni) l’incidenza di ictus fatale o non fatale è stata pari all’11,2% vs 13,1% dei pazienti rispettivamente trattati con atorvastatina e placebo (riduzione assoluta del rischio a 5 anni: 2,2%, p=0,05; riduzione del rischio relativo aggiustato: 16%, p=0,03). Considerando la diversa tipologia di ictus, ischemico o emorragico, nei pazienti trattati con atorvastatina è stato osservato però un numero più alto di ictus emorragico rispetto al gruppo placebo (55 vs 33). Tale rischio è risultato maggiore nei pazienti anziani che avevano già avuto un ictus dello stesso tipo. La riduzione assoluta del rischio di eventi cardiovascolari maggiori è stata del 3,5% (HR, 0,80 p=0,002). La mortalità è risultata simile fra i due gruppi (p=0,98) (Amarenco et al., 2006). Nonostante il piccolo aumento di ictus emorragico registrato con atorvastatina, il farmaco alla dose più alta è risultato efficace nel ridurre il rischio di ictus e di eventi cardiovascolari in pazienti con ictus recente senza malattia coronarica.
Studio LODESTAR – rosuvastatina versus atorvastatin treatment in adults with coronary artery disease: secondary analysis of the randomised LODESTAR trial
Lo studio LODESTAR (Low-Density Lipoprotein Cholesterol-Targeting Statin Therapy Versus Intensity-Based Statin Therapy in Patients With Coronary Artery Disease) è uno studio prospettico, multicentrico, open label, con un protocollo di randomizzazione 2x2, sulla gestione della dislipidemia in pazienti adulti con malattia coronarica. In questa classe di pazienti una riduzione significativa del colesterolo LDL si associa alla riduzione del rischio di eventi cardiovascolari aterosclerotici. La classe di farmaci di riferimento sono le statine, ma benchè il meccanismo d’azione di questi farmaci sia condiviso, ogni molecola presenta caratteristiche farmacologiche proprie. Nello studio LODESTAR sono state confrontate atorvastatina (dose media: 36 mg/die) e rosuvastatina (dose media: 17,1 mg/die). Dopo tre anni di terapia, non sono emerse differenze tra le due statine per l’esito clinico primario, rischio composito di morte per tutte le cause, infarto miocardico, ictus, intervento di rivascolarizzazione coronarica (8,2% vs 8,7% rispettivamente per atorvastatina e rosuvastatina, p =0,58). La rosuvastatina è stata associata a livelli inferiori di colesterolo LDL rispetto all’atorvastatina, ma ad una maggior incidenza di diabete mellito di nuova insorgenza, che ha richiesto terapia antidiabetica (7,2% vs 5,3%; hazard ratio 1,39, p=0,03) e intervento di cataratta (2,5& vs 1,5%; hazard ratio 1,66, p=0,02) (Lee et al., 2023).
Atorvastatina vs simvastatina più ezetimibe
L’atorvastatina è stata confrontata con l’associazione simvastatina (10 mg e 20 mg) più ezetimibe (10 mg) in pazienti con ipercolesterolemia (LDL > 130 mg/dL). Durante il trial la dose delle statine veniva raddoppiata ogni 6 settimane (durata complessiva: 24 settimane). Dopo le prime 6 settimane, la riduzione del colesterolo LDL era del 46% e 50% con simvastatina 10 mg e 20 mg in associazione rispetto al 37% con atorvastatina 10 mg. Dopo 24 settimane, la diminuzione del colesterolo LDL ammontava al 59,4% per simvastatina 80 mg più ezetimibe e al 52,4% con atorvastatina 80 mg (differenza statisticamente significativa) (Ballantyne et al., 2004).
In un altro studio, della durata di 6 settimane, poco meno di 2000 pazienti con età compresa fra 18 e 79 anni, con elevato rischio cardiovascolare e valori di colesterolo LDL >/= 130 mg/dL sono stati randomizzati a ricevere atorvastatina o simvastatina più ezetimibe, dove le statine erano dosate a 10, 20, 40 e 80 mg/die. Per ognuno degli 8 gruppi di trattamento sono stati misurati colesterolo totale, colesterolo LDL, HDL, trigliceridi e la frazione di pazienti che raggiungeva il livello target di LDL stabilito dalle linee guida NCEP ATP III. Per ciascun gruppo di confronto, la riduzione del colesterolo LDL (end point primario) risultava minore con atorvastatina (36-53%) rispetto all’associazione simvastatina più ezetimibe (47-59%). Considerando i gruppi trattati con i dosaggi più elevati (10/40 e 10/80 mg per ezetimibe e simvastatina e 40 e 80 mg per atorvastatina), la frazione HDL delle lipoproteine è aumentata più con simvastatina (rispettivamente +9% e +7,6% vs +3,8% e +1,4%). La riduzione dei trigliceridi è risultata sovrapponibile in ogni gruppo di trattamento. Nei gruppi trattati con l’associazione farmacologica, i pazienti che hanno raggiunto il valore target di colesterolo LDL < 100 mg/dL e < 70 mg/dL sono risultati più numerosi rispetto ai pazienti trattati con atorvastatina (nel braccio trattato con una dose di statina pari a 40 mg, il 57,1% vs 22,6% dei pazienti, rispettivamente con ezetimibe/simvastatina e atorvastatina aveva raggiunto il valore target < 70 mg/dL). Ancora, incrementi persistenti delle transaminasi epatiche sono stati osservati con maggior frequenza nei pazienti trattati con atorvastatina rispetto a simvastatina/ezetimibe (Ballantyne et al., 2005).
Studio di fattibilità per la sostituzione della simvastatina con atorvastatina
In Inghilterra è stato condotto uno studio di fattibilità per valutare l’impatto economico della sostituzione dell’atorvastatina con la simvastatina, giudicata la statina con il miglior profilo costo-efficacia (in Gran Bretagna, simvastatina e atorvastatina rappresentano l’85% delle prescrizioni di statine). La simvastatina è disponibile attualmente come farmaco generico, mentre l’atorvastatina è coperta da brevetto fino al 2011. Lo studio ha arruolato 122 pazienti in terapia con atorvastatina 10 o 20 mg/die. Sono stati esclusi i pazienti con colesterolemia > 195 mg/dL nonostante l’assunzione di atorvastatina 10 mg/die e con colesterolemia > 180 mg/dL nonostante l’assunzione di atorvastatina 20 mg/die; pazienti con trapianto d’organo, pazienti con anamnesi positiva per ipertrigliceridemia o insufficienza renale cronica, pazienti in terapia anche con amiodarone o warfarin. I pazienti in terapia con atorvastatina 20 mg/die o 10 mg/die sono passati rispettivamente a simvastatina 40 e 20 mg/die. Dopo 4 mesi, i valori di colesterolemia non mostravano variazioni significative e solo 1 paziente su 70 era tornato al trattamento con atorvastatina per minor tollerabilità della simvastatina (comparsa di sintomi visivi notturni). Considerando l’impatto economico relativo al tempo dedicato da parte del farmacista, medico di base, visite, controlli ambulatoriali, il risparmio netto è stato valutato in 12.700 sterline (corrispondenti aprossimativamente a circa 14.000 euro) (Usher-Smith et al., 2007).