L’atomoxetina è un farmaco inibitore selettivo della ricaptazione della noradrenalina a livello presinaptico e presenta minima attività sui trasportatori di altre monoamine (dopamina, serotonina). Non è noto come il farmaco riduca i sintomi nel deficit di attenzione ed iperattività, tuttavia si ritiene che la noradrenalina svolga un importante ruolo nel regolare l’attenzione, l’impulsività ed i livelli di attività (ISS, Istituto Superiore di Sanità).
Chimicamente l’atomoxetina è un derivato amminico, ossia N-Metil-3-Fenil-3-(o-tolilossi)-propilamina.
L’atomoxetina è un farmaco utilizzato in pazienti pediatrici (6-12 anni) e adolescenti con disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (DDAI o secondo l’acronimo inglese, più noto, adhd), come parte integrante di un programma multimodale che prevede interventi sociali e psico-comportamentali. Il farmaco è utilizzazto anche negli adulti in cui è certa la diagnosi di adhd in età pediatrica.
L’ADHD è un disordine neuropsichico dovuto ad alterazioni funzionali di aree specifiche del sistema nervoso centrale (SNC), in particolare dei circuiti cerebrali che sono alla base dei comportamenti di inibizione e dell’autocontrollo (corteccia prefrontale e gangli basali).
La diagnosi di adhd deve essere effettuata secondo i criteri stabiliti dal DSM-IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quarta revisione) o successive edizioni o dalle linee guida dell’ICD-10 (decima revisione della Classificazione Internazionale delle Malattie) o successive edizioni. La somministrazione del farmaco è vincolata ad un rigido protocollo diagnostico e terapeutico.
L’atomoxetina agisce inibendo selettivamente la ricaptazione della noradrenalina a livello presinaptico e inducendone un aumento dei livelli extracellulari (Wilens, 2006).
Sebbene l’atomoxetina presenti minima attività su altre monoamine, il blocco del trasportatore della noradrenalina provoca, a livello della corteccia cerebrale, un aumento dei livelli extracellulari di dopamina, oltre che di noradrenalina; infatti solo nella corteccia cerebrale (ma non nello striato e nel nucleo accumbens) la dopamina viene ricaptata anche dal trasportatore della noradrenalina (Bymaster et al., 2002; Swanson et al., 2006). Ciò comporta una modulazione delle funzioni cognitive della corteccia prefrontale, senza nessuna evidente interazione con i sistemi dopaminergici mesolimbici (assenza di potenziale d’abuso) e nigrostriatali (assenza di interferenze con i meccanismi che regolano il movimento involontario).
Pazienti pediatrici
L’efficacia di atomoxetina sui sintomi di adhd (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività) è stata valutata mediante studi clinici che hanno coinvolto pazienti per la maggior parte adolescenti e bambini (National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE), 2006). Tali studi hanno fornito evidenze sull’efficacia di atomoxetina somministrata una o due volte al giorno. La terapia con atomoxetina è risultata associata non solo ad un miglioramento dei sintomi principali del disturbo (assenza di attenzione, iperattività, impulsività), ma anche delle interazioni familiari, scolastiche e sociali.
Trial clinici randomizzati, a gruppi paralleli e in doppio cieco hanno dimostrato l’efficacia di atomoxetina sui sintomi cardine dell’ADHD dopo un trattamento di durata compresa tra 6 e 9 settimane con dosi e modalità di somministrazione variabili (tra 0,5 e 2 mg/Kg/die una o due volte al giorno) (Michelson et al. 2001; Kelsey et al. 2004; Michelson et al. 2002; Weiss et al., 2005).
Uno studio in doppio cieco condotto su pazienti di età compresa tra 6 e 15 anni ha dimostrato che atomoxetina è statisticamente superiore al placebo nel migliorare il quadro clinico e nel prevenire le recidive a 12 e 18 mesi (Michelson et al, 2004).
La somministrazione di atomoxetina inizia con un dosaggio di 0,5 mg/kg/die. Tale dose dovrebbe essere mantenuta per 7 giorni, per poi essere aumentata progressivamente in funzione della risposta clinica e della tollerabilità. La dose di mantenimento consigliata è di circa 1,2 mg/kg/die. Efficacia e sicurezza dell’atomoxetina sono state valutate fino a dosi totali giornaliere di 1,8 mg/kg/die. Il farmaco agisce in maniera graduale e tende a rafforzarsi col procedere della terapia; durante il primo mese l’effetto dell’atomoxetina comporta una riduzione progressiva dei sintomi clinici e si manifesta completamente dopo il primo mese di cura. La gradualità dell’effetto farmacologico dell’atomoxetina sembra dovuta all’unione di un’azione immediata legata a variazioni della concentrazione di neurotrasmettitori a livello delle sinapsi nervose e di un’azione più lenta che interessa la regolazione recettoriale. E’ quindi importante che il medico spieghi al paziente ed ai familiari che l’effetto dell’atomoxetina si manifesta in maniera graduale e progressiva e che è necessario aspettare uno o due mesi per una valutazione attendibile e definitiva della risposta terapeutica.
Pazienti adulti
Circa il 65% dei bambini e ragazzi con adhd continuano a soffrire del disturbo anche in età adulta. Negli adulti la prevalenza della mlattia è stimata attorno al 4,4% (Kessler et al., 2006).
L’efficacia dell’atomoxetina nel trattamento dell’ADHD in pazienti adulti è stata valutata in diversi studi clinici randomizzati, controllati, in doppio cieco. Negli studi di breve durata, 8-16 settimane (trattamento in acuto), l’atomoxetina è risultata superiore al placebo in termini di miglioramento globale del quadro clinico (scala CGI-S, Clinical Global Impressions Scale) e di miglioramento dei sintomi specifici (CAARS-Inv:SV, Conners Adult adhd rating Scale, InvestigatornRated, screening version; AISRS, adhd Investigator Symptom rating Scale) (Goto et al., 2017; Lee et al., 2014; Durell et al., 2013; Sutherland et al., 2012; Sobanski et al., 2012; Michelson et al., 2003). Negli studi a lungo termine, della durata di 6 mesi, l’efficacia dell’atomoxetina è stata confermata in 2 su 3 studi clinici di riferimento (Adler et al., 2009; Adler et al., 2008).
In pazienti adulti con adhd e disturbo d’ansia sociale, l’atomoxetina è risultata più efficace del placebo nel migliorare i sintomi correlati ai due disturbi: una riduzione statisticamente significativa è stata ottenuta utilizzando la scala CAARS:Inv:SV per i sintomi adhd e la scala LSAS (Liebowitz Social Anxiety Scale) per i sintomi correlati al disturbo d’ansia sociale. Una riduzione media superiore al placebo è stata riscontrata per le scale CGI-O-S (Clinical Global Impression-Overall-Severity), STAI (State-Trait Anxiety Inventory) e AAQoL Total Score (che valuta la qualità di vita dei pazienti) (Adler et al., 2009a).
In uno studio in aperto, testa a testa, in pazienti adulti con adhd, la atomoxetina è stata confrontata con il metilfenidato per valutare l’efficacia nel migliorare le funzioni esecutive, ovvero la capacità di controllo e pianificazione di comportamenti volti a raggiungere specifici obiettivi 8scala di valutazione CANTAB, Cambridge Neuropsychological Test Automated battery). I due farmaci hanno dato esiti di efficacia sovrapponibili; l’atomoxetina è risultata significativamente più efficace nel migliorare la pianificazione spaziale (Ni et al., 2013).
I pazienti adulti con adhd hanno una probabilità circa doppia di sviluppare un disturbo da abuso di sostanze. In pazienti con adhd e dipendenza da marijuana, la somministrazione di atomoxetina è risultata più efficace del placebo nel ridurre i sintomi correlati a adhd, ma non l’uso della droga (McRae-Clark et al., 2010). In un altro studio, di durata uguale al precedente pari a 12 settimane, l’efficacia terapeutica dell’atomoxetina è stata valutata in pazienti con dipendenza da alcool. Anche per questo gruppo di pazienti, l’atomoxetina ha dimostrato un effetto positivo sui sintomi dell’ADHD (riduzione statisticamente significativa del punteggio della scala AISRS), ma inconsistente sulla dipendenza dall’alcool (nessuna differenza in termini di tempo di ricaduta del comportamento compulsivo tra i due gruppi di trattamento, anche se i giorni cumulativi di abuso di alcolici risultavano diminuiti del 26%) (Wilens et al., 2008).
Tollerabilità
Trial clinici sulla sicurezza e tollerabilità di atomoxetina sono stati condotti su bambini ed adolescenti. Atomoxetina ha mostrato profili di sicurezza e tollerabilità anche nel trattamento a lungo termine (Donnelly et al, 2009).
Il trattamento con atomoxetina può indurre effetti collaterali. Nei trial clinici la percentuale di pazienti che ha sospeso il trattamento per eventi avversi è risultata significativamente maggiore rispetto ai controlli (gruppo placebo).
Gli effetti collaterali più comuni associati all’atomoxetina comprendono disturbi gastrointestinali, riduzione dell’appetito e di peso, effetti cardiovascolari, sonnolenza e astenia. Il trattamento con atomoxetina può essere associato ad un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca e pertanto tali parametri devono essere controllati periodicamente durante la cura con il farmaco. Segnalazioni spontanee di convulsioni suggeriscono un’accurata anamnesi ed un attento monitoraggio in soggetti epilettici o con predisposizione all’epilessia.
Studi clinici e segnalazioni spontanee hanno riportato casi di eventi correlati a comportamento suicidario (tentativi di suicidio e ideazioni suicidarie): è raccomandabile valutare accuratamente le condizioni psichiche di pazienti pediatrici ed adolescenti prima di iniziare il trattamento.
In presenza di comorbidità, l’atomoxetina migliorare non solo i sintomi di adhd, ma anche i sintomi d’ansia, senza peggiorare sintomi depressivi o i tic vocali o motori eventualmente associati.
Potenziale d’abuso
Poichè l’atomoxetina non interferisce con le funzioni dopaminergiche mesolimbiche, a livello del nucleo accumbens, il potenziale d’abuso del farmaco è minimo. Studi preclinici (primati) e clinici su pazienti non dipendenti in terapia con stimolanti hanno confermato questa ipotesi. Negli studi preclinici, gli animali (primati), addestrati a poter scegliere tra l’assunzione di cibo mediante leva o la somministrazione endovenosa di farmaco (cocaina, metilfenidato, amfetamina, atomoxetina, desimipramina o soluzione fisiologica), hanno preferito il cibo anziché l’atomoxetina o la desimipramina, ma non quando si trattava di assumere psicostimolanti (Gasior et al., 2005). Negli studi clinici, pazienti capaci di riconoscere gli effetti degli psicostimolanti senza essere dipendenti, riconoscevano tali effetti stimolanti dopo assunzione del metilfenidato e dell’amfetamina (somministrazione in doppio cieco), ma non dopo l’assunzione di triazolam o atomoxetina (Lile et al., 2006).