Negli studi clinici fino al 90% dei pazienti sono andati incontro ad almeno un evento avverso durante la terapia con amitriptilina e fino al 20% circa dei pazienti ha sospeso il farmaco a causa degli effetti collaterali.
Gli effetti collaterali dell’amitriptilina dipendono dall’azione della molecola sui recettori istaminergici H1, adrenergici alfa1 e muscarinici. Il blocco dei recettori H1 da parte dell’amitriptilina è responsabile della comparsa di sonnolenza, sedazione, aumento di peso, mentre il blocco dei recettori adrenergici comporta ipotensione ortostatica, vertigini e disfunzione eiaculatoria. Gli effetti anticolinergici a livello del sistema cardiovascolare (tachicardia), gastrointestinale (secchezza delle fauci, stipsi) e genitourinario (ritenzione urinaria) in genere rispondono ad una riduzione della dose di farmaco. Tali effetti risultano essere i più frequenti quando l’amitriptilina è utilizzata come antidepressivo.
Sia gli effetti anticolinergici sia la sedazione tendono ad attenuarsi con la somministrazione continuata dell’amitriptilina per un effetto di tolleranza: iniziare la terapia con basse dosi di antidepressivo, incrementabili successivamente, consente quindi di minimizzare tali effetti collaterali.
L’amitriptilina inoltre determina effetti collaterali complessi quali aumento della soglia convulsiva, con conseguente aumento del rischio di epilessia e mioclono, e comparsa di sintomi extrapiramidali (tremori). Sono stati riportati, raramente, stati maniacali o ipomaniacali 2-7 giorni dopo l’interruzione di trattamenti cronici con antidepressivi triciclici.
La sospensione improvvisa dell’amitriptilina dopo terapia prolungata può scatenare sintomi quali cefalea e nausea; l’interruzione graduale è stata invece associata a disturbi del sonno, irritabilità e agitazione, sintomi che non sono indicativi di assuefazione al farmaco.
Cardiovascolari: tachicardia ventricolare, ipertensione, ipotensione ortostatica, disturbi del ritmo, alterazioni della conduzione atrio-ventricolare, prolungamento dell’intervallo PR e allargamento del plesso QT, infarto del miocardio, insufficienza cardiaca congestizia, ictus.
L’amitriptilina somministrata a dosi pari o superiori a 150 mg tende a diminuire tutti i parametri relativi alla frequenza cardiaca, inclusa la variabilità della frequenza cardiaca (Heart rate variability), per gli effetti anticolinergici del farmaco, ad eccezione del puro dato di frequenza cardiaca (valore medio) che tende invece ad aumentare (Rechlin et al., 1994). La variabilità della frequenza cardiaca è un parametro che misura la naturale oscillazione della frequenza cardiaca, rispetto al valor medio, in risposta a diversi fattori quali ad esempio il respiro o lo stato emozionale (gioia, rabbia, ansia, paura, etc.), l’età, la postura, l’ora del giorno; misura cioè il bilanciamento fra sistema simpatico e parasimpatico a livello del cuore.
Gli antidepressivi triciclici sono controindicati nel post-infarto. In uno studio caso-controllo in cui sono stati confrontati antidepressivi triciclici e SSRI come fattori di rischio per infarto miocardico è emersa correlazione fra l’uso di antidepressivi triciclici, ma non di SSRI, e l’insorgenza di infarto miocardico (Hippisley-Cox et al., 2001).
Centrali: cefalea, sonnolenza, sedazione, ansia, stato confusionale anche associato ad allucinazioni in particolare nei pazienti anziani, delirio, eccitazione, reazioni ipomaniacali, accentuazione della fase maniacale in pazienti con psicosi bipolare, esacerbazioni di stati psicotici, tremori, incubi, alterazioni dell’encefalogramma, sintomi extrapiramidali (disartria, movimenti involontari, discinesia tardiva), convulsioni, parestesie alle estremità, neuropatie periferiche, formicolio, disturbi cognitivi, torpore, coma, sindrome serotoninergica (soprattutto in associazione con altri farmaci attivi sul sistema serotoninergico).
I pazienti in terapia con amitriptilina che manifestano stati psicotici possono essere trattati con una riduzione del dosaggio dell’antidepressivo oppure con l’aggiunta di un neurolettico fenotiazinico.
Dermatologici: alopecia, sindrome lupoide (raro).
Ematici: eosinofilia, agranulocitosi, trombocitopenia, porpora, leucopenia, ecchimosi (amitriptilina in associazione a clordiazepossido).
In uno studio di confronto fra antidepressivi appartenenti a classi differenti ma tutti con attività inibitoria sulla ricaptazione della serotonina, è emerso un aumento del rischio di sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore per gli SSRI, ma non per gli altri antidepressivi testati, inclusa l’amitriptilina (rischio relativo aggiustato per età sesso, anamnesi positiva per sanguinamenti pregressi, fumo e uso di acido acetilsalicilico, FANS e steroidi: 4-8 per SSRI vs 1,9 per amitriptilina) (De Abajo et al., 1999).
Endocrini: diminuzione della libido, impotenza, rigonfiamento testicolare, disfunzioni dell’eiaculazione, disfunzione erettile, ginecomastia (uomini); galattorrea, ipertrofia delle mammelle (donne); sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico (ADH), iperprolattinemia (segnalazioni sporadiche).
Epatici: incremento dell’alanino aminotransferasi e della fosfatasi alcalina, ittero, epatite (raro).
Gastrointestinali: nausea, vomito, diarrea, xerostomia, costipazione, ileo paralitico, crampi addominali, anoressia, stomatite, infiammazione dei linfonodi (adenite), infiammazione delle ghiandole parotidee, alterazione del gusto, epigastralgia, ileo paralitico, ageusia (non percezione del gusto).
La riduzione della salivazione (secchezza delle fauci o xerostomia), può favorire la formazione delle carie ai denti. Negli studi clinici la secchezza della bocca ha interessato fino all’80% dei pazienti trattati con l’antidepressivo.
Metabolici: alterazione della glicemia (iperglicemia) (McQuay et al., 1992; 1993).
Oftalmici: visione annebbiata, cicloplegia, midriasi, disturbi dell’accomodazione, incremento della pressione oculare, glaucoma ad angolo chiuso.
Renali: ritenzione urinaria.
Sistemici: sindrome da astinenza, ipersensibilità (fotosensibilità, vasculiti, eritema, orticaria, prurito, edema, iperpigmentazione), febbre, aumento/riduzione del peso corporeo, aumento della sudorazione, alopecia, sindrome lupoide.
La sindrome da astinenza si manifesta con l’interruzione improvvisa dell’amitriptilina in pazienti in terapia cronica. I sintomi comprendono nausea, cefalea e malessere. La sospensione graduale dell’antidepressivo in circa 2 settimane invece determina irritabilità, disturbi del sonno e dell’attività onirica, irrequietezza.
In letteratura è riportato un caso di ipersensibilità all’amitriptilina, manifestatosi con sintomi cutanei, comparso 3 settimane dopo l’inizio della terapia con l’antidepressivo triciclico (Milionis et al., 2000).
Uditivi: tinnito.