La somministrazione orale di amiodarone determina effetti collaterali in circa il 75% dei pazienti e determina l’interruzione precoce del trattamento nel 7-18% dei pazienti. Fra gli effetti più importanti si annoverano tossicità polmonare, esacerbazione dell’aritmia e danno epatico. L’incidenza degli effetti collaterali tende ad aumentare dopo i primi 6 mesi di terapia, per mantenere poi un trend più costante dopo il primo anno.
Negli studi clinici controllati e non controllati, gli effetti collaterali più importanti associati al trattamento con amiodarone somministrato per via parenterale sono stati: ipotensione, asistole/arresto cardiaco/dissociazione elettromeccanica, shock cardiogeno, insufficienza cardiaca congestizia, bradicardia ed incremento delle transaminasi epatiche. Circa il 9% dei pazienti hanno interrotto il trattamento con amiodarone a causa degli effetti avversi (1,6% per ipotensione; 1,2% per asistole/arresto cardiaco/dissociazione elettromeccanica; 1,5% per shock cardiogeno).
Cardiovascolari: alterazioni del ritmo, bradicardia sinusale marcata, alterazione della conduzione seno-atriale e atrio-ventricolare; peggioramento delle tachiaritmie ventricolari, torsione di punta (torsade de pointes), ipotensione (somministrazione e.v.), insufficienza cardiaca congestizia (Gill et al., 1992), vasculite.
La bradicardia sinusale compare nel 10% dei pazienti trattati con amiodarone ed è dose-dipendente. La frequenza è maggiore in caso di contemporaneo trattamento con beta-bloccanti, calcio antagonisti non diidropiridinici, chinidina, lidocaina, flecainide oppure in caso di bradicardia preesistente.
L’insufficienza cardiaca congestizia compare nel 14% dei pazienti. Il rischio aumenta in caso di somministrazione endovena.
L’incidenza complessiva di proaritmie ventricolari è risultata inferiore all’1% (Hohnloser et al., 1994). La torsione di punta è una tachicardia ventricolare polimorfa generalmente autolimitantesi, che causa vertigini intermittenti e sincope; in alcuni casi può evolvere a fibrillazione ventricolare e avere esito fatale. L’ipokaliemia, l’ipocalcemia e l’ipomagnesiemia rappresentano fattori di rischio, come anche un prolungamento superiore a 600 msec del tratto QT dell’ECG e un uso non corretto degli antiaritmici di classe IA. L’amiodarone è risultato efficace nel trattamento della torsade di punta indotta da chinidina (Waldo et al., 1996). L’impiego di amiodarone è stato associato a rischio elevato di torsione di punta e di morte cardiaca improvvisa nei pazienti con grave scompenso cardiaco che avevano già manifestato torsione di punta indotta da antiaritmici di classe IA: in questa classe di pazienti l’amiodarone è controindicato.
La comparsa di modificazioni del tracciato ECG a carico dell’onda T, che assume una forma caratteristica, e di una nuova onda, l’onda U, non è segno di tossicità miocardica, ma è dettata dall’attività farmacologica dell’amiodarone.
L’ipotensione ha coinvolto fino al 16% dei pazienti trattati con amiodarone ev. nei trial clinici. Questo effetto collaterale non dose-dipendente è correlato alla velocità di infusione del farmaco. Nei trial clinici, circa il 3% dei pazienti che hanno manifestato ipotensione ha dovuto modificare la terapia con amiodarone e il 2% sospendere l’antiaritmico. In alcuni pazienti, l’ipotensione è risultata refrattaria ed ha provocato esito fatale.
Centrali: tremori, astenia, parestesia, vertigini, cefalea, insonnia, neuropatie, turbe della motilità e della sensibilità, disturbi del sonno, discinesia, allucinazioni uditive, pseudotumor cerebrale, vampate, sudorazione, ipertensione intracranica, delirio (Trihman et al., 1998), polineuropatia demielinizzante (segnalazioni sporadiche).
Gli effetti collaterali neurologici interessano il 20-40% dei pazienti in terapia con amiodarone; in particolare, tremore e atassia fino al 35% dei pazienti. Le neuropatie periferiche associate a somministrazione di amiodarone sono localizzate soprattutto agli arti inferiori; il recupero della funzionalità avviene in 1-6 mesi dopo la sospensione del trattamento.
Dermatologici: fotosensibilizzazione e fotofobia (50-75% dei pazienti), pigmentazione grigiastra della cute (fino al 30% dei pazienti) per aumento della concentrazione dermica di lipofucina (Gill et al., 1992); eruzioni cutanee, melanodermia delle parti scoperte, alopecia, vasculite cutanea, dermatite esfoliativa, necrolisi epidermica, eritema multiforme, sindrome di Stevens-Johnson, dermatite esfoliativa, neoplasia cutanea, prurito, esacerbazione della psoriasi (segnalazioni sporadiche).
Fotosensibilizzazione e pigmentazione grigiastra della cute rappresentano gli effetti collaterali principali associati ad amiodarone. Queste reazioni interessano quasi esclusivamente le aree di cute esposte al sole. Poichè in queste aree la concentrazione di amiodarone e DEA è pari a 10 volte quella riscontrata nelle zone di cute non fotoesposte, è probabile che si tratti di una reazione fototossica piuttosto che fotoallergica (Zachary et al., 1984).
La reazione di fotosensibilizzazione compare dopo alcuni mesi dall’inizio della terapia ed è scatenata dai raggi ultravioletti di tipo A. I sintomi, comprendenti eritema, bruciore ed edema, si manifestano entro poche ore dall’esposizione al sole e possono protrarsi fino ad una settimana. Dopo sospensione dell’amiodarone, la fotosensibilizzazione può persistere per 4-12 mesi.
Gli effetti collaterali dermatologici interessano circa il 15% dei pazienti e, in genere, non richiedono la sospensione della terapia.
Ematici: anemia emolitica, anemia aplastica, pancitopenia, neutropenia, trombocitopenia e porpora secondaria a ridotta aggregazione piastrinica, agranulocitosi, granulomi multipli nel midollo osseo.
Endocrini: iper/ipotiroidismo (Newman et al., 1998).
L’amiodarone può provocare tossicità a livello tiroideo per liberazione di iodio e per effetto citotossico diretto sulle cellule tiroidee. Il farmaco riduce la conversione periferica di T4 (tiroxina) a T3 (triiodotironina) con conseguente aumento dei livelli di T4, riduzione dei livelli di T3 e conversione di T4 in “reverse T3” (rT3). L’amiodarone determina aumento transitorio di TSH (primi tre mesi di terapia). I livelli di TSH aumentano in seguito alla riduzione intracellulare di T3 per poi normalizzarsi quando la concentrazione plasmatica di T4 aumenta sufficientemente da superare il blocco parziale della produzione di T3 (il rilascio di TSH è controllato con un meccanismo di feed-back negativo preferenzialmente dal T3 e in misura minore dal T4). In circa il 30% dei pazienti si manifesta ipertiroxinemia eutiroidea, caratterizzata da incremento dei livelli di T4, TSH plasmatico non soppresso e assenza di segni clinici di ipertiroidismo (l’attività biologica di T4 dipende dalla conversione periferica a T3 inibita dall’amiodarone; l’amiodarone stesso e in misura maggiore il metabolita attivo e l’rT3 presentano antagonismo competitivo recettoriale con gli ormoni tiroidei).
L’amiodarone può provocare sia tireotossicosi sia ipotiroidismo, indipendentemente dalla preesistenza di patologie tiroidee.
L’ipertiroidismo da amiodarone, più frequente nelle aree ad insufficiente apporto di iodio e nella popolazione maschile, può manifestarsi come tireotossicosi indotta da iodio, trattabile con perclorato di potassio in associazione a tionamidi e sospensione dell’amiodarone, oppure come tireotossicosi distruttiva, responsiva a prednisone e che non richiede necessariamente l’interruzione dell’antiaritmico (Eskes et al., 2009). L’ipertiroidismo determina riduzione, a valori inferiori al limite diagnosticabile (< 0,03 microU/ml), dei livelli di TSH associato ad un aumento della concentrazione di T3 oppure della concentrazione di T4 in assenza di variazione dei livelli di T3; in alcuni casi entrambi gli ormoni tiroidei risultano sensibilmente aumentati.
In alcuni pazienti si manifesta un ipertiroidismo caratterizzato da valori di TSH subnormali, ma ancora rilevabili (>/= 0,03-0,3 microU/ml), in assenza di sintomi clinici (ipertiroidismo borderline non evolutivo). Questa condizione ormonale richiede un monitoraggio attento per verificare l’eventuale evoluzione verso un ipertiroidismo conclamato, ma nessun intervento terapeutico.
L’esordio dell’ipertiroidismo può essere acuto oppure ritardato, manifestandosi alcuni mesi dopo la sospensione dell’amiodarone. I sintomi clinici comprendono riduzione di peso, tachicardia, nervosismo, tremori, irritabilità, angina; possibile comparsa di effetti psichiatrici specialmente in caso di pazienti anziani. Tali sintomi però possono essere mascherati dalla persistente attività antitiroidea periferica e antiadrenergica dell’amiodarone. L’unica manifestazione clinica di ipertiroidismo potrebbe essere rappresentata dalla recidiva della tachiaritmia ventricolare o sopraventricolare, motivo per cui era stato somministrato l’amiodarone.
L’amiodarone può provocare ipotiroidismo nelle fasi iniziali della terapia, potenzialmente nelle aree a sufficiente apporto di iodio e nelle donne con anticorpi anti-TPO. L’ipotiroidismo è dovuto all’effetto Wolff-Chaikoff, effetto autoregolatorio che inibisce la formazione degli ormoni tiroidei in condizioni di eccesso di iodio. Questo effetto ha una durata di alcuni giorni, poi attraverso un meccanismo di escape, la tiroide riprende la sua normale funzione di sintesi. Aumenti elevati di TSH (4,5-10 mU/L) (ipotiroidismo biochimico) possono manifestarsi in circa un quarto dei pazienti trattati; nel 5% dei pazienti, in terapia da più di 6 mesi, i livelli di TSH possono superare i 10 mU/L (vs 0,3% con placebo). Insieme all’aumento dei livelli di TSH si evidenziano livelli di T4 normali, ma più bassi rispetto a valori precedenti (ipotiroidismo subclinico), oppure inferiori al range di normalità (ipotiroidismo conclamato). La diminuzione dei livelli di T3 non è significativa, perchè può essere riscontrata anche in pazienti eutiroidei. L’ipotiroidismo è caratterizzato da aumento di peso, sonnolenza, apatia. Per trattare l’ipotiroidismo da amiodarone si consiglia di associare un trattamento sostitutivo con L-tiroxina (dose iniziale di 25 mcg/die e dose finale di 1,3 mcg/kg/die con monitoraggio dei livelli di TSH e T4 libero ogni 6 settimane). In alternativa interrompere l’amiodarone e valutare una eventuale terapia sostitutiva con L-tiroxina. In assenza di anticorpi antitiroidei la normalizzazione della funzionalità tiroidea avviene entro 1-3 mesi dalla sospensione del trattamento. La presenza, invece, di anticorpi antitiroidei aumenta il rischio di ipotiroidismo permanente. Per accelerare la riduzione dell’ipotiroidismo somministrare perclorato di potassio (1 g/die per 5 settimane) anche se circa la metà dei pazienti tendono a ripresentare ipotiroidismo al termine del trattamento (efficacia transitoria del sale). Il perclorato di potassio inibisce la captazione dello ioduro da parte della ghiandola tiroidea con conseguente minor effetto inibitorio sulla sintesi degli ormoni tiroidei.
Epatici: incremento delle transaminasi epatiche (15-30%), epatite cronica, epatite colestatica, cirrosi (incidenza di epatite e cirrosi < 3%) (Morse et al., 1988).
L’aumento degli enzimi epatici in corso di terapia con amiodarone è di difficile diagnosi, perchè molti dei pazienti con patologie cardiovascolari (infarto, insufficienza cardiaca, defibrillazioni elettriche multiple) presentano livelli elevati delle transaminasi. Negli studi clinici in cui l’amiodarone è stato somministrato per endovena, circa la metà dei pazienti arruolati presentava livelli basali delle transaminasi aumentati e circa il 13% aumenti clinicamente significativi.
L’amiodarone somministrato per os può causare epatite, epatopatia acuta, caratterizzata da citolisi e colestasi, o cronica, caratterizzata da epatomegalia e aumento delle transaminasi (SGOT maggiore di SGPT). L’epatite Cronica spesso si presenta con caratteristiche simili a epatopatia pseudoalcolica e con presenza di inclusioni lisosomiali multilamellari riconducibili a fosfolipidosi da amiodarone; il miglioramento si verifica dopo 2-3 mesi dopo la sospensione del trattamento. In alcuni casi, l’epatite è risultata irreversibile oppure è evoluta a cirrosi micronodulare a decorso fatale (Simon et al., 1984; Poucell et al., 1984). L’amiodarone può indurre epatopatia precoce (dopo 6 settimane di trattamento) su base idiosincrasica e danno epatico tardivo, evidente dopo qualche mese dall’interruzione della terapia, caratterizzato da grave colestasi intraepatica con ittero ostruttivo (Jain et al., 2000; Chang et al., 1999).
In caso di somministrazione endovena di amiodarone, gli effetti epatotossici (prevalenza: 9-17%) sembrerebbero dipendere più dall’impiego del polisorbato 80 come eccipiente che dal famaco tal quale (Rhodes et al., 1993). Questo potrebbe spiegare anche perchè il riscontro di epatite acuta con amiodarone ev. non preclude la somministrazione del farmaco per os (James, Hardman, 1997). Sono comunque stati riportati necrosi epatocellulare acuta, evolutasi in coma epatico, insufficienza renale acuta e morte, in seguito a dose di carico eccessiva e velocità di infusione elevata (1500 mg in 5 ore).
Gastrointestinali: nausea, vomito, anoressia, costipazione, dolore addominale, alterazione del gusto (disgeusia).
Gli effetti gastrointestinali hanno evidenziato un’incidenza molto variabile nei trial clinici (5-80%), sono dose-dipendenti, quindi, più frequenti nella fase di “carico“ del trattamento.
Nausea, vomito, anoressia e costipazione interessano circa il 25% dei pazienti, ma in genere non provocano interruzione anticipata del trattamento, perchè rispondono abbastanza bene ad una riduzione del dosaggio dell’amiodarone e/o alla suddivisione della dose nell’arco della giornata.
Ipersensibilità: shock anafilattico, trombocitopenia, vasculite (Gutierrez et al., 1994).
Locali: (somministrazione parenterale) irritazione locale, dolore, eritema, edema, stravaso, infiltrazione, infiammazione, indurimento, flebite, tromboflebite, infezioni, cellulite.
Metabolici: aumento dei livelli di fosfolipidi nei tessuti; aumento dei livelli di colesterolo totale e colesterolo LDL (Lakhdar et al., 1991; Wiersinga et al. 1991), di apolipoproteina B; incremento transitorio dei trigliceridi; aumento della bilirubina, aumento della fosfocreatinchinasi (Pharmasearch, 2008).
L’incremento dei livelli di colesterolo correla positivamente con la dose cumulativa di amiodarone e sembrerebbe dipendere da un effetto inibitorio del farmaco sull’epressione genica dei recettori per le lipoproteine LDL (Hudig et al., 1997). Poichè le variazioni indotte dall’amiodarone sul profilo lipidico plasmatico tendono ad aumentare il rischio cardiovascolare, è importante monitorare l’andamento della colesterolemia in rapporto alla dose cumulativa di amiodarone.
Muscoloscheletici: miopatia, debolezza muscolare, rabdomiolisi.
Oftalmici: disturbi visivi, neuriti e neuropatie ottiche (</= 1-2%), papilledema, degenerazione corneale, fotosensibilità, scotoma, opacità, degenerazione maculare.
L’amiodarone provoca la formazione di microdepositi lipidici a livello dell’epitelio corneale (nell’area subpupillare), bilaterali e simmetrici, che dopo quattro mesi di terapia sono riscontrabili in quasi tutti i pazienti (> 90%). Questi depositi sono dovuti a inclusioni lisosomiali multilamellari (inibizione della fosfolipasi lisosomiale da parte dell’amiodarone) a livello di epitelio e stroma corneale e, in misura minore, a livello di epitelio, di retina, di iride e nervo ottico. L’amiodarone arriva nella cornea dopo essersi accumulato nelle ghiandole lacrimali ed essere stato successivamente escreto con le lacrime. L’accumulo nella ghiandola lacrimale si verifica quando la concentrazione plasmatica di farmaco supera il valore soglia di 1,2 mcg/ml. I microdepositi, con o senza percezione di aloni colorati, scompaiono qualche mese (3-20 mesi) dopo l’interruzione del trattamento.
L’amiodarone è stato messo in relazione con la formazione di piccole opacità subcapsulari anteriori puntiformi di colore bianco-grigiastro che interessano la zona pupillare. Tali opacità possono essere riscontrate in circa il 50-60% dei pazienti dopo 5-22 mesi dall’inizio della terapia e, sebbene possano persistere anche dopo la sospensione dell’amiodarone, non risultano comportare compromissione della vista (Flach, Dolan, 1990).
L’amiodarone è stato associato a nevrite ottica con riduzione dell’acuità visiva e offuscamento.
Respiratori: tosse, dispnea con alterazione della diffusione alveolocapillare, respiro sibilante, dolore pleurico, infiammazione polmonare, polmonite, polmonite lipoide, infiltrazione polmonare, alveolite, bronchiolite obliterante con o senza polmonite organizzata, polmonite interstiziale, fibrosi polmonare, broncospasmo, apnea, distress respiratorio, insufficienza respiratoria, emottisi, pleurite.
La tossicità polmonare è dose-dipendente e talvolta dipende da reazioni immunitarie; può interessare fino al 17% dei pazienti e può essere fatale nell’1-33% dei casi. Il tempo di insorgenza varia da alcuni giorni a qualche mese, ma può avvenire anche dopo l’interruzione della terapia (per l’elevata emivita del farmaco).
La maggior parte dei pazienti in terapia cronica con amiodarone sviluppa una leggera compromissione della capacità di diffusione della membrana alveolo-capillare polmonare (riduzione del 15-20% della capacità di diffusione del monossido di carbonio, DLco). Questo effetto non è indice di tossicità, ma di esposizione al farmaco ed è causato dall’aumento del contenuto polmonare di fosfolipidi per inibizione della fosfolipasi A2 lisosomiale, e del surfactante polmonare da parte delle cellule epiteliali per azione diretta dell’amiodarone (la fosfolipidosi polmonare è solo una delle numerose localizzazioni di fosfolipidosi diffusa indotta dall’amiodarone). Negli studi clinici, una riduzione della DLco, fino al 20% circa, non è stata associata a sintomi clinici di tossicità polmonare nei pazienti trattati con amiodarone (Singh et al., 1997; Pollak et al., 1999).
La polmonite interstiziale e l’alveolite presentano un esordio insidioso in circa due terzi dei pazienti e acuto in circa un terzo. La mortalità è pari al 5-10% e la prognosi è tanto più favorevole quanto più tempestivo è l’intervento terapeutico; risulta pertanto importante individuare quanto prima i sintomi riconducibili a queste patologie.
Analogo approccio deve essere adottato anche in caso di bronchiolite obliterante con polmonite organizzata; l’intervento terapeutico precoce con corticosteroidi riduce la mortalità dal 50% al 15%.
L’effetto tossico più grave che compare in caso di terapia prolungata con amiodarone è la fibrosi polmonare, il cui rischio aumenta in presenza di patologia polmonare già presente e dosi maggiori o uguali a 400 mg/die (Goodman & Gilman, 1999). L’incidenza di tossicità polmonare diminuisce con dosi inferiori o uguali a 200 mg/die, ma non può essere completamente esclusa. In uno studio di piccole dimensioni, sintomi di tossicità polmonare, tosse e dispnea, sono stati segnalati in 7 su 8 pazienti (età compresa fra 65 e 89 anni) dopo trattamento con dosi di 200 mg/die per due anni (Ott et al., 2003).
Fattori di rischio di tossicità polmonare amiodarone-indotta comprendono preesistente pneumopatia diffusa con riduzione della massa di parenchina funzionante, dose di mantenimento elevata, età > 40 anni, livelli più bassi di DLco e maggiori livelli di DEA (Dusman et al., 1990; Jessurun et al., 1998; Horowitz, 1988).
In caso di tossicità polmonare, ridurre il dosaggio o, eventualmente, sospendere il trattamento con amiodarone; in presenza di polmonite interstiziale e bronchiolite obliterante somministrare corticosteroidi. Entro 3-4 settimane dalla sospensione del trattamento, si osserva un miglioramento dei sintomi; la normalizzazione dei parametri avviene entro 3-6 mesi.
Urogenitali: insufficienza renale, insufficienza renale acuta, sindrome da inappropriata secrezione dell’ormone antidiuretico ADH, epididimite (Ward et al., 1988); dolore scrotale, gonfiore all’epididimo (Gasparich et al., 1984; Ward et al., 1988) probabilmente per elevata concentrazione del metabolita desetilamiodarone a livello dello sperma (Gill et al., 1992); disfunzione testicolare primitiva, in alcuni casi responsabile di impotenza sessuale, riduzione della libido, dolore al capezzolo (Pharmasearch, 2009).
Sistemici: (molto rari) sudorazione, pancreatite, che tende a scomparire con la sospensione dell’amiodarone, ma a ricomparire alla sua ripresa (Bosch et al., 1997); reazioni anafilattiche/anafilattoidi incluso angioedema e shock anafilattico; granulomi; lupus eritematoso sistemico (segnalazioni sporadiche) (Sheikhzadeh et al., 2002).