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Aloperidolo

Haldol, Haldol Decanoas, Serenase e altri

Avvertenze - Quali informazioni conoscere prima di usare Aloperidolo?

Pazienti anziani con demenza: diversi studi clinici supportano l’osservazione di un aumento del rischio di mortalità legato all’uso dei farmaci antipsicotici nei pazienti anziani affetti da demenza. Non tutti i trial clinici comunque vanno in questa direzione. Un’analisi, pubblicata nel 2015, che ha preso in considerazione 17 studi clinici randomizzati controllati con placebo, non ha evidenziato un aumento del rischio di mortalità per gli antipsicotici tradizionali, incluso l’aloperidolo, nei pazienti con demenza o delirio. I dati, relativi a 2387 pazienti, hanno evidenziato infatti una differenza di rischio di mortalità, tra pazienti trattati con antipsicotici e non trattati, dello 0,1% (0,4% per aloperidolo vs placebo) e un rapporto di rischio di 1,07 (1,25 per aloperidolo vs placebo) (Hulshof et al., 2015). Viceversa, uno studio retrospettivo caso-controllo, pubblicato nello stesso anno, relativo a più di 90mila partecipanti con più di 65 anni e diagnosi di demenza, trattati con antipsicotici (aloperidolo, olanzapine, quetiapina e risperidone), acido valproico e derivati o antidepressivi, ha evidenziato un aumento del rischio di mortalità per l’aloperidolo (3,8%), seguito da risperidone (3,7%), olanzapine (2,5%) e quetiapina (2,0%) rispetto al gruppo di pazienti che non assumevano farmaci. Inoltre, rispetto all’uso di antidepressivi, il rischio di mortalità è risultato variare dal 12,3% con l’aloperidolo al 3,2% con quetiapina (Maust et al., 2015). In un altro studio che ha confrontato “uso di antispicotici atipici verso il non uso di antipsicotici” e “uso di antipsicotici atipici verso antipsicotici tradizionali”, gli antispicotici non stati associati ad un aumento del rischio di mortalità negli anziani con demenza e il rischio di mortalità è risultato più elevato con gli antipsicotici tradizionali (Gill et al., 2007). Queste osservazioni sono state confermate in altri studi clinici (Prescrire Int., 2010; Liperoti et al., 2009; Kales et al., 2007).

Prolungamento dell’intervallo QT dell’elettrocardiogramma e aritmie: l’aloperidolo è un farmaco noto per essere associato a prolungamento dell’intervallo QT dell’elettrocardiogramma (ECG), fattore di rischio per aritmia cardiaca - in particolare per un’aritmia cardiaca ventricolare grave chiamata “torsione di punta” - e per morte cardiaca improvvisa. Nel 2007 sia l’agenzia americana (Food and Drug Administration - FDA) che quella italiana (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA) che si occupano di farmaci, pubblicarono un avviso relativo proprio al rischio di torsione di punta con l’aloperidolo, soprattutto quando il farmaco era usato a dosi elevate o per via endovenosa (l’aloperidolo è approvato per la somministrazione intramuscolare, la somministrazione per endovena rappresenta un impiego off label del farmaco) (Food and Drug Administration - FDA, 2007; Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2007). L’azione dell’aloperidolo sul QT dipende dalla sua capacità di bloccare i canali del potassio (hERG) (Salvo et al., 2016). Nelle cellule eccitabili come quelle cardiache, l’inibizione dei canali voltaggio dipendenti del potassio (canali HERG) rallenta la fase di ripolarizzazione della membrana cellulare con conseguente prolungamento della durata del potenziale d’azione e rischio di aritmia. Nei pazienti in terapia con aloperidolo che presentano condizioni che possono portare ad un prolungamento dell’intervallo QT (squilibri elettrolitici, problemi cardiaci preesistenti, ipotiroidismo, storia familiare di prolungamento del QT, storia di alcolismo, uso di farmaci con effetti sul QT) si raccomanda di monitorare l’attività cardiaca con degli ECG periodici. Inoltre, se nel corso della terapia di osserva un prolungamento dell’intervallo QT, la dose di aloperidolo deve essere rivista e, se la durata dell’intervallo QT supera i 500 ms, il farmaco deve essere sospeso.

Squlibri elettrolitici (ipopotassiemia, ipomagnesiemia): poichè una ipopotassiemia (concentrazione sierica di potassio < 3,5 mEq/L) o una ipomagnesiemia (concentrazione sierica di magnesio < 0,70 mmol/L ovvero 1,8 mg/dL) rappresentano fattori di rischio per aritmia cardiaca, queste condizioni devono essere corrette prima di iniziare la terapia con aloperidolo e devono essere monitorate durante tutto il trattamento con l’antipsicotico.

Ipotensione, ipotensione ortostatica: l’aloperidolo deve essere somministrato con cautela a pazienti che manifestano ipotensione, inclusa ipotensione ortostatica. Il farmaco infatti è stato associato a riduzione dei valori pressori.

Eventi cerebrovascolari: l’uso dei farmaci antipsicotici nella popolazione anziana con demenza è associato ad un aumento di eventi avversi cerebrovascolari, incluso l’ictus. In uno studio retrospettivo che ha preso in considerazione più di 70mila partecipanti con età uguale o superiore a 65 anni e trattati con antispicotici tradizionali (clorpromazina e aloperidolo) e atipici (risperidone, quetiapina o olanzapina), l’incidenza più alta di ictus ischemico è stato osservato con clorpromazina e aloperidolo rispetto a risperidone (Shin et al., 2015). Un trend simile era stato osservato in uno studio precedente in cui il rischio di eventi cerebrovascolari era risultato più alto con gli antipsicotici tradizionali rispetto agli atipici e con entrambi i gruppi di farmaci rispetto al non uso di antipsicotici (Laredo et al., 2011). Nei pazienti con fattori di rischio per ictus, l’aloperidolo deve essere somministrato con cautela.

Sindrome neurolettica maligna: l’aloperidolo può causare sindrome neurolettica maligna. Si tratta di una condizione patologica che può mettere a rischio la vita e che si manifesta con febbre, confusione mentale, rigidità muscolare, alterazioni del ritmo cardiaco, alterazioni della pressione arteriosa, sudorazione eccessiva. La sindrome neurolettica maligna è un evento raro grave che, virtualmente, può manifestarsi con qualsiasi farmaco neurolettico, ma che nella pratica clinica è stata riportata più frequentemente con aloperidolo e flufenazina. Il fattore scatenante principale della sindrome è il blocco dei recettori dopaminergici. In caso di diagnosi positiva, il primo passo è la sospensione immediata del farmaco, quindi il ricorso ad un trattamento sintomatico volto a stabilizzare i parametri vitali e ad evitare eventuali complicazioni. I farmaci più utilizzati (uso empirico) sono la bromocriptina mesilato (agonista della dopamina) e il dantrolene sodico (miorilassante) (Simon, Callahan, 2019).

Discinesia terdiva: è un effetto collaterale dei farmaci antipsicotici, incluso l’aloperidolo. Si manifesta con movimenti involontari, ripetitivi, del viso, della lingua, della mandibola e della bocca e può comparire in caso di terapia prolungata o alla sospensione del farmaco. Da dati di letteratura, l’incidenza di discinesia tardiva interessa più del 20% dei pazienti adulti che assumono antipsicotici di prima generazione per più di tre mesi, con un incremento del 5% per anno per quelli che continuano ad assumere i farmaci (Tarsy et al., 2011). Secondo altri dati l’incidenza di discinesia tardiva oscilla tra il 5% e il 60% nei pazienti che assumono antipsicotici per lunghi periodi senza differenza tra antispicotici tipici e atipici (a dosi moderate) (Rosenheck, 2007; Kane et al., 1995). In uno studio che ha valutato olanzapina e antipsicotici tipici (il 40,6% dei pazienti trattati con aloperidolo) in pazienti anziani (età media: 78 anni) con diagnosi prevalente di demenza, l’incidenza cumulativa di discinesia tardiva è risultata bassa, con un rischio sovrapponibile nei due gruppi di trattamento (olanzapina vs antipsicotici tipici) (Kinon et al., 2015). In caso di discinesia tardiva, l’aloperidolo deve essere sospeso.

Sintomi extrapiramidali: i sintomi extrapiramidali (disturbi del movimento) sono associati al trattamento con farmaci antipsicotici, soprattutto di prima generazione (antipsicotici tipici o tradizionali). I sintomi extrapiramidali comprendono tremore, rigidità, ipersalivazione, bradicinesia, acatisia, distonia acuta. La bradicinesia consiste nel rallentamento dei movimenti volontari, l’acatisia nell’incapacità a rimanere fermi, la distonia acuta in difficoltà motoria dovuta a contrazione involontaria di gruppi di muscoli antagonisti dalla stessa parte del corpo. Nei pazienti in terapia con aloperidolo è stata segnalata acatisia soprattutto all’inizio del trattamento. La distonia acuta può comparire nei primi giorni di terapia o dopo un aumento della dose di farmaco. I sintomi extrapiramidali possono essere trattati con farmaci utilizzati per la terapia del parkinson, questi ultimi non sono raccomandati a scopo profilattico. Se il farmaco antiparkinson ha un’emivita inferiore a quella dell’aloperidolo, viene cioè eliminato più velocemente, la sua somministrazione deve continuare per un certo tempo dopo la sospensione dell’aloperidolo per evitare la ricomparsa dei sintomi extrapiramidali indotti dall’antipsicotico.

Convulsioni: i farmaci antipsicotici possono ridurre la soglia convulsiva favorendo l’insorgenza di convulsioni, pertanto nei pazienti a rischio di crisi convulsiva, la somministrazione di aloperidolo richiede cautela.
L’incidenza di convulsioni è risultata, negli studi clinici, pari allo 0,1-1,5% per la maggior parte dei farmaci antipsicotici alle dosi terapeutiche; in caso di intossicazione (sovradosaggio), il rischio di convulsioni aumenta e può arrivare fino al 30% (Pisani et al., 2002). La differenza tra antipsicotici tipici e atipici in merito al rischio di convulsione farmaco-indotta è risultata limitata, con una leggera preponderanza per i primi. Utilizzando infatti il risperidone come termine di paragone, l’aloperidolo, insieme a clozapina e tioridazina, è risultato più epilettogeno mentre l’aripiprazolo meno (Wu et al., 2016). In uno studio che ha confrontato 4 sottoclassi di antipsicotici distinte in base al rischio epilettogeno stimato (l’aloperidolo era inserito nella sottoclasse con potenzialità medio-alta), è emerso che, nei pazienti con disturbi affettivi, solo gli antipsicotici tipici con potenzialità epilettogena medio-alta (aloperidolo, proclorperazina e trifluoperazina) erano associati ad un aumento del rischio di sviluppare una crisi convulsiva, pari a 2,5 volte, rispetto al non uso di antipsicotici (gli altri antipsicotici valutati, indipendentemente dalla sottoclasse di appartenenza, non erano associati a convulsioni). Nei pazienti con demenza, invece, tutti gli antipsicotici valutati, con l’eccezione di amisulpiride, aripiprazolo, risperidone e sulpiride, risultavano associati ad un aumento del rischio di convulsoni. Lo studio non ha valutato l’impatto degli antipsicotici nei pazienti con schizofrenia perché il numero di questi ultimi era troppo piccolo (Bloechliger et al., 2015).

Pazienti con insufficienza epatica: poiché l’aloperidolo è metabolizzato dal fegato, nei pazienti con insufficienza epatica potrebbe essere necessario un aggiustamento della dose di farmaco per mantenere la concentrazione plasmatica all’interno dell’intervallo terapeutico.

Iperprolattinemia: l’aloperidolo può causare un aumento significativo dei livelli di prolattina (>25-30 ng/ml) per inibizione dei recettori dopaminergici che collegano l’ipotalamo all’ipofisi (via tuberoinfundibolare). L’iperprolattinemia può causare galattorrea, amenorrea e disturbi sessuali. La somministrazione dell’aloperidolo richiede pertanto cautela nei pazienti con pre-esistente iperprolattinemia o con tumori prolattino-dipendenti.

Ipertiroidismo: può favorire la neurotossicità dell’aloperidolo, che a sua volta può esacerbare una condizione di ipertiroidismo (Chu et al., 2004). L’aloperidolo deve essere somministrato con cautela a pazienti con ipertiroidismo o tireotossicosi.

Tromboembolismo venoso: gli antipsicotici sono risultati associati ad un aumento del rischio di tromboembolismo venoso. L’incidenza dell’evento avverso sembra indipendente dal tipo di antipsicotico utilizzato. Sulla base di alcuni studi caso-controllo, il rischio di tromboembolismo venoso sembrerebbe maggiore nei primi tre mesi di terapia e con gli antipsicotici di minor potenza. In un ampio studio inglese, il rischio stimato di tromboembolismo venoso associato all’uso di antipsicotici per un anno è risultato di 4 casi su 10mila pazienti trattati di qualsiasi età e di 10 casi su 10mila pazienti trattati con età =/> 65 anni (Parker et al., 2010). In un altro studio, di contro, non è emerso un aumento del rischio di tromboembolismo venoso tra utilizzatori e non utilizzatori di farmaci antipsicotici, ma limitando l’osservazione al primo mese di terapia, il rischio associato agli antipsicotici è risultato più alto di 3,2 volte (Ishiguro et al., 2014). Nei pazienti che sviluppano tromboembolismo venoso, dovrebbe essere istituito un trattamento adeguato e valutata l’opportunità di interrompere la terapia antipsicotica o cambiare farmaco. Nei pazienti con pre-esistenti fattori di rischio per tromboembolismo venoso, dovrebbe essere valutata una terapia profilattica specifica (Jonsson et al., 2018).

Depressione: l’aloperidolo può essere somministrato a pazienti che presentano depressione associata a psicosi; non è raccomandato per il trattamento di pazienti che presentano depressione come malattia predominante.

Disturbo bipolare: nei pazienti con disturbo bipolare trattati con antipsicotici per gli episodi maniacali si può verificare il passaggio dalla mania alla depressione con conseguente rischio di pensieri/azioni volti al suicidio. Questo “passaggio” deve essere sempre tenuto presente per poter individuare comportamenti a rischio.

Schizofrenia: nei pazienti affetti da schizofrenia, la risposta terapeutica agli antipsicotici può essere ritardata.

Metabolizzatori lenti del CYP2D6: l’aloperidolo è metabolizzato nel fegato ad opera di alcuni enzimi del citocromo. Di questi enzimi, il più importante è il CYP2D6, seguito dal CYP3A4. Il CYP2D6 presenta diverse forme (polimorfismo) caratterizzata da un’attività enzimatica differente. I pazienti con forme di CYP2D6 a bassa attività possono andare incontro a livelli plasmatici di aloperidolo più alti soprattutto se trattati contemporaneamente con farmaci che inibiscono il CYP3A4.

Pazienti pediatrici, pazienti anziani: il profilo degli eventi avversi dell’aloperidolo presenta differenze in termini di incidenza e tipologia nei pazienti pediatrici e nei pazienti con più di 65 anni rispetto ai pazienti adulti (18-65 anni). Facendo riferimento ai dati raccolti dal sistema di farmacovigilanza americano (AERS, Adverse Events Reporting System), gli effetti collaterali riscontrati con maggior incidenza nella popolazione adulta sono stati: diabete mellito, sindrome neurolettica maligna, sonnolenza, piressia e ipertensione; nella popolazione pediatrica: sonnolenza, tremore, disturbi extrapiramidali, spasmo muscolare e sindrome neurolettica maligna; nella popolazione geriatrica: agitazione, stato confusionale, caduta, piressia e delirio (Sagreiya et al., 2017).
Nei pazienti pediatrici la sicurezza e l’efficacia della formulazione depot di aloperidolo (aloperidolo decanoato) non sono state stabilite.

Sospensione della terapia antipsicotica: poiché raramente sono stati osservati sintomi di astinenza acuta dopo interruzione di farmaci antipsicotici somministrati ad alte dosi, in via precauzionale, è preferibile sospendere gradualmente la terapia.

Attività che richiedono attenzione e coordinazione costante: l’aloperidolo può influire negativamente sulla capacità di attenzione soprattutto all’inizio della terapia. E’ importante pertanto verificare gli effetti del farmaco prima di guidare autoveicoli o usare macchinari che richiedono attenzione e coordinazione motoria costante.

Gravidanza: sulla base delle evidenze disponibili, l’aloperidolo non è risultato aumentare il rischio di malformazioni congenite quando assunto durante la gravidanza. Sono stati segnalati invece un aumento di interruzioni di gravidanza, nascite pretermine, peso neonatale medio più basso (considerando tutti i bambini e quelli nati a termine) in caso di esposizione durante la gravidanza a neurolettici della classe dei butirrofenoni (aloperidolo e perfluridolo) (Diav-Citrin et al., 2005).

Allattamento: sulla base delle informazioni disponibili, dosi di aloperidolo fino a 10 mg/die non sono risultate avere effetti sui neonati allattati al seno (concentrazioni di farmaco minime nel latte materno). In caso di terapie di associazione di aloperidolo con altri farmaci antipsicotici il rischio di effetti collaterali sui neonati è più probabile. In ogni caso monitorare sonnolenza e sviluppo neonatale (Toxnet-Lactomed, 2019). L’Agenzia Italiana del Farmaco non consiglia, in via precauzionale, l’uso dell’aloperidolo durante l’allattamento al seno (Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA, 2019).

Fertilità: l’aloperidolo può causare iperprolattinemia che a sua volta può inibire il rilascio dell’ormone ipotalamico GnRH (Gonadotropin Releasing Hormone) con effetti negativi sulla secrezione delle gonadotropine da parte della ghiandola ipofisaria. Questo meccanismo può ridurre la fertilità nella donna e nell’uomo.

Lattosio: alcune formulazioni farmaceutiche a base di aloperidolo contengono lattosio o saccarosio. I pazienti con intolleranza al galattosio o al fruttosio, oppure con deficit totale di lattasi o sucrasi isomaltasi (enzimi del metabolismo di lattosio e saccarosio) o con malassorbimento di glucosio-galattosio non devono assumere medicinali contenenti lattosio o saccarosio.

Metil-para-idrossibenzoato: questo eccipiente può causare reazioni allergiche.


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