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Acido Folico

Folina, Fertifol, Folidex e altri

Farmacologia - Come agisce Acido Folico?

L’acido folico {N-(p-(2-amino-4-idrossi-6pteridinil) metil) amino) benzoil)-L-acido glutammico} o acido pteroilglutammico è costituito da un anello pteridinico legato, con un ponte metilenico, all’acido p-paraminobenzoico, unito a sua volta all’acido glutammico da un legame amidico.

L’acido folico, anche detto vitamina B9, è una sostanza indispensabile per l’organismo, perché in qualità di cofattore enzimatico partecipa a numerosi processi metabolici: sintesi di purine e pirimidine; conversione dell’omocisteina in metionina (cofattore: vitamina B12) e di serina in glicina (cofattore vitamina B12); coinvolgimento nel metabolismo dell’istidina; mantenimento della normale eritropoiesi.

L’acido folico non può essere sintetizzato dall’organismo, il suo fabbisogno viene soddisfatto tramite un corretto apporto dietetico.
E’ contenuto nei vegetali freschi verdi (insalata, asparagi, spinaci, broccoli), funghi, frutta (banane, meloni, limoni), fegato, rene, lievito.
La dieta standard negli Stati Uniti fornisce una quantità variabile da 50 a 500 mcg/die di folati assorbibili, ma la biodisponiblità di folati nelle diete di tipo misto è variabile.
L’acido folico negli integratori ha una biodisponibilità circa doppia rispetto ai folati contenuti negli alimenti (Oakley, 1998).

La folatemia sierica è compresa tra 6-19 ng/ml negli adulti ed è circa 2-3 volte maggiore nei neonati.
Il fabbisogno giornaliero è di 5 mcg/kg nei neonati, di 8-10 mcg/kg nei bambini, di 800 mcg/die in gravidanza e di 55 mcg/die durante l’allattamento.

Negli Stati Uniti dal gennaio 1998, tutti i cereali per la colazione sono stati arricchiti con 140 mcg di acido folico per 100 g di prodotto; è stato stimato che questo arricchimento aumenta l’apporto di acido folico di circa 215-240 mcg/die (Quinlivan, Gregory, 2003).
Recentemente sono stati prodotti anche hamburger arricchiti con diverse quantità di acido folico (0.6, 1.2 and 2.4 mg/100g) (Galán et al., 2010).
L’incidenza dei difetti del tubo neurale negli Stati Uniti, che era in declino da decenni, ha subito un’ulteriore diminuzione di circa il 25% da quando è stato messo in atto l’arricchimento dei cibi (Mathews et al., 2002).
In certi casi, comunque, l’arricchimento dei cibi con acido folico potrebbe rivelarsi insufficiente per la prevenzione dei difetti al tubo neurale (Daly et al., 1997).

In Europa, la media dell’apporto giornaliero di acido folico con la dieta, pari a circa 291 mcg/die negli uomini e a 247 mcg nelle donne, non è sufficiente per un’efficace prevenzione dei difetti del tubo neurale (Doctor Pediatria, 2002).

La quantità di acido folico presente nell’organismo può coprire il fabbisogno della vitamina solo per 2-4 mesi in assenza di un apporto costante esterno. Valori ematici inferiori a 4 ng/ml sono indicativi di uno stato carenziale. Per reintegrare le scorte di folato, è sufficiente un apporto giornaliero di 1 mg (orale) per circa tre settimane se non ci sono problemi di malassorbimento. In presenza di questi invece, la quota di acido folico da consumare sale fino a 5 mg/die.

L’acido folico per essere utilizzato dall’organismo deve essere convertito in acido tetraidrofolico, che agisce come accettore di unità carboniose. Viene ridotto a tale forma tramite una prima conversione a acido diidrofolico per azione della folico reduttasi, e quindi a tetraidrofolato tramite la diidrofolatoreduttasi.

Circa il 5-10% della popolazione occidentale è omozigote per una mutazione genetica, che determina un difetto parziale nell’attività dell’enzima 5,10-metilenetetraidrofolato reduttasi, coinvolto nel metabolismo dei folati. Neigli individui omozigoti è stata osservata una concentrazione eritrocitaria di acido folico inferiore alla norma e una lieve iperomocisteinemia, che può essere corretta con una supplementazione giornaliera di 100-200 mcg di acido folico (Doctor Pediatria, 2002).

Le cellule più colpite in caso di carenza di acido folico sono quelle a più alto turnover: eritrociti, leucociti, cellule epiteliali intestinali e della mucosa uterina. Nel midollo osseo si evidenziano megaloblasti, grossi eritrociti immaturi, da cui originano megalociti ad emivita più breve (anemia megaloblastica); neutropenia e piastrinopenia si manifestano con un aumento delle dimensioni dei leucociti; infine le cellule epiteliali intestinali presentano un alterato rapporto nucleo/citoplasma.

Il deficit di folati può essere causato da un apporto dietetico insufficiente; ridotto assorbimento (organico o indotto da farmaci); ridotta utilizzazione (carenza di vitamina B12, farmaci che bloccano la diidrofolatoreduttasi, alterazione della frazione proteica del sangue, alterazione del ricircolo enteroepatico dei folati); emorragie gravi; incremento del fabbisogno (crescita, gravidanza, allattamento, epatopatia alcolica, eritropoiesi accelerata).
Una ridotta disponibilità di folati a livello plasmatico ed eritrocitario è stata evidenziata anche in pazienti fumatori, rispetto ai non fumatori.

Attività genetica
I folati agiscono come cofattori che rilasciano unità monocarboniose per la sintesi di purine e timidine, quindi un’adeguata concentrazione di folati è essenziale sia per la sintesi degli acidi nucleici che per la divisione cellulare. Bassi livelli di folati si comportano una incorporazione sbagliata dell’uracile al posto della timina nel DNA, aumentando il rischio di rotture del DNA.

I folati intervengono anche nel rifornimento di gruppi metilici per la conversione dell’omocisteina a metionina a sua volta coinvolta nella sintesi proteica e nelle reazioni di metilazione.

La metilazione del DNA permette di attivare e disattivare i geni e svolge un ruolo fondamentale nel mantenere l’integrità del DNA riducendo il rischio di rotture e mutazioni. Non è noto se eventuali alterazioni della metilazione del DNA conseguente a variazioni della concentrazione dei folati nell’organismo possa influenzare l’espressione di geni oncogeni o soppressori (Doctor Pediatria, 2009a).

Livelli bassi di folati si associano normalmente ad una riduzione della metilazione del DNA. Non è noto se un eccesso di folati possa avere effetti negativi.


Attività preventiva sui difetti del nascituro
I disturbi del tubo neurale, come la spina bifida, l’anencefalia e l’encefalocele, rappresentano un’importante causa di morte infantile e di seria disabilità fisica. La diagnosi annuale di difetti del tubo neurale interessa 1 donna su 4000; circa il 30% di queste gravidanze termina con un aborto spontaneo o un’interruzione volontaria (Doctor Pediatria, 2002).

La carenza di acido folico durante la gravidanza può causare difetti del tubo neurale perchè si instaura una condizione di iperomocistinemia per ridotta conversione della omocisteina a metionina.

Il supplemento di acido folico indicato in gravidanza è pari a 0,4 mg/die; aumenta a 4-5 mg/die nelle donne a rischio.

Le donne che hanno dato alla luce bambini con difetti del tubo neurale, richiedono più elevati livelli di assunzione di folati perchè possiedono autoanticorpi contro un recettore placentare per i folati (Rothenberg et al., 2004). Sulla base dei livelli di folato raggiunti con una integrazione adeguata e considerando la relazione fra concentrazione di folati e difetti del tubo neuronale, è stato possibile stabile che, probabilmente, la somministrazione di 5 mg/die di acido folico durante la gravidanza sia in grado di prevenire l’85% dei difetti del tubo neurale (Wald et al., 2001). Sulla base di diversi studi, l’integrazione di acido folico dovrebbe iniziare prima del concepimento.

In uno studio che ha confrontato la percentuale di neonati con difetti del tubo neurale in donne che avevano assunto o non avevano assunto un integratore vitaminico contenente 800 mcg di acido folico, per almeno un mese prima del concepimento, è emerso che nel gruppo trattato nessun bambino ha manifestato difetti del tubo neurale contro 6 bambini nel gruppo non trattato (Czeizel, Dudas, 1992).

In un altro studio, condotto in donne che avevano avuto in precedenza una gravidanza con un difetto del tubo neurale, sono state impiegate dosi di 4 mg di acido folico; l’integrazione vitaminica ha ridotto del 72% il rischio di difetti del tubo neurale (MRC Vitamin Study Research Group, 1991). Analoghi risultati sono stato ottenuti su un altro campione di donne in Cina, trattate con 400 mcg di acido folico, iniziando prima del concepimento (riduzione dei difetti del tubo neurale nella prole pari al 41-79%) (Berry et al., 1999).

Nelle donne in terapia con antagonisti dell’acido folico, la supplementazione di acido folico è in grado di ridurre il rischio di difetti del tubo neurale, cardiovascolari, del cavo orale e del tratto urinario associati di frequente alla somministrazione di quei farmaci (Hernandez-Diaz et al., 2000).

Da un’analisi caso-controllo dell’Hungarian Case Control Surveillance of Congenital Abnormalities, la supplementazione di folati nel primo trimestre di gravidanza oltre a diminuire i difetti al tubo neurale (riduzione dei difetti del 50-70%), aveva esplicato un effetto di protezione anche verso i difetti cardiovascolari, di cheiloschisi con o senza palatoschisi posteriore o completa (Teratology, 1996).

Nelle donne affette da epilessia, la supplementazione di folati si è dimostrata efficace nel ridurre il rischio di malformazioni a carico del rachide ma non i i difetti cardiovascolari, del cavo orale e del tratto urinario associati al consumo di antiepilettici (Doctor Pediatria, 2000 e 2007). Pertanto nelle donne in terapia con antiepilettici che vogliano programmare una gravidanza si raccomanda la somministrazione di 4 mg/die di acido folico prima del concepimento e fino al termine del primo (Doctor Pediatria, 2007).

Finanziato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), è stato attivato nella Regione Veneto lo “Studio Acido Folico” il cui obiettivo è quello di valutare l’impatto sulle malformazioni congenite di una supplementazione periconcezionale con acido folico alla dose di 4 mg/die rispetto alla dose standard di 0,4 mg/die (difetti del tubo neurale, cardiopatie congenite, labio+/-palatoschisi, difetti del tratto urinario, ipo-agenesie degli arti, onfalocele, atresia anale e sindrome di Down). Altri obiettivi dello studio comprendono:
• frequenza di comparsa delle malformazioni congenite nei bracci di trattamento;
• gravità delle malformazioni congenite in relazione al dosaggio di acido folico
• frequenza di ulteriori effetti benefici sugli esiti della gravidanza (decremento di aborto spontaneo, aborto spontaneo ricorrente, ritardo di crescita intrauterina, preeclampsia, distacco di placenta, morte intrauterina, parto pretermine) e di eventuali effetti collaterali (incremento di gemelli dizigoti) (BIF, 2009).

La spina bifida, uno dei principali difetti del tubo neurale, oltre che alla carenza di acido folico, potrebbe essere dovuta a fattori genetici. Attualmente l’unico gene noto come responsabile di questa malformazione si chiama VANGL1 e codifica una proteina fondamentale per lo sviluppo del sistema nervoso embrionale: quando il gene è difettoso, il tubo neurale non assume la forma corretta. L’analisi di soggetti affetti da difetti del tubo neurale ha individuato 10 nuove mutazioni, metà delle quali a carico della proteina VANGL1 (Kibar et al., 2009).
In alcuni bambini affetti da spina bifida sono presenti anche mutazioni del gene del recettore per l’acido folico (FR alpha).

Attività neurologica
In caso di pazienti anziani una carenza di acido folico può essere frequente (70%) e manifestarsi con disturbi di tipo neuronale in assenza di anemia macrocitica. Ridotti livelli plasmatici di folati e cobalamina più iperomocistinemia sono stati associati anche a una valutazione mnesica inferiore alla norma, a una diminuita cognitività astratta non verbale e una maggior tendenza a manifestare condizioni neuropsichiatriche.

Le ipotesi avanzate per giustificare il legame fra iperomocistinemia, carenza di acido folico, di vitamina B12 e disturbi neuropsichiatrici hanno preso in considerazione:
1) il ruolo dell’iperomocistinemia come fattore di rischio per lo sviluppo di cerebrovasculopatie responsabili di neuropatie e disturbi cognitivi;
2) un possibile stato di “ipometilazione” con conseguente deficit per l’attività neuronale;
3) una eccessiva conversione di omocisteina a acido omocistico, sostanza dotata di attività eccitante e tossica e quindi responsabile di uno stato di ipereccitabilità neuronale (Nilsson et al., 1996).

La carenza di acido folico può inoltre indurre disturbi neuropsichiatrici relativi alla sfera affettiva, caratterizzati da una tendenza alla depressione (56% dei pazienti) (Shorvon et al., 1980).
L’associazione di uno stato depressivo a deficit di folati sembrerebbe giustificato dall’interazione di questi ultimi sul metabolismo della serotonina (Botez et al., 1982).
La bassa folatemia è stata correlata anche ad una scarsa risposta al trattamento antidepressivo: nei pazienti depressi che rispondono in modo insoddisfacente alle terapie antidepressive andrebbero valutati i livelli di folato (Am. J. Psychiatry, 1997).

I soggetti con basse concentrazioni sia di vitamina B12 che di folati possono presentare un aumentato rischio di sviluppare la malattia di alzheimer, anche in assenza di un deficit di tali sostanze. Uno studio ha coinvolto 370 pazienti anziani senza demenza (età uguale o maggiore a 75 anni), i quali non assumevano correntemente vitamina B12 o folati: dopo 3 anni, 78 pazienti hanno sviluppato demenza.
Dalle analisi effettuate la correlazione con la malattia di alzheimer è stata osservata solo considerando entrambe le due vitamine, ma non la sola vitamina B12 o il solo acido folico. Dal confronto fra i pazienti con bassi livelli con quelli con normali livelli di entrambe le vitamine, i primi sembrano avere il doppio del rischio di sviluppare la malattia di alzheimer. Il rischio di demenza associato con bassi livelli di vitamina B12 e di folato, è stato maggiore anche in soggetti con buone funzioni cognitive di base (Wang et al., 2001).

L’acido folico produce un miglioramento soggettivo delle vampate di calore diminuendo l’attività noradrenergica centrale. La percentuale di pazienti che è andata incontro ad un miglioramento significativo delle vampate di calore, nel gruppo trattato con acido folico (5 mg/die per 4 settimane) è stato significativamente maggiore rispetto al controllo. Inoltre, nel gruppo trattato è stata osservata una riduzione (p < 0.001) dei livelli plasmatici del principale metabolita della noradrenalina (3-metossi-4-idrossifenilglicole), ed una correlazione negativa tra il miglioramento delle vampate e i livelli plasmatici del 3-metossi-4-idrossifenilglicole (p = 0.03) (Gaweesh et al., 2010).

Attività antitumorale
L’acido folico è uno dei cofattori principali della sintesi delle basi puriniche degli acidi nucleici. Nelle cellule neoplastiche, dove replicazione del DNA e duplicazione cellulare si verificano molto più rapidamente, la deplezione di folati o un blocco nella loro metabolizzazione possono provocare un’inibizione della crescita tumorale. Su questo principio si basa l’utilizzo dei farmaci antifolati come chemioterapici. Paradossalmente sembra che elevati livelli di folati siano protettivi contro alcuni tipi di neoplasie.

Alcuni studi su neoplasie colon rettali hanno evidenziato che se la supplementazione con acido folico avviene prima dell’insorgenza della neoplasia, la crescita cellulare risulta inibita, mentre, se avviene dopo, la duplicazione cellulare sembra aiutata. Sebrerebbe quindi che i folati abbiano un doppio ruolo apparentemente “opposto”: sia un effetto di “profilassi“ antitumorale, sia un effetto protumorale, una volta che la neoplasia si sia stabilizzata. L’azione dell’acido folico verso la cellula tumorale potrebbe essere mediata dall’interazione con altri fattori di rischio quali vitamina B12, alcool, fumo, polimorfismi genetici. In particolare si è osservato che il genotipo ed i polimorfismi genetici individuali possono far variare l’effetto dei folati (Doctor Pediatria, 2009a).

Un ruolo di profilassi in ambito oncologico per l’acido folico è stato osservato in caso di colite ulcerosa (rischio relativo per la supplementazione di folati rispetto al rischio di neoplasia è risultato inferiore a 1) (Lashner et al., 1997); in caso di sviluppo di adenomi del colon-retto (Boutron-Ruault et al., 1996). Per quanto riguarda quest’ultimo dato, una analisi sistematica recente degli studi controllati sull’uso dell’acido folico, in mono o politerapia vs placebo, nel ridurre la comparsa di adenomi (precursori del cancro colorettale) tre le popolazioni con storia di adenomi e nel ridurre l’incidenza di cancro colorettale tra le popolazioni a medio rischio, non ha confermato l’efficacia di chemioprevenzione della proteina (Carroll et al., 2010). Al momento quindi la supplementazione con acido folico non rientra fra le misure chemiopreventive contro il cancro colon-rettale.

Una dieta ricca di folati può aiutare a ridurre il rischio di cancro mammario nelle donne, particolarmente in quelle con un elevato rischio conseguente ad un consumo regolare di alcol.
Tra le donne che consumano una quantità regolare di alcol di almeno 15 g/die, quelle che hanno alti livelli sierici di folato hanno una probabilità minore dell’89% di sviluppare cancro mammario rispetto a quelle che hanno bassi livelli di vitamina. Tra le donne che bevono meno alcol, quelle che hanno alti livelli di folato hanno una probabilità minore del 28% di sviluppare cancro mammario rispetto a quelle che hanno livelli più bassi di vitamina (Zhang et al., 2003).
Studi precedenti avevano dimostrato un’associazione tra consumo regolare di alcol e aumento del rischio di cancro mammario; l’alcool interferisce infatti con l’assorbimento di folato da parte dell’organismo e ne aumenta l’escrezione favorendo uno stato di deficit vitaminico.

Attività immunitaria
Il sistema immunitario può risultare influenzato dalle concentrazioni ematiche di folati, in particolare per quanto riguarda le cellule Natural Killer (NK). Queste cellule intervengono nella risposta immune cellulare non specifica e contribuiscono all’eliminazione sia di cellule neoplastiche che di cellule infettate da agenti virali.
Alcuni studi hanno evidenziato che in gravidanza la supplementazione con acido folico rende il sistema delle cellule NK più efficiente, purchè la sua concentrazione ematica non raggiunga livelli troppo elevati. In questo caso, infatti, l’attività delle cellule NK risulta diminuita (Doctor Pediatria, 2009a).

Attività cardiovascolare
L’accumulo di omocisteina, dovuta a una ridotta conversione a metionina per carenza di folati, risulta tossico per le cellule endoteliali; in particolare, l’ossidazione del gruppo tiolico dell’omocisteina, con conseguente produzione di radicali liberi, determina perossidazione lipidica svolgendo un ruolo attivo nelle fasi iniziali del processo di aterosclerosi.

Un incremento dei livelli ematici di omocisteina può essere presente fino al 30% dei coronaropatici e fino al 45% dei carebrovasculopatici e le concentrazioni sono influenzate da età, sesso, funzionalità renale, presenza di malattia tipo Les e psoriasi grave, impiego di farmaci (antiepilettici, metotrexato).

L’iperomocistinemia rappresenta quindi un fattore di rischio sia in caso di patologia vascolare a livello placentare (aborto o distacco placentare) (Fetal. Diagn. Ther., 1994) sia in caso di coronaropatia (Pancharuniti et al., 1994) che di stenosi carotidea extracranica (Selhub et al., 1995).

E’ stato messo in evidenza un rapporto diretto tra l’incapacità genetica di catabolizzare l’omocisteina e lo sviluppo a lungo termine di vasculopatie, confermando anche la correlazione esistente tra iperomocistinemia e aterosclerosi (Eur. J. Clin. Invest., 1996).

Poiché l’iperomocistinemia è correlabile ad un apporto non sufficiente di folati e vitamina B12, è probabile che una correzione dietetica in questo senso anche in pazienti con elevati livelli plasmatici di omocisteina ma senza segni clinici di vasculopatie arteriosa o venosa rappresenti un approccio corretto per ridurre il rischio di eventi trombotici (Corriere Medico, 2000).

L’acido folico, in associazione a vitamina B6 e B12, è risultato efficace nel diminuire il rischio di ristenosi dopo angioplastica. In pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica, trattati con acido folico (1 mg/die), vitamina B12 (400 mcg/die) e vitamina B6 (10 mg/die), il tasso di ristenosi è risultato ridotto del 48% (pazienti con restenosi: 19.6% vs 37.6% rispettivamente nel gruppo trattato e nel gruppo controllo).

L’effetto è risultato particolarmente evidente in pazienti trattati con angioplastica senza applicazione di stent (tasso di ristenosi: 10,3% vs 41,9% rispettivamente trattati e controlli, con una riduzione del 76%). Al contrario, nei pazienti in cui era stato applicato uno stent il tasso di ristenosi è stato rispettivamente del 20,6% e del 29,9% con una riduzione non statisticamente significativa. La riduzione dei livelli di omocisteina è risultata più marcata nei pazienti in cui non si è verificata la ristenosi e, a confermare il ruolo dell’omocisteina, in un gruppo di pazienti, in cui il trattamento non aveva determinato una riduzione dei livelli di omocisteina, non si è osservata neanche una significativa diminuzione del tasso di ristenosi rispetto ai controlli (30,8% vs 37.6%). Nel gruppo trattato è stata inoltre osservata una minor incidenza di eventi cardiaci rispetto ai controlli (12,7% vs 24,5%), anche se la differenza per l’incidenza di mortalità (1 vs 2.1%) e di infarti non fatali (4.9 vs 7.4%) non è risultata statisticamente significativa (Schnyder et al., 2001).

Uno studio osservazionale ha messo in evidenza come il consumo quotidiano di acido folico, da solo o in associazione con vitamina B6, sembra ridurre di oltre il 50% il rischio di malattie cardiovascolari nella donne. Inoltre maggiore è il consumo di acido folico, da solo o in associazione a vitamina B6, minore sembrerebbe essere il rischio di infarto (Jama, 1998).

Per quanto riguarda eventuali effetti dell’acido folico verso l’ictus, la supplementazione di acido folico potrebbe portare lievi benefici nella prevenzione primaria dell’ictus, in associazione con vitamine del gruppo B e in pazienti di sesso maschile. Dall’analisi di 13 studi clinici per un totale di 39.005 pazienti, è infatti emerso che la supplementazione di acido folico riduce lievemente il rischio di ictus ma non in maniera statisticamente significativa (RR=0.93; p=0.16); che il rischio relativo nei trial di prevenzione non secondaria è 0.89 (p=0.03); che nelle analisi stratificate i benefici clinici migliori si osservano quando l’acido folico viene associato alle vitamine B6 e B12 (RR=0.83; p=0.02) e quando i gruppi di pazienti arruolati presentano una sproporzione a favore del sesso maschile (n uomini/n donne>2; RR=0.84; p=0.003) (Lee et al., 2010).

In uno studio più recente, pubblicato nel 2016, si è valutato l’impatto della supplementazione di acido folico sul rischio di un primo ictus in pazienti ipertesi, con elevati livelli di colesterolo (=/> 200 mg/dL), ma senza malattie cardiovascolari importanti (Qin et al., 2016). Lo studio ha preso in considerazione i dati provenienti dal trial di prevenzione primaria China Stroke Primary Prevention trial (CSPPT). I pazienti (per un totale di 20702) sono stati randomizzati in doppio cieco a ricevere enalapril (10 mg/die) più acido folico (0,8 mg/die) oppure solo enalapril. L’esito clinico primario era rappresentato dal primo evento di ictus. Il tempo mediano di trattamento è stato di 4,5 anni. Livelli elevati di colesterolo (=/> 200 mg/dL) rappresentano un fattore predittivo indipendente per l’insorgenza del primo ictus quando confrontati con bassi valori di colesterolo (<200 mg/dL) (4,0% vs 2,6%, p=0,001). La supplementazione di acido folico è risultata ridurre significativamente il rischio di ictus nei pazienti con elevati livelli di colesterolo (4% vs 2,7% rispettivamente pazienti trattati con o senza acido folico; hazard ratio: 0,69; p<0,001; numero di pazienti da trattare per evitare l’evento, NNT, pari a 78) indipendentemente dai livelli basali di acido folico. Nei pazienti con bassi livelli di colesterolo invece, la supplementazione con acido folico non ha influenzato il rischio di ictus (2,5% vs 2,6%, rispettivamente con e senza acido folico; hazard ratio: 1; p =0,982). Sulla base di questo studio, l’acido folico (0,8 mg/die) è risultato ridurre del 31% il rischio di un primo evento di ictus in pazienti ipertesi, con ipercoleterolemia, ma senza malattie cardiovascolari importanti.

Osservazioni preliminari hanno evidenziato un miglioramento della dilatazione flusso-mediata dell’arteria brachiale, marker della funzione endoteliale vascolare, nelle donne amenorreiche dedite alla corsa (n=10; p=0,02), dopo una breve supplementazione di acido folico (10 mg/die per 4 settimane) (Hoch et al., 2010).

L’acido folico ha mostrato efficacia terapeutica, associato a vitamina B12 nel trattamento di osteoartrite alle mani (Flynn et al., 1994), in caso di progressiva perdita bilaterale della vista in pazienti fumatori o bevitori (Golnik, Schaible, 1994).