La paroxetina è indicata nei pazienti adulti nel trattamento della depressione e nella prevenzione delle ricadute. (leggi)
Riportiamo di seguito la posologia della paroxetina nelle diverse indicazioni terapeutiche. (leggi)
La paroxetina è controindicata in caso di ipersensibilità, nei pazienti pediatrici (età < 18 anni), in associazione a farmaci MAO-inibitori (leggi)
La sospensione del trattamento con paroxetina deve essere graduale per ridurre il rischio di sintomi da astinenza (soprattutto gastrointestinali, neurologici e psichiatrici). (leggi)
L’acido valproico e la cimetidina aumentano l'esposizione sistemica della paroxetina per inibizione farmacometabolica (CYP2D6). (leggi)
Gli effetti collaterali più comuni associati a paroxetina comprendono: nausea, cefalea, sonnolenza, sudorazione, tremore, astenia, xerostomia, insonnia e disfunzioni sessuali, vertigini, costipazione, diarrea, diminuzione dell'appetito. (leggi)
In caso di sovradosaggio, la paroxetina induce vomito, febbre, midriasi, variazioni pressorie, cefalea. (leggi)
La paroxetina è un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI) a livello centrale; chimicamente è un derivato fenilpiperidinico. (leggi)
Dopo somministrazione orale, l'assorbimento della paroxetina è quasi completo, ma la sua disponibilità assoluta è ridotta per effetto di primo passaggio epatico. (leggi)
La formula bruta della paroxetina è C19H20FNO3. (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata a paroxetina sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Paroxetina è prescrivibile nelle specialità commerciali Dropaxin, Ecutin, Paroxetina, Paroxetina Hexal, Paroxetina Pensa, Serestill, Stiliden, Eutimil, Sereupin, Seroxat, Dapagut, Daparox. (leggi)
La paroxetina appartiene alla classe dei farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) a livello centrale. E’ indicata nei pazienti adulti nel trattamento della depressione maggiore, del disturbo ossessivo-compulsivo, del disturbo da attacco di panico con o senza agarofobia, del disturbo da ansia sociale/fobia sociale, del disturbo d’ansia generalizzato (GAD) e del disturbo da stress post-traumatico. Negli Stati Uniti, il farmaco è autorizzato anche per il trattamento dei sintomi vasomotori associati alla menopausa.
La paroxetina non è raccomandata nei bambini e nei ragazzi con meno di 18 anni. Gli studi clinici hanno evidenziato un rischio di ideazione suicidaria e di comportamenti aggressivi in questa classe di pazienti doppio rispetto alla popolazione adulta. Inoltre in una metanalisi relativa all’uso degli antidepressivi in età pediatrica per il trattamento della depressione maggiore, solo la fluoxetina è risultata soddisfare i criteri di efficacia terapeutica.
La dose terapeutica di paroxetina varia da un minimo di 10 mg/die ad un massimo di 60 mg/die a seconda della patologia psichiatrica da trattare. La dose è inferiore (7,5 mg/die) per il trattamento dei sintomi vasomotiri nelle pazienti in menopausa.
Il farmaco è controindicato in caso di ipersensibilità, in associazione ai farmaci che inibiscono l’enzima monoamino-ossidasi (MAO-inibitori), in associazione a tioridazina o pimozide.
La paroxetina interferisce con diversi farmaci o classi di farmaci. Le interazioni farmaco-farmaco sono di tipo farmacocinetico o farmacodinamico. Al primo tipo di interazioni appartengono quelle mediate dall’enzima citocromiale CYP2D6, responsabile del metabolismo della paroxetina. I farmaci che inibiscono o inducono tale enzima possono determinare un aumento o una riduzione della concentrazione plasmatica dell’antidepressivo con effetti sia sul suo profilo di tollerabilità (aumento della tossicità con livelli plasmatici troppo alti) che di efficacia (livelli plasmatici troppo bassi potrebbero non risultare sufficientemente efficaci). La paroxetina, inoltre, si comporta a sua volta come un potente inibitore del CYP2D6 con potenziali conseguenze su farmaci substrato di tale enzima. Alle interazioni di tipo farmacodinamico appartengono quelle dipendenti dal meccanismo d’azione dei farmaci. Rientrano in questo gruppo, ad esempio, quelle legate ad un’azione additiva o sinergica degli effetti della paroxetina sul sistema nervoso centrale incluso un aumento del rischio di sindrome serotoninergica, oppure quelle legate ad un aumento del rischio di sanguinamento.
Gli effetti collaterali della paroxetina più frequenti comprendono nausea, cefalea, sonnolenza, sudorazione, tremore, astenia, xerostomia, insonnia e disfunzioni sessuali, vertigini, costipazione, diarrea, diminuzione dell’appetito. Alcuni di questi effetti, come la nausea, tendono a scomparire con il proseguimento della terapia farmacologica. L’età non sembra influenzate la tollerabilità della paroxetina. Il farmaco induce sindrome di astinenza caratterizzata da sintomatologia gastrointestinale (nausea, vomito, disturbi della motilità intestinale), neurologica (parestesia, sensazione di instabilità, vertigini, cafalea, tremori, distonie, sensazione di diminuzione della forza, dolori muscolari) e psichica (ansia, disturbi del sonno, aggressività e irritabilità, tristezza, istabilità umorale, stanchezza, vampate di calore). Rispetto agli altri SSRI, la paroxetina rappresenta il farmaco con il quale la comparsa di tossicità da sospensione è più frequente.
In caso di sovradosaggio da paroxetina possono comparire vomito, febbre, dilatazione delle pupille (midriasi), alterazione della pressione arteriosa, cefalea, contrazioni involontarie della muscolatura, agitazione, ansia, tachicardia. Il trattamento del sovradosaggio è sintomatico: non esistono antidoti.
La paroxetina puà indurre sindrome serotoninergica. Tale sindrome comporta alterazioni cognitivo-comportamentali e dsfunzioni neuromuscolari causati da un’attività serotoninergica centrale eccessiva. Le condizioni che favoriscono la comparsa di sindrome serotoninergica, oltre a dosi eccessive di paroxetina, comprendono: a) somministrazione di quantità eccessive di precursori della serotonina (triptofano); b) co-somministrazione con MAO-inibitori; c) impiego di sostanze che favoriscono il rilascio di serotonina (ecstasy, cocaina, amfetamine); d) associazioni farmacologiche (risperidone, desipramina, venlafaxina, moclobemide, destrometrofano, linezolid); e) attivazione di vie nervose alternative (attivazione del sistema dopaminergico con bromocriptina). Il trattamento della sindrome serotoninergica prevede per prima cosa la sospensione dei farmaci o sostanze scatenanti, quindi interventi volti a salvaguardare i segni vitali. La mortalità riportata in letteratura per la sindrome serotoninergica varia dal 2-3% al 12%.
La somministrazione della paroxetina in gravidanza richiede un’attenta valutazione del rapporto rischi/benefici. La somministrazione del farmaco durante il primo trimestre di gravidanza è stata associata ad un aumento di difetti maggiori neonatali soprattutto cardiaci (rischio di difetto cardiaco neonatale per esposizione materna a paroxetina: 2/100; rischio di difetto cardiaco neonatale nella popolazione generale: 1/100). L’esposizione a SSRI, inclusa paroxetina, nella seconda metà della gravidanza è stata associata a ipertensione polmonare persistente, mentre l’esposizione durante il terzo trimestre di gravidanza può portare a sindrome d’astinenza neonatale. Nelle donne che allattano, il passaggio della paroxetina nel latte materno non sembra comportare effetti sul bambino.
Ma qual è il meccanismo d’azione della paroxetina? La paroxetina inibisce la ricaptazione della serotonina a livello delle sinapsi delle cellule nervose prolungando l’attività del neurotrasmettitore sui recettori postsinaptici. La stimolazione prolungata induce il riassorbimenti dei recettori serotoninergici postsinaptici con conseguente riduzione del loro numero. La paroxetina è risultata inibire parzialmente anche la ricaptazione di un altro neurotrasmettitore, la noradrenalina. E’ probabile che questo secondo meccanismo d’azione contribuisca all’ampio spettro d’azione del farmaco.
La paroxetina inoltre, fra tutti gli SSRI, è quella dotata di maggior attività anticolinergica, caratteristica che può essere utile nelle forme di depressione con somatizzazione a livello gastrointestinale (colon irritabile associato a disturbi dell’umore). Non è risultata influenzare le funzioni psicomotorie né nei volontari sani né nei pazienti depressi. Non modifica i parametri di funzionalità cardiovascolare.
La paroxetina accorcia la durata del sonno in fase REM e nel contempo prulunga la fase di latenza REM. Nei pazienti depressi, questo può tradursi in un aumento del tempo di veglia senza modificare il tempo di sonno complessivo, condizione che si associa ad una percezione soggettiva di miglioramento della qualità del sonno.
La paroxetina, come tutti gli antidepressivi SSRI, è associata ad un aumento del rischio di sanguinamento legato all’azione inibitoria sul trasportatore di membrana che consente alle piastrine di accumulare al loro interno la serotonina (la serotonina possiete attività proaggregante piastrinica e vasocostrittrice).