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Propifenazone

Optalidon, Neo-Optalidon, Saridon e altri

Farmacologia - Come agisce Propifenazone?

Il propifenazone è un farmaco antinfiammatorio non steroideo appartenente alla classe dei pirazoloni, brevettato nel 1931.

I derivati pirazolonici hanno attività analgesica superiore a quella dell’acido acetilsalicilico, rispetto al quale possiedono maggiore tossicità. Sono indicati nel trattamento del dolore, in particolare quando causato da spasmi della muscolatura liscia.

I principali effetti collaterali di questa classe di farmaci sono rappresentati da reazioni di ipersensibilità a carico della pelle e delle mucose (Brune, 1986).

Il propifenazone possiede attività analgesica e antipiretica. Il meccanismo d’azione prevede l’inibizione della sintesi delle prostaglandine mediante blocco della ciclossigenasi, enzima responsabile della trasformazione dell’acido arachidonico in endoperossidi ciclici.

Come antipiretico il propifenazone è poco impiegato perchè il suo uso è associato, anche se in casi rari, a comparsa di gravi reazioni di ipersensibilità quali orticaria, anafilassi (IgE-mediata), anemia emolitica e malattia da siero (Himly et al., 2003).

Come analgesico, il propifenazone è somministrato in associazione farmacologica con paracetamolo, caffeina, butalbital, codeina, oxolamina.

L’associazione con la caffeina potenzia l’azione antinocicettiva (analgesica) del propifenazone (Kraetsch et al., 1996).

Dai dati relativi a otto studi clinici (uno in doppio cieco e sette in singolo cieco), la combinazione propifenazone più paracetamolo più caffeina è risultata indurre analgesia più rapidamente rispetto a paracetamolo, ibuprofene e acido acetilsalicilico somministrati da soli (monoterapia). Dopo 4 ore dalla somministrazione dei farmaci, il gruppo di pazienti trattato con l’associazione farmacologica ha evidenziato un’analgesia più marcata rispetto agli altri farmaci (Kiersch, Minic, 2002).

Nel trattamento del dolore da intervento chirurgico ai denti, il propifenazone (somministrato a due dosaggi differenti: 150 mg e 300 mg) ha determinato analgesia più velocemente dell’acido acetilsalicilico (1000 mg), ma l’analgesia ha avuto una durata inferiore (sulla base dei milligrammi, la potenza analgesica del propifenazone è risultata doppia rispetto a quella dell’acido acetilsalicilico). Gli effetti collaterali sono risultati sovrapponibili fra i due farmaci (stanchezza, nausea, cefalea, capogiri) ed hanno interessato meno del 20% dei pazienti (Boerlin et al., 1986).

L’uso di analgesici per il trattamento della cefalea o mal di testa, se continuativo nel tempo, può indurre cronicizzazione del mal di testa (cefalea da abuso di farmaci). La prevalenza nella popolazione generale della cefalea da abuso di analgesici, includendo in questo gruppo di farmaci anche i FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei), si attesta sull’1-2% della popolazione generale. Tutti gli analgesici in monoterapia o in combinazione con caffeina, barbiturici o codeina risultano indurre farmacodipendenza quando somministrati per la cura del mal di testa.

Nella maggior parte dei pazienti con cefalea da abuso di farmaci, il mal di testa ha avuto originariamente una causa differente. Dai dati epidemiologici disponibili, intercorrono in media 5 anni fra i primi mal di testa e l’inizio di un consumo abituale di farmaci analgesici/FANS per il trattamento della cefalea e sono necessari altri 5 anni perchè si sviluppi una condizione di mal di testa quotidiano (Zwart et al., 2003). Il meccanismo che determina la trasformazione di una cefalea primaria in una cefalea iatrogena (scatenata cioè dai farmaci) non è noto; sembra che sia coinvolto il neurotrasmettitore serotonina. L’uso continuativo di farmaci analgesici modificherebbe il metabolismo della serotonina a livello delle piastrine (minore capacità di riassorbimento della serotonina da parte delle piastrine ed aumento compensatorio dei recettori per la serotonina sulla membrana di superficie delle piastrine stesse).

In vitro e negli animali, il propifenazone mostra attività porfirinogenica, può causare cioè porfiria (gruppo di malattie dovute ad una alterata sintesi del gruppo Eme dell’emoglobina).