Il pregabalin (3-isobutil GABA) (INN: pregabalin) è un analogo strutturale del neurotrasmettitore GABA con un profilo farmacologico simile, ma non identico a quello del gabapentin. E’ l’enantiomero S dell’acido 3-aminometil-5-metilesanoico: possiede attività anti-convulsivante, analgesica e ansiolitica. La sua attività farmacologica è stata valutata nel trattamento dell’epilessia, del dolore neuropatico (soprattutto neuropatia diabetica e nevralgia posterpetica), del disturbo d’ansia generalizzato e della fibromialgia.
Il pregabalin non interagisce con i recettori del GABA, A e B, né influenza l’uptake del neurotrasmettitore. E’ probabile che il meccanismo d’azione dipende dal legame, ad elevata affinità, con la proteina alfa2-delta, subunità ausiliaria dei canali del calcio voltaggio-dipendenti. Il legame con questa proteina riduce il rilascio di noradrenalina Ca- e K-dipendente e il rilascio di glutammato K-dipendente nel tessuto corticale, rappresentando un prerequisito per l’attività analgesica della molecola. E’ possibile quindi che il pregabalin agisca attraverso la modulazione inibitoria dell’eccitabilità neuronale (Dooley et al., 2002; Fink et al., 2002; Taylor, 2004).
Attività anticonvulsivante
Il pregabalin non possiede attività diretta sui canali del sodio, ma riduce il rilascio di noradrenalina Ca e K-dipendente nel tessuto corticale. In modelli animali, la massima attività antiepilettica del pregabalin si manifesta nelle convulsioni da elettroshock; previene completamente o parzialmente le convulsioni indotte da pentilenetetrazolo, picrotossina e bicucullina, ma non quelle indotte da stricnina. In animali geneticamente predisposti, il pregabalin non ha mostrato efficacia nel ridurre l’incidenza di convulsioni spontanee
(assenze) (Warner, Figgitt, 2005).
Gli effetti del pregabalin (450 mg/die per 3 giorni) sulle funzioni cognitive e psicomotorie sono risultati inferiori rispetto ad alprazolam (3 mg/die per 3 giorni in volontari sani); entrambi i farmaci hanno diminuito il tempo necessario a prendere sonno e ne hanno migliorato la qualità (Hindmarch et al., 2002).
Le convulsioni sono distinte in parziali e generalizzate. Le prime hanno origine in una area distinta del cervello; le seconde sono caratterizzate da un punto di insorgenza non definto. Le convulsioni parziali, a loro volta, possono essere semplici, quando non provocano perdita di coscienza, oppure complesse, quando si manifesta perdita di coscienza. Attualmente la resistenza ai farmaci antiepilettici è stimata attorno al 30%. L’efficacia terapeutica del pregabalin, come terapia aggiuntiva, in pazienti con convulsioni parziali refrattarie (parziali semplici, complesse oppure secondarie generalizzate tonico-cloniche), è stata valutata in un trial in cui il farmaco a diversi dosaggi (50, 150, 300 e 600 mg/die) è stato confrontato con placebo. La durata dello studio è stata di 12 settimane, l’età dei pazienti compresa fra 12 e 75 anni, il numero medio di episodi convulsivi pari a 10 in un arco di 28 giorni nonostante un trattamento farmacologico antiepilettico che prevedeva fino a 3 farmaci somministrati contemporaneamente (il 49,9% dei pazienti in terapia con 2 farmaci e il 19,6% con 3 farmaci) (French et al., 2003). Fattori di esclusione hanno compreso sindrome di Lennox-Gastaut, assenze, convulsioni non epilettiche e stato epilettico nell’anno trascorso, CLcr < 60 ml/min, patologie clinicamente rilevanti e uso di gabapentin nell’ultima settimana. In questo studio l’endpoint primario era rappresentato dalla riduzione della frequenza delle convulsioni, espressa come RRatio (response ratio). I valori di RRatio sono distribuiti in un intervallo compreso fra –100 e +100 dove –100 rappresenta l’eradicazione completa delle convulsioni, il valore zero corrisponde all’assenza di variazioni rispetto al baseline, il valore +33 indica la condizione in cui sussiste il raddoppio della frequenza delle convulsioni rispetto al baseline, mentre il valore -33 corrisponde ad una riduzione del 50% della frequenza delle convulsioni. L’endpoint secondario era costituito dal grado di risposta, definito come la percentuale di pazienti con una riduzione uguale o superiore al 50% delle convulsioni rispetto al baseline. Il pregabalin è risultato più efficace del placebo per dosi uguali o superiori a 150 mg/die (RRatio: -6, -21, -28, -37, -4 rispettivamente con pregabalin 50, 150, 300 e 600 mg/die e placebo; riduzione dell’incidenza di convulsioni rispetto al baseline: 12%, 34%, 44%, 54% e 7%, rispettivamente con pregabalin 50, 150, 300 e 600 mg/die e placebo). La risposta al trattamento è stata dose-dipendente, pari al 31% vs 40% vs 51% vs14% dei pazienti, rispettivamente con pregabalin 150, 300 e 600 mg/die e placebo. La percentuale di pazienti che ha sospeso la terapia per mancanza di efficacia è risultata pari a 1,1% vs 1,1% vs 2,2% vs 4,5% vs5%, rispettivamente con pregabalin 50, 150, 300 e 600 mg/die e placebo.
Analoghi risultati sono stati ottenuti in un altro trial, in cui il pregabalin è stato aggiunto come terapia di supporto per il trattamento di convulsioni parziali refrattarie. L’RRatio è risultato pari a –11,5 vs –31,4 vs +0,9, rispettivamente con il farmaco alla dose di 150 oppure 600 mg/die e placebo. La percentuale di risposta dei pazienti è stata pari al 14,1 e 43,5% con le due dosi di pregabalin e al 6,2% con placebo (Arroyo et al., 2004).
In un altro trial, la somministrazione di pregabalin (600 mg/die) a pazienti non adeguatamente controllati con terapie combinate che prevedevano fino a 3 farmaci antiepilettici contemporaneamente, ha permesso di raggiungere valori di RRatio pari a –28,4 e –36,1 con pregabalin somministrato 2 oppure 3 volte al giorno rispetto ad un valore di +0,6 nel gruppo placebo. La percentuale di risposta è stata pari a 43% e 49%, con i due due diversi schemi posologici per il pregabalin, e pari al 9% con placebo. La riduzione media della frequenza degli episodi convulsivi è stata, rispettivamente, di –35,6% vs –48,1% vs –0,8% (Beydoun et al., 2005).
Analizzando i dati di efficacia ottenuti nei 3 trial descritti sono emerse le seguenti indicazioni: la dose di 150 mg/die ha mostrato efficacia terapeutica superiore al placebo nel trattamento delle convulsioni parziali complesse; la dose di 600 mg/die è risultata superiore a placebo in caso di convulsioni parziali semplici, complesse e secondarie generalizzate tonico-cloniche (Greiner et al., 2004).
Il pregabalin ha dimostrato una relazione dose-risposta nel 75% dei pazienti trattati con convulsioni parziali refrattarie, una capacità di ridurre la frequenza delle convulsioni del 50% con la dose di 186 mg. L’antiepilettico ha evidenziato superiorità al placebo sia usando una dose fissa (600 mg/die) sia usando flessibilità nella dose somministrata (150 e 300 mg/die, seguiti da 450 e 600 mg/die). Lo schema flessibile prevedeva la riduzione della dose in base alla tollerabilità del paziente fino ad un valore che garantisse un intervallo di tempo libero da convulsioni di 4 settimane. La dose media somministrata nell’ultimo mese di terapia è risultata pari a 588 mg, in caso di dosaggio fisso, e pari a 508 mg, in caso di dosaggio flessibile. La riduzione della frequenza delle convulsioni è stata pari al 49,3% e 35,4%, rispettivamente con lo schema fisso o flessibile e il grado di risposta dei pazienti è stato, rispettivamente, del 45,3 e 31,3% (Guberman et al., 2004).
Attività antinevralgica
Il pregabalin ha evidenziato attività anti-iperalgesica e anti-allodinica in diversi modelli animali di dolore neuropatico. L’iperalgesia è la percezione di un dolore molto intenso in risposta a stimoli dolorosi lievi; l’allodinia è la percezione del dolore in risposta a stimoli che normalmente non sono dolorosi. Il pregabalin ha evidenziato attività analgesica sia in caso di allodinia indotta da danno nevralgico oppure da vincristina o streptozocina, sia in caso di iperalgesia da danno termico oppure causato da formalina, carragenina, sostanza P o NMDA (N-metil-D-aspartato). Sia l’attività verso l’iperalgesia sia verso l’allodinia è stata osservata con dosi di pregabalin 2-4 volte inferiori a quelle di gabapentin (Lauria-Horner et al., 2003).
Il pregabalin è stato valutato nel trattamento del dolore associato a neuropatia di origine diabetica, diagnosticata da almeno 6 mesi oppure da 1-5 anni in trial clinici controllati. I pazienti, di età =/> 18 anni, presentavano un punteggio di partenza relativo al dolore =/> 4 (scala da 0 a 10 dove 10 rappresenta il dolore massimo) durante la settimana precedente l’inizio dello studio; un valore =/> 40 mm relativo alla scala di valutazione visiva (VAS) del questionario Short-form McGill Pain (SF-MPQ). Fattori di esclusione hanno compreso pazienti con CLcr < 30 ml/min oppure ≤ 60 ml/min e non responder ad una precedente terapia con gabapentin (=/> 1200 mg/die). Nei trial clinici lo schema di somministrazione per il pregabalin ha previsto 2 somministrazioni giornaliere (bid) per un periodo fino a 13 settimane oppure 3 somministrazioni giornaliere (tid) per un periodo di tempo di 8 settimane. Il pregabalin ha mostrato efficacia terapeutica nel ridurre il dolore associato a neuropatia diabetica alle dosi di 300 e 600 mg/die, refratte in 3 somministrazioni, ma non alle dosi di 75 e 150 mg/die. Considerando che il punteggio medio iniziale per il dolore, su base settimanale, calcolato con il metodo dei minimi quadrati (LS) era pari a circa 6-7 in tutti i pazienti trattati, la riduzione di questo valore è stato pari a 4,29 vs5,55, con pregabalin 600 mg/die e placebo (Sharma et al., 2000); pari a 3,80 e 3,60 vs5,06 con pregabalin 300 e 600 mg/die e placebo (Lesser et al., 2004); pari a 3,99 vs5,46 con pregabalin 300 mg/die e placebo (Rosenstock et al., 2004).
La percentuale di responders (pazienti con riduzione del punteggio assegnato al dolore ≥ 50% vs baseline) nel gruppo trattato con pregabalin 300 e 600 mg/die (tid), è stata superiore al doppio di quella osservata nei gruppi placebo (39-48% vs15-18%). In media, quindi, fino al 48% dei pazienti con dolore neuropatico hanno presentato una riduzione uguale o superiore al 50% del dolore. I pazienti in terapia con pregabalin 3 volte/die hanno evidenziato un sonno qualitativamente migliore rispetto al gruppo placebo: il punteggio correlato ai disturbi del sonno (calcolato con il metodo dei minimi quadrati) è stato pari a 2,90 vs4,05 con pregabalin 600 mg/die e placebo (Sharma et al., 2000a); pari a 2,86 e 2,62 vs4,17 con pregabalin 300 e 600 mg/die e placebo (Sharma et al., 2000); pari a 2,78 vs4,32 con pregabalin 300 mg/die e placebo (Rosenstock et al., 2004); il punteggio iniziale per tutti i pazienti era compreso fra 4,5 e 6.
Sia la riduzione del dolore su base settimanale sia il miglioramento della qualità del sonno sono risultate statisticamente differenti fra pregabalin (300 e 600 mg/die suddivisi in 3 somministrazioni giornaliere) e placebo già dopo una settimana di terapia e il trend è stato mantenuto per tutta la durata degli studi (5-8 settimane). Considerando la valutazione del dolore su base giornaliera, l’efficacia terapeutica del pregabalin era già evidente dopo il primo giorno, negli studi in cui il farmaco è stato somministrato come dose fissa di 300 mg/die; è risultata evidente durante il secondo giorno fino al settimo giorno, negli studi che avevano previsto la titolazione del dosaggio del farmaco in cui la dose iniziale era di 75 oppure 100 mg/die e la dose finale di 600 mg/die (Rowbotham et al., 2003).
Analoghi risultati sono stato osservati anche quando il pregabalin è stato somministrato in due dosi giornaliere, sia nel ridurre il dolore associato a neuropatia diabetica e nevralgia erpetica sia nel migliorare la qualità del sonno. Risultati statisticamente significativi vsplacebo sono stati ottenuti già a partire dalla prima settimana di terapia (dose fissa di farmaco pari a 600 mg/die) e si sono mantenuti per tutte le 12 settimane di durata dello studio. Anche la percentuale di pazienti responsivi al trattamento è stata significativamente più elevata con il farmaco (46 vs 30%) (Toelle et al., 2004).
Gli endpoint primari di valutazione dell’efficacia terapeutica per il pregabalin, riduzione del punteggio assegnato al dolore e percentuale di pazienti responsivi, non hanno evidenziato variazioni importanti quando il pregabalin è stato somministrato con dosi fisse (dose iniziale di 300 mg/die per 1 settimana, dose di mantenimento di 600 mg/die) o flessibili (titolazione del dosaggio per le prime 4 settimane iniziando con 150 mg/die fino a 600 mg/die, continuando poi con la dose ottimale prescelta durante la fase di titolazione) (Strojek et al., 2004). Il punteggio di valutazione del dolore, su base settimanale, è stato pari a 3,81 vs3,60 vs4,98, rispettivamente con pregabalin a dose fissa, pregabalin a dose flessibile e placebo (punteggio al basale pari a 6,50-7). La percentuale di pazienti responder, in cui cioè la riduzione del punteggio del dolore è risultato uguale o superiore al 50%, è stata pari a 52% vs 48% vs 24%, rispettivamente con pregabalin a dose fissa, oppure a dose flessibile e placebo. Scostamenti statisticamente significativi rispetto al placebo, relativi al dolore sono stati osservati dopo 1 settimana con pregabalin a dose fissa e dopo 2 settimane con pregabalin a dose flessibile; relativi alla qualità del sonno, dopo 1 settimana in entrambi i gruppi trattati con pregabalin (Strojek et al., 2004).
In uno studio di confronto con amitriptilina, pazienti con dolore neuropatico da diabete sono stati trattati con amitriptilina (10, 25 e 50 mg/die alla sera) e pregabalin (75, 150 e 300 mg 2 volte/die) (il dosaggio è stato aggiustato a seconda della risposta terapeutica); ciascun trattamento è durato 5 settimane e tra un trattamento e l’altro è intercorso un periodo di 3 settimane con placebo. Il sollievo dal dolore è stato giudicato buono, moderato e minimo rispettivamente nel 48%, 13% e 15% dei pazienti trattati con pregabalin e nel 34%, 11% e 27% dei pazienti trattati con amitriptilina. I vari indici di misurazione utilizzati (Patient and Physician’s Global Assessment, McGill Pain Questionnaire, Likert Pain Scale, Patient Global Impression of Change) non hanno evidenziato differenze fra i due trattamenti. L’incidenza di eventi avversi è risultata più alta con amitriptilina (65,4% dei 52 eventi avversi riportati) e l’effetto collaterale più frequente è risultato la sonnolenza per entrambi i farmaci (rispettivamente 43% e 20% dei pazienti trattati con amitriptilina e pragabalin) (Bansal et al., 2009).
In un altro studio, mentre l’amitriptilina (75 mg/die) è risultata più efficace del placebo (p=0,01) nel ridurre la sintomatologia dolorosa in pazienti con neuropatia diabetica, il pregabalin (titolato a 600 mg/die) non è risultato altrettanto efficace (p=0,08). Analogo esito è stato osservato per la percentuale di pazienti responder (riduzione del dolore >/= 50%): differenza statisticamente significativa, rispetto al placebo, per amitriptilina (p=0,03), ma non per pregabalin (0,24) (Drug and Therapeutics Bulletin, 2006).
Attività ansiolitica
In studi di fase II e III, il pregabalin ha mostrato attività ansiolitica in caso di disturbo d’ansia generalizzato, nella fobia sociale e nel disturbo da panico (Lauria-Horner et al., 2003).
Il pregabalin, in tutti i dosaggi somministrati (200, 300, 400 e 600 mg/die), ha mostrato efficacia nel migliorare sia la sintomatologia psichica sia somatica legata al disturbo d’ansia generalizzato. L’efficacia terapeutica del pregabalin verso il controllo dei sintomi somatici è risultato equivalente a quella delle benzodiazepine (riduzione del punteggio della scala Hamilton Anxiety: -9,2 vs-10,3 vs-12 vs-6,8 punti, rispettivamente con pregabalin 150 mg/die vspregabalin 600 mg/die vslorazepam 6 mg/die vsplacebo) (Pande et al., 2003). Sulla base del profilo di tollerabilità e dei dati raccolti negli studi sui volontari sani, il pregabalin sembrerebbe apportare dei benefici aggiuntivi, in termini di tollerabilità, rispetto sia alle benzodiazepine sia alla venlafaxina (Baldwin, Ajel, 2007).
La somministrazione di pregabalin secondo schemi terapeutici che prevedevano la suddivisione della dose giornaliera in 2 oppure 3 somministrazioni non ha evidenziato differenze né di efficacia né di tollerabilità (Pohl et al., 2005). Nei trial clinici placebo-controllati (7 studi) la riduzione del punteggio complessivo della scala di Hamilton per l’ansia >/= 50% è stato ottenuto nel 52% dei pazienti trattati con pregabalin rispetto al 38% di quelli trattati con placebo.
In pazienti con punteggio iniziale della scala Hamilton Anxiety (HAM-A) ≥ 20, il miglioramento dei sintomi psichici e somatici con pregabalin è stato rapido: dopo 1 settimana di trattamento la riduzione del punteggio HAM-A era pari o superiore al 30% ed un miglioramento uguale o superiore è stato riscontrato, ad ogni controllo successivo, in una percentuale di pazienti =/> 38%. Inoltre, il tasso di interruzione della terapia per eventi avversi è risultato sovrapponibile a quello osservato nel gruppo placebo (9-13% vs8%, rispettivamente con pregabalin e placebo) (Pohl et al. 2005).
In uno studio clinico relativo all’impiego del pregabalin nel trattamento della fobia sociale, sebbene la riduzione del punteggio della scala di misurazione dei sintomi (Liebowitz Social Anxiety Scale, LSAS) sia risultata statisticamente superiore a placebo (p=0,024), alla dose massima raccomandata di pregabalin (600 mg/die) dopo 11 settimane di terapia, la riduzione non è risultata clinicamente significativa in quanto inferiore alla variazione minima richiesta di 20 punti in un range compreso fra 0 e 144 (Pande et al., 2004)
Fibromialgia
La fibromialgia è una condizione patologica la cui causa non è stata ancora definita. I sintomi che la accompagnano, poco specifici, comprendono dolore, stanchezza e sonno non ristoratore. A questi si possono associare cefalea, disturbi intestinali, dismenorrea, ansia e/o depressione. Risulta più frequente nelle donne che negli uomini (dato USA: 3,4% vs 0,5%) (Wolfe et al., 1995).
La somministrazione di pregabalin a pazienti affetti da fibromialgia è risultata più efficace di quella del placebo nel ridurre il dolore alla dose di 450 mg/die (p</=0,001), ma non alla dose di 300 mg/die e di 150 mg/die (Crofford et al., 2005). Il 29% dei pazienti nel gruppo trattato con pregabalin ha ottenuto una riduzione del dolore di almeno il 50% contro il 13% del gruppo placebo (p=0,003). Circa la metà dei pazienti trattati ha manifestato capogiri e poco meno di un terzo sonnolenza.
In un altro studio il pregabalin è stato somministrato alla dose di 300, 450 e 600 mg/die in pazienti con fibromialgia (94% di sesso femminile). Il gruppo di confronto è stato trattato con placebo. La durata dello studio è stata di 13 settimane. Tutte e tre le dosi sperimentate sono risultate più efficaci del placebo nel ridurre il dolore. Sebbene la differenza abbia raggiunto significatività statistica, la riduzione del dolore con il farmaco è stata limitata, pari a circa 0,5 punti su una scala di 10 punti (0-10) (rilevanza clinica minima). Questa differenza si è mantenuta costante per tutta la durata dello studio solo per la dose più elevata, pari a 600 mg/die. La percentuale di pazienti che ha ottenuto una riduzione del dolore almeno del 30% è risultata pari a 43-44% con pregabalin (indipendentemente dalla dose) e al 35% con placebo (differenza non statisticamente significativa). Non ci sono state differenze fra pregabalin e placebo in termini di impatto sulla stanchezza e di punteggio complessivo FIQ (Fibromyalgia Impact Questionnaire) (esiti clinici secondari). La percentuale di pazienti che ha interrotto lo studio per eventi avversi è stata pari a 19% vs 22% vs 33% rispettivamente con la dose di 300, 450 e 600 mg/die (Mease et al., 2008).
L’analisi dei dati relativi al sonno (Medical Outcomes Study (MOS) Sleep Scale e valutazione della qualità del sonno mediante diario giornaliero) ottenuti dagli studi clinici vs placebo ha evidenziato un effetto statisticamente significativo del pregabalin per i seguenti parametri (vs placebo): MOS Sleep Disturbance (p<0,01), Sleep Quality Diary (P<0,001), MOS Quantity of Sleep (p<0,003), MOS Sleep Problems index score (p<0,02). Tramite l’impiego di modelli, sembrerebbe che il 40-80% dei benefici del pregabalin sul sonno possa dipendere da un effetto diretto, mentre per la restante percentuale da un effetto indiretto, dovuto all’azione antalgica del farmaco (Russell et al., 2009).
La valutazione degli effetti antalgici del pregabalin sul lungo periodo, nel trattamento della fibromialgia, è stata effettuata tramite uno studio clinico che ha arruolato pazienti precedentemente trattati con il farmaco e che avevano ottenuto una riduzione del dolore pari ad almeno il 50% (pazienti responder). Questi pazienti sono stati randomizzati a ricevere pregabalin o placebo per 26 settimane al termine delle quali è stato valutato dopo quanto tempo si verificava perdita della risposta terapeutica (definita come riduzione del dolore < 30% oppure peggioramento della fibromialgia). Circa il 50% dei pazienti del gruppo placebo è andato incontro a perdita della risposta terapeutica dopo 19 giorni, mentre nel gruppo trattato con pregabalin il 50% presentava ancora risposta terapeutica al termine dello studio. Dopo le 26 settimane, la percentuale di pazienti che soddisfaceva i criteri definiti come “perdita di risposta terapeutica“ risultava pari al 61% vs 32% rispettivamente con placebo e pregabalin (Crofford et al., 2008). La percentuale di pazienti che presentava ancora risposta terapeutica dopo 6 mesi era il 32%; in questo gruppo il tempo medio di perdita di risposta è stato di 34 giorni (Siler et al., 2011).
In uno studio di fase III è stata analizzata l’efficacia della formulazione di pregabalin a rilascio controllato, per un uso potenziale del farmaco in un’unica somministrazione. Lo studio, in doppio cieco randomizzato, ha provato gli effetti benefici del pregabalin a rilascio controllato, statisticamente significativi rispetto al placebo. Sono stati coinvolti 441 pazienti che sono stati trattati con una dose iniziale di 165 mg/die di pregabalin per tre settimane, aumentata poi fino a 495 mg/die per altre tre settimane. Al termine del periodo ai pazienti in cui è stata riscontrata una riduzione del dolore >50% è stata somministrato pregabalin o placebo alla dose ottimale (330-495 mg/die) (63 pazienti con pregabalin, 58 con placebo). Il parametro valutato è stato il tempo medio fino alla perdita della risposta terapeutica (LTR), che è risultato significativamente maggiore nel gruppo trattato con pregabalin (58 giorni e 22 giorni, rispettivamente; p=0,02). Il trattamento, inoltre, si è rivelato ben tollerato con effetti collaterali modesti (Arnold et al., 2014).