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Montelukast

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Farmacologia - Come agisce Montelukast?

Il montelukast è un antagonista selettivo del recettore per il leucotriene D4 (LTD4) impiegato nel trattamento dell’asma. I leucotrieni cisteinici (C4, D4 e E4), noti anche come S-RSA (slow-reacting substance of anaphylaxis) svolgono un ruolo chiave nelle manifestazioni asmatiche. Vengono rilasciati da eosinofili, basofili e mastcellule e il loro aumento accompagna la crisi asmatica sia indotta che spontanea. I leucotrieni provocano incremento del muco, edema delle pareti delle vie respiratorie, migrazione di eosinofili e broncocostrizione.

Il montelukast è risultato efficace nel proteggere le vie respiratorie di pazienti con FEV1-PP 79-109 (volume espiratorio forzato in un secondo pari a 79-109% di quello normale) dalle risposte indotte dal contatto con allergeni (Grootendorst et al., 1997); nel ridurre la concentrazione di eosinofili nello sputo (pazienti con FEV1-PP 65-85) (Leff et al., 1997); la broncocostrizione indotta da LTD4 (pazienti con FEV1-PP pari a 82,3) (De-Lepeleire et al., 1997); la risposta rapida (riduzione del 53,6%) e ritardata (riduzione del 36,4%) delle vie respiratorie in seguito a inalazione di allergeni in pazienti atopici con asma (FEV1-PP 79-109) (Diamant et al., 1996).

Il montelukast è risultato efficace nel ridurre il broncospasmo causato da esercizio fisico in pazienti adulti (pazienti con FEV1-PP>/=65) (riduzione del valor medio di FEV1: 14-16,9 vs 25,3% rispettivamente in pazienti trattati con montelukast e placebo) e pediatrici (riduzione del valor medio di FEV1 in pazienti con età compresa fra 6 e 14 anni: 18,3 vs 26,1% con montelukast e placebo) (Reiss et al., 1995); nel mantenere la riduzione del broncospasmo da sforzo anche dopo trattamenti prolungati (assenza di tolleranza dopo 12 settimane di trattamento: riduzione della FEV1 dopo esercizio fisico pari al 22% nei pazienti trattati con il farmaco e al 32% nei pazienti trattati con placebo) (Leff et al., 1997).

In pazienti con asma cronica (FEV1-PP 40-80) in trattamento con beta-agonisti a breve durata d’azione (1 puff/die che aumentava di circa il 15% il valore di FEV1), il montelukast è risultato più efficace del placebo alle dosi di 2, 10 e 50 mg/die nell’incrementare la massima velocità espiratoria di flusso (PEFR) mattutina (14,7 vs 13,5 vs 13,1 vs 6,2, rispettivamente con montelukast 2, 10, 50 mg/die e placebo). L’incidenza delle esacerbazioni asmatiche è stata inferiore nei pazienti trattati con il farmaco alle dosi più alte (44,1 vs 50,0 vs 69,6% rispettivamente con montelukast 10 e 50 mg/die e placebo) come anche il consumo di beta-agonisti da inalazione. Il trattamento con montelukast è stato fatto seguire da una settimana di “wash-out” al termine della quale i benefici ottenuti con il farmaco sono risultati sovrapponibili a quelli ottenuti con il placebo, ad eccezione della FEV1 che è invece peggiorata (Noonan et al., 1998).

La superiorità terapeutica del montelukast sul placebo è stata confermata anche in trattamenti a lungo tempo (3 mesi) (Reiss et al. 1996). In questo studio sono stati arruolati pazienti con asma cronico (FEV1-PP 50-85) in trattamento con beta-agonisti per inalazione “al bisogno“ e, per un 24% del totale, in trattamento con corticosteroidi sempre per inalazione. Dopo 12 settimane di trattamento la FEV1 è aumentata del 9% nei pazienti trattati con il farmaco rispetto a quelli trattati con il placebo (incremento del volume espiratorio da 2,5 L a 2,8 L con montelukast e a 2,6 L con placebo); il picco di flusso mattutino è aumentato del 5% (rispetto al placebo) e quello serale del 3%. Nel gruppo trattato con il montelukast è diminuito il numero di inalazioni di beta 2-agonisti “al bisogno“ (1 puff/die in meno), i punteggi relativi ai sintomi asmatici diurni, le crisi asmatiche (riduzione dei giorni di esacerbazione della patologia: 5%) e il numero di risvegli notturni.

Nel sottogruppo di pazienti che assumevano anche corticosteroidi per via inalatoria, l’incremento della FEV1 è stata pari al 10,3% (vs 1,6% con placebo), mentre nei pazienti non in trattamento con corticosteroidi è risultata pari a 13,9% (vs 5% con placebo).

Il montelukast (10 mg/die) è stato confrontato con beclometasone (400 mcg/die): la FEV1 è aumentata del 10,92% e del 16,31% rispettivamente con il primo e il secondo farmaco; il consumo giornaliero di beta-agonisti è diminuito rispettivamente del 35,6% e del 37,3% (Reiss et al., 1997).

In pazienti con asma ben controllato con corticosteroidi per inalazione, il montelukast è risultato più efficace del placebo nel ridurre il dosaggio di corticosteroidi (47% vs 30% rispettivamente con il farmaco e il placebo) (Leff et al., 1997a).

In una metanalisi di studi clinici condotti in pazienti adulti con asma, l’efficacia del montelukast o zafirlukast, altro antagonista dei leucotrieni, nel ridurre le esacerbazioni asmatiche è risultata inferiore a quella dei corticosteroidi in caso di asma lieve o moderato (Ng et al., 2004). I trial esaminati avevano una durata di 4-37 settimane. Rispetto ai pazienti in terapia con corticosteroidi inalatori, i pazienti che assumevano il montelukast o lo zafirlukast presentavano il 65% di probabilità in più di dover usare un corticosteroide da somministrare per via sistemica per far fronte ad una esacerbazione dell’asma (endpoint principale della metanalisi) (rischio relativo pari a 1,65, CI95% 1,36-2,00). Praticamente ogni 26 pazienti che venivano trattati con l’antileucotrienico invece che con corticosteroidi inalatori generavano un episodio di esacerbazione asmatica da dover trattare con un corticosteroide per via sistemica. I corticosteroidi per inalazione sono risultati superiori a montelukast o zafirlukast anche in termini di miglioramento del volume espiratorio forzato in 1 secondo (FEV1 pari a 130 ml), controllo dei sintomi diurni e notturni, uso di medicamenti “al bisogno“, giorni liberi da asma e qualità di vita. La terapia con montelukast o zafirlukast risultava associata ad un aumento del 160% di interruzione della terapia per mancato controllo dell’asma (ogni 29 pazienti trattati con un antagonista del recettore dei leucotrieni anzichè con un corticosteroide inalatorio causava un sospensione del trattamento farmacologico per mancato controllo dei sintomi asmatici) (Ng et al., 2004).

L’antagonista recettoriale del leucotriene D4, somministrato a pazienti asmatici intolleranti ad acido acetilsalicilico e con controllo non soddisfacente della patologia tramite corticosteroidi orali o per inalazione, ha ridotto il numero delle crisi asmatiche (esacerbazioni giornaliere: 8,3% vs 21,7% rispettivamente con montelukast e placebo) e il ricorso al broncodilatatore “al bisogno“ (-27%) (Dahlen et al., 2002).

L’aggiunta di un antileucotriene, montelukast o zafirlukast, alla terapia standard dell’asma (corticosteroide inalatorio più beta2-agonista inalatorio a breve durata d’azione “al bisogno“) è stata valutata in una metanalisi che ha preso in esame 27 studi clinici, due dei quali condotti in pazienti pediatrici. Nei pazienti sintomatici nonostante la terapia corticosteroidea, l’aggiunta di montelukast o zafirlukast alle dosi raccomandate non ha determinato una riduzione significativa del rischio di esacerbazione dell’asma da trattare con corticosteroide sistemico. Un lieve miglioramento è stato osservato in termini di picco di flusso espiratorio e consumo di beta2-agonisti. Inoltre nei trial in cui l’aggiunta dell’antileucotriene è stata confrontata con l’aumento della dose di corticosteroidi (tre studi clinici), non è stato possibile estrapolare delle conclusioni definitive circa l’equivalenza delle due opzioni di trattamento. Nei pazienti con asma controllato con la terapia corticosteroidea, l’aggiunta dell’antileucotriene non ha modificato la dose di corticosteroide, ma ha diminuito il numero di interruzioni dovuto ad un controllo non ottimale dei sintomi (RR 0,63, IC95% 0,42-0,95) (Ducharme et al., 2004).

Nei pazienti che utilizzano beta2-agonisti a lunga durata d’azione per migliorare il controllo dell’asma, non soddisfacente nonostante i corticosteroidi per inalazione, l’impiego del montelukast come alternativa al beta2-agonista (salmeterolo, formoterolo) ha comportato un aumento del rischio di esacerbazione da trattare con corticosteroidi sistemici (esacerbazioni: 11% vs 9%; RR pari a 0,83, CI95% 0,71-0,97). I pazienti arruolati negli studi presentavano una discreta ostruzione delle vie aeree (FEV1 pari al 66-76% del valore predetto) ed erano trattati con beclometasone (400-565 mcg) o analoghi. La terapia con beta2-agonisti a lunga durata d’azione in associazione al corticosteroide inalatorio è risultata più efficace della terapia antileucotriene più corticosteroide inalatorio anche rispetto agli endpoint secondari quali: picco di flusso espiratorio mattutino e serale, miglioramento della FEV1, giorni liberi da asma, giorni liberi da esacerbazione, ricorso a beta2-agonisti, qualità di vita, punteggio complessivo dei sintomi, risvegli notturni e soddisfazione soggettiva del paziente (Ram et al., 2005).

Sulla base delle evidenze scientifiche le linee guida NAEPP prevedono l’utilizzo di montelukast come farmaco alternativo, non di prima linea, nel trattamento dell’asma lieve persistente. Il montelukast può essere utilizzato come terapia aggiuntiva al trattamento corticosteroideo inalatorio, ma nei ragazzi di età uguale o superiore a 12 anni e negli adulti, i beta2-agonisti sono da preferire agli antileucotrienici come terapia aggiuntiva (NAEPP, 2007).

L’asma indotto da esercizio fisico in genere è sintomo di una patologia asmatica non ben controllata e indicazione per un trattamento con corticosteroidi per via inalatoria associando un beta 2 agonista, sodio cromoglicato o nedocromile prima dell’attività fisica. Nei pazienti adulti la somministrazione di una dose di montelukast (10 mg) ha ridotto fino al 70% la diminuzione della FEV1 causata da attività fisica standard, con un effetto che si manifesta in genere entro l’ora e permane per circa 12 ore (Coreno et al., 2000).

In pazienti con asma da sforzo non in trattamento con corticosteroidi per via inalatoria, il montelukast (10 mg/die alla sera per 12 settimane) ha migliorato notevolmente l’AUC per la FEV1 misurata nei 60 minuti successivi alla prova da sforzo con una inibizione della broncocostrizione del 47% (vs placebo) negli adulti (p=0,002) e del 59% nei bambini (p=0,013) (Leff et al., 1998; Kemp et al., 1998). La quantità di metacolina richiesta per ridurre la FEV1 del 20% (PC20) è risultata simile fra i pazienti trattati con il farmaco e quelli trattati con placebo. Al termine del periodo di wash-out che ha seguito il trattamento farmacologico i valori della FEV1 sono risultati sovrapponibili a quelli ottenuti con il placebo (Leff et al., 1998). Il montelukast ha mostrato efficacia simile a salmeterolo per via inalatoria (50 mcg 2 volte/die) nel prevenire la broncocostrizione da esercizio fisico dopo trattamento ripetuto per tre giorni (Edelman et al., 2000; Villaran et al., 1999); dopo trattamento prolungato, pari a 4-8 settimane, l’efficacia del montelukast è risultata superiore a quella del salmeterolo per un probabile effetto di tolleranza del salmeterolo stesso (Edelman et al., 2000; Villaran et al., 1999).

In pazienti adulti con asma e rinite allergica stagionale l’aggiunta di montelukast al trattamento con corticosteroidi per inalazione eventualmente associati a beta2-agonisti a lunga durata d’azione ha determinato una riduzione statisticamente significativa degli attacchi d’asma (da 31,5% dell’anno precedente l’aggiunta di montelukast al 10,1% dopo un anno di trattamento con l’antileucotriene, p < 0,001), delle visite d’urgenza (da 18,7% al 3,9%), del tasso di ospedalizzazione (dal 5,2% all’1,4%) e del consumo di corticosteroidi orali (dal 17,5% al 5,9%) (p< 0,01) (Borderias et al., 2007).

In pazienti pediatrici (6-14 anni) con asma cronica (FEV1-PP 72), il montelukast (5 mg/die) ha mostrato efficacia terapeutica superiore rispetto al placebo sia considerando l’endpoint primario, incremento della FEV1 mattutina (8,23 vs 3,58% rispettivamente con il farmaco e con il placebo), che alcuni endpoint secondari come l’uso di beta-agonisti “al bisogno“ e alcuni parametri relativi alla qualità di vita (p<0,05). Analogo andamento è stato evidenziato anche nel sottogruppo di bambini trattati con corticosteroidi per via inalatoria (37% dei pazienti). Sono risultati invece sovrapponibili gli esiti ottenuti per gli altri endpoint secondari quali comparsa di sintomi asmatici diurni, episodi di PEFR diurni e notturni, valutazione effettuata dal medico e dal paziente, interruzione del trattamento per un peggioramento della patologia, uso di corticosteroidi orali, giorni di scuola persi (Knorr et al., 1998).

L’efficacia del montelukast come monoterapia nel trattamento dell’asma lieve-persistente o lieve-intermittente o da sforzo nei bambini è stata confermata in una metanalisi che ha preso in considerazione l’impiego del farmaco nella fascia di età 2-14 anni (Wahn, Dass, 2008).

Nei pazienti pediatrici (6-14 anni) con asma persistente (FEV1 compreso fra 60-85% del valore predetto) e rinite allergica stagionale, il montelukast è stato associato ad una valutazione globale dell’asma effettuata separatamente dal medico e da chi assisteva il bambino (genitore/tutore) più elevata rispetto al placebo (p<0,05), ma non è risultato più efficace nel migliorare la funzionalità polmonare (p=0,810). Nessuna differenza è emersa fra i due trattamenti anche per gli altri esiti clinici secondari: ricorso ai beta2-agonisti, variazione del punteggio medio dei sintomi diurni e notturni e picco di flusso espiratorio mattutino e serale (Papadopoulus et al., 2009).

La somministrazione di montelukast a pazienti pediatrici in età prepuberale influenza la crescita lineare. In uno studio clinico, il montelukast (5 mg/die) è stato confrontato con placebo e beclometasone dipropionato (200 mcg 2 volte/die) in bambini di età compresa fra 6 e 10 anni. I bambini, con asma lieve persistente, sono stati trattati per circa un anno (56 settimane). Al termine dello studio, il tasso di crescita dei bambini era simile nel gruppo montelukast o placebo (differenza media: 0,03 cm), risultava inferiore nel gruppo trattato con beclometasone (p<0,001 sia con placebo sia con montelukast). I giorni in cui è stato utilizzato anche un beta2-agonista sono risultati, in percentuale, più numerosi con placebo (14,58%), meno con montelukast (10,55%), meno ancora con beclometasone (6,65%) (p<0,05 per tutti). Analogamente, la percentuale di pazienti che ha dovuto ricorrere ad una terapia corticosteroidea orale di supporto è risultata più elevata con placebo (34,7%) per decrescere, nell’ordine, con montelukast (25,0%) e poi beclometasone (23,5%) (Becker et al., 2006).

Nel trattamento della rinite allergica, il montelukast riduce di circa il 3,4% i sintomi nasali quando confrontato con placebo. In studi di comparazione con fexofenadina, il montelukast ha evidenziato un’efficacia minore nel ridurre infiammazione e pomfo indotti da allergeni (White et al., 2005). Nel trattamento della rinite allergica i risultati migliori, negli studi clinici, sono stati osservati associando il montelukast agli antistaminici (Grainger, Drake-Lee, 2006).

Nel trattamento della rinite allergica perenne il montelukast è risultato più efficace del placebo nel migliorare la sintomatologia diurna (congestione nasale, rinorrea e starnuti) (p<0,001) dopo somministrazione di 10 mg/die per 6 settimane di terapia (Patel P. et al., 2005; Garrett et al., 2005). In bambini di età compresa fra 2 e 6 anni, con rinite allergica perenne, il montelukast è stato confrontato con cetirizina e placebo. Sia il montelukast sia la cetirizina sono risultati superiori a placebo in termini di resistenza delle vie aeree, contenuto percentuale di eosinofili nel muco, punteggio relativo al questionario di valutazione della qualità di vita (PRQLQ, Pediatric Rhinoconjunctivitis Quality of Life Questionnaire), punteggio complessivo dei sintomi (TSS, Total Symptom Score). La cetirizina è risultata più efficace del montelukast nel ridurre il prurito nasale, mentre il montelukast è risultato migliore della cetirizina in termini di qualità del sonno notturno (Chen et al., 2006). In un altro studio, sempre di confronto con cetirizina, il montelukast è risultato più efficace del placebo nel ridurre il punteggio dei sintomi nasali diurni (DNSS, Daytime Nasal Symptom Score: congestione, rinorrea, starnuto, prurito), ma la differenza fra montelukast e placebo (-0,04) è risultata inferiore a quella misurata fra cetirizina e placebo (-0,10) (differenza misurata con il metodo dei minimi quadrati) dopo 4 settimane di terapia. Dopo 6 settimane la differenza fra i due farmaci e il placebo non era più evidente. Il montelukast, ma non la cetirizina, è risultato più efficace del placebo nel migliorare il punteggio relativo alla qualità di vita nei pazienti con rinocongiuntivite (Rhinoconjunctivitis Quality of Life) sia dopo 4 che 6 settimane (p<0,05) e tale miglioramento si è mantenuto durante tutte le 6 settimane dello studio clinico (Philip et al., 2007).

La riduzione dei sintomi nasali è risultata maggiore quando il montelukast è associato agli antistaminici. In pazienti con rinite allergica perenne, la somministrazione per 6 settimane di montelukast (10 mg/die) in monoterapia oppure di levocetirizina (5 mg/die) o desloratadina (5 mg/die) in monoterapia oppure di montelukast in associazione a levocetirizina o desloratadina ha dato i seguenti esiti per quanto riguarda il punteggio totale dei sintomi associati a rinite perenne: 3,6+/-0,48 con montelukast vs 3,74+/-0,54 con desloratadina vs 3,04+/-0,4 con montelukast/desloratadina vs 7,7+/-0,49 al basale; 3,44+/-0,55 con montelukast vs 3,02+/-0,64 con levocetirizina vs 2,14+/-0,39 con montelukast/levocetirizina vs 7,95+/-0,68 al basale (Ciebiada et al., 2006). Analoghi risultati sono stati osservati in un secondo studio della durata di 32 settimane (Ciebiada et al., 2008).

Confrontando il montelukast con azelastina e budesonide, il montelukast è risultato il più efficace nel risolvere il prurito agli occhi e alla gola associato alla rinite allergica perenne, mentre l’azelastina è risultata migliore nel ridurre la rinorrea (Sardana et al., 2010).

Nel trattamento della rinite allergica stagionale, la somministrazione del montelukast (10 mg/die) a pazienti con rinite in fase attiva è risultata più efficace del placebo nel risolvere i sintomi (Philip et al., 2002; van Adelsberg et al., 2003). L’associazione montelukast-antistaminico (loratadina) è risultata più efficace della somministrazione dei due farmaci assunti singolarmente in uno studio clinico, ma l’esito non è stato confermato in un secondo studio clinico (Meltzer et al., 2000; Nayak et al., 2002).

Il montelukast in monoterapia o in combinazione con un antistaminico (loratadina) ha evidenziato un’efficacia inferiore a fluticasone (spray nasale 200 mcg/die) nel prevenire i sintomi notturni e diurni nei pazienti con rinite allergica (Pulleritis et al., 2002; Ratner et al., 2003).

Il montelukast è risultato efficace nella profilassi e nel trattamento del sibilo virale in pazienti pediatrici. Il sibilo virale si presenta quando esiste un’ostruzione al passaggio di aria nelle vie respiratorie. Nei bambini il sibilo o “fischio“ può avere un’origine asmatica oppure un’origine infettiva. Il sibilo di origine virale si associa ad infezione delle vie aeree e si può manifestare saltuariamente oppure ripetutamente ogni qualvolta il bambino si ammala. In genere il sibilo virale tende a risolversi spontaneamente nei bambini in età scolare (età > 6 anni). In bambini di età compresa fra 2 e 14 anni, con anamnesi positiva per sibilo virale, asintomatici tra un episodio e l’altro, la somministrazione serale di montelukast (4 mg in bambini con età =/< 5 anni; 5 mg in bambini con età > 5 anni) ha diminuito del 28,5% il ricorso improvviso al medico o a strutture specialistiche (p=0,007). La terapia con montelukast veniva iniziata appena comparivano i sintomi e continuata per 7-20 giorni (Robertson et al., 2007). Il montelukast è risultato efficace anche nella profilassi del sibilo virale. In bambini in età prescolare (2-5 anni), la somministrazione di 4 mcg/die di montelukast per via orale, per circa un anno, ha diminuito il numero di esacerbazioni rispetto al placebo (1,6 vs 2,3 esacerbazioni, p</= 0,01). E’ possibile che parte dei bambini arruolati in questo studio fosse affetto da asma, poichè circa il 45% aveva fatto uso di corticosteroidi per via inalatoria nei 6 mesi precedenti (Bisgaard et al., 2005).

L’interesse verso il trattamento del respiro sibilante (wheezing) con montelukast è aumentato dal momento che i corticosteroidi per via inalatoria ad alto dosaggio, efficaci nel ridurre il rischio di gravi episodi, provocano una soppressione clinicamente significativa della crescita corporea. Alcuni studi effettuati su pazienti adulti asmatici hanno rivelato che la risposta al montelukast è determinata da variazioni geniche del promotore del gene ALO5X della arachidonato 5-lipossigenasi, enzima che trasforma l’acido arachidonico in derivati leucotrienici. A seconda della variante genica la produzione di leucotrieni può essere differente. Nel trial WAIT (Wheeze and Intermittent Treatment) è stato confrontato il trattamento ad intermittenza con montelukast in bambini con rischio di gravi episodi di wheezing, aventi un polimorfismo (variazioni geniche che risultano in differenti fenotipi) per il gene ALO5X. I bambini sono stati suddivisi in tre gruppi, contrassegnati da 5/5, 5/x, x/x, a seconda della variante del gene. La variante genica indicata con 5 è la più frequente ed è associata ad una maggiore produzione di leucotrieni. Lo studio è stato condotto per circa tre anni, e ha coinvolto bambini dai 10 mesi ai 5 anni con due o più episodi di respiro sibilante, divisi in due gruppi a seconda del trattamento ricevuto dai genitori ad ogni episodio di wheezing (montelukast n=669; placebo n=677). Al termine dello studio è stato constatato che, rispetto al gruppo placebo, i bambini 5/5 che avevano ricevuto il montelukast erano stati sottoposti ad un numero di visite mediche non programmate per episodi di wheezing inferiore (2,0 vs 2,4; p=0,01). Questa differenza non è stata riscontrata nei bambini aventi le altre variazioni geniche. E’ possibile quindi che l’efficacia del montelukast possa essere influenzata da fattori genetici (Nwokoro C. et al., 2014).

Il montelukast è stato utilizzato come terapia di profilassi in pazienti con emicrania (3-8 attacchi di emicrania al mese da almeno 6 mesi), ma il farmaco non ha evidenziato un’attività superiore al placebo. La percentuale di pazienti che ha ottenuto una riduzione almeno pari al 50% della frequenza degli attacchi al mese è risultata pari al 15,4% con montelukast e al 10,3% con il placebo, con una differenza tra i due gruppi non significativa (p=0,304) (Brandes et al., 2004). Sebbene il montelukast sia in grado di modulare l’attività delle interleuchine nel processo infiammatorio, l’impossibilità di attraversare la barriera ematoencefalica, probabilmente, spiega l’assenza di efficacia nella profilassi dell’emicrania.

L’esofagite eosinofila è una malattia rara caratterizzata dalla presenza di infiltrati eosinofili nella mucosa esofagea che comporta gravi problemi di deglutizione (disfagia). Il trattamento di scelta è con i corticosteroidi. Il montelukast, farmaco eosinofilo-stabilizzante, è risultato efficace nel migliorare la deglutizione senza dover ricorrere ad un uso prolungato con corticosteroidi (Attwood et al., 2003; Martin de Carpi et al., 2005). In ambito pediatrico, la somministrazione di dosi di montelukast comprese fra 4-10 mg/die ha indotto risposta parziale in 2 pazienti su 8 e risposta completa in un paziente su 8. Altri 4 pazienti hanno risposto alla terapia ma nel contempo stavano assumendo anche altri farmaci (Stumphy et al., 2011).